Michele Strogoff/Parte Seconda/Capitolo III. Colpo per colpo

Parte Seconda - Capitolo III. Colpo per colpo

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Jules Verne - Michele Strogoff (1876)
Traduzione dal francese di Anonimo
Parte Seconda - Capitolo III. Colpo per colpo
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CAPITOLO III.

colpo per colpo.


Tale era ora la situazione reciproca di Marfa Strogoff e di Nadia. La vecchia siberiana aveva compreso ogni cosa, e se la giovinetta ignorava che il suo compagno tanto lagrimato viveva ancora, sapeva almeno che cosa era per colei di cui essa aveva fatto la sua propria madre, e [p. 38 modifica]ringraziava Dio d’averle dato la gioja di poter sostituire presso la prigioniera il figlio ch’essa aveva perduto.

Ma ciò che nè l’una nè l’altra potevano sapere, è che Michele Strogoff, preso a Kolyvan, faceva parte del medesimo convoglio, ed era diretto a Tomsk con esse.

I prigionieri condotti da Ivan Ogareff erano stati riuniti a quelli che l’Emiro custodiva già nel campo tartaro. Questi disgraziati, russi o siberiani, militari o civili, erano parecchie migliaja, e formavano una colonna che si stendeva per molte verste. Fra essi ve n’eran di quelli riputati più pericolosi, ai quali erano state messe le manette e le catene. V’eran pure delle donne, dei fanciulli legati o sospesi alle selle, e spietatamente trascinati sulle strade. Venivano spinti tutti come un gregge umano. I cavalieri che gli scortavano li obbligavano a mantenere un certo ordine, e di tardivi non v’erano se non quelli che cadevano per non più rialzarsi.

Da questa disposizione risultava questo: Michele Strogoff, trovandosi nelle prime file di coloro che avevan lasciato il campo tartaro, vale a dire fra i prigionieri di Kolyvan, non doveva trovarsi a contatto coi prigionieri venuti da Omsk; egli non poteva dunque sospettare in quel convoglio la presenza di sua madre e di Nadia, come queste non potevano sospettare la sua.

Il viaggio, dal campo tartaro a Tomsk, fatto in tali condizioni, sotto le verghe dei soldati, fu mortale per moltissimi, terribile per tutti. Si camminava traverso la steppa sopra una strada fatta più polverosa ancora dal passaggio dell’Emiro e della sua avanguardia. Era stato dato ordine di camminar presto. Le fermate, brevissime, erano [p. 39 modifica]rare. Queste centocinquanta verste da valicare sotto un sole ardente, per quanto fossero percorse rapidamente, dovevano sembrare interminabili!

È una regione sterile quella che si stende sulla dritta dell’Obi, fino alla base di quel contrafforte staccato dei monti Sayansk, la cui orientazione è nord e sud. Solo qualche magro ed arso cespuglio rompe qua e là la monotonia dell’immensa pianura. Non v’ha coltura perchè non v’ha acqua, e fu l’acqua che il più delle volte mancò ai prigionieri, assetati da una camminata faticosissima. Per trovare un affluente sarebbe stato necessario spingersi ad una cinquantina di verste nell’est fino ai piedi medesimi del contrafforte che determina lo spartimento delle acque fra i bacini dell’Obi e dell’Yenisei. Colà scorre il Tom, piccolo affluente dell’Obi, che passa a Tomsk innanzi di perdersi in una delle grandi arterie del nord. Colà l’acqua sarebbe stata più abbondante, la steppa meno arida, la temperatura meno ardente; ma le più strette prescrizioni erano state date al capo del convoglio perchè si recassero a Tomsk per la via più breve, giacchè l’Emiro poteva sempre temere di essere preso di fianco e tagliato da qualche colonna russa che fosse scesa da una provincia del nord. Ora la strada siberiana non costeggiava la riva del Tom, almeno nella sua parte compresa fra Kolyvan ed una piccola borgata chiamata Zabédiero. Bisognava seguire la gran strada siberiana.

