Molto strepito per nulla/Atto quinto
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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ATTO QUINTO
SCENA I.
Dinanzi alla casa di Leonato.
Entrano Leonato e Antonio
Ant. Se conducete lungo tempo tal vita, vi darete da voi stesso la morte: savio non è l’abbandonarsi così in preda al dolore.
Leon. Per carità! cessate; di niun giovamento mi sono le vostre consolazioni. Se volete che ascolti un consolatore, indicatemi un uomo i cui mali eguaglino i miei. Mostratemi un padre che abbia tanto amata sua figlia, e di cui la gioia ch’egli per lei provava sia stata annientata come la mia; e ditegli di parlarmi di pazienza. Misurate la profondità e l’estensione del suo dolore dal mio. I suoi dispiaceri corrispondano ai miei dispiaceri, il suo dolore sia in tutto simile a quello che mi strugge; e se un tal padre acconsente sorridere, e scuotendo la sua grìgia barba, grida: malinconia! va lungi da me; se un padre si trova che metter voglia un grido di gioia, allorchè deve singhiozzare; se dare la sua afflizione con antichi adagi; inebbriare il sentimento dei suo infortunio fra notturni bevitori; da un uomo siffatto mi lascierò consigliare la pazienza. Ma un tal uomo, fratello, non si trova. Gli uomini possono ben dare consigli e conforti al dolore che non sentono; ma se ne provano una sola volta l’amarezza, quei medesimi che pretendevano fornire un rimedio di precetti alla rabbia, incatenare il frenetico con un filo di seta, sperdereil male con vani suoni, e le ansie d’un cuore trambasciato con inutili detti, sono i primi a mutare i loro consigli in impreca zioni di furore. No, no, è mestiere degli uomini il parlar di pazienza a coloro la di cui anima geme sotto il peso del dolore; ma non è in potere dell’uomo l’applicare a se stessi siffatta monde, quando e’ vanno curvi sotto il fardello della sventura. Astenetevi dunque da questi inutili consigli; i miei mali gridanocon voce più alta dei vostri precetti.
Ant. Così ne verrebbe che gli uomini non differiscono in nulla dai fanciulli.
Leon. Non più discorsi, ve ne prego; io sono e sarò sempre di carne e sangue. Non vi fu mai filosofo che potesse con pazienza sopportare un gran dolore di denti, e nondimeno hanno scritto collo stile degli Dei, facendosi beffe del destino e delle ambascie.
Ant. Almeno non rivolgete contro voi solo tutto il danno, e fatene dividere il peso a coloro che v’offendono.
Leon. In ciò il vostro consiglio è ragionevole, ed io lo seguirò. Un sentimento interno mi ammonisce che Ero è calunniata. Claudio e il principe lo sapranno, e ognuno di quelli che la disonorarono.
Ant. Vengono il principe e Claudio con gran fretta.(entrano D. Pedro e Claudio)
D. Pedro. Buon giorno, buon giorno.
Claud. Buon giorno ad entrambi.
Leon. Uditemi, signori...
D. Pedro. Abbiam fretta, Leonato.
Leon. Fretta, signore!... Ebbene, addio. Ora avete fretta?... Sia pure, non vale.
D. Pedro. Non ve la prendete con noi, buon vecchio.
Ant. S’ei potesse sdegnandosi farsi da sè giustizia, qualcuno fra di noi morderebbe la polvere.
Claud. Chi l’offese?
Leon. Tu m’offendesti; tu, uomo simulato. — Non porre la mano sulla tua spada; io non ti temo.
Claud. Maledirei la mia mano, s’ella dovesse dar da temere alla vostra vecchiezza. Fu a caso che la mia mano si posò sopra quest’elsa.
Leon. Arrossisci, giovine, nè mi schernire così. Non sono un insensato o un bravaccio, nè mi cuopro del privilegio dell’età per vantarmi di fatti compiuti da giovine, o di quelli che opererei se vecchio non fossi. Abbi a mente, Claudio, quello che ti dichiaro in viso: tu hai così crudelmente oltraggiata la mia innoconte figlia e me, che sono costretto a deporre la gravità che si addice alla mia pacifica vecchiaia, e a dovere con questi capelli, e affranto dal peso degli anni chiederti la soddisfazione che un uomo deve ad un altro. Ti dico che calunniata hai la mia innocente figlia, è che il dardo della tua calunnia le ha trafitto il cuore, sì ch’ella giace sepolta coi suoi avi in una tomba, oimè! dove la vergogna non dormì mai prima di quella, che la tua vile perfidia sparse sopra di lei!
