Opere latine minori (Boccaccio)/Nota/Buccolicum carmen
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I
Il piú saldo fondamento del testo del Buccolicum carmen è fornito dal fatto, la cui inoppugnabile veritá fu dimostrata dallo Hecker un quarto di secolo fa, che il ms. Riccardiano 1232 (R) è un originale autografo1. Al pregio di questo volume, passato dalla biblioteca dell’autore, dopo la sua morte, alla cosí detta parva libreria del convento di S. Spirito2, concorre il rilievo che esso non è una semplice trascrizione in pulito, ma addirittura l’esemplare di redazione usato dal Boccaccio, il quale vi esercitò sopra in vari tempi la sua attivitá di correttore e di rifacitore: cosí che, sulle tracce evidenti di questa (raschiature, soprascritture, inserzioni interlineari, postille ed aggiunte marginali), noi possiamo seguire da un certo anno in poi la storia interna del testo. Piú precisamente il punto di partenza ora accennato si deve fissare a un dipresso nel 1367, ch’è l’anno in cui cade la composizione dell’egl. XVI, dedicatoria di tutte le altre3; il lavoro redazionale del Bucc. c., tracciato nelle pagine di R, corrisponde pertanto, benché con durata non ininterrotta, all’ultimo novennio della vita del poeta.
Tre fasi noi possiamo riconoscere in cosí fatto lavoro: l’ultima, e definitiva, è rappresentata dalla lezione attuale di R; la prima si sará avuta al momento in cui fu compiuta la trascrizione delle sedici egloghe nel ms., ma innanzi (ben inteso) che incominciasse il paziente lavorio del rifacimento; la seconda, infine, trova da collocarsi ad un certo punto del rifacimento medesimo e riflette il giudizio che in quel dato momento diede dell’opera sua l’autore e revisore, giudicandola ormai matura per la pubblicazione. A determinare la data e i limiti di questa fase intermedia ci giova lo studio del ms. Laurenziano XXXIX 26 (L), elegante codice membranaceo di mano dell’ultimo Trecento, contenente le dieci egloghe di Vergilio, le dodici del Petrarca, le sedici boccaccesche (cc. 54 r — 104 v), le due di Dante, le due di Giovanni del Virgilio e le due di Checco di Meletto Rossi4. L’importanza di L per la nostra indagine sta in ciò, che esso offre numerose lezioni le quali non coincidono con quelle oggi date da R nei passi corrispondenti, ma riscontrano con altre che una volta furono bensí fermate in R e che poi nella revisione definitiva andarono eliminate. Ovvio, dunque, supporre con lo Hecker5 che L riproduca, attraverso uno o piú intermediari, una copia tratta da R in un tempo nel quale non fosse stata ancora condotta a termine la revisione del testo; ma l’ipotesi, troppo semplicistica, non risponde tuttavia alla realtá. Se infatti osserviamo che nell’egl. II L conserva un verso intero, 98, di cui manca affatto ogni traccia in R, ma che il contesto rivela per la sua indispensabilitá sintattica assolutamente genuino6, saremo obbligati a dare un altro indirizzo alle nostre supposizioni: verrá cioè ad essere esclusa la discendenza di L da R, e ad L apparirá buon consiglio presupporre come capostipite un altro originale dove al posto debito sia stato regolarmente trascritto quel verso nella serie. L’esistenza di questo secondo originale boccaccesco (X) si può confermare con un altro ordine di ragioni.
Nello speciale reparto della libreria di S. Spirito che è stato ricordato qui sopra, anzi nello stesso banco in cui R fu accolto, venne a finire un volume che l’inventario quattrocentesco descrive cosí: «Item in eodem banco V liber 6, Bocolicorum domini Iohannis Boccaci conpletus copertus corio rubeo, cuius principium est Tindare non satius, finis vero in penultima carta lilibeis vallibus edos, etc.»7. Ora, se le parole del principio corrispondono, naturalmente, al verso iniziale dell’egl. I, le altre che chiudevano il penultimo foglio del ms. si cercherebbero invano nel Bucc. c., poiché appartengono invece al secondo dei due carmi pastorali del Rossi, ed a quello appunto che anche in L chiude il volume8. Questo vorrá dire, con ogni probabilitá, che almeno l’ultima parte di L, dalla c. 54 alla fine, riproduce il ms. V 6 di S. Spirito, ossia un libro nel quale il Bocc., senza dubbio di sua mano, aveva raccolto, al seguito delle proprie egloghe, quelle scambiate tra Dante e Giovanni del Virgilio9 e le due a se stesso indirizzate da Checco di Meletto; si può senz’altro presumere che anche la prima parte di L derivi dalla medesima fonte, con che si arriva a ricostruire induttivamente l’esistenza di un corpus bucolico raccolto espressamente dal Nostro per dare cornice e risalto alle sue composizioni pastorali. Si pensi al principio della nota lettera a fra Martino da Signa (qui, p. 216), dove son ricordate, in correlazione alle proprie, oltre alle greche egloghe di Teocrito, quelle latine di Vergilio, del Petrarca e degli altri meno pregiati (ignobiles) dei quali «nil curandum est»: nessun dubbio che, cosí scrivendo, l’autore pensasse appunto ai tre minori bucolici della sua raccolta.
Tornando al ms. di S. Spirito, che dové dunque essere tutt’una cosa col testo da me designato per X, il suo contenuto rivela poi che esso non fu una copia di carattere personale e privato (quale risulta manifestamente che fu R), ma un libro messo a libera disposizione degli studiosi, tant’è vero che vi fu chi potè trascriverlo, ossia l’amanuense di L: in altre parole, si arriva a fissare il concetto che X rappresenti, per ciò che si riferisce al Bucc. c. boccaccesco, la lezione quale fu voluta pubblicare dal poeta.
Quando seguí, ciò posto, tale pubblicazione? Due versi additizi dell’egl. IX (190 sg.) scritti in R nel margine inferiore della c. 44 r ed invece introdotti in L al loro debito luogo, ci permettono di rispondere che ciò non poté avvenire prima dell’autunno del 136910: possiamo arrotondare la cifra accettando approssimativamente la data 1370, la quale diventa per conseguenza un caposaldo nella cronologia del Bucc. c.11.
È adesso da ripigliare in istudio il ms. R, che, interrogato abilmente, può dirci ancora parecchio sulla storia dell’opera boccaccesca. La funzione d’esso non finí dopo che quella fu data in pubblico: il genitore non si disinteressò della propria creatura, e con l’abituale incontentabilitá tornò a lavorare a piú riprese sul libriccino, non solamente per sottoporlo ad un’accurata revisione ortografica12, ma anche per introdurvi, col solito sistema delle raschiature e delle rescrizioni13, un numero considerevole di migliorie. Mancano elementi per stabilire se ciò fu fatto con lo scopo di procedere ad una nuova edizione o pubblicazione, e se, eventualmente, questa ebbe luogo prima della morte del Bocc. e per opera sua diretta, oppure dopo e per diligenza altrui. Certo è che dal punto estremo a cui giunse la rielaborazione del Bucc. c., ossia da quello che si fissa nel testo ultimo ed attuale di R, procede la lezione che possiamo dire vulgata, rappresentata da un discreto numero di mss. e dalle stampe.