È inutile insistere sulle sofferenze di tanti disgraziati prigionieri. Molte centinaja caddero sulla steppa e i loro cadaveri vi dovevano rimanere fino a tanto che i lupi, ricondotti dall’inverno, ne avessero a divorare gli ultimi avanzi. [p. 40 modifica]

Nello stesso modo che Nadia era sempre pronta a difendere la vecchia siberiana, così Michele Strogoff, libero dei suoi movimenti, rendeva ai compagni d’infortunio più deboli di lui tutti i servigi che la sua condizione gli consentiva. Egli incoraggiava gli uni, sosteneva gli altri, si moltiplicava, andava e veniva, finchè la lancia d’un cavaliere non l’obbligasse a ripigliare il suo posto nel luogo che gli era segnato.

Perchè non cercava egli di fuggire? Perchè il suo proposito era oramai fatto, di non lanciarsi cioè attraverso la steppa se non quando essa fosse per lui sicura. Egli s’era ostinato in quest’idea, d’andare fino a Tomsk a spese dell’Emiro, e in sostanza aveva ragione. Vedendo i numerosi drappelli che battevano la pianura sui fianchi del convoglio, ora al nord, ora al sud, era evidente che egli non avrebbe fatto due verste senza essere ripreso. I cavalieri tartari pullulavano, e talvolta pareva ch’essi uscissero da terra, come quegli insetti nocivi che una pioggia d’uragano fa formicolare alla superficie del suolo. Inoltre una fuga in tali condizioni sarebbe stata, se non impossibile, almeno estremamente difficile. I soldati della scorta spiegavano una vigilanza estrema, perchè ne andava del capo per essi se la loro sorveglianza fosse stata presa in fallo.

Finalmente, il 15 agosto, al cader del giorno, il convoglio giunse alla borgatella di Zabédiero, a una trentina di verste da Tomsk. In quel luogo la via raggiungeva il corso del Tom.

Il primo movimento dei prigionieri sarebbe stato di precipitarsi nelle acque di questo fiume; ma i loro guardiani non permisero di rompere le file prima che la fermata fosse ordinata; sebbene [p. 41 modifica]la corrente del Tom fosse quasi torrenziale a quel tempo, essa poteva favorire la fuga di qualche audace o di qualche disperato, e si dovevano prendere le più savie precauzioni di vigilanza. Barche requisite a Zabédiero furono ormeggiate sul Tom, e formarono una catena di ostacoli insuperabili. Quanto alla linea dell’accampamento, appoggiata alle prime case della borgata, fu guardata da un cordone di sentinelle, che era impossibile rompere.

Michele Strogoff, che avrebbe potuto pensare fin d’allora a gettarsi nella steppa, comprese, dopo aver esaminata la posizione, che i suoi disegni di fuga erano quasi impraticabili in tali condizioni, e, non volendo guastare la riuscita, aspettò.

Tutta quella notte, i prigionieri dovevano attendarsi sulle sponde del Tom. L’Emiro, infatti, aveva differito al domani l’entrata delle sue truppe in Tomsk. Era stato deciso di inaugurare con una festa militare il quartiere generale tartaro in questa città importante. Féofar-Kan ne occupava già la fortezza, ma il grosso della sua armata bivaccava sotto le mura, aspettando il momento di farvi un’entrata solenne.

Ivan Ogareff aveva lasciato l’Emiro a Tomsk, dove entrambi erano arrivati la vigilia, ed era tornato all’attendamento di Zabédiero. È da questo punto ch’egli doveva partire il domani colla retroguardia dell’armata tartara. Una casa era stata preparata perchè egli potesse passarvi la notte. All’alba, sotto il suo comando, i cavalieri e fanti dovevano dirigersi a Tomsk, dove l’Emiro doveva riceverli colla pompa propria degli Asiatici.

Appena fu ordinata la fermata, i prigionieri, [p. 42 modifica]stanchi di quei tre giorni di viaggio, in preda ad una sete ardente, poterono dissetarsi e pigliare un po’ di ristoro.

Già il sole era tramontato, ma l’orizzonte si rischiarava ancora delle luci crepuscolari, quando Nadia, sostenendo Marfa Strogoff, giunse sulle sponde del Tom. Entrambe non avevano potuto fin’allora rompere le file di coloro che ingombravano il margine, ed alla lor volta venivano a bere.

La vecchia siberiana si curvò su quella corrente fresca, e Nadia, tuffandovi la mano, la portò alle labbra di Marfa. Poi si rinfrescò alla sua volta, e fu la vita che la vecchia e la giovinetta ritrovarono in quelle acque benefiche.

