Molto strepito per nulla/Atto quarto

Atto quarto

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William Shakespeare - Molto strepito per nulla (1598-1599)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto quarto
Atto terzo Atto quinto
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ATTO QUARTO


SCENA I.

L’interno di una chiesa.

Entrano sir Don Pedro, Don Giovanni, Leonato, un Frate, Claudio, Benedick, Ero, Beatrice, ecc.

Leon. Siate breve, frate Francesco; limitatevi al solo rituale del matrimonio, e direte poscia quali siano i loro doveri.

Il Frate. Voi veniste qni, signore, (a Claud.) per isposare questa fanciulla?

Claud. No.

Leon. Per ammogliarsi con lei, padre; venne per ammogliarsi con lei.

Il Frate. Voi venite, signora, per isposare questo conte?

Ero. Sì.

Il Frate. Se qualcuno di voi conosce qualche impedimento segreto che vieti di unirvi, io vi impongo sulle anime vostre di rivelarlo.

Claud. Ne sapete voi alcuno, Ero?

Ero. Nessuno, signore.

Il Frate. Ne conoscete voi alcuno, conte?

Leon. Oserei rispondere per lui di no.

Claud. Oh! che non osano gli uomini? che non possono essi osare? che non fanno ogni dì, inconscii del loro operato?

Ben. A che tali interiezioni? E questa una cosa da ridere?

Claud. Fermatevi, religioso. — Voi, padre di questa fanciulla, mi date voi vostra figlia con volontà libera e di pieno cuore?

Leon. Così liberamente, figlio, come Dio me la diede.

Claud. E che vi ho io da dare, il cui prezzo ricambi questo ricco e prezioso dono?

D. Pedro. Nulla, a meno che non la rendiate a quegli che la possiede.

Claud. Buon principe, voi m’insegnate una nobile gratitudine. Riprendete, Leonato, riprendete la figlia vostra, nè date al vostro amico quest’arancio corrotto; ella non ha che le esteme sembianze dell’onore. Guardatela tutti! Arrossisce come una vergine! Oh! con qual pudore seducente, con qual mostra di verità il vizio [p. 118 modifica]provetto sa coprire le sue gote! Quel rossore non viene esso, come un modesto testimonio, a far fede della sua ingenua virtù? Parlate voi tutti che la vedete; non giurereste da quell’esteriore che ella è anche intatta? Ma no, essa non lo è. Essa ha conosciuto gli ardori di un letto impuro, e il suo rossore prova il suo fallo, non la sua modestia.

Leon. Che intendete voi dire, signore!

Claud. Intendo di non essere accoppiato, e di non unire la mia anima a quella di una impudica conosciuta.

Leon. Caro signore, se avendola sperimentata voi stesso avete vinto le resistenze della sua gioventù e trionfato della sua innocenza...

Claud. Veggo quel che volete dire; se voi avete trionfato di lei, volete dirmi, i suoi amplessi erano rivolti a suo marito. Così potreste palliare la sua debolezza. Ma no, Leonato, io non mai la tentai con una parola troppo libera, ma come un fratello ad una sorella, le mostrai sempre una sincerità modesta, e un amor rispettoso.

Ero. E mi comportai io diversamente con voi?

Claud. Maledetta sia la vostra apparenza, io non vi credo; voi mi sembrate come Diana nei cieli, casta, come il bottone prima di aprirsi; ma il vostro sangue arde di fuochi impuri più di quello di Venere, o di quelle selvaggie e lascive creature che ruggiscono nella febbre dei loro desiderii.

Ero. Claudio, è egli in senno quando parla così?

Leon. Buon principe, non dite nulla?

D. Pedro. Che potrei io dire? Rimango confuso e disonorato dalle cure che mi son prese per unire il mio amico ad una vile cortigiana.

Leon. Codeste parole sono esse realmente profferite al mio orecchio, o deluso rimango io da un sogno?

