Memorie storiche di Arona e del suo castello/Libro I
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LIBRO PRIMO
SOMMARIO:
Ella è sempre stata difficile cosa per uno scrittore il rintracciare nella caligine dei secoli passati il tempo della fondazione dei luoghi abitati, che ora si chiamano paesi, borghi e città, e lo spiegare la giusta causa donde nacquero i nomi coi quali ora vengono appellati, se mancano i monumenti, e se quelli che esistono non danno almeno per approssimazione un indizio della loro autenticità. Non è stato pure possibile di avere i principii della fondazione e dell’etimologia di alcune fra le più cospicue città. E per verità crediamo, che la stessa Milano la si vuole da alcuni fondata da Belloveso, duce dei Galli, dopo l’espulsione dei Toscani dall’agro insubre, il quale dipoi prese il nome di Gallia Cisalpina1. Da altri favolosamente si pretende originata da due strenui capitani, Medo ed Olano, e che dall’unione di questi nomi sia poi nato quello di Mediolanum2. Chi finalmente crede che siasi costrutta per causa del naturale incremento dei coloni colà adunatisi per la coltivazione di quei fertili terreni; opinione questa la più verosimile di tutte le altre3. Ma nessuno di chi
scrisse su di questa e di tante altre città osò garantire il principio di fondazione, ed il vero motivo che abbia dato luogo a stabilirvi il nome.
Non altrimenti avviene di Arona, paese sicuramente non ignobile, collocato in conosciuta ed utile posizione, non molto discosto da territorii e città celebri per antichità e per istoriche vicende; e benchè questo paese non manchi di quasi indubitabili prove per doverlo credere molto antico, ed essere sempre stato luogo di considerazione, pure non è dato di rimontare all’origine sua, nè di chiarire il come ed il perchè gli sia stato attribuito il nome che porta. Andrea Alciato, scrittore milanese, ne’ suoi manoscritti monumenti riporta delle iscrizioni ritrovate in Arona, e così si esprime: E regione Angleriœ transverbanum oppidum est Alona cum egregie muris arcegue instructum, tum incolarum frequentia celeberrimum; ex eo has ad nos delatas inscriptiones hic congerere consentaneum visum est. Earum prior hac est Herculi sacra his verbis:
HERCULI
SUCCESSOR · PRIMI
MUSCULI · FIL ·
V · S · L · M ·
Nella chiesa della Madonna la seguente:
ELVIO · FULCONIS · F ·
SOLAMÆ · FILI
POSUERUNT · PATRI
Narra di un’altra iscrizione ritrovata su di un piedestallo di lavorato macigno comprovante il tributo d’onore renduto dagli aronesi ad Ercole: Est, dice, in oppido Sancti Gratiniani in Mediolani Ditione, quod Alona dicitur ab urbe Mediolani mil. xxxvii, quod Verbanus lacus aluit. Catteliano Cotta è di sentimento, che questo piedestallo portasse certamente una colonna allusiva a quelle testimonianze e monumenti delle spedizioni che era costume di erigere, e che Ercole infatti erigeva in prova della sua venuta nei paesi da lui trascorsi 4. Nicolò Pacediano nel suo codice MS., depositato nella biblioteca Ambrosiana di Milano, dice, che trovandosi egli presso di Bianca Borromeo nel castello di Arona, e nel visitare che fece l'abbazia di San Graziano, gli vennero sott'occhio due lapidi quadrangolari, sulle quali stavano incise a caratteri antichissimi la prima delle suddette iscrizioni e la seguente:
I · O · M
CAIUS · SENTIUS
THREPTUS
V · S · L · M ·
E riportando in quel codice la forma di dette lapidi, dice essergli sembrate due are votive, come per tali ce le dà il Gruttero, e come anche le iscrizioni istesse dimostrano.
