Monete medaglie e sigilli dei principi Doria/Capo III
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Zecche dei Doria
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CAPO III.
ZECCHE DEI DORIA
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Vedemmo come i Doria avesser dall’ Imperator Carlo V. coi Feudi dei Fieschi i privilegi ch’essi godevano, e tra gli altri quello principalissimo della Zecca: ci resta ora ad indagare a qual epoca usassero di esso ed in quali luoghi.
Egli sembra, che i documenti delle Zecche liguri, compresa la Genovese, abbiano tutti incontrata la sventura di cadere in mani ignare o sacrileghe; perché, mentre abbiamo dovizia di carte spettanti ad imprese antichissime, ed all’epoche più remote, poco o nulla ci vien fatto di trovare nei pubblici, e nei privati Archivi sulle monete. Per quelle dei Doria io non tralasciai ricerche di sorta, ed il lettore vedrà quanto poco mi fa dato raccogliere.
Il Principe Giovanni Andrea I, per i fatti del 15751, soprannominato Conservator della Patria, sembra che sul cadere del secolo XVI prendesse per il primo a far battere monete nei suoi Feudi. Infatti, allorché a’ 12 dicembre 1594 inviava il figlio suo Don Carlo a Madrid per ottenere varii privilegi, chiedeva che le monete d’oro e d’argento di giusto peso, che egli faceva battere ne’ suoi Stati, avessero libero corso nei Regni di Sua Maestà (V. Doc. IV.). Del Principe stesso non abbiamo però che uno Scudo ed un Ducatone, de’ quali daremo la descrizione nel capo seguente, ed i proclami o gride, che faceva pubblicare la Repubblica genovese sul valore e corso delle monete, hanno memoria per la prima volta sotto il 2 giugno 1602 dello Scudo e Ducatone del Principe Doria e spezzati o frazioni di essi, nè ci parlano di monete d’oro.
ZECCA DI LOANO
La Zecca più antica dei Doria sorse in Loano, terra nella Riviera occidentale con titolo di Contea. I Doria l’avevano ottenuta nel 1263 in Feudo dal Vescovo di Albenga Lanfranco di Negro (V. doc. II.); la cessero ai Fieschi per scudi 1000, come afferma il Federici, nel 1500 (Dizionario storico Ms. della Biblioteca della R. Università di Genova, pag. 55, fac. 2.ª); la riebbero dopo l’espulsione dei Fieschi, ed il titolo di Conte di Loano è il primo, che vedesi nelle loro monete.
Nel 1755, allorchè l’Archivio dei Doria era ancora intatto, il Conte Beltrame Cristiani, Gran Cancelliere della Lombardia Austriaca, nativo di Varese Ligure raccogliendo monete e documenti sulle antiche zecche Italiane, onde arricchirne il Gabinetto Imperiale di Vienna, chiedeva informazioni ai Doria sulle loro. Il 14 giugno di quell’anno gli era spedita una relazione sulle Zecche della famiglia, della quale conservasi copia nell’Archivio del Signor Principe Doria Pamphili, che io riporto fra i documenti (V. docum. V). Da essa rilevasi, che nel 1606 venne coniata nella Zecca di Loano, già aperta, una partita di 16197 Soldini da Filippo Isolabuona, Zecchiere del Principe, coll’argento consegnatogli alla bontà di 12 e da lui ridotto ad 11 e 10, e reca in prova il libro lungo dei conti del 1605, carte 121. Non ci dice però quale impronta portassero tali Soldini, nè alcuno potei rinvenirne.
Tale Zecca durò sino al 1640, alla qual epoca la Principessa Donna Polissena Doria-Landi, reggente lo Stato per il figlio ancor minorenne, ne sospese i lavori, come dimostra un ordine a nome di lei spedito da Cesare Pansa a Ventrino Massa, Commissario di Loano, del quale è memoria nell’Archivio della Famiglia.
Nel 1664 venne riaperta, ed il 27 marzo di quell’anno Giorgio Bollero, procuratore della Principessa Donna Violante Lomellini-Doria, la dava in afflitto ad Onorato Blauet di Nizza per anni 4, mercè l’annua pigione di pezzi 1000 da 8 reali, e col patto fra gli altri di fabbricare Doppie del peso e bontà di quelle di Milano, e Scudi d’argento del peso e bontà di quelli di Genova (V. docum. VI).
