Odio vince/I
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QUADRO PRIMO.
Cucina sarda, con focolare di pietra nel centro. Sopra il focolare pende, ad altezza d’uomo, una cannitta, ingraticolato di legno d’un metro quadrato circa, sospesa alle travi del tetto per mezzo di quattro corde di pelo. Sulla cannitta stanno ad affumicare varie pezze di formaggio. Sulle pareti color terra stanno appese grandi casseruole di rame, spiedi e taglieri di legno, arnesi per far la farina; due archibugi sardi, una sella, una tasca (borsa di cuojo a zaino), una bisaccia ricamata, un cappotto, una leppa (coltello sardo con guaina ricamata) e un rosario. Un’arca di legno nero in un canto. Stuoje di giunco ripiegate e appoggiate alla parete; sgabelli di legno e di ferula. Una lampada di ferro a quattro becchi pende dalla cannitta. Un finestruolo con una pianta di basilico in un vaso di sughero. Una porta in fondo: un uscio a destra. È sera.
Zio Mauru (sta seduto a gambe in croce su una stuoja distesa davanti al focolare acceso. Prega. Veste in costume sardo: ha una lunga barba bianca).
Sidera (vestita da sposa, portando sul capo un canestro di grano e una bottiglia di vino turata con fiori, ed in mano una gallina bianca, appare sulla porta in fondo). Ave Maria. (Il vecchio trasalisce). Zio Mauru, vecchia aquila, vi ho spaventato?
Zio Mauru. Perchè vieni di là?
Sidera. Perchè la porticina del cortiletto è aperta. Passando davanti al portone grande ho sentito che c’era molta gente, ed ho preferito passare di qui.
Zio Mauru. (si alza pesantemente). Aperta? La porticina aperta? Ma chi l’ha aperta? Hanno perduto la testa, oggi?
Sidera. Giorno di nozze, zio Mauru, giorno di confusione. Non inquietatevi: ho chiuso io. Gli sposi son di là? Erano belli come due giacinti, stamattina. Ecco, io porto loro il «presente»: che i vostri nipoti, vecchia aquila, abbiano tanti giorni di fortuna quanti granelli di frumento ho loro portato.
Zio Mauru. Va di là, Sidera Canu: gli sposi son là....
Sidera. E c’è anche quel signore, quel cavaliere di Nuoro? Quell’ospite? Che cosa è venuto a fare?
Zio Mauru. Non hai veduto? Era testimonio della sposa.
Sidera. Dicono sia venuto per tentare di farvi far la pace coi vostri nemici.
Zio Mauru. Va là, va là, donniociuola. Gli sposi son là. (Sidera si avvia: il vecchio la richiama). Di’, hai chiuso davvero la porticina?
Sidera. Ma andate a vedere!
Zio Mauru. Senti, Sidera Canu; di’ agli sposi che si amino, che si amino solamente, che è tempo si cessi di odiare. Va.
Sidera. C’è tempo a tutto, quando si ha buona volontà!
Zio Mauru. Ma finora non si è avuto che volontà di odiare. Va, ora: hai chiuso bene la porticina?
Sidera (s’avvicina al vecchio, come per dirgli qualche cosa, ma poi sorride e va via).
Zio Mauru (s’avvicina alla porta). Avrà chiuso davvero?
Il Cavaliere (entra per l’uscio donde è uscita Sidera: veste in borghese). Zio Mauru, siete qui solo? Desidero parlarvi: è tutto il giorno che aspetto l’occasione. Chi è la bella donna che è venuta or ora con un «presente»? È vostra parente?
Zio Mauru. La bella donna! Dicono sia una fattucchiera. Infatti or ora è entrata per di qui; per una porticina che rimane sempre chiusa dopo che, diciotto anni or sono, vi si introdussero i nemici che assassinarono qui il mio povero genero. Chi ha aperto la porticina?
Il Cavaliere (sorride). Una parola magica, forse?
Zio Mauru. Lei sorride, signor don Cavaliere? Eppure il demonio esiste, ed è più forte di Dio! E il demonio dà la sua forza a coloro che gli vendono l’anima. Segga.
Il Cavaliere (siede su uno sgabello mentre il vecchio riprende la sua posizione sulla stuoja). E chi mai l’ha visto, il demonio?
Zio Mauru. Io l’ho visto! Ha mai visto lei il mare in tempesta? Il demonio è così: peggio del fuoco. Il fuoco si può spegnere, la tempesta eterna del demonio è implacabile. Io l’ho visto! L’ho visto e lo vedo, da tanti e tanti anni: egli regna in questo paese, in questa casa; è seduto qui, vicino a noi, davanti a questo focolare.... Anche oggi egli regna; oggi, giorno di nozze, giorno che dovrebbe essere d’amore....
Il Cavaliere (pensieroso). Sì, l’ho sentito dire, che lo sposo, Pedru Nieddu, vi si è venduto; che gli avete concesso Maria a patto ch’egli sposasse il vostro odio di famiglia. Appunto volevo dirvi.... Pedru Nieddu è ricco....
Zio Mauru. Non è ricco, ma la sua famiglia è numerosa, è forte; è la famiglia più forte del paese vicino. Mentre la nostra è ridotta a nulla: un vecchio (conta sulle dita) tre donne, un giovine più debole d’una donna! Un albero sfrondato!
Il Cavaliere. Così anche il paese vicino sarà travolto nella vostra inimicizia. Perchè certamente la famiglia Nieddu ha qualche famiglia avversa che si schiererà coi vostri nemici, i Lixia.
Zio Mauru. Certamente. Casa contro casa, famiglia contro famiglia, paese contro paese. Dicono che anche negli antichi tempi usasse così.
Il Cavaliere. Tacete, per carità! Ah, anche voi capite che siete ancora in piena barbarie! Ma possibile che, chi può, non abbia prima d’ora pensato di por fine a tanto scempio?
Zio Mauru (ironico). E chi poteva, di grazia? Nessuno può contro la volontà e l’ira dell’uomo: neppure Dio, che sta in alto e comanda.
Il Cavaliere Ma voi, zio Mauru, desiderate che la lunga tragedia tra la vostra e la famiglia Lixia abbia fine?
Zio Mauru (con diffidenza). Perchè vuol saperlo? Appartiene lei alla giustizia?
Il Cavaliere. Zio Mauru! Io sono il vostro ospite! il vostro amico....
Zio Mauru. Non si offenda, signor don Cavaliere! Noi diffidiamo di tutti, dell’amico come del nemico, della giustizia, di tutto.... Anche della mosca che passa per l’aria!
Il Cavaliere. Ebbene, bisogna che ve lo dica. Io son venuto qui perchè la vostra famiglia mi ha invitato alle nozze di Maria; ma mi spinse anche un motivo più serio. Ho sentito dire che il prefetto minaccia di reprimere energicamente la vostra inimicizia.... (Zio Mauru sussulta). No, non spaventatevi.