A un tratto, Nadia, nell’atto di lasciare la sponda, si rizzò, e un grido involontario le sfuggì dal petto.

Michele Strogoff era là a pochi passi da lei! Era lui! Gli ultimi bagliori del giorno lo illuminavano ancora.

Al grido di Nadia, Michele Strogoff aveva sussultato... Ma egli ebbe tanto imperio sopra sè stesso da non proferire parola che lo potesse tradire.

— Eppure, insieme con Nadia, egli aveva riconosciuta sua madre!

Michele Strogoff, a tale incontro inaspettato non sentendosi più padrone di sè, portò la mano agli occhi, e subito s’allontanò.

Nadia s’era slanciata istintivamente per raggiungerlo, ma la vecchia siberiana le mormorò all’orecchio queste parole:

— Rimani, figliuola mia!

— È lui! rispose Nadia con voce rotta dalla commozione. Esso vive, madre! È lui! [p. 43 modifica]

— È mio figlio, rispose Marfa Strogoff; è Michele Strogoff; e tu vedi che io non faccio un passo verso di lui! Fa come me, figliuola mia!

Michele Strogoff aveva provato una delle più violente commozioni che sia dato ad un uomo di provare. Sua madre e Nadia erano là. Queste due prigioniere, che si confondevano quasi nel suo cuore, Dio le aveva spinte l’una verso l’altra nella comune sciagura! E Nadia sapeva essa chi egli era? No, perchè egli aveva veduto il gesto di Marfa Strogoff per trattenerla allora che stava per slanciarsi incontro a lui! Marfa Strogoff dunque aveva compreso ogni cosa e serbato il proprio segreto.

In quella notte, Michele Strogoff fu venti volte tentato di cercare di raggiungere sua madre, ma egli comprese che doveva resistere a quell’immenso desiderio di stringerla nelle sue braccia, di premere anco una volta la mano della sua giovine compagna! La minima imprudenza poteva perderlo, e d’altra parte aveva giurato di non veder sua madre, e volontariamente non la vedrebbe!

Giunto a Tomsk, poichè non voleva fuggire in quella notte medesima, egli si getterebbe in mezzo alla steppa, senza neppure aver abbracciati i due esseri in cui si compendiava la sua vita, e che lasciava in preda a tanti pericoli.

Michele Strogoff poteva dunque sperare che quel nuovo incontro all’accampamento di Zabédiero non avesse conseguenze spiacevoli per sua madre, nè per lui. Ma egli non sapeva che certi particolari di questa scena, per quanto rapidamente si fossero compiuti, erano stati notati da Sangarre, la spia d’Ivan Ogareff.

La zingara era là a pochi passi, sul margine, [p. 44 modifica]spiando come sempre la vecchia siberiana, senza che costei ne avesse sospetto. Essa non aveva potuto vedere Michele Strogoff, che già era scomparso quand’ella si era voltata, ma l’atto della madre che tratteneva Nadia non erale sfuggito, e un lampo degli occhi di Marfa le aveva appreso ogni cosa.

Era oramai fuor di dubbio che il figlio di Marfa Strogoff, il corriere dello czar, si trovava in questo mentre a Zabédiero, nel numero dei prigionieri d’Ivan Ogareff!

Sangarre non lo conosceva, ma sapeva ch’era là. Non cercò essa dunque di scoprirlo, cosa che sarebbe stata impossibile nell’ombra e in quella numerosa folla.

Quanto a spiare di nuovo Nadia e Marfa Strogoff era pure inutile. Evidentemente queste due donne si terrebbero in guardia, e sarebbe impossibile scoprir nulla che potesse tradire il corriere dello czar.

La zingara non ebbe dunque più che un pensiero: avvertire Ivan Ogareff. E perciò lasciò subito l’attendamento.

Un quarto d’ora dopo, essa giungeva a Zabédiero, e veniva introdotta nella casa occupata dall’Emiro.

Ivan Ogareff ricevette subito la zingara.

— Che vuoi da me, Sangarre? le chiese.

— Il figlio di Marfa Strogoff è nell’accampamento, rispose Sangarre.

— Prigioniero?