Molte riparazioni si fecero nella Zecca in quell’occasione, nel tetto specialmente, che, dopo 24 anni di riposo, era assolutamente distrutto. Ai 17 febbraio 1665 il predetto Zecchiere stringeva contratto con Francesco Moretti, il quale obbligavasi di fornire alla Zecca tutto l’argento necessario, perché giornalmente si fabbricassero non meno di pezzi 1000 da 8 reali in monete da 5 soldi, colla pena di pezzi 1000 da 8 reali, se mancasse la provvista.
In Italia intanto, e specialmente nelle Zecche Toscane e di Tassarolo e di Massa (V. docum. XX) era invalso l’uso di battere dei Luigini od Ottavetti, monete Francesi di lega assai inferiore a quella che le gride permettevano per servirsene nel Levante; e quindi il 4 agosto 1665 la stessa Principessa Donna Violante concedeva al predetto Onorato Bleuet, fittavolo della Zecca di Loano, facoltà di battere Luigini, purché non avessero bontà minore di carati 8 argento fino, per ogni libbra (V. documento VIII).
La Principessa volle sperimentare essa stessa il benefizio del commercio dei Luigini od Ottavetti, e perciò, in data 7 gennaio 1666, ordinava allo Zecchiere di batterne a suo conto per la somma di pezzi 6000 da 8 reali (V. docum. IX). La forma del conio dei Luigini era prescritta dalla Principessa il 17 dicembre di quell’anno (V. docum. X). Un busto di donna abbigliata dal diritto, coll’iscrizione Gratior in pulchro virtus, e dal rovescio tre gigli sormontati da una corona ducale o principesca coi necessari ornamenti, a condizione, che non fossero gigli, e l’iscrizione Sanctae sit Triadi laus, erano solamente concessi. Riservavasi però la Principessa la facoltà di cambiare il conio, quando più le talentasse.
Stragrande numero di Luigini battè Onorato Blauet. Una lettera del Commissario di Loano Pietro Battista Arduini (V. docum. XI) affermava al Principe Giovanni Andrea III, che dal 16 febbraio 1665 al 2 aprile 1669 furono coniati Luigini per il valore di settecento cinquanta ad ottocento mila pezzi da otto reali. Né dee recar meraviglia, che sì scarso numero di tali monete ora trovisi, dopo le molte che vennero coniate, ove richiaminsi alla memoria le molte gride, che in ogni parte d’Italia le proibivano, gli ordini e le pene severissime contro coloro che osavano detenerle, e gli uffici pubblici stabiliti per distruggerle.
Il contratto di Onorato Blauet aveva termine col 1667, ma fu prorogato per altri tre anni il 12 gennaio 1668; ed egli obbligavasi a pagare l’annua pigione di pezzi millecinquecento da otto reali di tre in tre mesi. Il 14 dello stesso mese ed anno gli veniva concesso di ridurre a sette carati la bontà dei Luigini.
Non sappiamo sin a qual epoca il Blauet la durasse in Loano; ma certo egli è, che un cotale Monsieur Salinhac nell’anno 1672, per mezzo del Commissario di quella terra, chiedeva al Principe facoltà di riaprire la Zecca, e prometteva di battere monete migliori di quelle, che allor si spendevano; ma la supplica non era esaudita, e da quell’epoca la Zecca di Loano restava chiusa per sempre.
ZECCA DI TORRIGLIA
Torriglia, Marchesato nei Monti Liguri, come dicemmo dava il titolo al primogenito dei Principi D’Oria. Francesco Moretti formava colà una Zecca nel 1665 a proprie spese, col permesso della Principessa D. Violante, che, per mille cinquecento pezzi da otto reali annui, gli concedeva per tre anni facoltà di battere ogni foggia di monete, compresi gli Ottavetti, o Luigini per il levante (V. docum. XII). Unita al permesso è l’indicazione del conio da usare, colle seguenti parole che copio: « Una sorte coll’impronto, e nome del Signor Principe da una parte, e l’arma Doria e Landi, ossia aquila imperiale con l’arma Landi, o pure con l’impresa dei due fiori ed un’aquila dall’altra. Attorno alla quale impresa dei fiori ed aquila siano queste parole: Dominus virtus mea et salus mea. Avvertendo, che il G, che va per prima lettera del nome del Signor Principe, sia fatto in modo di gifra, e discosto dall’I. L’altra con l’impronto della Signora Principessa, e nome espresso con questi caratteri DON. VI: LO. PRINCI. S. VED. DO. da una parte, e la medesima impresa dei due fiori, ed aquila, e figura soprascritta ». Il primo, ed in ispezial modo il secondo di tali coni erano adoperati per contraffare la forma dei Luigini di Francia, e quelli principalmente che portavano l’impronta di Madamigella di Montpensier.