Zio Mauru (fieramente). E chi si spaventa? Io non temo nessuno, e tanto meno il prefetto! Che può egli farmi? Egli può legarmi e gettarmi in prigione; ma sappiamo cosa è la prigione! Io ci stetti sette volte; e tutti i miei ci stettero! Oh, no, noi non abbiamo paura nè del prefetto nè del Re. Che cosa può farci il Re? Così avessimo paura del demonio come abbiamo paura del prefetto!
Il Cavaliere. Ma il prefetto, questa volta, potrebbe rappresentare il demonio! Ma se si cercasse di placarlo? Sentite, vecchio sapiente, basta un piccolo sforzo per vincere il demonio. Vogliamo tentare? Vogliamo far la pace coi nemici? Volete voi la pace?
Zio Mauru. Io sì, ma gli altri no. Sarà più facile vuotare il mare che metter pace fra le nostre famiglie. Io son vecchio, io son disposto alla pace di questo e dell’altro mondo. Ma gli altri son giovani; il loro sangue è di fuoco: non è sangue il loro, è odio fatto sangue, odio che quando vien soddisfatto, dà una voluttà più grande d’ogni altra voluttà. Lei mi guarda? (Si avvicina). Lei non sa cosa è l’odio? E l’amore sa cosa è? Passioni che nascono così, senza che noi ne sappiamo il perchè. L’odio però è più forte di tutte le passioni. Chi non ha odiato non è un uomo.
Il Cavaliere (ridendo). Io non sarei dunque un uomo? Ditemi, zio Mauru, da quanti anni dura la vostra inimicizia?
Zio Mauru. E chi si ricorda? Da tanti e tanti anni!
Il Cavaliere. Trenta?
Zio Mauru. Oh, molto di più! Io ricordo la mia giovinezza tranquilla e serena come una campagna in aprile. La mia famiglia era ricca, potente: avevamo dieci «tancas» popolate di armenti, di greggie, di cavalli e di alveari. A vent’anni io sposai una bellissima fanciulla che filava la lana sottile come seta, e riempiva la casa di gioia e l’arca di tesori accumulati con la sua operosità. Ella poi morì di crepacuore. La mia vita si sollevò come mare in tempesta. (Tace, pensieroso, cupo).
Il Cavaliere. Raccontate, zio Mauru, raccontate.
Zio Mauru. A che serve? D’altronde occorrerebbero dei libri per raccontare ogni cosa. Una volta venne un signore, di quelli che scrivono sui giornali, e voleva che gli narrassi in un quarto d’ora tutta la storia della nostra inimicizia. Quanto ho riso! Va, gli dissi, va, uccello senza becco, si vede che tu non conosci il mondo!
Il Cavaliere (compiacente). Sì, voi avete ragione; sì, lo so, è una storia lunga e terribile. Ma, ditemi la verità, quale fu la vera prima causa dell’inimicizia?
Zio Mauru (che si accomoda sul capo la berretta ogni volta che sta per parlare). Lei deve sapere che la mia famiglia, mio padre, i miei zii, e specialmente un mio zio prete ricchissimo, ambivano i poteri della chiesa e del comune di questo paese. Ora, circa quarant’anni fa, un nobile signore di Orzulè, don Antonio Canio sposò una Lixia e si stabilì qui. I Lixia erano anch’essi benestanti, ma un po’ scemi, violenti, rapaci, in discordia fra loro. Don Antonio, che non ebbe figli, s’impadronì dei beni e dell’anima dei Lixia, li dominò, li riunì, li raggirò, se ne servì come di pugnali. Era un uomo ambizioso, terribile; bello, alto, vestito di seta. Si beffava di tutto e di tutti: aveva parenti influentissimi alla Corte del Re. Voleva dominare sul nostro paese e lo dominò: si fece eleggere sindaco, al posto di mio zio prete, e fece di tutto per far nominare un altro Rettore della chiesa ricchissima. Di qui l’inimicizia violenta.
Il Cavaliere. Ma anche vostro zio prete dicono fosse un uomo terribile!
Zio Mauru. Dio l’abbia in gloria, oh, sì, anch’egli non scherzava! Amava la caccia, il ballo, le feste, il vino; se un ragazzo gli chiedeva l’elemosina egli gli dava una moneta, poi lo bastonava, affinchè, diceva, si abituasse a lavorare. Se due sposi confessavano d’aver peccato, prima delle nozze, egli per penitenza li costringeva a lavorare gratis nella chiesa allora in costruzione. Oh, ma don Antonio era ben più terribile; era crudele; la sua casa era piena di trabocchetti, anditi misteriosi, stanze segrete. Profittò largamente dei denari del Comune, si rese padrone di tutto, scacciò i miei parenti dal potere. Di lì nacque l’odio furioso; persino i bimbi ne furono colti come da una pestilenza. Mia figlia Daniela, che veniva allevata presso lo zio prete, dice che a dodici anni odiava i Lixia come li odia ora. Diciotto anni fa, dopo parecchi delitti accaduti nelle nostre famiglie, un assassino penetrò fin qui. In questa cucina, e pugnalò mio genero. Qualche tempo dopo fu assassinato don Antonio. La sua morte fu tremenda. Dicono che gli assassini bevettero il suo sangue. Ah!
Zio Rajmondo (attraversa la cucina, dall’uscio alla porta del cortiletto, dove entra).
Zio Mauru (irritato e inquieto). Rajmondo Dejas! Rajmondo Dejas!
Zio Rajmondo (rientrando). Cosa?
Zio Mauru (minaccioso e sprezzante). Che cerchi là? Non avrai aperto, no? Vecchio becco, se non sei diventato pazzo del tutto, ricordati che non voglio che nel portoncino passi nessuno!
Zio Rajmondo. Mauru Aras, che cosa avete da rimproverarmi? Io entravo per prendere della paglia nel pagliajo.
Zio Mauru. Va là, oggi non è giorno di paglia nè di pagliaj.
Zio Rajmondo. Già, oggi le bestie pon mangiano, perchè gli uomini hanno troppo mangiato! (Rientra nel cortiletto).
Zio Mauru. È un buon servo: da trent’anni è in casa nostra; ha solo un difetto: parla tra sè a voce alta. Dopo l’assassinio di don Antonio anch’egli fu sul punto d’esser gettato in carcere. Fummo tutti processati, imprigionati: anche mia figlia Daniela dovette nascondersi e rimase un anno latitante. Accaddero altre sciagure, altri delitti; furono ammazzate le bestie, incendiati i boschi, avvelenate le fonti....
Il Cavaliere. Che orrore! Ebbene, è tempo che tutto ciò abbia fine. Sentite (abbassa la voce), il Lixia ha un figlio giovane?
Zio Mauru. Sì, Jorgj. Suo padre lo chiama l’aquilotto, e dicono che ripeta spesso: — Quest’aquilotto divorerà tutti quei vermi degli Aras! — Ah (animandosi) è quel che vedremo! Ora che la nostra casa s’è rinforzata, si vedrà se siamo vermi o leoni!
Il Cavaliere. Pace, pace, zio Mauru! A quanto pare, anche il vostro sangue bolle ancora.