D. Gio. Esse lo sono realmente, signore, e i fatti son veri.

Ero. Veri! Oh mio Dio!

Ben. Qui non è più question di nozze, a quel che sembra.

Ero. Veri! Oh mio Dio!

Claud. Leonato, sto io qui? È questi il principe e quegli suo fratello? Questa fronte è ella di Ero? e abbiam noi l’uso dei nostri occhi?

Leon. Tutto è così; ma che volete inferirne?

Claud. Lasciatemi muovere una dimanda a vostra figlia, e per quel potere paterno e naturale che avete sopra di lei, comandatele di rispondermi sinceramente. [p. 119 modifica]

Leon. (a Ero)Io te l’impongo come mia figlia.

Ero. Oh Dio proteggimi! Come sono attorniata di nemici! A che vengo io obbligata?

Claud. A mostrarvi degna del vostro nome.

Ero. Questo nome non è egli Ero? Chi può oscurare tal nome con un giusto rimprovero?

Claud. Ero stessa può con una parola annientare la virtù di Ero. Qual uomo stava parlando con voi la notte scorsa, alla vostra finestra, fra mezzanotte e un’ora? Se casta siete, rispondete a tal dimanda.

Ero. A quell’ora, signore, io non parlava con alcuno.

D. Pedro. Il titolo dunque di vergine non è più vostro. Mi duole, Leonato, di dover ciò dire: ma sull’onor mio, io, mio fratello e questo oltraggiato conte l’abbiam veduta e intesa la notte scorsa. All’ora che abbiam menzionata ella parlava dal suo cerone con un vil mariuolo, che con impudente franchezza confessava di averla mille volte posseduta.

D. Gio. Le colpe sue sono tali da non potersi dichiarare, e la lingua non ha espressioni abbastanza velate per descriverle senza scandalo, o per farle sospettare. Mi duole adunque, bella fanciulla, delle vostre pecche notturne.

Claud. Oh Ero! qual prodigio non saresti tu stata, se la metà delle grazie e delle virtù che splendono sui tuoi lineamenti, fossero state nel tuo cuore! Ma addio! troppo vile... e troppo bella... addio fanciulla divina e pura agli occhi, ma impara ed empia nell’anima! Tu sarai cagione ch’io chiuderò tutte le porte del mio cuore all’amore, e che il sospetto veglierà sospeso sulle mie pupille, per iscrutare il male nella beltà; nè mai più la beltà troverà grazia al mio cospetto.

Leon. Di tutti i vostri pugnali non ve n’ha alcuno che abbia una punta per me? (Ero sviene)

Beat. Oimè, cara cugina! Voi soccombete!

D. Gio. Venite, ritiriamoci: le sue colpe svelate le han tolto i sensi. (esce con Don Pedro e Claudio)

Ben. Come sta ella?

Beat. È morta, io credo;... aiutatemi, zio;... Ero! Ero!... Zio! Signor Benedick... Buon padre!

Leon. Oh destino, non ritirare la tua grave mano da lei! La morte è il velo più propizio che possa desiderarsi per la sua vergogna.

Beat. Cugina; cugina Ero!

Il Frate. Riconfortatevi, donzella. [p. 120 modifica]

Leon. Riapri tu gli occhi?

Il Frate. Sì; e perchè nol dovrebbe?

