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michele strogoff

ziava Dio d’averle dato la gioja di poter sostituire presso la prigioniera il figlio ch’essa aveva perduto.

Ma ciò che nè l’una nè l’altra potevano sapere, è che Michele Strogoff, preso a Kolyvan, faceva parte del medesimo convoglio, ed era diretto a Tomsk con esse.

I prigionieri condotti da Ivan Ogareff erano stati riuniti a quelli che l’Emiro custodiva già nel campo tartaro. Questi disgraziati, russi o siberiani, militari o civili, erano parecchie migliaja, e formavano una colonna che si stendeva per molte verste. Fra essi ve n’eran di quelli riputati più pericolosi, ai quali erano state messe le manette e le catene. V’eran pure delle donne, dei fanciulli legati o sospesi alle selle, e spietatamente trascinati sulle strade. Venivano spinti tutti come un gregge umano. I cavalieri che gli scortavano li obbligavano a mantenere un certo ordine, e di tardivi non v’erano se non quelli che cadevano per non più rialzarsi.

Da questa disposizione risultava questo: Michele Strogoff, trovandosi nelle prime file di coloro che avevan lasciato il campo tartaro, vale a dire fra i prigionieri di Kolyvan, non doveva trovarsi a contatto coi prigionieri venuti da Omsk; egli non poteva dunque sospettare in quel convoglio la presenza di sua madre e di Nadia, come queste non potevano sospettare la sua.

Il viaggio, dal campo tartaro a Tomsk, fatto in tali condizioni, sotto le verghe dei soldati, fu mortale per moltissimi, terribile per tutti. Si camminava traverso la steppa sopra una strada fatta più polverosa ancora dal passaggio dell’Emiro e della sua avanguardia. Era stato dato ordine di camminar presto. Le fermate, brevissime, erano