Claud. La mia perfidia?
Leon. Sì, Claudio; la tua perfidia, lo affermo.
D. Pedro. Il vero non affermate, vecchiardo.
Leon. Signore, signore, proverò che quel ch’io dico è vero sul di lui cuore, s’egli osa accettare la sfida; in onta della sua perizia nello schermire, e della sua gioventù.
Claud. Ritiriamoci; non vuo’ aver nulla a fare con voi.
Leon. Puoi tu rigettarmi così? Tu hai uccisa mia figlia; e se me uccidi, giovine, ucciderai almeno un uomo.
Ant. Due di noi ucciderà, ed uomini almeno, oso sperarlo. Ma non rileva, per ora se ne uccida uno. Vincimi e porta le mie spoglie... Lasciate ch’ei mi risponda. — Vieni, seguimi, giovine; vieni, giovine; vuo’ con uno scudiscio insultarti ad onta della tua arte; quant’è vero che sono un gentiluomo, lo voglio.
Leon. Fratello...
Ant. Tacete. Dio sa che amava mia nipote, ed ella è morta per la calunnia di questi traditori, che son tanto arditi per rispondere ad un uomo come io lo sarei per prendere un serpente pel pungolo. Giovani codardi, vili millantatori!
Leon. Fratello Antonio...
Ant. Taci. E che? Io non li conosco e so quello che valgono. Scioperati essi sono, Rodomonti da taverna, che san far mostra di un vano gergo alla moda, e mentono e adulano bassamente; malvagi schernitori che corrompono e calunniano; che stranamente vestiti simulano un aspetto terribile, e spacciano parole di minaccia e di terrore, facendosi pronti ad esterminare i loro nemici se l’osassero. Tali sono.
Leon. Ma fratello Antonio...
Ant. Via, voi non c’entrate; lasciate ch’io solo mi mescoli di ciò.
D. Pedro. Onesti gentiluomini, noi non provocheremo la vostra collera. Il mio cuore è addolorato per la morte di vostra figlia; ma sull’onor mio! ella non era imputata di nulla che vero non fosse, e di cui non avessimo piene prove.
Leon. Signore, signore...
D. Pedro. Non vuo’ ascoltarvi.
Leon. No? Andiamo, fratello, mi sarà fatta ragione.
Ant. Sì, certo, o qualcuno di noi la sconterà cara.(esce con Leon. Entra Benedick)
D. Pedro. Vedi, vedi: viene l’uomo che mandammo a cercare.
Claud. Ebbene, signore, quali novelle?
Ben. Buon giorno, signore.
D. Pedro. Siate il benvenuto. Giungeste a tempo per interrompere una contesa che stava per succedere..
Claud. Stemmo per aver i nasi tagliati da due vecchi che non hanno più denti.
D. Pedro. Leonato e suo fratello. Che ne pensi tu? Se fossimo venuti alle mani, non so se saremmo riusciti troppo giovani per loro.
Ben. Non vi è mai vero coraggio nel sostener una causa ingiusta. Venni per cercarvi entrambi.
Claud. Noi pure siam corsi qua e là per trovarti; perchè tocchi siamo da una profonda malinconia che vorremmo dissipare. Vuoi usare a ciò il tuo spirito?
Ben. Esso sta nel fodero; vi piace che lo sguaini?
D. Pedro. Forse che lo porti al tuo fianco?
Claud. Ciò mai non si vide, sebben molti vi siano che stanno al fianco del loro spirito. — Ti comanderò di snudarlo, come si dice ai musici: cavate gl’istrumenti dalle custodie per ricrearci.
D. Pedro. Quant’è vero che sono un onest’uomo, egli è ben pallido. — Sei tu malato o in collera?
Claud. Coraggio, amico. Quantunque il dolore possa uccidere un gatto, voi avete bastante spirito per uccidere il dolore.
Ben. Signore; affronterò le vostre celie, se le avventate contro di me. — Pregovi, scegliete un altro soggetto.
Claud. No; porgetegli un secondo bacolo; quello che aveva, si è rotto.