Dei primi14 il piú antico si può ritenere il Laurenziano XXXIV 49, finito di scrivere per Lorenzo Ridolfi da un amanuense di nome Maurizio il 20 agosto 137915; un altro, il Bodleiano 558 (Oxford), è dovuto alla penna di ser Domenico Silvestri, un umanista fiorentino di poco piú giovine del Bocc., del quale fu grande ammiratore16. I rimanenti sono d’importanza secondaria17. Quanto alle stampe, il Cinquecento ne produsse in luce due (Firenze, opera et impensa Philippi de Giunta, 1504, e Basilea, ex officina Ioannis Oporini, 1546), una il secolo XVIII (Firenze, Tartini e Franchi, 171918): la princeps «concorda piú co’ codici», mentre l’ultima è piú corretta, benché talvolta l’editore si sia permesso «qualche cangiamento arbitrario»19. Ma in sostanza questa si limita ad esemplare fedelmente la Giuntina20, come del resto fece, senz’altro, la seconda delle tre.
Dopo il riconoscimento dell’originale, lo Hecker, per darne un saggio, riprodusse diplomaticamente l’egl. XIV21; integrale è invece la trascrizione (che vorrei dire semidiplomatica) apprestata nel 1914 per opera di G. Lidonnici22. Essa riescí per altro ben poco felice, per l’insufficiente diligenza usata nella trascrizione e nell’allestimento della stampa: basti dire che non meno di quattro tra versi interi e doppi emistichi furono saltati via, oltre a minori sviste (errori di punteggiatura e false letture) quasi senza numero23.
II
La presente edizione si fonda anch’essa, naturalmente, su R, ma si propone d’essere qualche cosa di piú e di meglio d’una semplice copia dell’autografo. Essa presume di dar con la piú scrupolosa fedeltá il testo quale fu voluto e quasi totalmente fissato dal Bocc. nell’estrema fase delle cure consacrate alle sue egloghe: e pur tuttavia vuole adattarlo alle consuetudini grafiche d’oggidi e facilitarne la comprensione al lettore. Di qui l’abbandono di formalismi diplomatici nella trascrizione (uso moderno di u e v, eliminazione del segno j, ecc.), nell’apposizione delle maiuscole, nell’interpunzione e nella separazione delle parole; invece si riproduce con ogni cura l’ortografia originale, tanto nelle forme che non furono mai modificate dal poeta, quanto, allorché mutazioni vi furono, in quelle che rappresentano l’ultimo tipo da lui adottato. Ma poiché, nell’applicazione di nuovi criteri ortografici, capitò al Bocc. talvolta di trascurare, per uno spiegabile rilasciamento d’avvertenza, qualche caso qua e lá, di guisa che la riproduzione a facsimile verrebbe a fissare incongruenze e contraddizioni che senza dubbio non possono rispondere al proposito dello scrittore, cosí fu da me creduto legittimo, se non addirittura doveroso, sostituirmi, per questa parte, a lui, e ridurre al tipo prevalentemente documentato anche i casi divergenti. Perciò in inrevocabile X 152 s’è introdotta l’assimilazione che negli altri casi analoghi era stata introdotta dal Bocc. (p. es. irrita da inrita, immitis da inmitis, ecc.); alla grafia perenn- si son riportati peremnis IV 141 e peremnes XV 150, che non avevano subito la variazione; le forme dampnavit X 18, dampna XIII 113, dampnata XV 135 e dampnabis ivi 188 sono state sottoposte alla riduzione comune alle altre molte a cui l’autore tolse il p; accanto ai numerosi sagitta primitivi mutati in sagicta, anche quello di I 39, rimasto invariato, ricevette eguaglianza di trattamento; sull’esempio di nephastus ridotto a nefastus IX 94 e di nefandis XV 104 e nefastis ivi 168 scritti di prima mano (uno dei due sopra una parola precedentemente abrasa), fu sostituita f a ph in nephas V 88 e 104, nephandum ivi 15, nephande X 96 e nephandas XII 13724. Per poche altre parole una variazione ortografica apportata dal Bocc. solo in una percentuale minima o assai bassa di casi non fu da me rispettata, e la forma ricondotta alla scrizione primitiva: ciò vale per auctor, cuncta, summe (imperat. di summere) e reassummere, ripristinati lá dove furon voluti mutare in autor25, cunta IV 48, summe VIII, 142 e reassumere XI 7826; lo stesso dicasi per una parola d’uso frequentissimo nel linguaggio pastorale, nympha, che qualche volta subí la riduzione a nynpha, ma con tale incertezza nell’uso di sí fatta grafia, da consigliare senz’altro la conservazione della primitiva27. Anche per ciò che si riferisce a doppie forme ortografiche riscontrabili in parole nelle quali pure non intervenne alcun cambiamento della forma adottata ab initio, mi son creduto in diritto e in dovere di eliminare ogni contraddizione, tanto piú che si trattava, in fondo, di una serie assai scarsa, come quella che si riduce a tre casi soltanto: i) oscillazione tra s e ss nelle voci thessala e molosus (una volta sola thesala XI 41 e molossus XV 71); 2) oscillazione tra i e y (cithisum XI 24 e cithysum III 60, sidere XI 176, cirnensis IX 43, histrosque III 108, Pamphilus IV 121, Phillis XII 39, Theoschire XV 201, Tiphle ivi 2, Licei VIII 144, indos VII 34 e indo IX 134, lincis VI 93, ciprii XVI 83, delphina VIII 78, citharis IX 53, cimbrorum ivi 65, in luogo di cythisum, sydere, cyrnensis, ecc.; e viceversa: ymbre XI 154, delyra VII 52, Crysidem III 127, Lybanus XIII 28, syculus XVI 28, al posto di imbre, delira, ecc.); 3) oscillazione nell’uso dell’h (ora sovrabbondante: hibiscus VI 10028, herimantum V 37, calchidicos III 108 e XIV 5229; ora difettiva: Aracinto XII 128, Rodopes VII 27, arcadibus IX 186, exibuit VII 55, ture VIII 61, concis XVI 5530; ora spostata: acantho III 1631). La medesima cura m’indusse ad uniformare in ogni particolaritá ortografica gl’incipit ed explicit, ed inoltre i lemmi marginali, ossia tutti i tratti rubricati, i quali, non facendo parte integrale del testo, dovevano richiedere minore attenzione da parte del menante, che fu senza dubbio, anche per essi, il poeta32.
