Pagina:Boccaccio, Giovanni – Opere latine minori, 1924 – BEIC 1767789.djvu/270

264 nota

scambiate tra Dante e Giovanni del Virgilio1 e le due a se stesso indirizzate da Checco di Meletto; si può senz’altro presumere che anche la prima parte di L derivi dalla medesima fonte, con che si arriva a ricostruire induttivamente l’esistenza di un corpus bucolico raccolto espressamente dal Nostro per dare cornice e risalto alle sue composizioni pastorali. Si pensi al principio della nota lettera a fra Martino da Signa (qui, p. 216), dove son ricordate, in correlazione alle proprie, oltre alle greche egloghe di Teocrito, quelle latine di Vergilio, del Petrarca e degli altri meno pregiati (ignobiles) dei quali «nil curandum est»: nessun dubbio che, cosí scrivendo, l’autore pensasse appunto ai tre minori bucolici della sua raccolta.

Tornando al ms. di S. Spirito, che dové dunque essere tutt’una cosa col testo da me designato per X, il suo contenuto rivela poi che esso non fu una copia di carattere personale e privato (quale risulta manifestamente che fu R), ma un libro messo a libera disposizione degli studiosi, tant’è vero che vi fu chi potè trascriverlo, ossia l’amanuense di L: in altre parole, si arriva a fissare il concetto che X rappresenti, per ciò che si riferisce al Bucc. c. boccaccesco, la lezione quale fu voluta pubblicare dal poeta.

Quando seguí, ciò posto, tale pubblicazione? Due versi additizi dell’egl. IX (190 sg.) scritti in R nel margine inferiore della c. 44 r ed invece introdotti in L al loro debito luogo, ci permettono di rispondere che ciò non poté avvenire prima dell’autunno del 13692: possiamo arrotondare la cifra accettando approssimativamente la data 1370, la quale diventa per conseguenza un caposaldo nella cronologia del Bucc. c.3.

È adesso da ripigliare in istudio il ms. R, che, interrogato abilmente, può dirci ancora parecchio sulla storia dell’opera boc-



  1. Il Bocc. le aveva giá trascritte in etá giovanile in uno dei suoi zibaldoni, il Laurenziano XXIX 8, dove a Giovanni figura data l’erronea appellazione de Cesena (anzi, c. 46 v, de eesena!). Ebbene, in L ricomparisce lo sbaglio (Iohannis de Virgilio cesenatis): novello indizio, se pur ve ne fosse bisogno, circa le origini del volume.
  2. Cfr. Hecker, pp. 61-2. I due versi alludono in forma di predizione alla seconda discesa di Carlo IV in Italia ed ai risultati negativi di quella («vel si iterum veniat..... faciet memorabile nullum»). L’imperatore venne tra noi nel maggio 1368, si trattenne in Roma dalla metá d’ottobre alla metá di dicembre all’incirca, l’11 agosto ’69 era ad Udine ed il i° settembre trovavasi giá oltremonti.
  3. È probabilissimo che il testo fissato in X (ossia quello che noi conosciamo da L) fosse riprodotto nella copia del Bucc. c. posseduta dal dedicatario Donato Albanzani, sia per dono fattogliene dall’autore sia per trascrizione procuratasi da Donato stesso.