Monete medaglie e sigilli dei principi Doria/Capo II
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Andrea Doria, i suoi feudi, il privilegio della zecca
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CAPO II.
ANDREA DORIA, I SUOI FEUDI, IL PRIVILEGIO DELLA ZECCA
Quell’Ansaldo, che, come dicemmo, fu Console di Genova nel 1134, e poi più altre volte, ebbe a figliuoli Enrico, Guglielmo e Simone. Da quest’ultimo discese Nicolò, da lui Emanuele che diè vita a Babilano, padre di Nicolò, e questi di Cattaneo, da cui discese Aitone, padre di Ceva, che da Maria Grimaldi ebbe Francesco, e questi altro Ceva, padre del famoso Andrea liberator della patria1. Egli nacque il giorno di S. Andrea l’anno 1466 in Oneglia; di parte della quale città essendo il padre signore, Andrea ivi rimase sino a’ 18 anni. Partitosi quindi per Roma, da Nicolò Doria, suo parente, capitano della Guardia del Papa, fu fatto uomo d’armi, e servì in quell’esercizio sino alla morte di Innocenzo VIII della famiglia dei Cibo. Federico da Montefeltro Duca d’Urbino l’ebbe per qualche tempo nella sua corte, dalla quale passò a quella del Re Ferdinando d’Aragona. Caduto tal principe, dopo un viaggio a Gerusalemme, fu da Giovanni Della Rovere prefetto di Roma posto a guardia di Rocca Guglielma, che difese valorosamente contro gli Spagnoli, e n’ebbe onori, e lodi grandissime. Allorchè il Della Rovere fu creato Capitano Generale dei Fiorentini, volle Andrea condottiero di cento cavalli leggieri; e, sperimentato il carattere prode di lui e la prudenza, gli piacque, morendo, nominarlo tutore di Francesco Maria suo figliuolo, che ai consigli del Doria dovette la ricuperazione degli Stati lasciatigli dal padre, ed invasi dal fiero Duca Valentino. Fatto prefetto di mare dai Genovesi, diè prova di ardire, e costanza indicibile specialmente contro i Corsari Turchi, che infestavano il Mediterraneo; tolse loro tre fuste presso l’Isola di Gianutti, e quindi presso Pianosa disfece il corsaro Godoli, ed impadronissi di sette dei suoi vascelli, e della stessa persona di lui.
La vittoria degli Adorno sopra i Fregoso, dei quali era caldo partigiano, e le sventure della sua patria obbligarono Andrea a mettersi ai servigi del Re di Francia. Nelle guerre, che questi ebbe a sostenere cogl’Imperiali, lo giovò grandemente: impedì al Duca di Borbone, ribelle della corona, d’espugnar Marsiglia, si rese padrone di Savona per il suo Re, e le genti del Moncada generale dell’Imperatore, ite a ricuperar Varagine, disperse. Le persecuzioni, che il merito vero ed il valore sempre accompagnano, non risparmiarono il Doria; e, vedendosi mal corrisposto dal Re, e pagate le sue genti assai scarsamente, passò al servizio di Clemente VII, che lo fece Ammiraglio con provigione di trentacinque mila scudi annui. Ma ben presto lo stesso Papa, trovandosi alle strette, lo consigliò a ritornare al servizio del Re di Francia, che molto onorevolmente lo accolse, e lo nominò Capitano Generale del mare. Sposò quindi Peretta Usodimare, nipote di Papa Innocenzo VIII, e poco dopo aiutò Cesare Fregoso a scacciare da Genova Antoniotto Adorno; quindi la città passò altra volta sotto la protezione del Re di Francia, che, per ricompensarlo di tanto servizio, lo fe’ Cavaliere dell’Ordine di S. Michele. Il Doria si portò poscia in Sardegna e molto danno arrecò ai nemici di Francia, e Filippino Doria colle galee di Andrea ruppe l’armata imperiale presso Napoli, ed uccise il Moncada, che n’era capitano.