Il buon senso mi suggerí, a piú forte ragione, di evitare per malinteso feticismo dell’autografia un cieco ossequio nel riprodurre sbadataggini manifeste della risma di quelle che seguono: allogrobum III 27 (cfr. allobrogis IX 73), Alexo III 82 (impossibile per la morfologia33), petalcos IX 49 (!), prepositas XI 9834, Atheona ivi 19535, exaruit V 7936, pannones VII 11837, cantu XII 7238. Una svista grammaticale che possiamo prenderci la libertá di emendare è il genit. Parthenopis V 27: esso altrove (VI 85) fu dal Bocc. corretto espungendo l’i e sostituendola con e; evidentemente qui il poeta si dimenticò di procedere alla correzione o non fece caso dell’errore, che in ogni modo è da trattare come preterintenzionale. Piú lungo discorso vuole il mio emendamento conspicuum insignis VI 147, lá dove in R si legge conspicuum signis, che non dá senso; ma l’osservazione diretta del ms. (c. 28 v) porge il modo di spiegare come andarono le cose. Il Bocc. scrisse dunque di primo getto conspicuī signis, dove quell’ī rappresentò certo la prima parte della parola insignis, staccata dal resto secondo la frequente consuetudine grafica del Nostro39; le otto lettere precedenti stavano a costituire il conspicuū, rimasto tronco per aver lo scrittore tralasciato l’ultimo segno ū. Che avvenne poi? Accortosi della sbadataggine, il Bocc. volle integrare conspicuum, e per far ciò, con nuova svista, aggiunse una seconda gamba alla finale di conspicuī40, condannando cosí quel povero signis a passare acefalo nella vulgata. Ad un’evidente distrazione si deve anche l’inserzione di in davanti a celsum VIII 128, con grave perturbamento prosodico che non occorrerá perpetuare nella stampa quando si sará visto come andarono le cose. In un primo tempo, dunque, il Bocc. segnò sopra celsum la prep. in non per inserirla nel testo ma semplicemente per facilitare l’interpretazione, come fece piú volte, in casi consimili, con indicazioni diverse; piú tardi bensí gli accadde d’ingannarsi, rileggendo il passo con poca attenzione, circa l’ufficio di quell’in, ed allora tracciò al disotto un piccolo apice per mostrare con tal segno che la parola fosse da comprendere nel testo41. Massima infine tra le negligenze del menante fu l’ommissione dell’intero esametro II 98, dimenticato all’atto della trascrizione in R e non piú aggiuntovi successivamente42: io non esitai, come giá fu avvertito, a rimettere il disperso nel posto da cui non avrebbe mai dovuto disertare43.
Rimane a render conto di un ultimo mio intervento nella costituzione del testo per la presente stampa. In R il Bocc. appose qua e lá nei margini un certo numero di postille, di cui quelle che offrono piú interesse sono alcune varianti44; eccone la serie per intero:
cantare VIII 129 (con riferimento alle parole divos ciere subulcos),
vel glandes VIII 154 (a repetet quercus veteres),
aliter magnus IX 93 (a Est grandis Circius),
vel frondes IX 183 (a Virides dum defert),
vel utque alios X 18 (a Ast alios mittam),
aliter ridentia X 88 (a vel redolentia achanto),
vel magnum XI 141 (a monstrum super omnia),
oris XIV 157 (a raptam viribus ulnis),
aliter mirum XIV 209 (a ut monstrum credas),
pinguem XV 183 (a aut letum boreas),
III
Per tracciare compiutamente la storia del Bucc. c. bisognerebbe anche poter conoscere qualche cosa intorno alle vicende di ciascuna delle prime quindici egloghe48, da quando fu primamente composta a quando venne inserita nella serie e dentro le pagine di R. Ma, se da quest’ultimo punto in poi, come abbiamo giá visto, il ms. originale ci dá luce sufficiente per seguire le fasi e gli aspetti della diuturna elaborazione dell’opera d’arte; prima d’allora, invece, il buio piú fitto involge la storia di essa, fuori che per una delle composizioni, ossia per quella che poi fu assegnata al terzo posto. Del Faunus abbiamo infatti la fortuna di possedere anche la primitiva redazione, conservataci da un’altra fonte originale: e poiché questa redazione si trova pubblicata nel presente volume49, saprá facilmente il lettore istituire da sé il confronto tra il primo getto dell’egloga e il finale suo rimaneggiamento.
Possiamo invece (e sará certo cosa utile) presentare brevemente la serie delle modificazioni di cui rimase qualche vestigio in R, tanto nel tempo trascorso da quando ab initio fu scritto a quando ebbe luogo la pubblicazione (1367-’70 circa), quanto nell’intervallo che va da quest’ultimo momento alla morte del poeta (1370-’75). Per i mutamenti, di gran lunga meno numerosi, di questa seconda categoria (che potremo chiamare redazione B, in contrapposto alla precedente, o redazione A, ed alla lezione definitiva) mi varrò poi del controllo di L, sul valore e carattere del quale è giá stato qui addietro avvertito quanto basta. Ciò premesso, ecco la serie:
Redazione A:
dum primo calamos volui subflare palustres50;
qua dicas, nemo secundus |
nequicquam Phorbas Amarillidis olim |
Nella redazione B passarono le lezioni 3), 4) e 5); la 6) fu modificata come segue:
nequicquam defert Amarillidis olim |
Redazione A:
quin montes vallesque cavas saltusque remotos, |
ut... pa... |
obvius in vacuum veni lacrimisque piavi |
Numerose sono anche le rescrizioni sopra raschiature69.
Nella redazione B passarono le lezioni 1), 5), 8), 9), 10), 11) e 12); inoltre il secondo emistichio del v. 38 e tutto il seguente assunsero questo tenore:
miseros quos fraude puella
traxerat in casses, moriamur forsan ut omnes70.
Redazione A:
Alla redazione B passò solamente quest’ultima lezione72.
Redazione A:
La prima e l’ultima di queste lezioni passarono alla redazione B75.
Redazione A:
Nella redazione B passarono solo le due prime lezioni.
Redazione A:
Passarono nella redazione B le lezioni 2) e 4) solamente82.
Redazione A:
La redazione B fu in tutto eguale a quella che poi divenne la definitiva88.
Redazione A:
Nella redazione B passarono le lezioni 2), 5), 6) e 12); figurano giá inserite al loro posto le giunte 8), 9), 11) e 13).
Redazione A:
Nella redazione B passarono le giunte 2), 4) e 11), oltre alle lezioni 3), 6), 7) e 9).
Redazione A:
Minois infonda furit proles Gerionque simulque |
La redazione B è giá in tutto simile alla definitiva.
Redazione A:
Le lezioni 4), 6), 9) e 10) passarono nella redazione B; tutte le altre furono modificate prima113.
Redazione A:
Nessuna di queste lezioni arrivò alla redazione B.
Redazione A:
Nella redazione B passarono solo le lezioni 1) e 4)120.
Redazione A:
Nella redazione B passarono soltanto le lezioni 6), 7) e 18)132.
Redazione A:
Nella redazione B passarono le lezioni 1), 4), 7), 9) e 10); vi si trovano giá al loro posto le giunte 3) e 5): nella prima il v. 63 ebbe quosque, che fu ridotto a quotque nella lezione definitiva.
Redazione A:
piscososque sinus, peperit quos inter Agapon
iam michi quemque seni puerum Solona tenemus140;
I due versi riferiti qui sopra passarono nella redazione B142.
IV
Note
- ↑ Cfr. O. Hecker, Boccaccio-Funde, Braunschweig, 1902, pp. 43-77.
- ↑ Nel secolo XV fu collocato nel banco V al numero 12, ed infatti nell’inventario del 1451 è registrato con questa segnatura (A. Goldmann, Drei italienische Handschriftenkataloge s. XIII-XV., nel Centralblatt für Bibliothekswesen, IV [1887], p. 152), che ricorre appunto nell’ultimo foglio. Un altro esemplare del Bucc. c. era riposto nel medesimo banco; dovrò occuparmene ancora (cfr. qui, p. 263 sg.).