D. Pedro. Per questa luce! ei si muta di più in più; io credo davvero che sia sdegnato.
Claud. Se lo è, sa come volgere il suo cinto1.
Ben. Potrei io dirvi una parola all’orecchio?
Claud. Il Ciel mi salvi da una sfida!
Ben. Voi siete uno scellerato, io non fo beffe... Ve lo proverò nel modo, colle armi, nel giorno e nell’ora che oserete scegliere. — Fatemi ragione, o vi dichiarerò un codardo. Voi avete uccisa una buona fanciulla, e la sua morte deve ricadere tremenda sopra di voi. Rispondetemi.
Claud. (sotto voce a Benedick) Ebbene ci scontreremo, ve lo prometto. — (ad alta voce) Ammanite una lauta mensa.
D. Pedro. V’è forse un banchetto?
Claud. Sì, e lo ringrazio di ciò. Egli mi ha invitato a mangiar una testa di vitello ed un cappone: e s’io non saprò trinciarli con abilità, dite che il mio coltello non val più nulla. — Non vi troverò io anche una beccaccia?
Ben. Messere, il vostro ingegno galoppa bene; esso va con molta grazia.
D. Pedro. Vuo’ narrarti come Beatrice ti lodasse l’altro giorno. Io le dissi che tu eri un bello spirito, ed ella mi rispose che in verità eri un bel spiritino. No; diss’io, è un grande spirito; è vero, diss’ella, un grande e grosso spirito: no, replicai, è un buono spirito; è vero, rispose, perchè non fa male ad alcuno; è un savio, diss’io, che possiede molte favelle; lo credo, disse la fanciulla, poichè ei mi giurava una cosa lunedi sera, che spergiurava il martedì mattina; ha quindi due lingue e due favelle. Così per un’ora frantese le tue virtù, ma alfine conchiuse sospirando ch’eri il più bell’uomo d’Italia.
Claud. Per la qual cosa pianse poscia di cuore, dicendo però che non gliene importava...
D. Pedro. E aggiunse che se non ti avesse odiato mortalmente, ti avrebbe amato con furore. La figlia del vecchio ci narrò tutto.
Claud. Tutto tutto; e inoltre. Dio lo vide quand’egli era nascosto nel giardino.
D. Pedro. Ma quando mireremo noi l’arma del toro selvaggio sulla fronte del selvaggio Benedick?
Claud. Col testo scritto sotto: Qui abita Benedick; l’uomo ammogliato?
Ben. Addio, giovine; voi conoscete le mie intenzioni; vi lascio alle vostre ciancie; fate sfoggio di epigrammi, come i millantatori fan mostra delle loro spade, che però, la Dio mercè, non feriscono mai alcuno. — Signore, vi ringrazio delle vostre tante cortesie; ma d’ora innanzi non verrò più vosco. Vostro fratello, il bastardo, è fuggito da Messina; e insieme con lui avete assassinata una dolce e innocente creatura. Quanto a questo giovine e imberbe conte ci rivedremo con lui; e infino a quel momento lo lascio in pace.(esce)
D. Pedro. Ei parla da senno.
Claud. Sì; e, ve ne fo fede, per l’amore di Beatrice.
D. Pedro. Ti ha egli sfidato?
Claud. Con tutto il cuore.
D. Pedro. Qual bella cosa è un uomo che esce in farsetto e calze, lasciando a casa il proprio acume! (entrano Dogberry, Verges e la guardia con Corrado e Boracchio)
Claud. Quell’uomo è come un gigante per una scimmia: ma una scimmia anche è un dottore per lui.
D. Pedro. Aspettate e abbandoniamo questo soggetto. Medita mio cuore e divien mesto! Non diss’egli che mio fratello era fuggito?
Dog. Venite, mariuolo; se la giustizia non vi doma, ella non avrà mai più buone ragioni da pesare nella sua bilancia. Come voi siete un dannato ipocrita, così vi si vogliono tener gli occhi addosso.
D. Pedro. Che veggo! Due uomini di mio fratello legati! E Boracchio è uno d’essi!
Claud. Chiedete del loro fallo, signore.
D. Pedro. Uffiziali, quale offesa han commessa questi uomini?
Dog. Essi hanno, signore, fatta una falsa testimonianza; di più han detto menzogne; secondamente sono calunniatori; per sesto ed ultimo delitto denigrarono una fanciulla; terzo hanno avverate cose ingiuste; e per conchiudere, sono diabolici mentitori.