Il Re di Francia non pensava intanto a dare a Genova quella libertà, che il Doria bramava, anzi voleva staccare dal dominio di essa Savona, per così indebolirla. L’Ammiraglio, mal soddisfatto perciò, e perchè ancora gli venivan rattenute le paghe, passò al servizio dell’Imperatore Carlo V; e, dopo aver liberato dall’assedio Gaeta e soccorso Napoli, cacciò i Francesi da Genova, e diede alla Repubblica una forma di governo, che, se non era la più libera che desiderar si potesse, era certo però quella, che Genova poteva allora sostenere, e che le universali condizioni di Europa permettevano2. «So, esclama a questo proposito il venerando Marchese Gino Capponi in una nota ai Documenti di Storia Italiana pubblicati da Giuseppe Molini, che durò quella forma dugento e sessantanove anni con poche mutazioni, ch’ella era sì aristocratica, ma che all’aristocrazia il popolo avea accesso; e la nobiltà non come a Venezia corruppe sè stessa, e spense le pubbliche virtù; e dalla storia di Genova il popolo non disparve mai; anzi egli solo insorse a vendicarsi in libertà, quando ogni rimanente d’Italia nemmeno si ricordava che vi fosse libertà; e Genova meglio che Venezia potè invecchiare onorata, e più decorosamente cadde. Quella Repubblica inferma pigliò per l’opera di Andrea D’Oria buon aspetto e durevole costituzione, e a quel tempo le virtù civili, che tanto decaddero nelle altre parti d’Italia parvero in Genova piuttosto risorgere».
In seguito il Doria rivolse le sue galere contro i Turchi, e presso Tunisi ed Algeri tolse molti legni a Barbarossa; e, recatosi in Levante, espugnò Corone e Patrasso. Fu allora che l’Imperatore lo creò Principe di Melfi, che è nello Stato di Napoli, e l’onorò altresì dell’ordine del Toson d’oro. Da quell’epoca i Doria discendenti da Andrea godono il titolo principesco.
Non lasciò occasione dappoi per sottomettere i Turchi; e quindi, grave per gli anni e le imprese, ritirossi a vivere in patria, ove, onorato da tutti, era qual padre di Genova riguardato. Il solo Gian Luigi Fieschi, desiderando di rendersi tiranno della sua terra natale, spinto da malnati e corrotti uomini, contro il Doria e Genova congiurava nel 1547; Giannettino, cugino ed erede di Andrea, rimaneva ucciso per opera del Fieschi, che nella notte stessa pagava colla vita il fio della sua tracotanza.
Carlo V, il 27 ottobre di quell’anno, donava quasi tutti i Feudi, già posseduti dai Fieschi, al Doria, e lo investiva di tutti i privilegi, ch’eglino godevano, tra i quali principalissimo era quello di batter monete, ottenuto da Guglielmo Re de’ Romani nel 1249 (V. documento I e III), e con Decreto del 12 giugno 1548 dava investitura al Doria dei Castelli e delle Terre di Torriglia, Marchesato nei Monti Liguri, Garbagna, Grondona e degli altri posseduti dai Fieschi per sè e per i suoi discendenti.
Il Doria moriva nel suo Palazzo in Genova il novembre del 1560, e, non avendo figliuoli, istituiva erede Gian Andrea, figlio di Giannettino suo cugino, come vedesi dal testamento, che tra i documenti riporto, onde chiaro apparisca in qual modo da Andrea il Principato, e tutti i Feudi passassero in Gian Andrea e nei successori, che di tempo in tempo usarono, come vedremo, il privilegio della Zecca.
Note
- ↑ Queste note genealogiche estrassi e dall’Albero dei Doria succitato, dall’opera del Battilana sulle famiglie nobili di Genova, e da altri autorevoli manoscritti.
- ↑ Lo scopo di questo mio lavoro non mi permette di fermarmi a trattare, come pur bramerei, della Riforma dello Stato di Genova nel 1528, mal giudicata da molti anche a’ dì nostri. Non pochi importanti documenti su quel tempo io potei raccogliere, che, fatti di pubblica ragione, meglio chiariranno quanto il Doria amasse la patria.