- ↑ Non si può oltrepassare l’estate del 1368, in cui fu rapito dalla morte Solone, il figlioletto di Donato Albanzani, ch’è invece rappresentato nell’egloga come vivente; d’altra parte, l’ufficio che nella finzione pastorale è assegnato a Solone, di raccogliere cioè le allegoriche caprette, invita, per la necessaria verisimiglianza, ad immaginare un pastorello che abbia piuttosto sei o sette anni che cinque o meno: ora, Solone era nato intorno al ’61, come provò lo Hecker (op. cit., p. 68, n. 2). Si aggiunga che il Bocc. allude nell’egloga alla sua dimora napoletana del 1362-’63 con la determinazione cronologica «dum fortior etas»: il che fa pensare logicamente che fossero passati almeno quattro in cinque anni. Lo Hecker (p. 69, n. 1) si fece scrupolo tuttavia di portare la composizione oltre il febbraio del 1367, per un accenno al Bucc. c. che si legge in un passo della Genologia deorum gentilium (XV, xiii) scritto prima di quel termine; stimò dunque che l’anno 1366 abbia per sé le maggiori probabilitá, in ciò seguito dall’Hauvette (Boccace, p. 390, n. 4, e cfr. anche p. 425, alla fine della lunga n. 2 a p. 423). Eppure, come lo stesso biografo francese giustamente osservò, la dizione del passo in causa («preter Buccolicum carmen, quod ut sibi intitularem petiit Donatus Appenninigena») non obbligava affatto a pensare che l’egloga finale fosse giá stata composta.
- ↑ Cfr. Bandini, Catal. codicum latin. Biblioth. Med. Laurentianae, II, coll. 312-4. Qui il ms. è assegnato al principio del secolo XV, ed al medesimo secolo, senza meglio precisare, esso è dato dallo Hecker; ma senza dubbio, cosí, gli furono tolti troppi anni. La scrittura di L, tutto ben considerato, si può riportare al penultimo o all’ultimo decennio del Trecento; è notevole la sua somiglianza generica con quella di R. Esemplò il ms. un frate Iacopo da Volterra (cfr. c. 116 v), di cui sarebbe bene poter trovare qualche notizia.
- ↑ Op. cit., p. 63.
- ↑ Tenendo il passo sott’occhio, si vedrá facilmente come il complemento di mezzo fabellisque novis del v. 99 sia coordinato nel modo piú assoluto, per il que, all’altro complemento lepido susurro; tolto via il verso che contiene quest’ultimo, resterebbe una gravissima lacuna, ciò che esclude formalmente l’interpolazione supposta dal Lidonnici (Il «Buccolicum carmen» trascritto di su l’autografo Riccardiano, Cittá di Castello, 1914, p. 28, n. 96). In R il verso che precede quello in discussione occupa l’ultima riga della c. 8 v ed il seguente sta nella prima della 9 r; si spiega pertanto la sbadataggine del Bocc. copista di se stesso.
- ↑ Cfr. Goldmann, art. cit., p. 151; invece di satis si doveva leggere satius, com’è realmente nell’inventario (ms. Laur. Ashburnh. 1897, c. 39 v).
- ↑ Comincia Non tam prepetibus, ed è nel ms. alle cc. 115 v-116 v. Se ne parlerá ancora qui oltre, p. 304 sg., e n. 1 a p. 305. Il verso in questione è il ventesimoquinto del carme, e suona: «qui siculos quondam libybeis vallibus edos».
- ↑ Il Bocc. le aveva giá trascritte in etá giovanile in uno dei suoi zibaldoni, il Laurenziano XXIX 8, dove a Giovanni figura data l’erronea appellazione de Cesena (anzi, c. 46 v, de eesena!). Ebbene, in L ricomparisce lo sbaglio (Iohannis de Virgilio cesenatis): novello indizio, se pur ve ne fosse bisogno, circa le origini del volume.
- ↑ Cfr. Hecker, pp. 61-2. I due versi alludono in forma di predizione alla seconda discesa di Carlo IV in Italia ed ai risultati negativi di quella («vel si iterum veniat..... faciet memorabile nullum»). L’imperatore venne tra noi nel maggio 1368, si trattenne in Roma dalla metá d’ottobre alla metá di dicembre all’incirca, l’11 agosto ’69 era ad Udine ed il i° settembre trovavasi giá oltremonti.
- ↑ È probabilissimo che il testo fissato in X (ossia quello che noi conosciamo da L) fosse riprodotto nella copia del Bucc. c. posseduta dal dedicatario Donato Albanzani, sia per dono fattogliene dall’autore sia per trascrizione procuratasi da Donato stesso.
- ↑ Che sia dovuta all’autore stesso, e non a qualche lettore o successivo possessore del ms., fu ragionevolmente ammesso e accertato dal Lidonnici (op. cit., pp. 9-10). Lo Hecker, dopo avere esposto alcuni acuti rilievi in proposito (p. 45, n. 1), aveva lasciato insoluta la questione.
- ↑ Sono rilevabili, in queste, diversi andamenti ed aspetti della scrittura, pur fondamentalmente una ed identica: talvolta la mano è piú leggera e il tratteggio sottile, tal’altra il segno è piú largo e pesante, quasi stanco. Anche il colore dell’inchiostro presenta differenze sensibili.
- ↑ L’indicazione di quattro mss., tutti fiorentini, diede da prima E. Narducci (Di un Catalogo generale dei mss. e dei libri a stampa delle Biblioteche governative d’Italia, Roma, 1877, p. 11); sei ne elencò e descrisse poi A. Hortis nei suoi Studj sulle opere latine del Bocc. (Trieste, 1879, pp. 911-12): curioso che gli restasse ignoto proprio R!
- ↑ Cfr. Bandini, op. cit., II, col. 165.
- ↑ A c. 63 r si legge: «Scriptus per ser Dominicum Silvestricum cui reddatur» (cfr. Giorn. Dantesco, XXX, p. 421, n. 4). La scrittura di O è perfettamente identica a quella del ms. I III 12 della Nazionale Universitaria di Torino, contenente l’originale autografo del Liber de insulis del Silvestri.
- ↑ Basterá semplicemente enumerarli: Laurenziano LII 29; Laurenz. Ashburnh. 851; Harleian 5421 del British Museum di Londra (del 1408); lat. 8389 della Bibliothèque Nationale di Parigi (forse di mano di N. Naldi), testo interrotto al principio dall’egl. VI; Magliabechiano VIII 1313 della Nazionale Centrale di Firenze (copia di L, incompiuta); ms. H VI 23 della Biblioteca Comunale di Siena.
- ↑ Forma il to. II della collezione Carmina illustrium poetarum italorum.
- ↑ Giudizio dell’Hortis, che diè la descrizione bibliografica delle tre edizioni (pp. 753-55): cfr. anche A. Bacchi della Lega, Serie delle edizioni delle opere di G. Bocc. latine, volgari, tradotte e trasformate, Bologna, 1875, pp. 29-30. Lo Hecker produsse la lista accurata delle varianti della vulgata in confronto di R (pp. 74-77), tenendosi però esclusivamente alla stampa del 1719, che chiamò «sehr fehlerhaft» (p. 73, n. 4). In realtá le cure dell’editore, mons. G. Bottari, si rivolsero particolarmente a correggere i trascorsi prosodici del testo (p. es. in I 94 fu da lui soppresso hos, in II 91 fu sostituito struerem a strarem, in IV 23 qua placido Florentia defluit Arno a quo placidus fesulanis defluit Arnus, in V 89 cœlestibus a tot superis, ecc.).