— Prigioniero.

— All esclamò Ivan Ogareff, saprò almeno....

— Non saprai nulla, Ivan, rispose la zingara, poichè tu non lo conosci neppure! [p. 45 modifica]

— Ma tu lo conosci! tu l’hai veduto?

— Non l’ho veduto! ma ho veduto sua madre tradirsi con un movimento che mi ha rivelato tutto.

— Non t’inganni, tu?

— No, non m’inganno.

— Tu sai l’importanza che io do all’arresto di questo corriere, disse Ivan Ogareff. Se la lettera che gli fu consegnata a Mosca perviene ad Irkutsk, ed è consegnata al gran duca, costui starà sull’avvisato, ed io non potrò giungere fino a lui! Questa lettera io la voglio ad ogni costo. Ora tu mi dici che il portatore della lettera è in poter mio... Non sbagli tu, Sangarre?

Ivan Ogareff aveva parlato con molta vivacità. La sua commozione dimostrava l’estrema importanza ch’egli dava al possesso di quella lettera. Sangarre non fu punto turbata dall’insistenza con cui Ivan ripetè la sua domanda.

— No, non m’inganno, Ivan.

— Ma, Sangarre, vi sono nell’attendamento molte migliaja di prigionieri, e tu dici di non conoscere Michele Strogoff!

— No, rispose la zingara, nel cui sguardo balenò una gioja selvaggia; ma sua madre lo conosce! Ivan, bisogna far parlare sua madre.

— Domani parlerà! esclamò Ivan Ogareff.

Poi egli porse la mano alla zingara, che la baciò senza che in quell’atto di rispetto, proprio delle razze del Nord, fosse nulla di servile.

Sangarre rientrò nell’accampamento. Essa ritrovò il posto occupato da Nadia e da Marfa Strogoff, e passò la notte ad osservarle tutte e due. La vecchia e la giovinetta non dormirono, benchè la stanchezza le opprimesse. Troppe [p. 46 modifica]inquietudini le tenevano deste. Michele Strogoff era vivo, ma prigioniero come esse. Ivan Ogareff lo sapeva, e se non lo sapeva, non l’apprenderebbe forse? Nadia era tutta immersa in questo pensiero, cioè che il suo compagno viveva, lui che essa aveva creduto morto. Ma Marfa Strogoff ve deva più lontano nell’avvenire, e se poco conto faceva di sè medesima, aveva ragione di temer ogni cosa per suo figlio.

Sangarre, che erasi cacciata nell’ombra fin presso alle donne, rimase immobile due ore, porgendo l’orecchio... Ma nulla potè intendere. Per un istintivo sentimento di prudenza, non una parola fu detta fra Nadia e Marfa Strogoff.

Il domani, 16 agosto, verso le 10 del mattino, s’udirono suonare le trombe sul lembo dell’accampamento. Subito i soldati tartari presero le armi.

Ivan Ogareff, dopo aver lasciato Zabédiero, giungeva in mezzo ad un numeroso stato maggiore di uffiziali tartari. La sua faccia era più scura del solito, e i suoi lineamenti contratti indicavano in lui una sorda collera che cercava solo un’occasione di sfogarsi.

Michele Strogoff, perduto in un crocchio di prigionieri, vide passare quell’uomo, ed ebbe il presentimento che qualche catastrofe doveva prodursi, perchè Ivan Ogareff sapeva ormai che Marfa Strogoff era la madre di Michele Strogoff, capitano nel corpo dei corrieri dello czar.

Ivan Ogareff, giunto nel mezzo dell’accampamento, scese da cavallo, e i cavalieri della scorta fecero fare un largo circolo intorno a lui.

In quella s’avanzò Sangarre, e disse:

- Non ho nulla di nuovo a dirti, Ivan! [p. 47 modifica]

Ivan Ogareff rispose solo dando brevemente un ordine ad uno de’ suoi uffiziali.

Subito le file dei prigionieri furono percorse dai soldati. I disgraziati, stimolati a colpi di verghe o spinti coll’asta delle lancie dovettero rialzarsi in fretta e schierarsi sulla circonferenza dell’accampamento. Un quadruplice cordone di fanti e di cavalieri li chiudeva alle spalle rendendo impossibile ogni evasione.