D. Pedro. Prima io ti domando che cosa hanno fatto, terzo, ti chieggo qual è la loro offesa; sesto ed ultimo che cosa commisero; e per conchiudere, qual’è l’accusa tua?
Claud. Molto ben ragionato, e secondo la di lui divisione; per verità la dimanda fu fatta a meraviglia.
D. Pedro. Chi avete voi offesi, messeri, per esser così obbligati a doverne rispondere? Questo dotto giudice è troppo arguto perchè lo si possa intendere. Qual’è l’offesa vostra?
Bor. Dolce principe, non permettete che io sia condotto più lungi pel mio interrogatorio; ma ascoltatemi voi, e poscia questo conte mi uccida. Ho delusi i vostri occhi; e la trama che la vostra saviezza non ha potuto discoprire, questi stolti soldati l’han posta in luce. Sono essi che fra le ombre della notte mi hanno sorpreso e udito confessare a quest’uomo, come Don Giovanni, vostro fratello, mi stimolasse a calunniare Ero; come voi andaste nel giardino, e mi vedeste corteggiar Margherita sotto le vesti di Ero; come poi la disonoraste quando doveva farsi sposa. Costoro conoscono tutto il mio delitto, e più mi sarebbe piaciuto espiarlo colla morte, che doverlo minutamente esporre per mia vergogna. Ero è morta per la mia calunnia, e per la falsa accusa del mio signore: io più non desidero che quella ricompensa, che è dovuta ai malvagi.
D. Pedro. Ognuna di queste parole non entra come ardente ferro nelle vostre vene?
Claud. Inghiottii veleno, mentr’ei le proferiva.
D. Pedro. E fu mio fratello, che t’incitò a tal delitto?
Bor. Sì, e che riccamente me ne ricompensò.
D. Pedro. Ei non è che un composto di tradimenti; fuggito è dopo tale scelleratezza.
Claud. Dolce Ero! Ora la tua imagine mi ritorna alla mente colle forme celesti con cui io prima t’amai.
Dog. Via, riconducete il piagnone; il nostro sagrestano devo a quest’ora aver istruito di tutto il signor Leonato. A tempo debito amici, non vi dimenticate di ricordare ch’io sono un ciuco.
Verg. S’avanza il signor Leonato, in compagnia del sagrestano.(entrano Leonato ed Antonio col sagrestano)
Leon. Dov’è lo scellerato? Ch’io ne vegga gli occhi, acciocchè quando incontrerò un altro uomo simile, possa evitarlo. Quale è di questi?
Bor. Se volete conoscere il vostro offensore, guardate me.
Leon. Sei tu l’iniquo, che col tuo alito infernale hai uccisa la mia innocente figlia?
Bor. Sì, io, io solo.
Leon. No, tu non sei tanto malvagio. Te stesso calunnii. Qui sta una coppia d’illustri personaggi (il terzo è fuggito) che ordirono la trama. Vi ringrazio, principi, della morte di mia figlia. Iscrivete quest’azione fra le vostre più rare e più belle. Gloriosa, gloriosa in verità fu tale opera!
Claud. Non so come implorare la vostra pazienza perchè mi ascoltiate, e nondimeno conviene che parli. Scegliete voi medesimi la vostra vendetta. Infliggetemi quella pena che potrete imaginare nel vostro dolore, per punire il mio delitto, sebbene commesso io non l’abbia che per errore.
D. Pedro. Che questo sia vero, lo giuro sulla mia anima: però per dare soddisfazione a questo degno vecchio, mi assoggetto a tutto quello ch’egli vorrà imporne di più rigoroso.
Leon. Non posso comandarvi di far rivivere mia figlia, che ciò è impossibile, e vi prego solo entrambi di bandire dinanzi a tutto il popolo di Messina che ella è morta innocente. — Se il vostro amore (a Claud.) si pasce di qualche commovente pensiero, affiggetelo come epitafio sulla di lei tomba, e scioglietelo in canto alle sue ceneri. — Dimani venite a casa mia; e poichè non è più possibile che siate mio genero, apparecchiatevi a divenire almeno mio nipote. Mio fratello ha una figlia che è quasi l’imagine viva di quella che è morta, ed è l’unica ereda di entrambi: datele quel titolo che avreste dato a sua cugina, e con ciò finisce la mia vendetta.