Tanta finzione eccitava gli scrupoli nella delicata coscienza della Principessa D. Violante, che ricorreva perciò ai teologi, onde aver consiglio e riposo. Il 15 settembre 1665 ella scriveva a tal fine al Padre Pier Domenico Pier Dominici della Congregazione di S. Filippo Neri. La forma della lettera, e le risposte del Padre sembranmi sì degne d’osservazione, che qui le riporto. Esse rivelano la strana contraddizione, ch’esisteva nel sentimento religioso di quel tempo, e con quanta grettezza e materialismo, anche i sacri ministri, misurassero i doveri, che ogni uomo ha verso gli altri.
- Molto Rev.do P.re
»L’incontrar sempre in V. R. ogni prontezza a farmi gratia, mi dà confidenza ad essere anche adesso ad incommodarla. si stà sula risolutione di permettere a Zecchieri il battere la moneta, di cui V. R. è già informata e persistono essi di batterla più simile che sia possibile a quella d’Orange, perchè si possa più facilmente smaltire. Perciò pretendono d’imprimervi il medesimo ritratto dell’Orange da una parte, alterando però i caratteri in maniera, che vengano a fare il nome del Principe mio figlio abbreviato. Sebene, perchè vi sia maggior somiglianza con quelli dell’Orange, vogliono scrivere in cambio di jo. And. Gio. And., perchè quello dell’Orange comincia per quella lettera; promettono però di accomodar talmente il G. che sarà piu tosto gifra, che lettera.
» Ma questo è manco male, quel che mi dà maggior fastidio, che vogliono dall’altra parte mettere i tre gigli che sono l’arma dell’Orange, o di Francia, di cui egli è Feudatario, e che egli suole mettere nelle sue monete, con la medesima iscrizione che fa lui, aggiongendovi solamente di più un’ aquila sopra la corona.
» Io ho in questo particolare due dubbj, l’uno spettante alla coscienza, l’altro al pericolo che si potrebbe incorrere di richiamo, e di mortificatione, come che essendo questa casa tanto impegnata con la Spagna, e tanto dipendente dalla Casa d’Austria, io che ne sono al governo facessi, o permettessi, che si stampasse moneta con l’arma di Francia, natione, nemica per ordine e dei Spagnuoli, e degli Austriaci, prego dunque V. R. ad applicarsi alla considerazione dell’uno, e dell’altro colla sua solita attentione e prudenza, e favorirmi di dirne sinceramente il suo senso, acciochè possa una volta liberarmi da questa inquietudine, e per quanto mi premano le presenti strettezze della casa e l’aver quest’huomini, fatte molte spese delle quali resterebbero in perdita, mi pesa però più l’aggravio della coscienza, per minimo che sia, e ’l mettermi a pericolo di richiami e mentre che attendo il più presto che sarà possibile la risposta, le auguro da N. S. ogni maggior bene».
Di Casa 15 settembre 1665.
- D. V. R.
Serva |
Risposta alla precedente (Estratta dallo stesso Archivio del Principe Doria).
- Eccell.ma Sig.ra
«Ho con matura applicatione considerato quanto V. E. mi rappresenta intorno alla maniera del batter le monete dell’Ecc.mo Sig. Principe suo figlio somiglianti a quelle del Principe di Oranges, e concludo che quanto alla coscienza V. E. ne deve star sicurissima, pregandola a levarsi da ogni dubbio, e perchè mi sta sopra la mia coscienza».
Dalla Chiesa nuova li 18 settembre 1665.
D. V. S. Ill.ma et Ecc.ma
Um.e servo nel Signore |
Altra lettera dello stesso Padre (Estratta dallo stesso Archivio).
- Eccell.ma Sig.ra
Pax Xti
«La pace del Signore sia nel cuore di V. Eccell.
Se non fussi in giorno di festa inpedito al confessionario, sarei volato costì a tranquillare con due parole sole le confusioni del suo cuore, il che non sò se mi riuscirà fare con la penna.