Novara vanta Ercole per suo fondatore, onde da alcuni geografi città di Ercole viene appellata 5. Un monumento certo adunque, eretto ad Ercole in Arona, sembra testimonio parlante della sua antichità. Un altro monumento si osserva nella casa che era l’antica abbadia dei monaci di san Benedetto, ed è un’urna sepolcrale di pietra bigia, portante la seguente iscrizione in fronte:
PRIMITIVES · SECUNDI
PUBBLINI · FIL · VIRI
A · IANUARIA · MATRE
CARISSIMI
A queste iscrizioni poi concordano molte altre rinvenute nei circonvicini paesi. Abbiamo Mercurago, paese al sud di Arona, dove esisteva una lapide incisa a lettere romane mezzo abrose presso la chiesa parrocchiale, che fu ‘poi trasportata, con tante altre di questi contorni, nell’atrio della Canonica della Cattedrale di Novara; ond’è che monsignor Bescapè scrisse 6: Mercuriacum, quem vicum a Mercurio dictum indicat lapis seu parostata lapidea quem apud ecclesiam loci vidimus his incisis literis romanis, cum alia sint consumptæ:
MERCURIO
SECUNDUS
GEMELLI · F ·
······
······
VS · LM ·
In Angera, paese contrapposto ad Arona al di là del lago, molte iscrizioni furono ritrovate ad Ercole, a Giove, ed a Mercurio dedicate. Ad Ispra, di là non molto lontano, ed a Besozzo sono state ritrovate e lapidi ed altri romani monumenti, de’quali fanno fede indubitata Andrea Alciato, Muratori, e Cotta, ai quali rimetto per brevità il lettore. Romane opere noi vediamo nelle vestigia del ponte sul Ticino sotto di Sesto Calende, nelle torri di Sesona, nelle molte tombe ed urne di recente colà rinvenute, da me pochi giorni sono sugli stessi luoghi riconosciute, e delle quali diffusamente tratta il professore Giani 7.
Ma chè andiamo tanto lungi da questo luogo? Il paese di Gattico, già antico castello signoreggiato dai così detti Gattici, conti di Castello, partitanti Guelfi, che smantellato fu nel 1540 da Facino Cane, conte di Biandrate, partitante Ghibellino, dà delle romane memorie. Nell'anno 1849, nel riordinare colà l’altare di quella chiesa plebana, si è rinvenuta una romana lapide scritta come segue, che tuttora sì conserva in una parete del giardino della casa
parrocchiale :
D · M
GP · HER.
MADIONI
M · M · LP ·
MVNDINV · · ·
SEP · P · · ·
SIICVNDV · · · · ·
SYPP ·
ERMAIS
VPP ·
Si sono pure colà ritrovate delle monete romane, e particolarmente nel 1827 una di Faustina sotto le rovine del castello, ed in poca distanza delle urne cinerarie, dei vasi lacrimatorii, delle cataste d’ossa abbrustolite frammiste a fibule, armi antiche, ed altri militari ornamenti.
Borgo Agnello, che al presente non è che un aggregato di cascine, deve essere stato anticamente un luogo di qualche considerazione, rimanendovi tuttavia le vestigia delle porte d’ingresso, delle mura e delle fosse che lo cingevano; e presso la porta che accenna a Gattico, fu non ha guari ritrovata una lapide scritta a lettere romane così dicente:
AMO
INVS
ALBUCI
F ·8
Che più? Una doviziosa raccolta di romane monete, appartenenti agli imperatori Antonino Pio, Commodo, Settimio Severo, Massimiano, Gordiano, di Faustina, di Lucilla, di Giulia Mammea, di Pertinace e di Triboniano, fu scoperta nella vicina terra di Talonno nell’anno 1831, e scopronsi colà di tanto in tanto degli avelli, delle urne cinerarie, che pare sia stato nei tempi antichi un luogo di maggiore considerazione di quello che ora non è. Si vuole che il suo nome indichi un luogo in cui si riscuotevano i tributi, cioè il Teloneo; l'essere però posto in mezzo di estese foreste, che ancora esistevano un secolo fa, mi induce ad opinare diversamente. L'antica torre di Scesé, ed il delubro colà poco discosto sulla strada per Gattico non sono certamente opere tanto posteriori all'era volgare.
Arona adunque, collocata nel mezzo di queste antiche regioni, non poteva al certo restare sconosciuta a quelle tarde età; e se poi aggiungeremo, che in molte epoche, e particolarmente in quella della formazione della strada del Sempione, furono fra i patrii ruderi scoperte delle monete romane di diverso conio, e soltanto nel 1837, escavandosi a piè dello spalto di mezzodì, se ne sono trovate delle altre degli imperatori Massimino, P. A. Germanico, Commodo, Antonino Pio, Gallieno, e di Augusto Germanico, che lo scrittore presso di se conserva, più provata ancora e stabilita resterà l’antichita del luogo. Ed argomentando poi, che essendo stata Milano la sede di varii imperatori romani nel quarto e posteriori secoli, e dichiarata da Costantino la capitale della parte settentrionale dell’Italia, non potevano queste regioni, così a quella metropoli vicine, essere spopolate; e specialmente questa località tanto favorita dallo sbocco del lago nel Ticino, ed al passaggio per l’alpi da un canto, e per il Piemonte dall’altro.