Claud. Oh generoso vecchio! l’eccesso della vostra bontà mi strappa le lacrime. Accetto l’offerta vostra, e d’ora innanzi disponete dello sfortunato Claudio.
Leon. Onde domani mattina vi aspetterò a casa mia, e mi preudo questa sera congedo da voi. — Quel miserabile sarà confrontato con Margherita, che credo facesse parte dell’iniqua trama, corrotta ella pure dai doni di vostro fratello.
Bor. No, sull’anima mia, ella non vi entrava; ella non sapeva quel che facesse allorchè s’intratteneva con me alla finestra, all’opposto è sempre stata onesta e virtuosa in ogni cosa che ho conosciuta di lei.
Dog. Di più, signore (ciò che non è stato posto in bianco e nero), questo piagnone mi ha chiamato ciuco. Vi prego di sovvenirvene allorchè pronunzierete contro di lui.
Leon. Ti ringrazio delle tue pene, e dei tuoi buoni uffici.
Dog. Vossignoria parla come il più riconoscente e reverendo dei giovani: ringrazio Dio per voi.
Leon. Eccoti per le tue fatiche.
Dog. Dio benedica tal uso.
Leon. Ora ti libero dal tuo prigioniero e ti son grato.
Dog. Vi lascio in compagnia di un insigne mariuolo, che vi prego di ben punire per esempio altrui. Dio conservi Vossignorìa; innalzo voti per Vossignoria, e prego Dio che vi restituisca la salute. Vi do umilmente la libertà di lasciarmi; e se un lieto incontro può desiderarsi. Iddio ve ne astenga. — Vieni, vicino. (esce con Ver. e la guard.)
Leon. A dimani, signori, addio.
Ant. Addio, signori; dimani vi aspetteremo.
D. Fedro. Saremo esatti al ritrovo.
Claud. Questa notte piangerò per Ero. (esce con D. Pedro)
Leon. Venitene voi nosco; vogliamo parlare con Margherita per sapere come ella facesse conoscenza con questo tristissimo uomo. (escono)
SCENA II.
Il giardino di Leonato
Entrano Benedick e Margherita.
Ben. Pregoti, dolce Margherita, cattivati la mia riconoscenza aiutandomi a parlare con Beatrice.
Marg. Scriverete poi un sonetto in lode della mia bellezza?
Ben. Sì, e in istile così alto che niun vivente gli starà sopra; perocchè, per onore del vero, tu ben lo meriti.
Marg. Merito che niun uomo mi stia sopra? Resterò dunque sempre sola?
Ben. Il tuo spinto è alacre come la bocca del veltro; subito morde.
Marg. E il vostro così ottuso come il fioretto di uno schermitore che batte, ma non ferisce.
Ben. Uno spirito veramente maschio, Margherita, non deve ferire una donna: ma ti prego, chiama Beatrice; io ti cedo le armi e depongo lo scudo.
Marg. Datene la spada; gli scudi sono in nostra potestà.
Ben. Se ve ne servite, Margherita, lo dovete far con cautela. La spada è un’arma pericolosa per le fanciulle.
Marg. Corro a chiamar Beatrice che verrà di volo. (esce)
Ben. Così sia. (cantando)
«Dio d’amore
Che in Ciel risiede
Sa se il mio cuore
Trovi mercede...»
Cantando va a dovere; ma in amore... Leandro nuotava bene, Troilo fu il primo che conoscesse il fremito delle passioni, ma di tutta quella schiera di antichi amanti, i di cui nomi sgorgano anche oggi con tanta dolcezza fra gli estri Febei, alcuno non ve ne fu così compiutamente sconvolto come lo sono io ora. Sciagura a me che noi posso provare in versi! cercai di farlo, ma non seppi trovare altra rima a signora che mora, rima incompatibile; per scorno, ho rinvenuto corno, durissima rima; per scuola, fola, rima da ragazzi; rime di niun costrutto. No, io non fui generato sotto un pianeta poetico; io non so amoreggiare col linguaggio dei celesti, (entra Beatrice) Cara Beatrice, vuoi tu venire quand’io ti chiamo?
Beat. Sì, signore, per dipartirmi quando me l’imporrete.
Ben. Oh fermati fino a quel momento!