Leon. Perchè? Ogni cosa della terra non grida essa vergogna sopra di lei? Può ella negare un delitto che il suo sangue dichiara? Oh! non tornare in vita, Ero, richiudi gii occhi. Perocchè se potessi pensare che tu non dovessi in breve morire, se credessi in te il principio della vita più forte, che il sentimento della tua onta, io stesso, venendo in soccorso de’ tuoi rimorsi, mi udrei a loro per recidere il filo della tua esistenza. — Oimè! ed io mi affliggevo per non avere che una figlia..... e rimproverava la natura d’essere stata troppo avara per me nella distribuzione de’ suoi doni! Ma troppo è una figlia! Perchè ebbi io una figlia? Perchè fosti tu mai amabile a’ miei occhi? Perchè con mano pia non raccolsi io piuttosto su la mia porta e non adottai la figliuola di qualche mendico? Se ella si fosse così contaminata e tuffata nel disonore, avrei potuto consolarmene, dicendo: «non è parte di me; tal vergogna procede da un sangue sconosciuto». Ma la figlia, la figlia mia, ella che tanto amavo, che laudavo continuamente; mia figlia di cui ero così superbo, che obbliando me stesso, non mi tenevo più in conto di nulla, e non mi gloriavo che in lei... Oh! ed ella è caduta in un tale abisso di fango, che tutti i flutti dell’oceano non potrebbero detergerla, nè tutto il sale ch’esso racchiude impedire la corruzione della sua carne contaminata.

Ben. Signore, signore, calmatevi: per me son sì impetrito dallo stupore che non so che dirmi.

Beat. Sulla salute della mia anima! mia cugina fu calunniata.

Ben. Signora, dividevate voi il suo letto la notte scorsa?

Beat. No, lo confesso, sebbene da dodici mesi ciò facessi.

Leon. Onta, onta confermata! La spaventosa convinzione che stampata avea già su di me una mano di ferro, s’incide anche più profondamente: due principi vorrebbero forse mentire? Claudio avrebbe egli detto il falso, egli a cui costei fu tanto cara, che parlando del suo fallo, spandeva torrenti di lagrime? Allontanatevi da lei; lasciatela morire.

Il Frate. Ascoltatemi un momento. Io non ho mantenuto per tanto tempo il silenzio, e non ho lasciato un libero corso a questa scena di sventura, che per osservare questa fanciulla, ed ho veduto mille volte il rossore salire sul di lei volto, e dissiparsi tosto sotto la bianchezza pura di un’angelica innocenza. Un fuoco splendido scintillò ne’ suoi occhi, come per distruggere i sospetti che i principi gettavano sulla sua virginea castità. Trattatemi da [p. 121 modifica]insensato, dìspreszate i miei studi, le mie osservazioni, che col suggello dell’esperienza confermano quanto ho letto; non vi fidate più della mia età, del mio ministero, della illibatezza mia, se vero non è che questa fanciulla è qui vittima innocente di qualche inganno fatale.

Leon. No, mio degno padre, ciò non può essere. Voi vedete che il solo pudore che le rimane è di non voler aggiungere l’orrore dello spergiuro al suo delitto che essa non isconfessa. Perchè cercate voi dunque di coprir di scuse la verità, che si mostra a nudo?

Il Frate. Signora, qual è l’uomo che siete accusata di amare?

Ero. Lo conosceranno coloro che mi accusano; io alcuno non ne conosco: e se v’è uomo ch’io conosca in guisa da patirne la mia modestia, possa ogni misericordia del Cielo essermi rifiutata! Oh! mio padre, provatemi che a ora indebita alcun uomo si sia mai intrattenuto con me, o che la notte scorsa io l’abbia passata in commercio di parole con alcuna creatura, e allora maleditemi, odiatemi, cruciatemi fino alla morte.

Il Frate. Il principe e Claudio sono acciecati da qualche strano errore.

Ben. Due di essi si attengono alle più strette leggi dell’onore; e se ingannata rimase la loro prudenza, la frode uscì dal cervello di don Giovanni il bastardo, il di cui spirito si adopera sempre in ordire scelleratezze.

Leon. Omai non intendo più nulla. Se quel che dicono di lei è vero, queste mani la faranno in brani, ma se oltraggiano il suo onore, il più superbo fra di loro ne risponderà a suo padre. Il tempo non ha ancora tanto attiepidito il mio sangue, l’età non ha ancora così offuscati i miei spiriti, la fortuna non mi è stata finora perversa al segno, e la mia condotta non mi ha ancora privato di amici in modo ch’io non possa, incitatovi da questa causa, riunir le forze del mio corpo, del mio spirito e de’ miei amici, per far scontare a quei barbari sì sanguinoso oltraggio.

