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nota 273

fonte originale: e poiché questa redazione si trova pubblicata nel presente volume1, saprá facilmente il lettore istituire da sé il confronto tra il primo getto dell’egloga e il finale suo rimaneggiamento.

Possiamo invece (e sará certo cosa utile) presentare brevemente la serie delle modificazioni di cui rimase qualche vestigio in R, tanto nel tempo trascorso da quando ab initio fu scritto a quando ebbe luogo la pubblicazione (1367-’70 circa), quanto nell’intervallo che va da quest’ultimo momento alla morte del poeta (1370-’75). Per i mutamenti, di gran lunga meno numerosi, di questa seconda categoria (che potremo chiamare redazione B, in contrapposto alla precedente, o redazione A, ed alla lezione definitiva) mi varrò poi del controllo di L, sul valore e carattere del quale è giá stato qui addietro avvertito quanto basta. Ciò premesso, ecco la serie:

Redazione A:

1) al v. 35 seguiva un altro di questo tenore:

dum primo calamos volui subflare palustres2;

2) Hec videant silve 48;
3) i vv. 93-95 si leggevano:

                    qua dicas, nemo secundus
pastorum tibi sit; ne plores ergo, precamur.
Et si non redeat, etc.3;

4) Iamdudum puero Phorbas 984;


  1. Pp. 90-95.
  2. Fu poi abraso e in margine scritto «vacat». Il verso è riferito dallo Hecker (p. 47), che l’avrá rimesso momentaneamente in luce per mezzo di un reagente chimico; oggi è illeggibile.
  3. La medesima lezione è conservata in L (cfr. Hecker, p. 64). Nel cambiamento operato per la revisione definitiva rimase al v. 94 una sillaba di piú (hos); come ciò avvenisse, spiegò bene il Galante (Giorn. stor., LXIX, p. 124).
  4. Lezione rimasta in L.
G. Boccaccio, Opere latine minori. 18