Beat. La parola è dunque detta; addio. E nondimeno, prima della mia partenza, rimandatemi soddisfatta sull’oggetto che mi ha fatto venire; fu di sapere quello che accadde fra voi e Claudio.
Ben. Soltanto aspre parole; ma lasciate ch’io vi dia un amplesso.
Beat. Aspre parole sono aspro vento, ed aspro vento è aspro alito, e l’alito aspro è nocivo; perciò vuo’ dipartirmi senza amplessi.
Ben. Tu hai tolto alle mie parole il loro vero significato, tanto subdolo è il tuo spirito. Ma forza è ch’io ti dica apertamente che Claudio ha avuta la mia sfida, e ch’io o avrò in breve novelle di lui, lo diffamerò per un codardo. Pregoti ora a narrarmi per quale delle mie cattive qualità t’innamorasti di me.
Beat. Per tutte insieme; perocchè sta in voi una serie di mali così ben contesti, che una sola virtù non potrebbe trovarvi adito. — Delle mie buone qualità quale invece fu quella che vi fece soffrir d’amore?
Ben. Soffrir d’amore; ottimamente! Soffro l’amore in fatti, perchè vi amo mio malgrado.
Beat. Malgrado il vostro cuore, lo credo; oimè povero cuore! se l’irritate a cagion mia, io pure l’irriterò perchè è vostro: amare non potrei quello che il mio amico odia.
Ben. Voi ed io slam troppo saggi per amarci pacificamente.
Beat. Tale confessione non ne è una prova: non vi è un solo saggio fra venti che voglia lodare se stesso.
Ben. Antichi adagi, Beatrice, e buoni solo nei tempi trascorsi. Ora se un uomo non erge la sua propria tomba prima di morire, ei non vivrà più a lungo nel suo monumento degli squilli funebri e delle lagrime della sua vedova.
Beat. E quanto credete che ciò duri?
Ben. Strana dimanda! Un’ora di gridi, e un quarto d’ora di pianti. Perciò è molto dicevole pel saggio (se don verme, la sua coscienza, non gliene impedisce) il bandire da sè le proprie virtù, come faccio io: ma basta per le mie lodi, di cui io stesso tesserò degna testimonianza: — ora ditemi, come sta vostra cugina?
Beat. Molto male.
Ben. E voi?
Beat. Assai male io pure.
Ben. Servite Dio, amatemi ed emendatevi. Vi lascio, perchè sopragiunge qualcuno in gran fretta. (entra Orsola)
Ors. Signora, bisogna che veniate da vostro zio: v’è gran tumulto in casa. È provato che la mia signora Ero fu iniquamente accusata; che il principe e Claudio furono delusi vilmente, e che il fuggito don Giovanni è autore di tutto. Volete venire?
Beat. Ne terrete compagnia per udir tali nuove?
Ben. Vuo’ vivere nel tuo cuore, morire sul tuo seno, essere sepolto ne’ tuoi occhi; e venire di più con te da tuo zio. (escono)
SCENA III.
L’interno di una chiesa.
Entrano Don Pedro, Claudio e seguito, vestiti a lutto con musica e torcie.
Claud. È questo il monumento di Leonato?
Uno del seguito. Sì, signore.
Claud. (leggendo una pergamena) «Vittima di lingue calunniatrici Ero morì, e qui giace: la morte, per riparare l’ingiuria sua, le assicura una fama che non avrà fine. Un oltraggio fatto alla sua innocenza troncò i suoi giorni; ma il sepolcro le rende la sua purità e la sua gloria». Tu epitafio, che affiggo alla di lei tomha, parla ancora per lode sua quand’io sarò muto. — Ora, musici, suonate e cantate il vostro inno solenne.
Inno.
«Perdona, o dea delle tenebre, a coloro che uccisero questa giovine vergine! È per espiare tal colpa ch’essi vengono alla sua tomba ad innalzare questi canti. Oh mezzanotte, seconda i nostri gemiti! Aiutane a sospirare e a piangere nel nostro dolor profondo. Tombe, disserratevi e lasciate errare la di lei ombra; lasciatela mirar le lagrime del nostro profondo dolore».
Claud. Ora abbian pace le tue ossa! Ogni anno rinnoverò questo rito.