Si fece subito silenzio, e, ad un cenno d’Ivan Ogareff, Sangarre si diresse al crocchio in mezzo a cui stava Marfa Strogoff.

La vecchia siberiana la vide venire, e comprese quello che stava per seguire. Un sorriso sdegnoso apparve sulle sue labbra, poi curvandosi verso Nadia, le disse a voce bassa:

- Tu non mi conosci più, figliuola mia! Qualunque cosa accada e per quanto dura sia questa prova, non una parola, non un gesto. È di lui, non di me, che si tratta!

In quella Sangarre, dopo averla guardata un istante, pose la mano sulla spalla della vecchia.

— Che cosa vuoi da me? disse Marfa Strogoff.

— Vieni! rispose la Sangarre.

E, spingendola colla mano, la trasse in mezzo allo spazio riservato dinanzi ad Ivan Ogareff.

Michele Strogoff teneva le palpebre semichiuse per non essere tradito dal lampo degli occhi.

Marfa Strogoff, giunta in faccia ad Ivan Ogareff, si drizzò, incrociò le braccia ed attese.

— Tu sei Marfa Strogoff? le domandò Ivan Ogareff.

— Sì, rispose la vecchia siberiana con calma.

— Disdici tu quello che m’hai risposto quando tre giorni fa t’ho interrogata ad Omsk? [p. 48 modifica]

— No.

— Dunque tu ignori che tuo figlio, Michele Strogoff, corriere dello czar, è passato per Omsk?

— Lo ignoro.

— E l’uomo che tu avevi creduto di riconoscere per tuo figlio alla posta, non era lui, non era tuo figlio?

— Non era mio figlio.

— E di poi non l’hai tu veduto in mezzo a questi prigionieri?

— No.

— E se te lo mostrassi, lo riconosceresti tu?

— No.

A questa risposta, che dimostrava una risoluzione irremovibile di non confessare niente, s’udì nella folla un mormorío.

Ivan Ogareff non potè trattenere un gesto minaccioso.

— Ascolta, diss’egli a Marfa Strogoff, tuo figlio è qui, e tu devi mostrarmelo subito.

— No.

— Tutti questi uomini, presi ad Omsk ed a Kolyvan, passeranno dinanzi a te, e se tu non designi Michele Strogoff riceverai tanti colpi di knut quanti uomini ti saranno passati dinanzi!

Ivan Ogareff aveva compreso che, quali che fossero le minaccie e le torture a cui potesse sottoporla, l’indomabile siberiana non parlerebbe. Per iscoprire il corriere dello czar egli contava dunque non sopra di lei, ma sullo stesso Michele Strogoff. Egli non credeva possibile che, quando la madre ed il figlio fossero l’uno davanti all’altra, un movimento irresistibile non li tradisse. Certamente s’egli non avesse voluto che impadronirsi della lettera imperiale, avrebbe dato ordine [p. 49 modifica]di frugare indosso a tutti i prigionieri. Ma Michele Strogoff poteva aver distrutto la lettera dopo averne preso cognizione, e se egli non era conosciuto, i disegni d’Ivan Ogareff sarebbero sventati! Non la lettera solamente abbisognava dunque al traditore, ma il portatore medesimo.

Nadia aveva inteso ogni cosa, e sapeva oramai che cosa fosse Michele Strogoff, e perchè avesse egli voluto attraversare senza essere conosciuto le provincie invase della Siberia!

Per ordine d’Ivan Ogareff i prigionieri passarono ad uno ad uno dinanzi a Marfa Strogoff, che rimase immobile come una statua, ed il cui sguardo non espresse che la massima indifferenza.

Suo figlio si trovava nelle ultime file. Quando alla sua volta egli passò dinanzi alla madre, Nadia chiuse gli occhi per non vedere.

Michele Strogoff era rimasto impassibile in apparenza, ma la palma della mano sanguinò sotto le sue unghie che vi s’erano incrostate.

Ivan Ogareff era vinto dal figlio e dalla madre!

Sangarre, che le stava al fianco, non disse che una parola:

— Lo knut!

— Sì, esclamò Ivan Ogareff fuor di sè dal dispetto; le vergate a questa vecchia megera, e finchè essa muoja!