- ↑ A ragione trovò che la stampa del 1719 è «una fedele riproduzione della giuntina del 1504, perché, confrontandole, appena qua e lá, dopo parecchie pagine di testo affatto identico, si trova qualche parola diversa» (Giorn. stor. della lett. ital., VII [1886], p. 95).
- ↑ Op. cit., pp. 84-92.
- ↑ Il «Buccolicum carmen» cit., pp. 15-157; il resto del volume è occupato da uno studio che ha per oggetto Il significato storico e psicologico del «Buccolicum Carmen» e la sua cronologia. Qualche anno prima un’edizione era stata promessa da G. Traversari e S. Debenedetti (cfr. Giorn. stor., L, p. 424, n. 2).
- ↑ Si veda la severa ma giusta recensione di L. Galante, nel Giorn. stor., LXIX [1917], pp. 116-26. Mancano alla stampa Lidonnici il secondo emistichio di II 54 e il primo del sg., il secondo emistichio di XIV 172 e il primo del sg., ed inoltre i vv. II 98 e XIII 47. Quest’ultima ommissione avvertí lo stesso editore nell’errata-corrige; quella di II 98 fu volontaria, ma non perciò meno erronea (cfr. qui, p. 263, n. 1). Al Galante sfuggi l’altra di II 54-55.
- ↑ Cfr. anche infandam III 100 e IV 137, infandum X 62, infande XV 84, fandi IV 117, ecc.
- ↑ Nel lemma marginale di XI 136, dove da prima il Bocc. aveva scritto Auc. in rosso, la c fu ridotta a t e di séguito fu aggiunto or, il tutto con inchiostro nero; il medesimo mutamento subirono i lemmi identici ai vv. 133 e 144, che però non furono da me riprodotti perché affatto inutili (lo stesso dicasi di un quarto al v. 171, rimasto invece immutato in R). Contro ai tre Auc. ridotti ad Autor stanno cinque Auc. o Auctor che non furono toccati.
- ↑ Ma summe VII 87, resumme VIII 76, assummere VII 97, e cosí summito summas summat summere resummet, ecc.: una decina di casi, insomma, con la doppia m contro i due ricordati sopra e altri due scritti di primo acchito con un’m sola (consumeret IX 103 e presumere XV 212): anche questi ultimi furono da me, ben inteso, ricondotti alla grafia prevalente.
- ↑ Se non ho contato male, la parola ricorre 34 volte nel Bucc. c., e ben 23 fu lasciata stare cosí come fu scritta da principio, mentre 6 volte sole la m fu ridotta a n mediante rasura di una delle gambe; piú singolare è quest’altro fatto, che delle tre volte in cui il vocabolo fu scritto sopra un altro abraso, e quindi presumibilmente in secondo tempo, due (VII 100 e XII 156) hanno l’m contro un unico nynphe XIV 122. Per raggiungere il totale sopra indicato bisogna aggiungere finalmente due casi ambigui in cui la nasale fu rappresentata graficamente col compendio.
- ↑ Tutte le altre volte è usata la forma ybiscus.
- ↑ Cfr. calcidici IV 59, Calcidie V 2.
- ↑ C’è anche un concas XVI 103, che io non ho toccato; ma nella forma del dativo-ablativo mi è parso che all’h si debba far luogo, perché allora essa acquista un valore fonico. In modo analogo il Bocc. rappresentò con la scrittura Lupische VIII 27 il genit. di Lupisca.
- ↑ Cfr. achanto X 88, con le prime quattro lettere rescritte su un’abrasione; altrove il Bocc. scrisse acantus V 94, ma piú tardi corresse aggiungendo sopra il rigo l’h nella seconda sillaba.
- ↑ In questa serie di lievi modificazioni entrano anzi tutto i nomi propri Appeninigenam (p. 85), a cui fu da me data la doppia n sul confronto con p. 3, e Boccacii, pp. 3 e 85, che mutai in Boccaccii, per quanto l’altra forma non sia aliena dall’uso boccaccesco (cfr. Hecker, op. cit., p. 299, n. 3). Ecco poi le variazioni introdotte nei lemmi: Tyndarus I 8 (e Tyn. per tutto il séguito dell’egl. I) fu ridotto a Tindarus in analogia coll’uso seguito nell’incipit e nel testo; Pamphilus V 4, Phitias VIII 5, Arcas IX 2, Philostropus XV 1 divennero rispettivamente, per le identiche analogie, Pamphylus Phytias Archas e Phylostropus; Caliope, ch’è nell’incipit dell’egl. XII e nel primo lemma della medesima, fu piú correttamente surrogato dalla forma Caliopes (cfr. il v. 92); Tiflus nell’incipit dell’egl. XV fu reso Typhlus. Quanto ad Aggelus dell’incipit e dei lemmi dell’egl. XVI, oitre che del testo (Aggele vv. 1, 34 e 75), mi parve bene sostituire, in conformitá della pronunzia, la scrizione latina Angel-; invece ho rispettato il grecismo grafico nel titolo Aggelos (la stessa differenza tra il titolo in -os e il nome dell’interlocutore in -us si riscontra nell’egl. XV, Phylostropos e Phylostropus). Avverto da ultimo che in R i nomi propri indicati nei lemmi sono stati scritti per disteso la prima volta soltanto, e tutte le volte successive sono stati ridotti alla prima sillaba o alle prime lettere; nella stampa invece io li do sempre integralmente.
- ↑ Cfr. i genitivi Alexis III 102 e VIII 123, ma soprattutto il ricorrere della forma corretta Alexi nel v. 146 del carme II, ossia nell’identico verso, letto sopra un altro autografo boccaccesco (qui, p. 94).
- ↑ Deve concordare con pellibus.
- ↑ Cfr. Actheonis in un altro originale boccaccesco (Hecker, p. 176, l. 3).
- ↑ Cfr. exaruere XV 11, che lo stesso Bocc. ridusse ad exarsere quando si accorse che la prima forma dava luogo ad un errore di quantitá (exāruere misurato per exăruere). Per analogia s’impone dunque la surrogazione di exarsit ad exaruit, anche se qui al Bocc. sfuggí l’inconveniente.
- ↑ Originariamente pannonios, ridotto a pannones in séguito ad abrasione della i e a riduzione dell’esito -os in -es. Ma il passaggio dalla seconda alla terza declinazione non persuade. Si veda infatti pannonus IX 127, che fu in origine pannonius; naturale dunque che anche pannonios volesse il Bocc. ridurre a pannonos.
- ↑ Sará stato tralasciato il compendio della m: l’espressione ferrent super ethera richiede un complemento oggetto, che non può essere se non cantum.
- ↑ Cfr. Lidonnici, op. cit., p. 8.
- ↑ Quest’asticella si rivela infatti additizia per il diverso colore dell’inchiostro.
- ↑ Il particolare dell’apice sfuggí al Galante, che s’occupò del passo ma senza avere avuto sott’occhio il ms.; la sua spiegazione dell’in coincide per altro con la mia (cfr. Giorn. stor., LXIX, p. 118, n. 3).
- ↑ Cfr. p. 263 e n. 1.