Sono differenti ed assai discordi le opinioni degli scrittori sull'etimologia del nome di Arona, e sull’essere stata costrutta prima o dopo del suo castello. Vi fu chi allegò, che nei passati tempi si chiamasse Alona9, ed appoggiò l’asserzione al di lei stemma, che rappresenta due ali estese, e che col tratto di tempo sia stata denominata Arona dall’essersi cangiata la lettera l colla r per le facili variazioni del dialetto milanese. Si volle che venisse anche appellata Rona con essergli dipoi stata aggiunta la lettera A, e che nato fosse questo nome da quello della Dea Angerona, la quale abbia pure contribuito ad assegnare quello di Angera10. Altri umiliarono questo antico luogo coll’asserire impudentemente, che da tre secoli a questa parte non fosse che un semplice abituro di un mugnaio; altri lo fecero derivare da Aronne, fratello di Mosè, e dai di lui accampamenti; ma è certo, che la maggior parte di quelli che scrissero di Arona o non videro, o non si curarono di esaminare quei monumenti, dai quali avrebbero potuto ricavare lumi per la verità e per la storia relativa. L'asserzione dei primi nulla prova nè per l’etimologìa, nè pel significato, e non è che un'ideale congettura, giacchè lo stemma del paese è stato senza dubbio introdotto dopo la formazione del paese stesso. L’osservazione dei secondi è assurda, e scompare a fronte dei monumenti che si addurranno in seguito. L’allegazione dei terzi è realmente un sogno, poichè Aronne sommo sacerdote, per quanto si ricava dalla storia sacra, visse e morì nell’Asia, senza essere mai penetrato nell'Europa. Guido Ferrario11 dice essere opinione di molti scrittori, che Arona non sia inferiore di antichità a tutti gli altri paesi dell'Insubria, e che sia stata fabbricata dai primi suoi abitatori, cioè dagli Aborigeni, desumendo la sua antichità dal proprio nome, che ritiene per derivato dall’Asia, sull'esempio di altri nomi di paesi e di fiumi dell’Italia che traggono l’etimologìa da nomi asiatici, statigli attribuiti dai primi abitatori che dall’Asia vennero in Europa ed in Italia; recando per esempio, che in Palestina sianvi due castelli chiamati Aronum et Aronensia Castra, e quindi non inverosimile che siasi cotal nome da quella gente qui venuta attribuita a questo luogo. Inutili però sono le congetture, e malagevole impresa è quella di volere più oltre stancare la mente per assegnare un preciso dato all'etimologìa di questo nome, mancando le certe fonti da cui poterlo derivare. Alla discordanza delle opinioni sulla legittimità del nome di Arona fa patente giustizia lo stesso Ferrario nella quarta dissertazione, in cui dice: Legitimum nomen Arone idque passim in publicis, privatisque tabulis atque in historiis legitur.
Arona è posta alle rive del Verbano, che gli bagna le mura dalla parte di levante a cinque miglia sopra l’imboccatura del Ticino. Da mezzodì ha un’amena pianura, che costituisce gran parte del suo territorio, che si estende sino al torrente Vevera. Da ponente è circondata in parte da colline fruttifere, ed in parte dalle linee del forte, che si estendono su di un'alta rupe, e la cingono dal lato di tramontana. Gli scorre in seno nella parte più elevata la grande strada del Sempione, la quale gli dà la comunicazione colle terre e paesi della sponda occidentale del Verbano, coll’Ossola, col Vallese, colla Svizzera e colla Germania; e dall’altra parte le offre l'accesso alle strade per il Piemonte, per il Novarese e per la Lombardia. La comodità della navigazione, che presenta il suo litorale, rende facile il trasporto delle merci provenienti dai suindicati luoghi, e mentre convince della felicità della di lei posizione, gli assicura un costante e fiorito commercio. Il vantaggioso punto su di cui è situata, è forse stato, a mio credere, e giusta il sentimento de’meglio versati, la vera causa dell’origine e del suo incremento, certamente più verosimile delle squisite favole, che si studiano da molti, i quali, scrivendo della patria, non arrossiscono di affiggerle a capriccio i più luminosi principii, smentiti non di rado dai monumenti posteriormente venuti alla luce, abusando spesse volte a man franca delle tenebre dell’antichità venerabile, e della verità, che forma il primo carattere dello storico.