D. Pedro. Buon giorno, amici; estinguete i vostri fanali. I lupi han cessato di predare; e la dolce aurora precedente il carro del sole, tinge con macchie grigiastre l’oriente addormentato. Ricevete tutti i nostri ringraziamenti, e lasciateci; addio.
Claud. Buon giorno, signori; ognuno vada per la sua strada.
D. Pedro. Esciamo da questi luoghi; deponiamo questi abiti di lutto, e voliamo alla casa di Leonato.
Claud. Così l’imeneo che si apparecchia riesca per noi più lieto che nol fu quello che ci costrinse a questo trìbuto di dolore!
(escono)
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SCENA IV.
Una stanza nella casa d! Leonato.
Entrano Leonato, Antonio, Benedick, Beatrice, Orsola, il Frate ed Ero.
Il Frate. Non ve l’avevo io detto ch’ella era innocente?
Leon. E così pur sono il principe e Claudio che l’accusavano ingannati da quanto udiste. Ma Margherita merita qualche rimprovero, sebbene le sue intenzioni fossero oneste, come si rileva dall’intero esame.
Ann. Sono ben lieto che tutto sia riescito così.
Ben. Ed io pure, perchè altrimenti dovevo chieder ragione a Claudio di questo oltraggio.
Leon. Figlia, ritiratevi colle vostre donzelle in un’altra stanza, e quand’io vi manderò a cercare, entrate mascherata. Il principe e Claudio mi han promesso di venir da me stamane. — Voi conoscete la vostra parte, fratello; e bisogna facciate da padre alla figlia del fratel vostro, e che ne diate la mano al giovine conte. (escono Beat. ed Ero)
Ann. Ciò farò molto con piacere e con aspetto saldo.
Ben. Uomo del Signore, credo che mi occorrerà il vostro ministero.
Il Frate. In che mai, figlio mio?
Ben. Per incatenarmi o assolvermi in punto di morte; l’uno o l’altro. — Signor Leonato, è vero che vostra nipote mi guarda con occhio d’affetto?
Leon. Fu mia figlia che le prestò quei teneri occhi: nulla è più vero.
Ben. Ed io con occhi d’amore la ricompenso.
Leon. È vista, io credo, che vi fu insinuata da me, dal principe e da Claudio. Ma che cosa volete?
Ben. La risposta, signore, è enigmatica; ma intorno al voler mio, questo è che il vostro consuoni con quello che noi proviamo, e ch’io sia oggi unito a vostra nipote coi nodi di un onorevole matrimonio. — È per tale unione, buon religioso, che chieggo la vostra opera.
Leon. Il mio cuore corrisponde a tal desiderio.
Il Frate. E così l’opera mia. — Viene il principe e Claudio. (entrano Don Pedro e Claudio con seguito)
D. Pedro. Buon giorno a questo bella adunata.
Leon. Buon giorno, prìncipe, buon giorno, Claudio. Noi vi aspettavamo. — Siete voi sempre determinato a sposare la figlia di mio fratello?
Claud. Manterrò quanto dissi, foss’ella anche un’Etiopa.
Leon. Chiamatela, fratello; il religioso è qui pronto. (esce Ant.)
D. Pedro. Buon giorno, Benedick. Che avete voi dunque per mostrar tal faccia di febbraio, così piena di nebbia, di nubi e di tempesta?
Claud. Credo pensi al toro selvatico. Calmatevi, amico, noi doreremo le vostre corna, e tutta Europa sarà lieta di vedervi; come lieta fu un tempo Europa, allorchè il concupiscente Giove si trasformò per suo amore in quella nobile bestia.
Ben. Il toro Giove, signore, ebbe un’amabile giovenca; e forse qualche strano animale di questa specie corteggiò la compagna di vostro padre, e ne trasse un vitello che vi rassomiglia, poichè voi avete il suo muggito. (rientra Antonio colle fanciulle mascherate)
Claud. Vi ringrazio del leggiadro motto. — Ma ecco miglior occupazione. — Qual’è la fanciulla di cui debbo prendere possesso?
Ant. È questa, e ve la do.
Claud. Ebbene, essa è mia. — Vaga donzella, lasciatemi vedere il vostro volto.
Leon. No, non la vedrete finchè non abbiate presa la di lei mano, e giurato dinanzi a questo religioso di sposarla.
Claud. Datemi la vestila mano adunque, e in presenza di questo santo padre mi dichiaro vostro consorte, se voi mi amate.