- ↑ Un equivoco che non c’è, trovò invece nell’originale lo Hecker (p. 75) in servus VIII 83: in luogo della qual voce chiamò giusta la lezione serpens che l’editore del 1719 cavò dal contesto. Né egli né il Bottari intesero per conseguenza che il Bocc. si riferiva nel passo ai tempi nei quali Mida (l’Acciaiuoli) si poteva dire servus, contrapponendoli a quelli in cui, come si legge piú oltre, il medesimo personaggio «vires auxit»: come servo il suo modo di agire era il «serpere», nello stesso modo che dopo fu violento ed aggressivo.
- ↑ Le altre sono in massima parte interpretazioni di nomi allegorici greci (cfr. Hecker, pp. 71-2), e non sará inutile averle qui sott’occhio: c. 38 r «Lipi grece anxietas - Batracos grece rana», c. 64 v «Elpis grece, spes latine», c. 66 r «Critis grece iudex», c. 66 v «Dylos grece timidus», c. 68 v «Lycos grece albus», c. 69 r «Camalos grece, hebes latine - Terapon grece» (qui evidentemente manca la traduzione latina, cfr. infatti in questo vol., p. 220), c. 78 r «Tiphlos grece orbus», c. 81 v «Trinos grece luctum, Penos grece dolor et labor, Thlipsis grece mestitia, Lipis grece anxietas, scotinos grece obscurus», c. 84 v «Aggelus grece nuntius». Vi sono poi due vere e proprie chiose: c. 53 r «Iosep» in corrispondenza della voce puerum XI 104, e c. 88 r «papa» in rapporto al nome Egon XVI 107; un’indicazione di fonte, «Plautus» (c. 8 r), a riscontro del verso II 69; una postilla grammaticale, «Saphu genitivus grecus» (c. 60 v); un richiamo del poeta a se stesso, «anapestus» (c. 22 r), per avvertirsi che il verso V 89 è prosodicamente errato avendo un anapesto nella quinta sede; e finalmente una breve serie di parole scritte in corsivo, che sono lezioni accolte poi nel testo (cfr. Hecker, pp. 70-1): tali «lepores si» di fianco al v. II 19, «squamosa» a X 137, «conscendit» a XII 200, «heu» a XVI 128.
- ↑ Cfr. Hecker, p. 70 (la lista data da lui non è completa).
- ↑ Cosí ciere VIII 129 era sbagliato per la quantitá; virides IX 183 per frondes era sforzato; redolentia X 88, improprio (perché l’acanto non odora); improprio grandis IX 93, perché nel passo non si accenna a grandezza materiale ma a potenza, e via discorrendo. Quanto a ulnis XIV 157, era innegabilmente piú affettuoso di oris, ma consacrava un’inesattezza: infatti la piccola Violante morí quando il padre era lontano da lei (cfr. i vv. 51-53 ), e però il poeta non la poteva dire raptam ulnis. Ciò nondimeno lo Hecker accolse come buona (p. 89) la lezione tradizionale.
- ↑ La vulgata conservò cinque lezioni primitive (su undici): virides IX 183, redolentia X 88, ulnis XIV 157, lætum XV 183 e educet ivi 186; il Lidonnici tre: ulnis, letum, educet.
- ↑ Dell’egl. XVI la storia non può essere lunga, poiché essa fu scritta solo quando venne maturato il pensiero di raccogliere insieme le quindici precedentemente composte e d’intitolarle all’Albanzani (per la data, cfr. qui, p. 261).
- ↑ Pp. 90-95.
- ↑ Fu poi abraso e in margine scritto «vacat». Il verso è riferito dallo Hecker (p. 47), che l’avrá rimesso momentaneamente in luce per mezzo di un reagente chimico; oggi è illeggibile.
- ↑ La medesima lezione è conservata in L (cfr. Hecker, p. 64). Nel cambiamento operato per la revisione definitiva rimase al v. 94 una sillaba di piú (hos); come ciò avvenisse, spiegò bene il Galante (Giorn. stor., LXIX, p. 124).
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 64).
- ↑ Del supposto Phorbas non si scorge che la s; nel v. successivo illi è appena visibile, defert è scomparso del tutto.
- ↑ Furono abrasi, e nel margine scritto «vacat».
- ↑ Cfr. Hecker, p. 46.
- ↑ In R appaiono scritti completamente sopra rasura. Ricorderò qui che furono anche raschiate le parole o parti di parola che ab initio erano state scritte al posto delle parole o parti di parola seguenti: parvas 10, speme 20, placidis 35, nunc solita 40, Iam certus 68, manibus e que ramis 72, le ultime due lettere di Non e tutto il resto del v. 84 eccetto lacrimis, le ultime due lettere di non e tutto il resto del v. 85 eccetto cythiso, flebis 86, ultur di vultur piú et di vivet con il cum seguente e le ultime due lettere di piscis 100, a di fusca e le tre parole veste per arva 124, Gallam 125, certissi di certissima 136. Dopo compos 22 fu abrasa completamente un’altra parola.
- ↑ Lezione passata in L. Nel secondo verso è venuto meno un piede, difetto per riparare al quale il poeta escogitò con nuovi ritocchi la lezione definitiva.
- ↑ Manca in L.
- ↑ Lezione passata in L (cfr. Hecker, pp. 64-5).
- ↑ Cosí li lesse lo Hecker (cfr. p. 48); oggi non se ne scorge piú nulla. Nel rifacimento il Bocc. scrisse celsos al posto di valles ed abrase il séguito del primo verso e le due prime parole del secondo, poi congiunse gli emistichi superstiti con un segno di attacco.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 65).
- ↑ Lezione rimasta in L. In luogo delle ultime tre lettere di fauni furono scritte le ultime quattro di faciam.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 65).
- ↑ deos è in L.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 66).
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 66). Il verso cominciava in origine con omne.
- ↑ solus si scorge ancora, meno la penultima lettera, sotto la rasura. Con questa parola l’esametro originale misurava sette piedi!
- ↑ e di omne (in origine omnis?) e nemus 5, tutto il v. 19 meno currere iniziale, tutto il v. 22, valli di vallibus 24, dixere 25, longe 26, fecit piú ac omnia e iussit 30 (ac omnia si vede stare in luogo di un et, che originariamente precedeva il verbo credere), socium e sociumque 36, il tratto giá ricordato (qui, p. prec.) da pastori 37 a tutto il v. 39, faunique potentes 40, et Argus 61, sic messibus imber 67, retinent 77, curvare 84, violas e quotque rubentes 95, narcissos 96, optatos 104, Palemon 109, le prime due sillabe di celebravimus 113, prodest 116, plorans 120, agi di agiles 125, concede 151.
- ↑ Tale è la lezione di L (cfr. Hecker, p. 65). Le parti della lezione definitiva pulchra e saviis et murmure dulci, che furono da ultimo sostituite rispettivamente a fraude e moriamur forsan ut omnes, vengono per conseguenza a trovarsi scritte in R sopra una doppia rasura, poiché tutti interi i due vv. 38-39 erano giá stati abrasi una volta per far luogo alle modificazioni della redazione.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 46).
- ↑ Nella redazione A avevano avuto ab initio un tenore differente queste parole o parti di parole che appaiono scritte sopra abrasione: c di hunc piú I che segue 5, e di te e vesania 21, amice 34, lucis 93, ferro nuper e acuto 104.