La cronaca aronese è il primo documento che si affacci a chi prende a parlare di Arona. Questo buon manoscritto che si conserva nell'archivio della chiesa di Santa Maria, riferito da molti accreditati scrittori, 12 contiene gli atti e la relazione del martirio di varii santi, ed accenna sotto l'anno 965 la traslazione da Perugia ad Arona dei corpi de’ santi martiri Gratiniano e Felino. La sostanza della narrativa è la seguente: — Adamo (od Amizone, come promiscuamente dalla cronaca e dagli scrittori viene nominato) conte del Seprio, e capitano di Ottone I imperatore, avendo incorse le censure ecclesiastiche fulminate dal Sommo Pontefice Giovanni XII, per avere tacitamente permesso alle sue truppe nella presa di Roma varii disordini, fra i quali l’incendio della chiesa di san Paolo, essendo stato colpito da insolito morbo, che gli rese immobile un braccio, e sentendo il peso di dette censure, risoluto di volersene liberare, si umiliò al Pontefice, e fece in seguito costrurre un monastero in Arona, luogo di suo diporto. Ottenne infatti di essere assolto, e passando da Perugia nel ritorno da Roma, conseguì dal vescovo di quella città (che colla sua mediazione aveva riconciliato all’imperatore) i corpi de’ santi Gratiniano e Felino, che ivi riposavano, e li tradusse da lì a poco tempo ad Arona per decorare il suo monastero. Ivi sta scritto: Ipse autem comes 13 Episcopo de Imperatore fideli animo ut promisit ommia complevit; et tanti thesauri pignora duxit ad Dei dilecta loca, videlicet ad castrum quod Arona dicitur, în quo et cenobium in honore eorum ac Salvatoris Domini construxit juxta ripam laci Majoris. Giunto infatti ad Arona diede principio al proposto monastero, regnando Ottone II, e lo ridusse poi a termine nell’anno 979, avendo dedicato la chiesa del medesimo al Salvatore ed ai Santi suddetti, e posto il monastero sotto l’instituto di san Benedetto14. — La pergamena conchiude il racconto con questa data: Actum anno Dominice Incarnationis dcccclxiii, indictione vii, Regni vero Domini Secundi Ottonis, imperii autem ejus xii. Gioverà quindi osservare non essere altrimenti imputabile che ad errore del copista della pergamena la data della traslazione de’ santi Gratiniano e Felino da Perugia ad Arona nell’anno 965, quando dovrebbe essere del 979. Ognuno può osservare, che nel 965 cadeva la sesta, non la settima indizione; che l’anno xviii del regno di Ottone II cadeva nel 979, perchè venne coronato re l’anno 964, ed era pure l’anno xii del di lui imperio, perchè coronato imperatore nel 967. La traslazione pertanto di detti sacri corpi va stabilita anche secondo l'opinione di chiari scrittori 15 nell’interstizio dell’anno 963, epoca dell'invasione di Roma dalle armi di Ottone I, all'anno 979 dell'era volgare, e come più ampiamente dilucideremo in avanti.
Il secondo documento che dia notizie scritte di questo paese è un antico martirologio manoscritto della chiesa Ambrosiana, che anni sono conservavasi nella biblioteca Archinti di Milano, in cui sotto il giorno primo di giugno si legge: Ipsa die celebratio Sanctorum Finini, et Gratiniani, sub Decio Imperatore in urbe Perusina martirizati sunt. Anno Domini 963 sunt translati ad Aronam juxta lacum Majorem ubi est monasterium. Sebbene questo martirologio sia stato scritto nel secolo xiv, egli però non può essere stato trascritto che da un altro più antico, mentre Beroldo, che scrisse verso l'anno 1450 l'ordine e le cerimonie della chiesa Ambrosiana (della di cui autenticità si serve il chiarissimo Muratori al tomo iv delle antichità d’Italia) annovera la festa de’ santi Gratiniano e Felino tra quelle del 925, nelle quali si corrispondeva agli ebdomadarii, custodi e vecchioni una certa quantita di danaro. Ivi: In sanctorum Filini et Gratiniani Ebdomadariis solidi tres: Custodibus denarii duodecim: Veglonibus denarii decem: Pro calice denarius.