Zio Mauru. Ah, lei non sa cosa sia avere un nemico!
Il Cavaliere. Tutti possiamo avere un nemico, ma non tutti pensiamo ad ammazzarlo! Dunque vogliamo tentare questa pace? Faremo una gran festa, in una chiesa campestre: interverrà il vescovo, il prefetto, il deputato; dopo la messa solenne i Lixia e gli Aras si daranno il bacio della pace: dopo balleremo tutti assieme il ballo sardo. Va bene?
Zio Mauru (ironico). Tanto bene che pare un sogno.
Il Cavaliere. Sentite come ridono e cantano, di là! State lieto anche voi, zio Mauru! L’altra vostra nipote, Colomba, ebbene, sì, anche questo faremo.... la uniremo all’aquilotto Lixia; e così essi potranno divorarsi.... di baci.
Colomba (entra dall’uscio a destra). Babbo Aras, nonno.... ah, signor Cavaliere, siete qui anche voi? (Diffidente) Che fate qui, soli? Andiamo di là, dove cantano una gara estemporanea, e suonano e ballano. Ah, è bello veder la gente allegra: andiamo.
Il Cavaliere. Anche tu sei allegra, Colomba, ed è bello vederti (fissandola).
Colomba (fiera). Io sono allegra e triste; sono quello che mi pare; cosa vi importa? Andiamo di là, babbo Aras: qui si sta male! (Prende il nonno per il braccio, ma il vecchio resiste e la guarda teneramente).
Zio Mauru. Aspetta! Chi è che canta, di là?
Colomba. Lo sposo, e mio fratello Antine, ed anche mia madre. Svolgono un bellissimo argomento. Siccome la sposa dice d’aver visto la Madonna alla fontana, e di aver ottenuto anche un miracolo, lo sposo afferma, cantando, che Maria sarà felice perchè protetta dalla Madonna. Antine ride e risponde, cantando, ch’egli ha visto il diavolo, gli ha chiesto protezione, e perciò spera d’esser più felice di Maria.
Il Cavaliere. E zia Daniela?
Colomba. Essa ha improvvisato una strofa, per dire che nella vita è necessaria la protezione di Maria ed anche quella del diavolo!
Il Cavaliere. E tu cosa dici Colomba?
Colomba. Io non credo nè all’una nè all’altro.
Zio Mauru. Ah, Colomba, fanciulla nata ieri! Non dirai così nell’ora della morte.
Colomba (con atto di sfida). Venga la morte e vedremo!
Il Cavaliere (battendole una mano sulla spalla, e imitando la voce di zio Mauru). Ah, Colomba, fanciulla nata ieri! Non pensare alla morte, ma alla vita. Anche tu, fra poco, ti sposerai.
Colomba. Io? Mai!
Il Cavaliere. E perchè?
Colomba. Perchè così!
Zio Mauru. Colomba, fanciulla nata ieri! Non parlare così; mi fai dispiacere.
Colomba (con slancio). Prima morire che darvi dispiacere! Ma ora andiamo di là: questa cucina è triste come la notte. Andiamo. Sentite come cantano e ridono? Vedrete quanti «presenti»1 arrivano ancora; grano, vino, lana, cuori di miele....
Il Cavaliere (aiutando Colomba a trascinare di là zio Mauru, sempre un po’ riluttante). Dolci come il tuo! (Escono. Dal cortiletto rientra subito zio Rajmondo).
Zio Rajmondo (guardandosi attorno sospettoso, parla fra sè ad alta voce). Oh, io darei la vita per i miei padroni! Questo giorno di gioia mi ringiovanisce di venti anni. Anche Daniela Aras sembra una giovinetta: mentre ella cantava, il cuore mi batteva come il cuore d’un porcellino dentro un sacco.... Ah, la vita passa! Ah, ecco quella strega!
Sidera (entra sospettosa dall’uscio a destra). Sono andati là: zio Rajmondo, sentite....
Zio Rajmondo. Che diavolo vuoi? L’ho sì o no lasciato aperto il portoncino? Tu stessa hai visto?
Sidera. A che serve aprirlo, se gli altri lo chiudono? La chiave, voglio; datemi la chiave.
Zio Rajmondo. Sei matta! Va via, va; cosa cerchi tu in questa casa? Va via, Sidera. E voi che cosa cercate in questa casa? Ognuno ha il suo scopo.
Zio Rajmondo. Che vuoi dire, femminetta?
Sidera. Non chiacchieriamo, piccolo giglio mio. Come la deste diciotto anni fa, la chiave, perchè Daniela Aras potesse restar vedova.... potete darmela ora.
Zio Rajmondo (afferrandola). Taci, strega, o ti soffoco.
Sidera. Datemi la chiave: questa volta è a scopo di bene. Jorgj Lixia vuole entrare per abbracciare Colomba.
Zio Rajmondo (ironico). Se è vero che fai le stregonerie, perchè non ne fai una che permetta a Jorgj di passare invisibile?
Sidera (ironica). Mi occorre la chiave per fare la stregoneria.
Zio Rajmondo. Che guadagnerò io?
Sidera. Sentite; parliamo breve. Jorgj ama Colomba; Colomba lo ama, ma non vuol dargli un convegno. Ora Jorgj sa che ogni notte Colomba esce nel cortiletto per chiudere col catenaccio il portoncino. Egli vuol la chiave per introdursi nel cortiletto prima che il portoncino sia chiuso col catenaccio. Quando Colomba esce egli l’abbraccia.
Zio Rajmondo. Essa griderà.
Sidera. Essa non griderà. Voi sapete, donna baciata, donna sedotta. Se voi, per esempio, riuscite a baciare la padrona.... riuscireste poi a sposarla!
Zio Rajmondo. Ma per baciarla bisogna sposarla! È la storia che raccontava zio prete, dell’uccellino sulla cui coda bisogna metter il sale, per poterlo prendere.
Sidera. Sbrighiamoci. La chiave!
Zio Rajmondo (come i bimbi). E cosa mi dai?
Sidera. Vi dò Daniela Aras per sposa.
Zio Rajmondo. Parla chiaro.
Sidera. Sentite, vecchio stupido; possibile che non comprendiate? Colomba finirà col fuggire o con lo sposare Jorgj: Daniela Aras, che vuol bene al suo servo, ma che ha paura dello scandalo, dopo lo scandalo di Colomba non avrà più scrupolo di sposarvi.
Zio Rajmondo (che si lascia convincere). Che tu sia squartata! Ma è vero che mi vuol bene?
Sidera. Che voi possiate vedermi cieca, se non è vero.
Zio Rajmondo. Che guadagni tu in questa faccenda?
Sidera. Non v’importi saperlo. Date la chiave.
Zio Rajmondo (trae di tasca la chiave ma non si decide a darla). No, non la dò. Aprirò io.
Sidera. Uomo del diavolo! Volete rovinare tutto. Date! Vi giuro sulle anime dei miei morti che non accadrà niente di male. Date.... (Cerca di strappargli la chiave).