Il Frate. Risguardate la cosa con occhio più sereno, e lasciatevi condurre dai miei consigii. I principi, uscendo, han veduta vostra figlia come morta. Nascondetela per qualche tempo a tutti, e annunziate ch’ella è morta veramente; mostrate tutti gli apparecchi del lutto, e sospendete all’antico monumento della vostra famiglia lugubri epitafii, osservando tutti i riti che son proprii dei funerali.

Leon. Qual effetto produrrà tal finzione? che ne risulterà?

Il Frate. Ora vel dico. Quest’espediente ben condotto muterà [p. 122 modifica]la calunnia in rimorso, che è di già un bene; nè qui solo starà tutto il frutto ch’io ne spero. Morta, come noi dobbiamo dichiararla, nel momento stesso in cui si vide accusata, ella sarà dolorata, pianta, scusata da tutti coloro che sapranno la sua sorte: perocchè tale è la natura dell’uomo. Quello che noi abbiamo, nol stimiamo mai, finchè è in poter nostro; ma s’ei ci manca, ne amplifichiamo il valore, e vi discopriamo mille virtù che il possedimento non ci mostrava. Questo avverrà per Claudio. Allorchè saprà che essa fu spenta dalle sue parole, l’imagine di Ero s’insinuerà dolcemente fra le sue meditazioni; e ogni vezzo della di lei persona si offrirà alla sua mente più puro di quando ei realmente li vedeva. Allora piangerà, se mai l’amore si fece sentire a1 suo cuore, e desidererà di non averla accusata, quand’anche credesse alla verità dell’accusa. Lasciamo che tal momento giunga, e siate certo che l’effetto sarà più lieto di quello ch’io potrei congetturare. Se poi anche tutta la mia previdenza dovesse andare smentita, la supposta morte della vostra figlia dissiperà il romore della sua vergogna, e voi potrete usare del rimedio più conveniente alla sua lesa riputazione, consacrandola alla vita del chiostro, lungi da tutti gli sguardi, e dalle lingue malediche, lungi dai rimproveri e dalla ricordanza degli uomini.

Ben. Signor Leonato, deferite all’avviso di questo religioso. Sebbene voi conosciate la mia prevenzione e il mio zelo pel nostro principe e per Claudio, attesto l’onore, che mi comporterò in questa bisogna con tanta discrezione e integrità, quanta la vostra anima ne spiegherebbe per gl’interessi del vostro corpo.

Leon. Fra le onde di dolore in cui nuoto, il filo più fragile può condurmi.

Il Frate. Il vostro assentimento è saggio: usciamo di qui senza indugi: ai mali estremi estremi rimedii abbisognano. — Venite, donzella; morite per vivere: le vostre nozze non son forse che aggiornate; siate paziente nel soffrire

(esce con Ero e Leon.)

Ben. Beatrice, avete voi pianto finora?

Beat. Sì, e piangerò anche di più.

Ben. Questo io non desidero.

Beat. Non avete alcuna ragione per addolorarvi del mio pianto: esso sgorga libero.

Ben. Da senno io credo che la vostra vaga cugina sia oltraggiata.

Beat . Ah! quanto meriterebbe da me l’uomo che le facesse giustizia.

Ben. Vi è qualche mezzo di compiacervi? [p. 123 modifica]

Beat. Un mezzo ben facile, ma che addimanda un vero amico.

Ben. Può compiere un uomo quanto bramate?

Beat . È opera da uomo, ma non da voi.

Ben. Non vi è nulla ch’io ami come voi nel mondo, non è ciò strano?

Beat. Così strano, come una cosa ch’io conosco: io pure potrei affermare che non v’è nulla che ami al par di voi; ma voi non dovreste credermelo, sebbene non dica una menzogna: io nulla confesso e nulla nego: duolmi per mia cugina.

Ben. Per la mia spada! Beatrice tu mi ami.