Il terzo documento è l’epigrafe inscritta alla tomba del conte Amizone (ivi chiamato Adamo) riferita da monsignor Abasilica Petri, dai Bollandisti, e dal Marchisio, la quale sebbene non abbia data, concorre però a confermare quanto riferisce la cronaca suddetta. L’epigrafe è la seguente:Membra sub hoc tumulo quiescunt Principis Adœ
Qui quogue dum vixit, clarus in orbe fuit.
Bellator fortis, fortes perterruit hostes:
Mœnia Roma tua, arma timere sua.
Jura dabat terris, que quondam florida cunctis
Hic tibi quod voluit fecit, et indoluit.
Hic Regem dira multis placavit ab ira
Clarus erat cunctis omnibus iste modis.
Hos Perusina Sanctos adduxit ab Urbe:
Et statuit templum hoc in honore Dei.
Fecit cœnobium sub norma tramite dignum:
Sufficiens victum fratribus esse dedit.
Quo Regi Regum valeant servire per œvum,
Et Dominum rogitent, quo sibi det requiem.
È da credersi, che la tomba di questo conte si sarà collocata nella chiesa da lui eretta; ma per le tante variazioni e riforme a cui andò soggetta negli anni posteriori, si sarà smarrita l’epigrafe di cui era fregiata.
Riferiti li documenti che militano a provare che Arona ed il suo castello esistevano prima dell’anno 979, ora ne rileveremo le ragioni. Nello stralcio latino della suddetta cronaca si dice: Duxit ad Dei dilecta loca, videlicet ad castrum quod Arona dicitur. Quest’ espressione sarebbe già abbastanza per se chiara per non ammettere dubbio, che nell’anno 979 esistessero il castello ed il paese; ma perchè si potrebbe muovere questione e porre in ambiguo l’intelligenza del vocabolo castrum, riscontro nelle sottoscrizioni di una pergamena delli 20 giugno 999 di cambio di terreni, seguito tra Arnolfo Arsaghi arcivescovo di Milano, e Lanfredo, secondo abbate del monastero di Arona: signum de manibus Gisemundi de arce Arona16. Quest’espressione è per se stessa bastante a levare ogni controversia, ed a provare l’esistenza del forte; quindi se questo esisteva già nell’anno 979, è forza il dire, che non poteva essere fabbricato in quell’anno stesso, ma che esistesse molto tempo prima, dacchè la costruzione di un forte su di una rupe disastrosa, con triplice recinto di mura d’enorme grossezza, con torri, e magazzini, e sotterranei in ogni parte escavati nella stessa rupe, e con massiccie fabbriche interne, ha certamente portato un lavoro di molti anni. Ma data l’ipotesi che Arona ed il forte nell’epoca dell’anno 979 fossero stati di fresco costrutti, come può stare, che da tanti scrittori di quel tempo si sia omesso di far cenno dell’erezione della migliore fortezza del Verbano, e della fondazione di un nuovo paese, che potevano formare un’epoca non dispregevole della loro storia?
Se fede prestar dobbiamo ad un diploma dell’imperatore Ottone III, dell'anno 999 a 7 maggio, con cui nel donare alla chiesa di Vercelli le possessioni di Ardovino marchese d’Ivrea, figlio di Todone, dichiarato pubblico nemico per avere ucciso Pietro, vescovo di detta città, confermò a Leone, vescovo di quella chiesa, i beni già donati a Liutardo, suo predecessore, dall’imperatore Carlo il Grosso, che regnava nel secolo IX, fra i quali beni sono annoverati Castellum Sancti Angeli in lacu Majore, et abadiam de Arona confirmamus, sicut prœceptum Caroli testatur; sicuramente che Arona e la sua abbadia acquisterebbero più di un secolo di provata antichità. Gli accreditati scrittori Ughelli17 e Muratori 18 nessun dubbio elevaropo sull’autenticità di questo diploma; ed il solo conte Giulini 19 pone in dubbio, che vi possa essere stata fatta qualche aggiunta, o rappresentate delle falsità ad Ottone, e che l’abbadia di Arona non sia mai effettivamente passata in mano del vescovo Leone. Che ciò possa essere avvenuto è probabilissimo per le carte che in appresso riporteremo, le quali dimostrano la assoluta indipendenza in qualunque tempo dell’abbadìa da quel vescovo; ed è pur probabile il predetto dubbio di non avverato possesso, per le tante cause, che molte volte impediscono l’effetto delle concessioni. Ma che l’abbadìa avesse potuto esistere quando Carlo il Grosso nell’886, od in qual più certo anno la donò cogli altri beni al vescovo Liutardo, predecessore del Leone, io non oserei affermarlo, quantunque abbia molta deferenza all’autorità dei suddetti scrittori, che non osarono di contraddirvi. Ad ogni modo però, senza mancare di quella venerazione, che può meritarsi tale documento, avendo noi appoggio a più sicure basi derivanti dai posteriori ed esistenti atti, non ci allontaneremo dalla già esposta epoca, per stabilire quella della fondazione della nostra abbadia.