- ↑ Lezione rimasta in L. Piú tardi il Bocc. si accorse dell’errore di quantitá in cui era incorso misurando pĕlignis, e provvide alla correzione.
- ↑ Lezione rimasta in L. Piú tardi fu corretta quando lo scrittore avvertí che unguis è di genere maschile.
- ↑ Furono rescritte su rasura prima della redazione B le seguenti parole o elementi di parola: herbida 1 (e contemporaneamente fu aggiunto sopra il rigo ne a nemorum), tecta ligustris 7, tutto il v. 44 e le parole montes brutios del successivo, olim Argus 47, ibus di viribus 49, r di truculentior piú angue 76, cavern di cavernas 101, furi di furibundus 119; fu abrasa anche una parola brevissima tra Iuvit e narrasse 112.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 66). Le parole non grandis sono ancora riconoscibili in R sotto la rasura.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 66).
- ↑ Furono scritti sopra rasura i tratti seguenti: cedro 32, silvestrumque 35, nemorique salubres 58, cana 70, celsis e vepreta cupressis 71, huic omnis 72, summissis 79, le tre ultime lettere di aret piú et seguente 82, que dopo ybleus 98, vacuus 100, per sordida 111.
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Per le due prime parole cfr. Hecker, p. 46; redimitus s’indovina piú che non s’intravveda.
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Scritte sopra altre parole raschiate prima della redazione B: lapsa est 8, nam trux 12, Et 37 (tra la copula e il si che segue fu abrasa una parola di cinque o sei lettere), tutto il v. 48, redimitus 61, rostro 68, magis 70, reside di residemus 79, ruminat con quel che segue sino a campi 81 (esclusi pertanto que e quiescunt), flere dolenti 90, est 100, duro 131, tutto il v. 132 ed il primo emistichio del seguente sino a sculptum, Tunc 146 (dopo questa parola fu abrasa un’altra brevissima), nuper 150.
- ↑ Cfr. Hecker, p. 46.
- ↑ La lettura di inanes non è certissima sotto la rasura.
- ↑ Cfr. Hecker, p. 46.
- ↑ La lettura non è certa, specialmente di eque; il com di componere si arguisce dalla presenza di un segno (poi abraso) davanti a ponere, segno che può supporsi fosse il compendio di com.
- ↑ Fu poi aggiunto in calce alla c. 33 v di R.
- ↑ Prima della redazione B furono abrasi e rescritti i tratti seguenti: amicus 2, Phaselis 6, Lupiscus 8, Vetus 18, his quidem ab 19, ferventibus urget 28, tutto il v. 34, summus 68, pueris 91, tempora ludis 94, tenues ydolo segnes 98, tutto il tratto corrispondente ai vv. 99-103 (ai cinque seguiva ab initio un sesto che fu raschiato totalmente ed accanto scrittovi «vacat»), diu 105, tutto il tratto corrispondente ai vv. 106-109, vix e tibi celsos 116, tutto il tratto corrispondente ai vv. 119-122 piú le parole inflatus rabie 123 (in origine i versi erano tre e non quattro, tanto che 122 dovette essere aggiunto in calce e richiamato con segni di riferimento al suo luogo), extremum 124, septa comatis 125, t di et piú tensos piú a di resecat piú tibi 126. Dopo ciascuno dei vv. 35 e 127 seguiva rispettivamente un altro, che fu totalmente abraso (e di fianco al primo dei due fu scritto il solito «vacat»).
- ↑ Cfr. Hecker, p. 46.
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Cfr. Hecker, p. 46.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 63).
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Cfr. Hecker, p. 46.
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Elementi e tratti rescritti su rasura: Midas si te vel forte 2, iussit 6, quidem 36, Midas 37, avidus 49, cess di cessere 66, miseras 106, edos 110, ssen di Assensere 122, le ultime tre lettere di equum 131, garrula 132, ineptum 141; dopo noctes 8 seguiva una breve parola che fu abrasa.
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Nella giunta (c. 41 v) il Bocc. incominciò a scrivere una terza riga, che fu poi abrasa; sembra di potervi leggere ancora Heu potuit (cfr. Hecker, p. 52).
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 67).
- ↑ Lezione rimasta in L. L’esametro originario misurava con questo vestros sette piedi!
- ↑ Lezione rimasta in L
- ↑ Furono rescritti su rasura, e dovevano dunque sonare diversamente ab initio, il titolo Lipis nell’incipit e nell’explicit dell’egloga, oltre che nell’intestazione delle cc. 38 v-44 r, ed il nome Batracos nell’incipit e nei lemmi, sia nel primo (in cui fu scritto per intero) che nei successivi (in cui fu ridotto alla sillaba Ba.); tutte queste rescrizioni sono in inchiostro nero, mentre appartengono a tratti in rubrica. Furono inoltre rifatti sopra raschiature i luoghi seguenti: pecudes 4, pharetris 52, cytharis 53, meritis nec laude refulgens 108, divertit inertes 112, sydera cymbris 125, Batracos e flendo 126 (questa parola fu scritta propriamente non sull’originaria erasa, ma nel margine, e richiamata poi con un apposito segno al posto di quella), pia di impia e tutto il rimanente del v. 153 (di lupanar solo la l capitò sulla rasura), labores 163.
- ↑ Cfr. Hecker, p. 48 (con qualche lieve svista nella trascrizione). Accanto alla erasione fu poi scritto, al solito, «vacat». Si osservi che il primo dei tre versi misura sette piedi!
- ↑ Prima dell’H iniziale era stata scritta una I.
- ↑ Per questa giunta e per l’altra segnata 6), cfr. Hecker, p. 51.
- ↑ Con la nota «vacat» a fianco.
- ↑ Elementi rescritti sopra raschiatura: turb di turbare 12, tutto il v. 15 meno la lettera iniziale, plor di ploro 21, Te nempe Podarcem | credebam 27 sg., voca di revocabimus 39, us di incertusque 45, creat di recreat 49, eu di heu e Polipus 54, dure 72, acha di achanto 88, cruentis | trux pastor 114 sg. (veramente l’iniziale di trux è originaria), furias 118, venit di convenit 132, squamo di squamosaque 137, trucem 142, velim 164, unc di tunc e Polipus 168 (il Foresti, Giorn. stor., LXXVIII, p. 328, n. 5, afferma che questo nome «sembra fosse prima Nereus», ma non dice donde abbia tratto la notizia: certo non dall’osservazione del ms.). Una parola fu erasa dopo pios 57.
- ↑ Il v. aveva una sillaba di troppo.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, pp. 46 e 63).
- ↑ Lezione rimasta in L. Si noti l’errore di grammatica sfuggito al Bocc. e che fu riparato piú tardi; l’osservazione vale anche per le lezioni 5) e 7).
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 63).
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Ebbero ab initio forma diversa, e poi furono abrase e rescritte, le parole e parti di parola corrispondenti a queste che seguono: fuscos di fuscosque 2, Berecinthia 9, en tibi 10, sic 52 (la parola raschiata era un po’ piú lunga di quella che la sostituí), Acrius hinc 73 (meno l’A iniziale, che non fu toccata), vanosque superbi 81, Archipatris 84, qualiter hinc 87, precor e inquit 134, narrasset 138, Fides ista precor sit 143, dulces di dulcesque 156, ardua 176, carones 185, il tratto da pessima passim 197 a iam nimiis 199, et in terris sparsas in luce 202 (oltre all’e finale di ethere), l’intero v. 205, subdebat 209, Hinc 225.