Zio Rajmondo (resiste). Non voglio che succeda una disgrazia, come l’altra volta. Io guarderò, io vigilerò.
Sidera. Vigilate finchè volete, ma date, date la chiave! Vien gente, uomo del diavolo, date.... (Gli strappa la chiave, che nasconde nel seno). Sediamoci; vien gente. (Siede accanto al fuoco).
Zio Rajmondo (pentito). Ah, che ho fatto io!
Sidera. Stupido, avete fatto la vostra fortuna. (Cambia tono di voce). Sì, i fanciulli videro un cavallo bianco....
Zio Rajmondo (anch’egli con voce mutata). Ma che facevano lassù?
(Entrano Pedru e Maria: vedendo i due seduti accanto al fuoco Pedru fa un gesto d’impazienza).
Sidera (rispondendo a zio Rajmondo). Raccoglievano legna. (Si alza premurosa, ridente, e si rivolge agli sposi). Neppure qui trovate un angolo per baciarvi, colombi del mio cuore! Pazienza! Ancora un po’ e troverete il vostro nido.
Maria (timida, arrossendo). Ma che dite mai!
Pedru (minacciando maliziosamente Sidera). Ah, Sidera Canu, questa volta me l’hai fatta davvero la malìa! Quanti scudi ti ha dato questa Venus2 (cinge la vita di Maria che cerca sfuggirgli) per stregarmi? Ecco che io non posso stare un minuto senza di lei: ella siede io mi seggo, ella si alza io mi alzo, ella viene qui io la seguo.
Zio Rajmondo. Ella bacia tu baci....
Maria (rispondendo a Pedru). Non è vero; sei tu che mi hai fatto venir qui, sei tu! Ah, va, va, lasciami! (Lo spinge, sfugge; Pedru l’insegue, l’afferra, la bacia, mentre ella strilla).
Zio Rajmondo. Veramente, sì, essi sembrano due tortorelle nel bosco. Sidera Canu, cuore di pietra, non ti commuovi tu?
Maria (sfugge ancora all’abbraccio di Pedru e si rifugia dietro Sidera). Salvalemi, salvatemi, zia Sidera! Che raccontavate poco fa? Due fanciulli che videro un cavallo bianco....
Sidera. Sì, l’altro giorno, i figli di Paska Cabras, mentre raccoglievano legna nel bosco, videro un cavallo bianco, che parlò e disse loro: bambini, prendete quel fascio di legna. Ma i bimbi non poterono sollevare il fascio di legna. Intanto una tortorella d’oro si posò sul capo del cavallo che si mise a correre e sparì. I bimbi caddero svenuti.
Maria. Oh Dio, che spavento! io tremo tutta. Il cavallo doveva essere il diavolo o un santo.
Pedru. Oh era la febbre, che tormentava i bimbi. Pazzerella, ora vengo io per farti cessare la paura! (Si slancia allegramente verso la sposa, che sfugge ancora strillando e si rifugia dietro zio Rajmondo).
Zio Rajmondo. Tortorella d’oro, non saltare sul capo di questo vecchio cavallo bianco.
Maria. Lasciami, Pedru, lasciami. Non mi toccare! Ah, avrei voluto vederlo, il cavallo bianco. Anch’io «vidi» tanto volte; quando ero bambina, nella notte di San Giovanni, vidi il cielo spalancarsi e distinsi il Signore fra nuvole d’oro, e Maria e San Michele con la spada d’argento....
Pedru (malizioso). Ma ancora non hai visto il cielo che vedrai d’ora in avanti....
Zio Rajmondo. Ah, figlio mio, tu hai ragione!
Sidera. Con che aria dite «figlio mio!»
Maria (infervorandosi). Ah, Pedru, tu non credi alle apparizioni ed ai miracoli? Non ti ricordi il miracolo che io ottenni dalla Madonna del Buon Cammino, alla cui festa io e te c’incontrammo? La giumenta ch’io cavalcavo si ammalò d’un male misterioso: uomini esperti e persino il dottore dissero ch’era spacciata. Allora io entrai in chiesa e guardai la grande Madonna dell’altar maggiore. — Maria, dissi, guarite la giumenta e vi donerò un abito di broccato. — Mi alzai, e passando, nel guardare la piccola Madonna della cappella, mi parve triste e torva in viso. Uscii; la giumenta moriva. Allora rientrai in chiesa e m’inginocchiai davanti alla cappella: — Piccola Maria mia, guarite la giumenta e donerò anche a voi un abito di broccato. — Uscii; la giumenta migliorava, e dopo qualche momento era guarita.
Zio Rajmondo. Anche le Madonne sono invidiose dei vestiti! Rassomigliano alle donne! Mi ricordo ciò che diceva zio prete: Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza; non è dunque l’uomo che rassomiglia a Dio, è Dio che rassomiglia all’uomo.
Maria. Finitela dunque, vecchio peccatore! Ah! (Strilla e si dibatte, perchè Pedru le si è avvicinato piano piano e cerca di baciarla).
Sidera. Zio Rajmondo, che fate lì? Andiamocene, che siamo di troppo.
Maria (sempre strillando). No, no, rimanete. Non lasciatemi qui sola.
Zio Rajmondo. Va là, tortora, sei bene accompagnata!
Sidera. Buona fortuna, e.... buona notte! (Esce, seguìta da zio Rajmondo).
Maria (sempre dibattendosi fra le braccia di Pedru). Lasciami, lasciami; non baciarmi qui; qui non è luogo d’amore, qui è morto assassinato mio padre. Oh, io vidi il suo fantasma, sai, là, in quell’angolo; era avvolto in un sacco nero e diceva: «Vendicatemi, figli, vendicatemi!»
Pedru (serio). Ebbene, lo vendicheremo. Ma non pensiamoci, per oggi! Sai bene il proverbio: «c’è un giorno anche per il povero!» Voi.... noi siamo poveri di pace, di amore, di allegria: godiamoci almeno un giorno come questo! Io ti voglio tanto bene che nel mio cuore non c’è più posto per l’odio....
Maria (severa). Ma tu.... tu hai promesso.... tu e tutti i tuoi avete promesso.... di aiutarci, di difenderci contro il nemico....
Pedru. Abbiamo promesso e terremo la parola. Ma non parliamone oggi; ne abbiamo già parlato tanto.... e ne parleremo ancora! Ricordati il giorno in cui io ti vidi e ballai con te alla festa del Buon Cammino.
Maria. Anche allora parlavi così. Io ti dissi, mentre ballavamo: «guarda là il nibbio guercio. Giacomo Lixia, l’assassino di mio padre». E tu: «se gli sguardi fossero fucilate a quest’ora Giacomo Lixia sarebbe fulminato!» Ed io dissi: «ma oltre gli occhi tu hai con te l’archibugio». E tu: «oggi è festa, lasciamola passare». Ed anche oggi ripeti le stesse parole, e domani anche....
Pedru (cupo). Taci, Maria! Vorresti che io andassi a spargere il sangue quest’oggi stesso! Diventare assassino prima di....