A meglio convincere della verità del mio assunto pongo in riflesso, che la costruzione di questo castello non può attribuirsi, giusta l'errore comune, ai Visconti, dacchè esisteva già Arona ed il castello ai tempi di Ottone I, nei quali i Visconti non potevano essere che persone private, e non cominciarono ad acquistare pubblico potere, che sotto i susseguenti imperatori Enrico V, Corrado III, Federico I, detto Barbarossa, Enrico VI, sino a Carlo IV, e Vencislao suo figlio e successore nell'impero, al cui soldo fu Gioanni Galeazzo II Visconti, primo investito del titolo di duca di Milano20. E senza più estendermi per comprovare non essere attribuibile ai Visconti l’erezione di questo forte, si ponga mente a quanto scrisse il Denina al capo x, libro iv della sua Storia dell’Italia occidentale, dove annoverando le più distinte famiglie di Milano, fa menzione sotto detto tempo dei Castiglioni, Cattanei, Crivelli, Settala, Lampugnani, Pirovani, Barbavara e Della Torre; quindi dice, che queste cominciarono a figurare nei primi anni di Federico II imperatore di Germania; indi venendo ai Visconti, così si esprime: I Visconti vennero alquanto più tardi. Lo storico però intende di parlare di que’ Visconti che figurarono coi supremi comandi, o per mezzo di grandi signorìe, o con titoli di duca o di vicariì dell’impero, poichè di tale cognome si hanno memorie più antiche del secolo x. Se ne hanno del 884 di Pietro Visconte, che sottoscrisse in Pavia un privilegio dato alla basilica Ambrosiana di Milano dall’imperatore Carlo il Grosso. Del 1037 è celebrato Eriprando Visconte, che trasse dalle carceri di Piacenza Heriberto arcivescovo di Milano. Del 1043 nel privilegio d’immunità dato dall’imperatore Enrico al monastero di san Felice in Pavia; e così di tanti altri di questo cognome, che coprivano civili e militari cariche 21. Si sa che la parola Visconte era titolo di dignità, come sarebbe a dire Vicario del Conte. Quest’ufficio ebbe la sua origine in Milano sin da quando l’arcivescovo ne pretendeva il primato. Ce lo attesta Galvagno Fiamma in questi termini: Vicecomes Mediolani erat Vicarius Comitis, hoc est Archiepiscopi; sub co erant Confanonieri, Advocati, Cattanei, Valvassores..... i quali subordinati impieghi diedero poi luogo ad altrettanti nomi di: famiglie, che tuttodì si conservano; e dalla dignità del Vicario del Conte ne è venuto il cognome, il quale è tanto antico, quanto lo è la stessa dignità di conte, da cui ripete l'origine.
La signorìa di questo potente casato sul lago Maggiore cominciò dall’investitura che il monastero di San Gallo di Costanza fece a Guidone Visconti nell’anno 1142 della Corte di Massino, terra posta sulle colline a cinque miglia sopra Arona, con tutte le sue pertinenze, le quali consistevano nei paesi di Invorio Maggiore e Minore, Oleggio Castello, Monte Olegiasco (ora Montrigiasco) e Paruzzaro. Si estese la discendenza di Guidone Visconti, ed in essa venne distinto e qualificato il ramo stato formato da Uberto d’Invorio, che dagli storici è considerato come capo-stipite dei Visconti duchi di Milano, e che fioriva verso il principio del secolo xiii. Discesero da quegli Ottone, che fu arcivescovo e signore temporale di Milano, che riconosce Invorio Maggiore per sua patria; Uberto vescovo di Ventimiglia; Gaspare ed Obizzo 22. Dai quali poscia sortì il ramo dei Visconti di Castelletto sopra Ticino e di Oleggio Castello, cioè da Uberto, soprannominato Picco, fratello di Matteo Magno. Così si sparse questa famiglia dominando le diverse terre di questa più bassa parte del lago; ma vediamo che i di lei primordii in tali signorie sono tutti poste riori alla provata prima esistenza di Arona e del suo castello.