Le dico dunque, che in questa moneta, che si fa a similitudine di Madamigella di Monpensier, V. E. hà da salvar la coscienza, metter in cauto il buon governo politico, e satisfar li negotianti, che vogliono far passar queste monete per quelle di Madamigella. Circa la coscienza V. E. è secura, perchè altera la moneta nelle lettere, e nell’arme, e se nelle monete di Madamigella, quali io non hò vedute, ci sono parte delle medesime lettere, che si mettono in quelle di V. E., ciò non ammette scrupolo alcuno purchè non siano totalmente le medesime in totum perche in questo caso vi sarebbe qualche dubbio; volendoci essere qualche alteratione, e ogni poca basta per salvar la coscienza, quelli due V. V. vogliono dir più Vedova, che sovrana, e nella moneta di Madamigella, mi dissero che per estensum vi sta scritto Sovra, sichè non ci possono stare li medesimi de V. V. come in questa di V. E. non possono dire Vedova. V. E. se ne dorma pur quieta sopra di me, potendovisi aggiungere un L, il che forse sarebbe di sommo piacere a cotesti sig.i facendo le lettere più somiglianti all’originale di Madamigella. Circa le ultime due silabe, De Do essendo il nome di V. Ec. posto in volgare e non in latino, possono benissimo difendersi, circa la coscienza, non importando, che siano ancora in quella di Madamigella, anzi vi è fatto perchè in essa vi è similmente De Do, correndo la stessa parità del Geifrato che vi pone davanti al I O delle monete del Sig. Principe. Circa poi la politica queste monete hanno da passare per quelle di Madamigella, che tale è l’intentione di V. E. e de’ Sig. Negozianti; di modo che chi non saprà il secreto, crederà che queste monete siano a dirittura di Madamigella di Monpensier, che è quello che si pretende, e chi rinvenisse, che sono della Zecca di V. E., saprà ancora che sono state fatte a similitudine di quelle, siche non sò vedere dove V. E., e la sua estimatione possa correr pericolo di derisione. Prego pertanto V. E. per la misericordia di Gesù Cristo a quietarsi del fatto sopra la mia coscienza, assicurandola da Sacerdote del Signore che deve farlo con ogni riposo di mente; non avendo io in ciò altra mira che la sua quiete, e dal grado, nel quale sono stato posto da S. D. M. può argumontarne quanto lo desideri, e mi prema.
Se da questa non rimane del tutto tranquilla, non manchi oggi un poco più tardi di ieri mandarmi a chiamare che verrò subito, frà tanto non si mova a novità alcuna, e si quieti tutta nella piaga del costato di Giesù Cristo, dove la lascio, e nel suo nome la benedico».
Dalla Chiesa nuova.
- D. V. S. M. et Eccell.
M. Servo nel Signore |
Malgrado però le ragioni del dotto Padre Pier Dominici, e la prontezza, colla quale egli si assume ogni scrupolo per liberarne la buona dama, altri teologi giudicavano in ben altro modo. Il P. Noceti consigliò la Principessa a cambiare il conio delle monete, onde fosse difficile confonderle con quelle di altri Principi, e le mostrò la necessità di far mantenere dai Zecchieri la bontà intrinseca dell’argento, che comunemente era uso conservare. Infatti poco dopo i gigli erano cambiati in alabarde col motto: Simul tutantur, et ornant, ed al dritto delle monete era prescritta un’immagine di donna col motto: Pulchra virtutis imago.
Presso il Signor Principe Doria rinvenni il ponzone di quest’ultima forma, ed onde il lettore non ne resti privo lo collocherò nella tavola IV.a.
Non i soli Doria adottarono però questa figura. Il Viani la riporta nella tavola XIV n. 2, della sua opera Memorie Della Famiglia Cybo, E Della Moneta di Massa, di Lunigiana, come usata da quella famiglia; diversa è però l’epigrafe del rovescio, e vi si legge invece: TRES . SECURES . BONIT . UNC . QUINQ .
Una nota, ch’estraggo dall’Archivio del Sig. Principe Doria, ci dà la bontà degli ottavetti o luigini fabbricati nella Zecca di Torriglia dall’ottobre 1667 al 1668. Essi arrivano alla somma di 7910, e se ne veggono anche della bontà di 5. La inserisco tra i documenti.
Il contratto col Moretti venne annullato il 23 maggio 1667, e la Zecca fu affidata a Cristofaro Eicolser per tre anni e mezzo, mercè l’annua pigione di pezzi 1800 da otto reali. È da quell’epoca, che la Zecca di Torriglia cessò di esistere.
Oltre le due principali Zecche di Loano e Torriglia, altre di minore importanza ne sorsero nei Feudi dei Principi Doria, che o furono solamente costrutte, o che per breve tempo coniarono monete. Credo utile l’enumerarle, e perchè i cultori della numismatica ne abbiano contezza, e perchè la memoria di esse non perdasi.
ZECCA DI LACCIO
Paris Tasca a 22 dicembre 1668 otteneva dalla Principessa D. Violante facoltà di costrurre una Zecca in Laccio nelle dipendenze di Torriglia, del quale comune quella terra è ora frazione. Vi si dovevano coniare ottavetti, o luigini per anni due, ed il Tasca obbligavasi a pagare pezzi annui 1500 da otto reali di fitto. Se il contratto avesse esecuzione, nessun documento lo prova.