Ero. (smascherandosi) Allorchè vivevo fui un’altra vostra moglie; e quando mi amavate foste un altro mio marito.
Claud. Una nuova Ero?
Ero. Nulla è più sicuro. Un’Ero morì disonorata; ma io vivo, e quant’è vero che vivo, sono innocente.
D. Pedro. La medesima Ero? Ero già morta?
Leon. Ella stette morta, signore, fino che visse la sua calunnia.
Il Frate. Io posso spiegarvi tutto quello che vi meraviglia. Allorchè la santa cerimonia sarà finita, vi narrerò ogni particolare sulla morte della bella Ero. Intanto rinvenite dalla vostra sorpresa e avviamoci all’altare.
Ben. Adagio, padre. — Dov’è Beatrice?
Beat. (smascherandosi) A questo nome io rispondo: che volete da me?
Ben. Mi amate voi?
Beat. Non più che di ragione.
Ben. Allora dunque vostro zio, il principe e Claudio furono ingannati, poichè mi giurarono che mi amavate.
Beat . E voi amate me?
Ben. Non più che di ragione.
Beat. Dunque mia cugina, Margherita e Orsola furon deluse, fuorchè giurarono che ciò facevate.
Ben. Essi mi giurarono che eravate quasi inferma per amor mio.
Beat. Ed elle giurarono a me, che stavate in termini di morte per l’affetto che nudrivate per me nel cuore.
Ben. Dunque non è vero che mi amiate?
Beat. No, ma vorrei ricompensare la vostra amicizia.
Leon. Su via, nipote, io son sicuro che voi amate questo gentiluomo.
Claud. Ed io giurerei ch’egli è innamorato di lei; perocchè ecco uno scritto vergato di sua mano, un cattivo sonetto escito dal suo cervello, e che s’indirizza a Beatrice.
Ero. Ed eccone un altro scritto da mia cugina, che ho trovato nella di lei saccoccia, e che esprime la sua tenerezza per Benedick.
Ben. Quest’è un miracolo! Le nostre mani stan contro ai nostri cuori! — Ebbene, io vi sposerò, ma per questa luce, non vi sposo che per pietà.
Beat. Nè io vi rifiuto; ma questo bel giorno ne attesto, che non cedo che vinta dall’importunità, e per salvarvi la vita, perocchè mi fu detto che morivate di consunzione.
Ben. Vuo’ chiuderti la bocca. (baciandola)
D. Pedro. Ebbene, come stai ora, Benedick, uomo ammogliato?
Ben. Son lieto di potervelo dire, principe; un intero collegio di belli spiriti non mi farebbe mutar proposito per usar di scherni. Credete voi che molto mi calga di una satira o di un epigramma? No: se un uomo si lascia vincere dagli scherzi altrui, diviene interamente ridicolo. In breve, dacchè sono deciso di ammogliarmi, non mi curo più di tutti i discorsi che far potessero gli uomini contro il matrimonio, e vi esorto a non cruciarmi per quello ch’io stesso avessi potuto dirne, avvegnachè l’uomo è un essere mutabile, e in ciò sta la mia conclusione. — Quanto a voi, Claudio, io era in procinto di farvi una brutta beffa; ma poichè volete divenire mio parente, vivete sano, e amate mia cugina.
Claud. Sperava che avreste rifiutata Beatrice, onde avessi potuto farvi morire celibe sotto il bastone, per insegnarvi ad essere uomo da due faccie; quel che sarete indubitamente, se mia cugina non vi sorveglia assai.
Ben. Via, via, noi siamo amici. — S’intrecci una danza prima di maritarci, affinchè possiamo alleggerire i nostri cuori e i piedi delle nostre consorti.
Leon. Danzeremo dopo.
Ben. Prima, sull’onor mio! suonate, musici. — Principe, tu sei mesto; prendi moglie, prendi moglie: non v’è bacolo più venerabile di quello il di cui pomo è fatto di corno.(entra un Messaggiere)
Mess. Signore, vostro fratello Giovanni è stato arrestato nella sua fuga, e una schiera d’armati lo riconduce a Messina.
Ben. Non pensate a lui fino a dimani, vi darò idea di un bel castigo da infliggergli. — Flauti, incominciate.(danza; quindi escono)
FINE DEL DRAMMA.
Note
- ↑ Ossia, come fare un duello