Le antiche favole della supposta discendenza dei Visconti da Anglo Troiano, da Allione, da Galvagno, e dai sognati conti di Angera, abbastanza furono riprovate dal Puricelli nei monumenti della basilica Ambrosiana; dal Ripamonti nella storia ecclesiastica di Milano, lib. II, parte II; da Antonio Pagi nella critica al Baronio all'anno 1162; da Cipriano Boselli nel di lui libro intitolato Austria Anicia, pag. 726; dal Sassi nella sua dissertazione apologetica dei santi Gervaso e Protaso; e specialmente dal marchese Teobaldo Visconti, il quale, nella sua prefazione dell’origine e dello stemma dei Visconti, così scrisse: In origine trahenda illud temperamentum adhibebimus, ut que ab antiquis scriptoribus in regnantium gratiam ambitiose conquisita sunt, eb poetica vanitate in maius aucta, ca ne digna quidem eristimemus que referantur, sicut qua Petrus Castellus Augustinianus, et Gabriel Simeonius, et plerique alii de Trojana origine, atque Anglo Ascanii filio, longaque Anglerie ac Mediolani regum serie, per barbara, et peregrina nomina, mendacio furori prorimo comminiscuntur: quasi gens diu Italie principes ac patrie regnatrix, et postquam imperio excidit, per titulos, ac memores fastos semper clarissima, otiosorum hominum deliramentis augeret, quibus posteritati fucus fieret, atque inanium ‘narratione, fides etiam veris abrogaretur.
L'essere poi state descritte, pendente il dominio dei Visconti, tutte quelle comuni, che da essi erano state fondate, o ristaurate, o di particolare loro, pertinenza, collo special nome di terre Visconti, denominazione che durò sino ai nostri giorni, dalle quali è esclusa Arona, non è piccola prova per dire, che Arona ed il suo castello non sono opere dei Visconti, ma preesistenti. Quindi se Arona ed il forte esistevano prima dell’anno 979, come si è dimostrato, pare che non si possa la costruzione loro attribuire ad altra potenza, che ai Longobardi, unica potenza che prima dei Visconti dominò gran parte dell’Italia, e specialmente il ducato di Milano, e di cui nell’anno 979 non erano ancora spenti gli usi e le reliquie 23. Io per altro sarei più inclinato a stabilire l'origine d’erezione di questo castello verso il fine del secolo ix, allora che ne sorsero tanti altri in Lombardia per opera dei signori delle terre; quando gli Unni, chiamati da Berengario a’ suoi servigi, e poscia licenziati, si diffusero per l’Italia, e ne avevano talmente imparata la strada, che quasi ogni anno facevano una comparsa, e ne partivano con buona preda; e per queste sventure quasi ogni borgo dovette cingersi di mura per vivere con sicurezza 24. E quando videro tutta l’Italia cinta di torri e di castella, più non s’arrischiarono a porvi il piede 25. Ma per verità il silenzio degli scrittori contemporanei circa l’erezione di questo forte nel tempo in cui tanto hanno scritto circa quella di molti altri in questi tempi innalzati nell’agro insubre, ci fa alquanto soprasedere dal pronunciare un positivo giudizio. Nella mancanza però di sicure prove, sarebbe troppa durezza il non voler deferire alla comune opinione per attenerci a qualche segno di probabilità; e pertanto non siamo lontani dal credere, che l’invasione dei Longobardi abbia contribuito al solo aumento della popolazione del paese, e quella degli Unni abbia dato luogo agli abitanti di fabbricarsi il castello, divenuto allora necessario riparo e mezzo di difesa alla popolazione già ingrandita26. Che i Longobardi abbiano abitato questi paesi è inutile il dimostrarlo, essendoci rimasta da essi la denominazione del suolo che hanno occupato; e ne abbiamo un’evidente prova nel vicino paese di Oleggio Castello, che anticamente si chiamava Olegio Longobardorum per distinguerlo dall’altro Oleggio posto sul Novarese, a cui si attribuiva l'epiteto di Olegio Galulfo. Io sono poi di opinione, che questo paese non solo, ma tutti quelli del lago Maggiore non abbiano positivamente avuto un fondatore, e che dalla condizione di semplici capanne divenissero piccoli villaggi, e questi gradatamente s’ingrandissero a misura che gli stranieri vi prendevano stanza, per approfittare dei naturali vantaggi della posizione, del commercio e dell’industria, che a poco a poco si andavano sviluppando.