Beat. Non giurate per essa e mangiatela.

Ben. Giurerò per essa che mi amate, e la farò trangugiare a quegli che asserisse ch’io non vi adoro.

Beat. Non volete riporvi in gola questa parola?

Ben. Non mai, qual che si fosse la salsa che s’inventasse per lei: protesto che ti amo.

Beat. Ebbene, dunque Iddio mi perdoni!

Ben. Qual’offesa, dolce Beatrice?

Beat. Mi avete rattenuta in buon’ora; stava per dichiararvi che sentivo affetto per voi.

Ben. Fatelo con tutto il cuore.

Beat. Vi amo tanto di cuore che non mi rimane parola per esprimervelo.

Ben. Comandatemi ogni cosa per servirvi.

Beat. Uccidete Claudio.

Ben. Ah.....! non per l’universo.

Beat. Voi uccidete me con tal rifiuto: addio.

Ben. Fermati, Beatrice.

Beat. Son già come partita, sebbene presente ai vostri occhi: voi non sentite amore... no, ve ne prego, lasciatemi andare.

Ben. Beatrice.....

Beat. Voglio partire assolutamente.

Ben. Bisogna prima che siamo amici.

Beat. Vi è più facile l’ardire di essermi amico che quello di combattere il mio nemico.

Ben. È Claudio il vostro nemico?

Beat. Non è divenuto il maggiore degli scellerati, avendo così calunniata, insultata, disonorata la mia parente? Oh foss’io un uomo! Condurla egli stesso all’altare; indugiare fino all’istante della loro unione, e allora con una accusa pubblica, con una calunnia manifesta, con isfrenata rabbia....! oh Dio! fossi io un uomo per divorargli il cuore sulla piazza pubblica! [p. 124 modifica]

Ben. Ascoltatemi, Beatrice.

Beat. Ella aver parlato con un uomo dal verono?... facile cosa in verita!

Ben. Ascoltatemi, Beatrice.

Beat. Povera Ero, oltraggiata, schernita, perduta.

Ben. Beat.....

Beat. Principi e conti! Da senno fu principesca testimonianza; opera da gentiluomini! Oh! per amor di loro fossi io un uomo! oh! avessi un amico che volesse essere uomo per me! Ma la virilità si è disciolta in cortesia, il valore in complimenti, e degli uomini anche più prodi non rimane più che la lingua. Per essere ora valenti come Ercole basta saper mentire, e giurar quindi per autenticare la propria menzogna. Ma tutti i miei voti non potrebbero mutare il mio sesso, e donna resterò per morire di dolore.

Ben. Fermati, buona Beatrice. Per questa mano, io ti amo!

Beat. Invece di giurare per lei, adoprala per amor di me ad un altro uso.

Ben. Credete poi nel fondo della vostr’anima che Claudio abbia calunniata Ero?

Beat . Sì, ne son certa, come certa sono di aver un’anima e un pensiero.

Ben. Basta. La mia parola è data, ed io lo sfiderò. Vi bacio la mano e vi lascio. Su questa mano giuro che Claudio mi darà conto rigoroso della sua opera. Giudicate di me da quello che ne udirete. Ite, racconsolate vostra cugina: io dirò ch’ella è morta. Addio.

(escono)


SCENA II.

Una prigione.

Entrano Dogberry, Verges e il Sagrestano in vesti da camera; la guardia quindi con Corrado e Boracchio.

Dog. Tutta la nostra assemblea è comparsa?

Verg. Uno sgabello e un cuscino pel sagrestano!

Sagr. Quali sono i malfattori?

Dog. Per dir il vero, son io e il mio compagno.

Verg. Sì, ciò è sicuro; noi dobbiamo esaminare.

Sagr. Ma quali sono i trasgressori che debbono esser esaminati? Fateli venir innanzi.

Dog. Vengano innanzi. — Qual è il vostro nome, amico? [p. 125 modifica]

Bor. Boracchio.