Maria (dispettosa). Chi ti dice di diventare assassino?
Pedru. Non lo dici, ma lo lasci capire! Ah, come siete terribili voi tutti! (Con amarezza) E se non diventerò assassino che cosa diventerò?
Maria. I Lixia....
Pedru (interrompendola vivacemente). A me i Lixia non han fatto niente!
Maria (con ira). Pedru Nieddu, così parli, ora che hai ottenuto quel che volevi? A te i Lixia non hanno fatto niente, sì, ma a noi hanno assassinato il padre, hanno incendiato i boschi, ammazzato gli armenti, hanno tagliato la lingua ai nostri cavalli, mozzate le orecchie ai nostri cani....
Pedru. Taci, taci! Lo so! Vendicheremo tutto. Sì, io li odio i Lixia, li odio perchè voglio bene a te, ma tu non mi vuoi bene.... tu hai sposato il mio coltello, non il mio cuore.... tu pensi a «loro» più che a me; tu pensi a «loro» oggi più che negli altri giorni, mentre giusto oggi avresti dovuto obliarli! Dimmelo dunque che non mi vuoi bene. E tu dici di aver veduto la Madonna....
Maria. Sì, ma ho anche veduto mio padre, là (fissa intensamente l’angolo della cucina); egli era entro un sacco nero solcato da striscie di sangue e diceva: «Vendicatemi, figli, vendicatemi!» — Ah!...
Pedru (commosso, diventa carezzevole per calmare Maria). Taci, taci; son pazzie! È la paura che ti ha fatto veder ciò. I morti non parlano e non odiano più. Maria mia, calmati; è stata la paura.
Maria. Certo, ho avuto paura, ma dopo aver «visto», non prima! Era una notte di vento furioso: il tuono scrosciava senza tregua, la luce dei lampi accecava. Dopo quella notte ho avuto sempre paura di entrar qui. Anche ora.... Andiamo via.
Pedru (ritorna scherzoso). Dimmi una cosa, sposina mia: perchè non chiedi a Dio il miracolo di far morir di peste tutti i Lixia?
Maria. Ah, zio Rajmondo dice che zio prete usava esclamare: Dio non concede mai quello che veramente ci fa piacere. Andiamo?
Pedru. Ma sì, andiamo. Senti, prima, che ti dico una cosa all’orecchio. (Le scopre l’orecchio e la bacia).
Maria (facendo un salto). Ah, mi hai spaventato.
Pedru. Per così poco! Aspetta, davvero, ho da dirti una cosa. Senti....
Maria (fugge attraverso la cucina, fino all’uscio, dove Pedru la raggiunge e l’abbraccia). Ah, lasciami. Non qui, non qui! Non è luogo di baci, questo! Ah, vengono.
Colomba (entrando, seguita da zio Mauru, zia Daniela, il Cavaliere, zio Rajmondo, zia Sabina e un Parente, sorprende le parole di Maria, e guarda gli sposi, che si dividono confusi). Oh, oh!
Maria (rosso, affannata, indicando Pedru). È lui che mi perseguita.
Pedru (battendosi il petto). Sì, sono io! (Tutti ridono, tranne Colomba).
Zio Mauru. Ma baciatevi pure, fanciulli. Non abbiate vergogna. È tempo di amarci! E tu, Rajmondo vecchio puledro, attizza il fuoco, che si spegne come si spengono i tuoi occhi.
Zio Rajmondo. Ma non il cuore! (Si curva sul focolare e attizza il fuoco). Non dubitate, il fuoco non si spegnerà: se mancassero le legna mi getterei io sul focolare.
Zia Daniela. Molto fumo riempirebbe allora la cucina.
Zio Rajmondo (solleva il viso e la fissa). Mi sembrava fosse la sposa a rivolgermi la parola, tanto siete bella e ringiovanita.
Pedru. Dite, dunque, zio Rajmondo, che non c’è fumo senza fuoco.
Il Parente (raschia e sputa). Che una palla ti trapassi la berretta, e la nebbia non è fumo senza fuoco?
Zio Mauru (alla serva). Sabina, vecchia giovinetta, porta da bere, e di’ ad Antine e agli altri cantori che vengano qui a cantare. Io di qui non mi muovo più. (La vecchia che parla in disparte con Colomba, non si volge neppure).
Zio Rajmondo (gridando). Zia Sabina, siete sorda del tutto?
Zia Sabina (si volge inviperita). Mi chiama zia, il cuculo pelato; egli che è più vecchio di mia madre.
Zio Rajmondo. Vostra madre viveva nell’arca di Noè. Andate.
Zia Sabina (prende tabacco da un cornetto di pecora ridotto a tabacchiera, poi minaccia il servo col pugno). Ma voi chi siete, che mi date degli ordini? Siete un servo come me, un uccello di passaggio. Mangerete ciò che v’è nel piatto, ma il piatto lo lascerete.
Zio Rajmondo. Che vi mangi il diavolo: tutto questo perchè vi ho detto che siete vecchia. Andate, giuro che avete venti anni. (Per giurare incrocia le braccia sul petto).
Zia Sabina (che prende di tanto in tanto tabacco). Ah, vecchio cuculo pelato, è inutile che ridiate. Sappiamo che cosa avete nel cuore.
Zio Rajmondo (fa atto di slanciarsi sulla serva). Ah, vecchia rana velenosa.
Zio Mauru (s’avanza e tende il bastone fra i due). Pace, pace, almeno fra voi! Perchè gridate così? Avete forse da dividere dei beni?
Zia Sabina (offre tabacco al padrone). Dei beni no, ma dei mali sì.
Zio Mauru. Va, va e porta da bere. E di’ ai giovani che vengano qui.
(Zia Sabina esce: zio Rajmondo si avvicina a zia Daniela, seduta accanto al Cavaliere: gli sposi e il Parente parlano fra loro in fondo alla cucina).
Zio Mauru (piano a Colomba). Hai tu veduto uscire Sidera Canu? Bada che essa è entrata per di qui: il portoncino era aperto.
Colomba. Ora vado a vedere se è chiuso: non abbiate paura, baderò io. (Esce nel cortile, seguita da uno sguardo di zio Rajmondo).
Il Cavaliere (a zia Daniela). Poco fa, mentre cantavate improvvisando, accennaste ad un albero....