Un soldato tartaro, portando il terribile strumento di supplizio, s’accostò a Marfa Strogoff.

Lo knut si compone d’un certo numero di striscie di cuojo, all’estremità delle quali sono attaccati dei fili di ferro torti. Si crede che una condanna di centoventi colpi di questo staffile equivalga ad una condanna di morte. Marfa Strogoff lo sapeva, ma sapeva pure che nissuna tortura [p. 50 modifica]poteva farla parlare, ed aveva fatto il sacrifizio della sua vita.

Marfa Strogoff, afferrata da due soldati, fu buttata ginocchioni a terra. La sua veste lacerata, mostrò a nudo il dorso. Una sciabola le fu posta dinanzi al petto a pochi pollici. Se mai essa piegasse sotto il dolore, il suo petto doveva essere trapassato da quella punta.

Il Tartaro stava ritto accanto a lei aspettando.

— Avanti! disse Ivan Ogareff.

Lo staffile fischiò in aria...

Ma, prima che avesse colpito, una poderosa mano l’aveva strappato da quella del Tartaro.

Michele Strogoff era là! Egli aveva dato un balzo a quella orribile scena! Se alla posta d’Ichim si era trattenuto quando lo scudiscio d’Ivan Ogareff l’aveva colpito, qui, dinanzi a sua madre, che stava per essere percossa, non aveva potuto signoreggiarsi.

Ivan Ogareff era riuscito.

— Michele Strogoff! esclamò egli.

E facendosi innanzi:

— Ah! disse, l’uomo d’Ichim?

— Per l’appunto, disse Michele Strogoff.

Ed alzando lo knut, percosse forte in viso Ivan Ogareff.

— Colpo per colpo! diss’egli.

— Bravo! Ben restituito! esclamò la voce d’uno spettatore, che andò perduta fortunatamente nel tumulto.

Venti soldati si fecero addosso a Michele Strogoff, e stavano per ucciderlo...

Ma Ivan Ogareff al quale era sfuggito un grido di rabbia e di dolore, li trattenne con un cenno.

— Quest’uomo è riservato alla giustizia dell’Emiro, diss’egli; gli si frughi indosso! [p. 51 modifica]

La lettera dalle armi imperiali fu trovata sul petto di Michele Strogoff, che non aveva avuto il tempo di distruggerla, e consegnata ad Ivan Ogareff.

Lo spettatore che aveva pronunciate le parole a «Bravo! ben restituito!» non era altri che Alcide Jolivet, il quale insieme col suo confratello s’era arrestato al campo di Zabédiero ed assisteva a questa scena.

- Per Dio! diss’egli ad Harry Blount, questa gente del Nord vale qualche cosa! Confessate che noi dobbiamo una riparazione al nostro compagno di viaggio, Korpanoff o Strogoff, che è tutt’uno. Bella rivincita della faccenda d’Ichim!

— Sì, rivincita, infatti, rispose Harry Blount, ma Strogoff è un uomo morto. Nel suo interesse, avrebbe forse fatto meglio a non ricordarsi ancora.

— E lasciar perire sua madre sotto lo knut?

— E credete che abbia migliorato, col suo impeto, la sorte di lei e di sua sorella?

— Io non credo nulla, non so nulla, rispose Alcide Jolivet, tranne che non avrei saputo far meglio ne’ suoi panni. Che sfregio gli ha fatto sulle guancie! Eh! diancine! bisogna pur bollire qualche volta! Dio ci avrebbe messo dell’acqua fresca nelle vene, e non del sangue, se ci avesse voluti sempre imperturbabili!

- Bell’incidente per una cronaca, disse Harry Blount. Se Ivan Ogareff si volesse degnare di comunicarci quella lettera!...

Quella lettera Ivan Ogareff l’aperse rompendone il suggello, dopo di aver asciugato il sangue che gli copriva la faccia. La lesse e rilesse attentamente come se avesse voluto fissarsi bene in mente quello che conteneva. [p. 52 modifica]

Poi, dopo aver dato i suoi ordini perchè Michele Strogoff, strettamente legato, fosse mandato a Tomsk cogli altri prigionieri, prese il comando delle truppe attendate a Zabédiero, ed al chiasso assordante dei tamburi e delle trombe si diresse verso la città, dove l’aspettava l’Emiro.