- ↑ Non è questa la lezione di L, come affermò a torto lo Hecker (p. 63); quel ms. legge contriverat d’accordo con la redazione definitiva.
- ↑ La prima parola del verso fu scritta originariamente Eriscolas, poi l’s mediana fu erasa.
- ↑ Tratti rescritti su rasura: Phyllis 39, tradidit et calamos nobis Pan doctior 41 (veramente le ultime due lettere di doctior sono originarie), te piú no di nosse 45, Dic e tu quo noveris illam 66, venit di convenit 69, Phylli di Phyllide 77, Non equidem silvis Phyllis 89, tutto il v. 99 meno il Sed iniziale, designet 143, conati e priores 151, veterni 153, Platoni 154, tutto il v. 156 meno rusticus iniziale, terram cogit e aratro 166, tutto il v. 173 meno l’ultima parola leones, convertar facilis 183, talia quivit 186, labor 187, conscendit 200. Dopo Quid 81 fu abrasa una parola.
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ La lettura di nunc non è certissima.
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ Ecco l’elenco solito delle parti rescritte su rasura: placideque e precamur 18, hec Crisidis 25, olee 37, meonias 40, Polibo 48, possum 66, atque tacent volucres 79, Noster amor Crisis est 83, servant sub iudice Protheo 91, michi 92, his fontes Silvanus monstrat 96, auget 97, sonoros 101 e tutto il v. che segue meno l’ultima parola Phorci.
- ↑ La lettura non è certa.
- ↑ Cfr. Hecker, p. 86.
- ↑ Hecker, p. 87.
- ↑ Il primo terris, poi abraso, fu scorto dallo Hecker (pp. 67 e 87), ma oggi non si vede piú; renovavit è lezione rimasta in L.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 67).
- ↑ E fu apposta la solita nota «vacat».
- ↑ Cfr. Hecker, p. 88.
- ↑ Ivi, p. 89.
- ↑ La lettura non è certissima. Naturalmente, eri è qui il genit. di herus.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, pp. 70 e 90).
- ↑ E anch’esso ricevette la nota «vacat».
- ↑ I tratti rescritti prima della redazione B sono i seguenti: il secondo emistichio del v. 6 da quid sit ed il primo del v. seguente sino a noster, Lambit iam fiamma penates 22, Cibelisque sacrato 53, mea virgo 55, montes 56, Dic e cuius 59, pulcher Alexis 71, lanugine malas | umbratas vidisse meis 74 sg., secula 93, c di decus 120, priscas 97, Plutarci e refrinxit 99, trahe di retrahens 100, iuvenes per 114, Sic piú il tratto che va da Flexere del v. 121 alla fine del v. 127, rustica stiva feret 137, simul 138. Berecinthia mater 139, precor 146, post 153, ab imis 171, palmas e celsas 173, et semper Olympia celo 241, exuri e omnia flammis 247, grandis 254, tutti interi i vv. 262-267 e il primo emistichio del 268 sino a pariter, opus est e sunt 271.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 63).
- ↑ Lezione rimasta in L.
- ↑ La lettura è un po’ incerta.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 67).
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, p. 67).
- ↑ Lezione rimasta in L. Nella redazione definitiva il Bocc. sostituí pinguem a letum scrivendo il nuovo termine sopra l’originario senza raschiar via quest’ultimo (cfr. qui, p. 272).
- ↑ Furono rescritti su rasura: et lacrimis versata 25, tene di tenebrosa 35, palmis e lutosos 43, tutto il v. 44 sino a vel di vellera, ulmos 48, cripieque scrobesque 62, l’ultima parte del v. 65 da dis di Crisidis in poi, Auro qui nuper Pactoli 68, huius 72, carpsit 77, Cibeles cepisset amico 88, tutto intero il v. 104, quondam 106, Quid multa recensem 108, basia 117, peribunt 126, iecisse 169, magnus 176, presummere 212. Una parola brevissima fu erasa dopo dicas 175.
- ↑ Lezione rimasta in L (cfr. Hecker, pp. 67-8).
- ↑ Cfr. Hecker, p. 46.
- ↑ Su rasura furono scritte le parole e tratti seguenti: oro 18, is di ciclopis e are di staret 22, persepe remotum 76, dulces | pellibus is pecudum 97 sg., iam satur e Heu 128. Nel v. 65 fu abrasa una sillaba tra le ultime due parole. Non è vero, come parve al Lidonnici, che fedas undas 85 sia scritto su rasura.
- ↑ Cfr. p. 216 sgg.
- ↑ Cfr. Novati, Per la biografia di Benv. da Imola, nel Giorn. stor., XIV [1889], pp. 258-66; F. Lo Parco, nel Bull. della Soc. Dant. ital., n. s., XXII [1915], pp. 98-99.
- ↑ Hortis, Studj cit., pp. 1-68; , Le egloghe del Bocc., nel Giorn. stor., VII [1885], p. 94 sgg.; H. Hauvette, Sulla cronologia delle egloghe latine del Bocc., nel Giorn. stor., XXVIII [1896], p. 154 sgg.; E. Carrara, La poesia pastorale, Milano, [1909], p. 111 sgg.; G. Lidonnici, Il significato storico e psicologico del «Bucc. Carmen» e la sua cronologia, cit. qui nella n. 5 alla p. 266.
- ↑ Crescini, Contributo agli studi sul Bocc., Torino, 1887, pp. 249-51 (egl. I e II); Carrara, Un oltretomba bucolico, Bologna, 1899 (egl. X, XIV e XV); Torraca, Per la biografia di G. Bocc., Milano-Roma-Napoli, 1912, pp. 151-93 (lo studio fu pubblicato anche negli Atti della R. Dep. di storia patria per le prov. di Romagna, quarta serie, II [1912], col titolo Cose di Romagna in tre egloghe del Bocc. (III, VIII e X); F. L. Mannucci, G. Bocc. a Genova, nella Rivista ligure di scienze, lett. ed arti, XL [1913], pp. 259-69 (egl. XIII); Lidonnici, A proposito dell’egl. XIII («Laurea») di G. Bocc., nel Giorn. Dant., XXII [1914], pp. 150-53; A. Foresti, L’egl. ottava di G. Bocc., nel Giorn. stor., LXXVIII [1921], pp. 325-43. Tralascio l’indicazione di altri tre scritti del Lidonnici, tra cui una recensione del libro del Torraca, citati e rielaborati dall’autore stesso nello studio che accompagna la sua stampa.
- ↑ Svolta nello scritto testé ricordato (p. 285, n. 6), incontrò opposizioni che indebolirono alquanto la sicurezza del suo assertore, il quale finí col presentarla come una semplice ipotesi (Boccace, pp. 320, n. 1, e 344, n. 2). Da ultimo, contro il Torraca, si sforzò di puntellarla il Foresti a proposito dell’egl. VIII (ma cfr. Giorn. Dant., XXX, p. 382 e n. 2).
- ↑ Su questa, intanto, abbiamo qualche buona osservazione del Galante (Giorn. stor., LXIX, pp. 123-26). Uno degli errori di quantitá da lui elencati dilegua leggendo correttamente nĕmeam III 127 in luogo di nē meam, come reca la vulgata.