Zia Daniela. Ah, è un episodio della mia vita. Voi sapete che io fui accusata di complicità nell’assassinio di Don Antonio Canio, e che stetti un anno latitante. Ecco, io dovevo essere arrestata la sera del due ottobre; ma un’ora prima che la giustizia piombasse a casa mia, un amico mi avvertì del pericolo. Subito io mi vesto da uomo, monto a cavallo e via, per la campagna.... Ma dopo mezz’ora di trotto m’accorgo che il cavallo perde i ferri e zoppica: più io sprono meno cammina. Viene la notte, con una luna rossa che pareva avesse bevuto tutto il sangue del suo nemico. Ad un tratto, nel silenzio grandissimo, sento un lontano galoppo di cavalli. La luna s’era schiarita: ci si vedeva come di giorno. Io mi butto per terra, attacco l’orecchio al suolo e sento che il galoppo dei cavalli è proprio sulla strada percorsa da me: son «loro», i soldati, sono i cacciatori che inseguono la fiera.... Monto di nuovo a cavallo, sprono, batto i fianchi della bestia, che va, ma zoppica e nitrisce. E il galoppo lontano si fa vicino, sempre più vicino... In fede mia, mi pareva come in quelle fiabe, quando l’Orco insegue Mariedda. Nostra Signora mia del buon Consiglio, che fare? Sono perduta. I soldati son così vicini che devono sentire il trotto del mio cavallo. Io non vedo via di scampo: la campagna è rasa, liscia come la palma della mano; solo la strada è assiepata ed ha qualche giravolta: in fondo sorge un albero grande quanto una capanna. Nostra Signora mia del Rimedio, salvatemi voi: vi farò celebrare sette messe, vi donerò tanta cera quanto pesa Colomba, povera orfana.
Il Parente (raschia e sputa). Ebbè, che una palla ti trapassi la cuffia, Daniela Aras, anche in quel momento sei stata furba: non hai promesso tanta cera quanto pesavi tu.
Zia Daniela. Pensavo alle mie bambine, povere orfane, e non a me. Appena pronunziato il voto, distinguo un uomo vicino al grande albero in fondo alla strada. Mi avvicino e fermo il cavallo. «Ave Maria, — dice l’uomo,— dove vai così di corsa, passeggiero, con questo cavallo zoppicante?» «Se sei cristiano — gli dico io — salvami se puoi; sono inseguito dai soldati». «Chi sei?». — domanda l’uomo. «Sono un parente di Mauru Aras». «Senti, — dice l’altro — il tronco di quest’albero ha un cavo così grande che ci sta dentro un cristiano battezzato; mettiti dentro; io monterò il tuo cavallo e svierò le tue tracce». Detto fatto; io mi caccio dentro il cavo, sulla cui apertura l’uomo rimette un mucchio di felci che la nascondono: poi sento partire lo sconosciuto, e poco dopo sento passare i soldati. Rimasi nel cavo tutta la notte; speravo che l’uomo tornasse, ma egli non ritornò. Seppi poi che i soldati l’avevano raggiunto e oltrepassato, e che egli, avendo incontrato un nostro parente, gli disse dove mi trovavo. Infatti verso l’alba mi fu mandato un altro cavallo, e così potei raggiungere un paese, dove stetti nascosta tre mesi in casa d’un nostro amico.
(Mentre zia Daniela racconta, rientra zia Sabina, con un vassoio con tazze e bottiglie. Zio Rajmondo guarda la padrona e fa vivaci gesti d’ammirazione).
Zia Sabina. Di là i giovani continuano a cantare; sembrano galli a mezzanotte.
Il Cavaliere. Zia Daniela, ma non aveste voi mai paura?
Zia Daniela. Il Signore Iddio lo sa: la natura umana è fragile, specialmente in una donna.
Zio Rajmondo. Ma voi non siete una donna!
Zia Sabina. È dunque un uomo?
Zio Rajmondo. Ricordate, padrona mìa, la notte in cui io venni dall’amico che vi ricoverava, e vi dissi che il «nemico» aveva sgarrettato tutte le vostre vacche, e che Maria moriva d’angina? Voi vi buttaste per terra, copriste di cenere i vostri capelli; poi d’un subito vi rizzaste come una canna, montaste a cavallo e via.... nella notte buia, sfidando tutti i pericoli, veniste qui.
Zia Daniela. E come trovai la mia casa! I parenti tutti in carcere, la bimba moribonda, il focolare spento. E il nemico vigilava, e non dava tregua neppure ad una madre straziata....
Zia Sabina (depone il vassoio e prende tabacco). Oh, giorni terribili! Notti spaventose! Mi si rizzano i capelli al solo ricordare.
Zio Rajmondo. Ma avete voi ancora dei capelli?
Zia Sabina. Non tutti sono cuculi pelati come voi!
Colomba. Ah, ricordo anch’io quelle notti di orrore. Vedo come una nuvola nera. E voi, zia Sabina, vecchia strega, aumentavate il mio terrore raccontandomi atroci storie. Quando il vento scuoteva la porta mi dicevate: ecco il nemico!
Zia Sabina. Era per abituarti a non aver paura, anima mia.
Il Parente (raschia e sputa). Che una palla vi trapassi le ascelle, eravate furba, zia Sabi!
Il Cavaliere (vuol parlare, ma è interrotto da Pedru).
Pedru. Suocera, vogliamo cantare una strofa estemporanea? Che dite voi, fece bene o male lo sconosciuto a tenersi il cavallo?
Zio Rajmondo. Fu un ladro!
Colomba. Se avesse fatto altrimenti sarebbe stato uno stupido.
Zio Rajmondo. Io mi sarei appiccato prima di commettere una simile viltà.
Zia Daniela. Egli non sapeva che io fossi una donna.
Zio Rajmondo. Io vi avrei riconosciuta.
Zia Sabina. Ma non dicevate poco fa che la padrona non è una donna?
Pedru Suocera, volete cantare?
Zia Daniela. Ebbene, io dico che lo sconosciuto fece bene. Era furbo!
Zio Rajmondo. Era un vile, invece! Ricordate, padrona, la notte in cui io....
Zia Sabina. E finitela coi vostri ricordi!
Zio Rajmondo. Ah, vecchia cornacchia, che il diavolo ti roda l’ombelico!
Zia Sabina. Vecchio cuculo, che il diavolo ti roda il cocuzzolo!
Zio Mauru. E lasciate il diavolo in pace oggi ch’egli lascia in pace noi!
Pedru. Suocera, cantiamo?
Il Cavaliere (guarda l’orologio). Amici miei, sentite; è tardi ed io devo andare. Poichè vedo che i vostri servi fan parte della vostra famiglia, mi permetto, in loro presenza, di tornare sull’argomento del quale mi intrattenni con voi, zio Mauru, e con voi, zia Daniela...
Zia Daniela (sdegnosa). È inutile che vossignoria insista. È impossibile, non parliamone neppure!
Zio Mauru. Pace, figlia, pace!
Zia Daniela. E pace io non voglio!
(Tutti ascoltano attenti e curiosi).
Pedru. Ma di che si tratta?
Zio Mauru (solenne). Sentite, figli. L’ospite nostro, che ha onorato con la sua presenza le nozze di Maria, è....
Il Parente (raschia e sputa). Il re forse?
Zio Mauru. Qualcosa più del re. È un vero amico. Egli ci consiglia di far pace coi nostri nemici. (Mormorio di sorpresa e di disapprovazione).
Zio Rajmondo (a Pedru, in disparte). Bada, deve essere un tranello: una astuzia per conoscere le tue intenzioni.
Pedru (si rivolge fieramente al Cavaliere) È uno scherzo, vero? Dicono che i signori, delle volte, sono dei grandi burloni.