ZECCA DI MONTEBRUNO
Altra Zecca concedeva la Principessa D. Violante a Paolo Valderone, ed a Giorgio Avanzino nel luogo di Montebruno, terra a due ore e un quarto all’est da Torriglia alla sinistra del torrente Brigneio, o Brigneto. Scopo di essa era la fabbrica degli ottavetti, o luigini, ed il fitto i soliti millecinquecento pezzi da otto reali.
ZECCA DI S. STEFANO
Bartolomeo Pareto di Lorenzo a 15 settembre 1668 otteneva dalla Principessa D. Violante permesso di costrurre una Zecca nel borgo di S. Stefano d’Aveto, 15 miglia distante da Chiavari. Il Principe Giovanni Andrea I, avea comprato nel 1592 quel feudo da Gian Battista Doria, che n’era Marchese come può vedersi nel Lunig, Codex ltaliae Diplomaticus, vol. II, pag. 2411. La locazione durò breve tempo, e tra le carte delle Zecche dei Doria trovo una ricevuta del 7 marzo 1683 per pezzi 400, che il Pareto avea pagato in anticipazione all’Agente del Principe.
ZECCA DI CARREGA
È Carrega terra posta alle falde dell’Arpexella, a quattr’ore dalla Rocchetta; ed ivi ancora bramava costrurre una Zecca Giovanni Battista Piangivino. La Principessa pattuiva con lui pezzi 1750 da otto reali annui di fitto, e la locazione durar dovea due anni, cominciando dal 28 gennaio 1669. Gli si permetteva di coniare ottavetti della bontà di quelli di Loano, e doppie altresì, ongari, e monete d’oro d’ogni specie, purchè la bontà loro non fosse inferiore a quella dello scudo d’oro d’Italia. Sembra, che la Zecca fosse costrutta, ma non vi si coniassero monete, sicchè il 30 marzo 1672 il Principe Giovanni Andrea III restituiva al Piangivino pezzi ottocento settantacinque da otto reali, che questi aveva pagato sin dal 14 marzo 1669.
ZECCA DI ROVEGNO
A Giuseppe Vike il 20 dicembre 1668 si permetteva di costrurre una Zecca in Rovegno, borgo sulla destra della Trebbia, lontano tre miglia e mezzo da Ottone. Egli obbligavasi a pagare in fitto pezzi annui duemila da otto reali, e gli si prescriveva una forma speciale per coniare Lioni d’argento a somiglianza di quelli del Belgio. Io la riporto nella tavola IV, ed il contratto tra i documenti.
ZECCA DI GARBAGNA
Non sappiamo se in Garbagna, grossa terra a quattr’ore e mezzo sud-est da Tortona, si battessero monete; certo è che un Domenico Cartasegno otteneva il 14 marzo 1669 licenza di stabilire colà una Zecca, mercè il fitto di pezzi mille settecento cinquanta da otto reali.
ZECCA DI GRONDONA
I Doria sostener doveano grave e lunga lite con Giovanni Giacomo Ginocchio, cui avevano permesso la costruzione di una Zecca nel borgo di Grondona sulla destra del torrente Spointi presso le foci del Rio Dorzogna, a tre ore da Serravalle. Il contratto, stipulato il 3 gennaio 1669, obbligava il Ginocchio a pagare pezzi duemila duecento cinquanta da otto reali; ma, sopraggiunte la proibizione degli Ottavetti o Luigini, e le pene gravissime lanciate da tutti gli Stati contro coloro, che ne battevano, egli chiedeva rifacimento dei danni. Il 10 settembre 1680 terminavasi alla fine ogni controversia tra i Doria e lo Zecchiere Ginocchio, che dai primi riceveva pezzi cinquecento da otto reali.
Questo cenno sulle Zecche del Principe Doria, spero che riuscirà utile a coloro, che, possedendo altre monete di questa Famiglia, oltre quelle che io descriverò nel capo seguente, vorrebbero sapere da quale Zecca siano venute fuori.
Note
- ↑ Chi non è affatto ignaro della storia di Genova, sa che in quell’anno essa fu gravemente agitata dalle discordie tra la nobiltà antica e la nuova, e che Gian Andrea Doria più d’ogni altro si adoperò a sopirle.
- ↑ In questo ed in tutti gli altri documenti, che contiene il volume, seguo l’ortografia e la punteggiatura degli originali, ond’essi presentino coi concetti anche la forma natìa.