Dog. Vi prego di scrivere, Boracchio. — E il vostro, camerata?

Cor. Io sono un gentiluomo, messere, e il mio nome è Corrado.

Dog. Scrivete... il messer gentiluomo Corrado. — Bei cavalierì, servite voi Iddio?

Cor. e Bor. Sì, signore, così speriamo.

Dog. Scrivete ch’essi sperano dì servir Iddio, e scrivete Iddio pel primo; perocchè a Sua Divinità non piaccia che Dio dovesse andar dietro a tali furfanti! — Signori, è già provato che voi siete poco meglio che falsi malandrini; e in breve ciò sarà creduto da tutti. Come rispondete per difendervi?

Cor. Dicendo che tali non siamo.

Dog. Maraviglìoeo e spiritoso amico è costui, ve ne assicuro; ma lo seguirò dappresso. — Avvicinatevi, ora voi: una parola all’orecchio, signore; io vi annunzio che siete riputati dannati malandrini.

Bor. Ed io vi dico, signore, che tali non siamo.

Dog. Bene, separateli. Giuro al Cielo, han concertata insieme la risposta. Avete scritto che tali non sono?

Sagr. Messere, questo non è il modo di esaminarli; dovete chiamar la guardia, per conoscere di che sono accusati.

Dog. Sì, davvero, quest’è la via più spedita. — Venga la guardia. — Amici, io v’impongo in nome del principe di accusare questi uomini.

Guard. Quest’uomo, signore, disse che don Giovanni, fratello del principe, era uno scellerato.

Dog. Scrivete... Il principe Giovanni uno scellerato; è come uno spergiuro. Chiamare il fratello del principe scellerato!

Bar. Messer giudice...

Dog. Pregoti, taci; non mi piace il tuo viso, te ne assicuro.

Sagr. Che gli udiste dir altro?

Guard. Che aveva ricevuti mille ducati da don Giovanni per accusare Ero senza colpe.

Dog. È il più gran furto che mai sia stato commesso.

Verg. Sì, per la messa! tal è.

Sagr. Che v’è altro, amico?

Guard. Che il conte Claudio intendeva, da quanto gli era stato detto, di disonorar Ero dinanzi a tutti, e di non isposarla.

Dog. Oh scellerato! Tu sarai condannato ad un’eterna redenzione per ciò. [p. 126 modifica]

Sagr. E poi?

Guard. Qui finisce.

Sagr. E v’è più di quanto, signori, voi poteste negare. Il principe Giovanni è segretamente fuggito questa mattina; ed è con che Ero è stata accusata e reietta, pel dolore della qual cosa la sventurata è morta. - Messer giudice, fate che questi uomini siano legati e condotti a casa di Leonato; io anderò innanzi per fargli leggere il loro interrogatorio.

(esce)

Dog. Andiamo ai voti sulla loro sorte.

Verg. Siano posti in ceppi.

Cor. Via, stolto!

Dog. Dio della mia vita! Dov’è il sagrestano? Ch’ei scriva, ch’ei scriva che l’ufficiale del principe è uno stolto. — Inetto miserabile! Legatelo.

Cor. Andiamo; tu sei un ciuco, sei un ciuco.

Dog. Non sospetti tu il mio ufficio? Non sospetti la mia età? Oh! che non è egli qui per iscrivere ch’io sono un ciuco? Ma, messeri, ricordatevi ch’io sono un ciuco; e sebbene non sia scritto, nol dimenticate. Tu, malvagio, tu sei pieno di pietà come verrà provato da buoni testimonii. Io sono un uomo saggio; e, che più è, un uffiziale, e, che più è, un possidente, e, che più è, un pezzo di carne così bella come ogni altra di Messina; e mi son uno che conosce la legge, ricco abbastanza, quantunque abbia sofferte molte traversìe; e tale che possiedo due veso ed altri oggetti di splendida bellezza. — Guidatelo via. Oh! così si fosse scritto ch’io sono un ciuco.

(escono)