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tempo nel quale non fosse stata ancora condotta a termine la revisione del testo; ma l’ipotesi, troppo semplicistica, non risponde tuttavia alla realtá. Se infatti osserviamo che nell’egl. II L conserva un verso intero, 98, di cui manca affatto ogni traccia in R, ma che il contesto rivela per la sua indispensabilitá sintattica assolutamente genuino1, saremo obbligati a dare un altro indirizzo alle nostre supposizioni: verrá cioè ad essere esclusa la discendenza di L da R, e ad L apparirá buon consiglio presupporre come capostipite un altro originale dove al posto debito sia stato regolarmente trascritto quel verso nella serie. L’esistenza di questo secondo originale boccaccesco (X) si può confermare con un altro ordine di ragioni.

Nello speciale reparto della libreria di S. Spirito che è stato ricordato qui sopra, anzi nello stesso banco in cui R fu accolto, venne a finire un volume che l’inventario quattrocentesco descrive cosí: «Item in eodem banco V liber 6, Bocolicorum domini Iohannis Boccaci conpletus copertus corio rubeo, cuius principium est Tindare non satius, finis vero in penultima carta lilibeis vallibus edos, etc2. Ora, se le parole del principio corrispondono, naturalmente, al verso iniziale dell’egl. I, le altre che chiudevano il penultimo foglio del ms. si cercherebbero invano nel Bucc. c., poiché appartengono invece al secondo dei due carmi pastorali del Rossi, ed a quello appunto che anche in L chiude il volume3. Questo vorrá dire, con ogni probabilitá, che almeno l’ultima parte di L, dalla c. 54 alla fine, riproduce il ms. V 6 di S. Spirito, ossia un libro nel quale il Bocc., senza dubbio di sua mano, aveva raccolto, al seguito delle proprie egloghe, quelle



  1. Tenendo il passo sott’occhio, si vedrá facilmente come il complemento di mezzo fabellisque novis del v. 99 sia coordinato nel modo piú assoluto, per il que, all’altro complemento lepido susurro; tolto via il verso che contiene quest’ultimo, resterebbe una gravissima lacuna, ciò che esclude formalmente l’interpolazione supposta dal Lidonnici (Il «Buccolicum carmen» trascritto di su l’autografo Riccardiano, Cittá di Castello, 1914, p. 28, n. 96). In R il verso che precede quello in discussione occupa l’ultima riga della c. 8 v ed il seguente sta nella prima della 9 r; si spiega pertanto la sbadataggine del Bocc. copista di se stesso.
  2. Cfr. Goldmann, art. cit., p. 151; invece di satis si doveva leggere satius, com’è realmente nell’inventario (ms. Laur. Ashburnh. 1897, c. 39 v).
  3. Comincia Non tam prepetibus, ed è nel ms. alle cc. 115 v-116 v. Se ne parlerá ancora qui oltre, p. 304 sg., e n. 1 a p. 305. Il verso in questione è il ventesimoquinto del carme, e suona: «qui siculos quondam libybeis vallibus edos».