Maria. Ma certi scherzi non si dovrebbero fare.
Colomba (ride beffarda).
Il Cavaliere (si guarda in giro meravigliato). Figli miei, siete davvero terribili! Se vi fosse apparso un fantasma non vi sareste commossi così sinistramente. Colomba! Cessate di ridere in quel modo. È una vergogna! Ma che ci avete tutti al posto del cuore?
Il Parente. Una pietra focaja!
Il Cavaliere. No, non è uno scherzo: con gente come voi non si scherza, perdinci! Io vengo a proporvi la pace, l’oblio, la fine d’ogni sciagura: e voi ridete, e voi magari vi offendete! ma....
Colomba. Dite la verità: chi vi manda?
Il Cavaliere. Nessuno. Io ho pietà di voi, ecco tutto! Finora voi avete passato metà della vita in carcere e l’altra metà in lutto: spargendo sangue e terrore, trascinando famìglie e paesi nella vostra rovina. È tempo di finirla! È una vergogna per il mondo civile che esistano ancora, in Italia, paesi medioevali come il vostro! Pace! Pace! Ascoltate quel vecchio, se non volete ascoltare me; ascoltate la voce di quel patriarca, la voce della saggezza.
Zio Mauru. E della morte!
Zia Daniela. Ma egli non parlava così venti anni fa! Ah, ora il sangue è spento in lui, come è spento nella vossignoria, signor Cavaliere, che non sapete cosa sia avere un nemico! Un nemico che vi ha sempre tenuto d’occhio, come il cacciatore la fiera, che vi ha assassinato le persone più care, e vi ha scacciato da casa vostra e vi ha fatto errare per i monti e per le foreste, e vi ha fatto passare le notti nel cavo di un albero, ed ha avvolto nel suo odio tutto ciò che vi apparteneva, dai vostri servi ai vostri cani, così, come il turbine travolge tutto ciò che trova nel suo passaggio; e vi ha allontanato persino dal letto dei vostri figli morenti; e vi persegue fino alla morte e più in là; e mentre voi, voi che non sapete, parlate di pace, egli forse è fuori, in ascolto, in agguato, e cinge la vostra casa di spie e di sicarii, e aspetta al varco, pronto ad insanguinare questo giorno di gioja, pronto ad assalire il vecchio, la donna, il fanciullo, la sposa.... così.... col pugnale levato....
Maria (dà un grido isterico e si getta sul petto di Pedru).
Colomba (rìde ancora sinistramente).
Il Cavaliere (agitato). Colomba, tacete, tacete! Il vostro riso è più orrendo delle parole di vostra madre. Perchè ridete?
Colomba. Perchè ne ho voglia!
Zio Mauru. Colomba, il tuo riso è simile allo stridore dei coltelli affilati. (Colomba diventa cupa e si ritira in un angolo).
Zio Mauru. E tu, Maria, tu che sei piena di grazia e ottieni dei miracoli, tu che dici? Che rispondi alla proposta dell’ospite nostro? Vuoi che i tuoi figli non conoscano l’odio?
(Pedru solleva il viso di Maria e la fissa: ella si rianima, si drizza, scuote la testa accennando di no).
Il Cavaliere. No e no! Ma ditemi, buona gente, alla morte non ci pensate voi? E all’inferno? Fra pochi giorni il vescovo manderà qui un missionario per cercare di convertirvi.
Zia Daniela (ironica). Altro che missionarii abbiamo visto!
Zio Rajmondo. Diceva zio prete che i missionarii sono i primi a non aver paura dell’inferno.
Il Parente. Rajmondo Dejas, che una palla ti trapassi il cappuccio, sei furbo tu, col tuo zio prete!
(Zia Sabina, alle spalle di zio Rajmondo, fa dei segni di croce, e prende continuamente tabacco).
Colomba (all’ospite, vivacemente). E non è già l’inferno quello che passiamo in vita? Che può esserci di peggio?
Il Cavaliere. Ma può esserci qualche cosa di meglio. Può esserci persino il cielo. Osservate, giovine pantera.... per adoprare i vostri termini....
Zio Rajmondo (al Parente). Che vuol dire pantera?
Il Parente. Che non ha paura.
Il Cavaliere (a Colomba). Osservate vostra sorella e il suo sposo: non si aprirebbe per essi il cielo, senza i pericoli di questa barbara inimicizia che vi attornia come un incendio? Anche voi vi sposerete....
Colomba. Mai!
Il Cavaliere (come colpito da un’idea)., Jorgj Lixia è un bel giovine. Che direste voi, babbo Aras, se, per celebrare le paci, il vescovo stesso benedicesse le nozze di Colomba?...
Colomba (fremente). Ma con chi?
Il Cavaliere. Ma.... col nemico!
Colomba (ride). Ringraziate il cielo che siete un cavaliere e siete nostro ospite, altrimenti mi getterei su voi come un gatto e vi strangolerei....
Il Cavaliere (inchinandosi). Grazie tante!
Zio Rajmondo. E voi, padrona mia, che direste se Colomba sposasse il nemico?
Zia Daniela. Non dico niente perchè la cosa è impossibile.
Zio Rajmondo. Ma se fosse possibile?
Colomba. Finitela! Finitela!
Zio Mauru. Daniela, quando tu eri fanciulla qualcuno mi consigliò di sposarti con Giacomo Lixia. Ricorda ciò che io ti dissi allora... sebbene allora il sangue non fosse spento in me....
Zia Daniela (fieramente). Non ricordo ciò che voi mi diceste; ricordo ciò che dissi io. Dissi: lo sposerei volentieri per ammazzarlo!
Il Cavaliere. Ma Colomba non dice così.
Colomba (sempre più sdegnata). Ricordatevi che siete nostro ospite e che non dovete insultarmi!
Zio Rajmondo (a zia Daniela). E se Colomba dovesse fuggire col nemico?
Zia Daniela. Non dite sciocchezze. Ad ogni modo ricordo ora ciò che mi disse mio padre trent’anni fa. Una sola cosa vince l’odio: l’amore pei figli. Ebbene, se Colomba vuole....
Colomba (si agita disperatamente). Madre, madre! Anche voi parlate così? Ma volete dunque uccidermi? Ma perchè parlate così.... tutti.... qui, davanti a questo focolare, sul luogo ove mio padre fu sgozzato come un agnello? Ah, è spaventoso.... (piange).
Zio Rajmondo (mentre Colomba parla s’avvicina a zia Sabina e le dice piano qualche cosa: zia Sabina va via).
Il Cavaliere (confortando ironicamente Colomba). Piangete, piangete, vi farà bene, dolce Colomba. Fate vedere le vostre lagrime: sono di miele?
Colomba. Sono di sangue!
Il Parente (raschia e sputa). Colomba, tu sola non sei furba!
Pedru (anch’egli ironico). Taci, Colomba: non vedi che qui si scherza? Non è giorno di allegria, questo? Suocera, cantiamo una strofa su quanto avete detto poco fa, che cioè l’amore pei figli vince ogni altra cosa.