Checchè per altro si possa opinare di verosimile sul tempo della fondazione di Arona e del suo castello, egli è indubitato, che Arona dalla erezione del monastero dei monaci di san Benedetto cominciò a figurare sul Verbano.
- ↑ Tito Livio, lib. V, cap. 19.
- ↑ Corio Bernardino istorico milanese, parte I. -- Marco Porzio Catone.
- ↑ Il conte Pietro Verri, Storia di Milano, tom. I, cap. 1, e Gaudenzio Merula.
- ↑ Aristotele scrive: Admiranda 93: Herculem quamplurima monumenta ao pene infinita in itinere quo Italiam peragravit reliquisse. E Guido Ferrario nella III Dissert., tom. IV: Ego sio existimo Herculem columnas posuisse adventus sui testes.
- ↑ Guido Ferrario, tom. IV, diss. IV, ed il Pioto ne’ suoi commenti alla legge si quando, a pag. 424, n.° 894, dice: Novaria urbs prius Aria dicebatur ab Hercule Ario Ægyptio condita teste Marco Portio Catone, qui in ejus libro Originum sie scribit: « Novaria ante ab Heroulis Ægypty nomine Lybia, et agnomine Aria Ægyptio vocabulo leonina, sed a Liguribus instaurata Novaria dicta est. Aria enim lingua Caldea, sive Ægyptia idem est, quod Leo apud Latinos, sic et apud Hebreos Ari idem est, quod Leo apud nos. »
- ↑ Abasilica Petri. Novaria Sacra; lib.1, pag. 73.
- ↑ Battaglia sul Ticino tra Annibale e Scipione. Edizione del 1824.
- ↑ Questa ora esiste, con altre due scoperte in quelle vicinanze, nella casa dell’I.R. Presidente D. Francesco Borella in Paruzzaro.
- ↑ Andrea Alciato sopracitato.
- ↑ Abasilica Petri. Novaria Sacra.
- ↑ Dissertazione IX, tom. IV.
- ↑ Dai Padri Bolandisti a pag. 24; dal Marchisio a pag: 51; da Galvagno Fiamma al tit. XI, Rerum Italicarum; dal Corio, storia di Milano a pag. 23; da Giovanni Mabillon in Itinere italico, a pag. 21 e 212, ecc.
- ↑ Parlando di Adamo od Amizone, che la cronaca ritiene per fondatore del monastero dei Benedettini. Vedasi in proposito il Corio, parte I, pag. 23.
- ↑ Il conte Giulini, Storia di Milano, tom. II, pag. 370.
- ↑ Giulini suddetto, tom. II, pag. 373, ed il padre Zaccaria lib. II.
- ↑ Atti dell’antico archivio del monastero de’ Padri Benedettini di Arona riposti nell’archivio dell’Economato Generale in Torino, ed il Padre Zaccaria.
- ↑ Tom. IV, in Episcop. Vercell.
- ↑ Antiq. medii avi, tom. VI, pag. 317.
- ↑ Tom, II, pag. 460, Memorie della città e campagna di Milano.
- ↑ Le vite degli Imperatori scritte da Sesto Aurelio Vittore, ivi: Hio (cioè Vencislao) Galeatium, qui magnam Italia partem suo dominio adjecit, ex comite mediolanensibus primus duoem dedit, quœ dignitas ad nepotes transiit. E la lettera patente di nomina, speditagli da Vencislao, è data da Praga il 1° maggio 1395.
- ↑ Il Crescenzio nell'Anfiteatro Romano, parte I, pag. 315.
- ↑ Galvagno Fiamma: Manip. flor.
- ↑ Sigonio. De regno Italiæ , lib. I.
- ↑ Conte Verri. Storia di Milano; tom. I, cap. 3.
- ↑ Galvagno Fiamma succitato ed il conte Giulini, tom. III, pag. 131.
- ↑ I Longobardi penetrarono in queste provincie alle calende d’aprile dell’anno 568 sotto la condotta del re Alboino; e vi dimorarono circa 200 anni. Gli Unni comparvero in Italia nell’anno 899.