Zio Rajmondo. Oh, c’è un amore più forte! Quello dell’uomo per la donna. Bada che dico quello dell’uomo, e non quello della donna. Quando ama, l’uomo, perde il lume degli occhi; diventa schiavo, è capace di stare quarant’anni in servitù, aspettando una sola parola d’amore.
Zio Mauru. In verità, egli allora non la sente più questa parola....
Zio Rajmondo. E perchè?
Zio Mauru. Perchè è diventato sordo!
(Ridono tutti, tranne Colomba. A Pedru). No, figlio mio, l’amore il più grande l’uomo lo nutre non verso i figli, non verso la donna, non verso Dio, ma verso sè stesso: e quest’amore lo acceca tanto che gli fa dimenticare il suo stesso bene.
Il Cavaliere. È vero: ecco perchè voi tutti rinunziate alla pace....
Antine. (entra barcollando, ubbriaco). Chi parla di pace, qui? È la vossignoria? (All’ospite). Che cosa volete voi, qui? Se volete denaro, eccolo (cava la borsa), se volete delle donne, eccole, se volete uomini scemi, eccoli (addita zio Rajmondo), se volete tabacco, domandatelo a zia Sabina, tutto, fuorchè pace.... (Il Cavaliere vuol parlare, ma Antine non glielo permette). Tacete! Se aprite la bocca un’altra volta ve la chiudo con uno straccio. Se parli ancora ti schiaccio come una rana! (Ride dì quel che dice).
Colomba (spingendo Antine, con disprezzo). Va, va e coricati, ubbriacone, va, femminetta, va....
Antine. Io femminetta? Vi farò vedere io se son femminetta o maschietto! Ah, voi congiurate qui? Ma zia Sabina è venuta a dirmelo. Contro l’onore della famiglia congiurate! Ma vi farò vedere che ci sono io, qui! Io farò.... farò.... rispettare l’onore della famiglia! (Grida, balbetta, è rauco: a momenti ride, a momenti diventa cupo. Barcolla. Mostra i pugni all’ospite, ma poi ride di questa sua prodezza). Leoni siamo noi, leoni e non mosche. Tu parli piano, ospite del diavolo, ma io ho le orecchie lunghe.
Zio Mauru (minacciandolo col bastone). Certo, perchè sei un asino. Va, e vergognati, va e coricati.
Antine (s’inginocchia davanti al vecchio e si toglie la berretta). Babbo Aras, io m’inchino davanti a voi. Voi siete un santo con la barba, voi siete il Padre Eterno, voi! Dico bene? (Si volge intorno, ride, bacia le ginocchia del vecchio). Nonno mio, io sono una femminetta vile, sono la spina del cuore di mia madre, sono ubbriacone, sì, è vero, ma ora non sono ubbriaco, ve lo giuro.... Sì, io sono un fannullone.... sì, lo so, lo so.... ciò che sono.... io.... (Piange). Ma se la testa è debole, il cuore è grande. È il cuore d’un leone. Iddio ha sbagliato quando fece nascere Colomba e me assieme: mise l’anima del maschio nel corpo della femmina, e l’anima di questa nel corpo mio. Ma anche per me (si solleva, battendosi dei pugni sul petto), anche per me il nemico è il nemico! (Urla). Quando lo vedo, tremo tutto di rabbia, ed il sangue mi vela gli occhi....
Zia Daniela (con amarezza). Ed è perciò che lo fuggi e lo temi!
Antine (s’inginocchia davanti a zia Daniela). Madre mia, perdonatemi: io sono un ubbriacone, e se potessi mi schiaccerei come una rana: ma voi vi siete sbagliata nel mettermi al mondo. Voi siete Maria Santissima, ma vi siete sbagliata.
Il Parente (raschia e sputa). Che una palla ti trapassi la ghetta, Antine; ed io che santo sono?
(S’ode battere al portoncino: tutti tendono l’orecchio; Antine balza in piedi).
Zia Sabina (gridando, dalla porta). Chi è? (Nessuna risposta).
Zio Mauru. Non aprite il portoncino: chi vuole entrare passi dall’altro portone.
(Battono ancora).
Zia Daniela. Antine, va a vedere chi è.
Antine (traballa, ha paura). Datemi un fucile; datemi uno spiedo: voglio sparare, voglio infilarli....
Pedru. Vado io; non c’è bisogno di tanto armamento.
Zio Mauru. Sarà qualche mendicante.
(Pedru esce, seguito da zia Sabina: Colomba guarda alla porta: tutti hanno una vaga paura).
Il Cavaliere. E voi vivete sempre in queste ansie? E voi avete paura anche quando, la sera, qualche mendicante batte alla vostra porta? E con tutto ciò rinunziate alla pace?
Antine (all’ospite, violentemente). Tacete, perdio! Io sono un ubbriacone, e posso essere ubbriaco anche ora.... ma le vostre parole mi richiamano in me. Tacete, se non volete che vi manchi di rispetto!
Il Cavaliere. Più di così? Pazienza! Cristo sofferse di più!
Antine. Perdonatemi; ma voi sapete già che certe parole qui non si devono pronunziare. Non vedete la macchia di sangue che arde su questo focolare? A voi pare fuoco, ma è sangue....
Il Parente. O vino....
Zia Sabina (rientrando). È un vecchio mendicante di passaggio, che augura buona notte agli sposi.
Antine. Ah, aspetta, rana! Credete che sia davvero un mendicante? Se lo è, peggio per lui! (Esce nel cortiletto: s’odono grida).
Zia Daniela. Dio mio, che è?
Colomba (dalla porta). Quel diavolo di Antine; ha dato una moneta al povero, ed ora lo bastona.
Zio Rajmondo. Ah, egli è ben nipote di zio prete! (Pedru rientra, trascinando Antine che ride rumorosamente).
Zio Mauru. Come sei vile, nipote mio! Hai bastonato un povero, un viandante; l’immagine di Gesù Cristo.
Maria. Chissà che non fosse davvero Gesù? Ah, fratello mio, tu mi hai rovinato!
(Tutti ridono, tranne zio Mauru).
Il Cavaliere (a zio Mauru). Io esco, ora: avete qualche cosa da dirmi?
Zio Mauru. Dio la guidi.
Zio Rajmondo (dà una gomitata ad Antine. Piano). Egli va dal nemico!...
Antine (cessa di ridere, si drizza fieramente e non sembra più ubbriaco). Sentite una parola, vossignoria. Non crediate che io abbia scherzato, o che il vino abbia affogato del tutto la mia ragione. Tutto a suo tempo. Io sarò vile, ma anche la lepre, offesa, si difende. Sentite, ospite, non immischiatevi oltre nei nostri affari: non pentitevi d’essere venuto qui!
Il Cavaliere. Fanciullo, con te parlerò domani. Se vuoi.... uccidimi pure! (Sorridendo). Gesù morì sulla croce per insegnare agli uomini che dovevano amarsi.
Zio Rajmondo. Zio prete diceva che Gesù morì invano perchè gli uomini si odiano ancora!