Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/XVIII

Del Convivio di Dante, e delle altre sue Opere.

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XVII Indice delle materie
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§. XVIII.

Del Convivio di Dante, e delle altre sue Opere.

Non si può veramente negare, che le altre Opere di Dante non sieno in molto minor conto tenute di quello, che si faccia della sua Divina Commedia; ma chi per questo non riconosce, in tutto ciò che il medesimo scrisse, quella fecondità di pensieri, e quella forza di espressioni tanto propria di un’uomo così eccellente? È colpa del tempo, e non sua, se il Convivio e gli altri suoi scritti sono sterili di utili notizie, se lo stile è duro anzi che no, e se per questo non tutti ritrovano nei medesimi un cibo adattato alla delicatezza del loro gusto. Questo libro, a cui Dante dette il titolo di Convivio1, quasi [p. 185 modifica]pasto per gl’ignoranti2, è un comento in prosa sopra tre sue Canzoni, nel quale moltissimi semi di Filosofia Platonica, di Astronomia, e di altre scienze, che esso possedeva al pari di qualunque altro del tempo suo, si trovano sparsi3. Ed in vero senza che si avesse la Commedia, quest’Opera sola farebbe chiaramente vedere che in Dante concorsero tutti quei pregi, i quali rendono degno di alta stima un’uomo di lettere. Egli ebbe certamente intenzione di seguitare questo suo lavoro4, e quel tanto che di esso ci è rimasto, non è intiero, perchè dal contesto vi appariscono in alcuni luoghi delle lagune5. Dopo il suo esilio compose il Poeta quest’Opera, ed io non sarei lontano dal sospettare, che ciò seguisse dopo aver egli terminata se non tutta, almeno una buona parte della Commedia6. Nel 1490. fu in [p. 186 modifica]Firenze da Francesco Buonaccorsi in 4. piccolo, impresso la prima volta il Convivio7, e nel 1529. Niccolò di Aristotile detto Zoppino lo fece comparir di nuovo in Venezia in 8.8. Ivi parimente poco dopo si ristampò da Marca Sessa9: ma molto più corretta di tutte queste è l’edizione procurata dal Canonico Antonio Maria Biscioni fra le prose di Dante, e del Boccaccio10, perchè egli con somma diligenza sopra ottimi testi a penna11 corresse le Opere di questi due lumi della Toscana favella, e le adornò con le proprie annotazioni, e con alcune altre del famoso Abate Salvini. Scrisse Dante in idioma latino un’opera che egli intitolò [p. 187 modifica]Monarchia per attestato del Boccaccio12, di Gio. Villani,13 e di altri; ma non è sicuro, secondo che alcuni dicono, se quella, la quale noi abbiamo presentemente, e che porta in fronte il nome di Dante, sia quella appunto, che egli compose, perchè Gio. Mario Filelfo nel parlare della medesima ne riporta il principio14 che non concorda con quello degli stampati. Ma io non saprei meglio rispondere a ciò, se non facendo riflettere, che fino dalla metà del secolo XV. in circa era tenuta per opera genuina di Dante quella, che noi di presente crediamo tale. Imperciocchè in quel tempo nel breve giro di pochi anni fu la stessa due volte tradotta dalla lingua Latina nella nostra Volgare, e sempre chi lavorò queste due versioni, ebbe in animo di volgarizzare il vero libro di Dante de Monarchia. La più antica [p. 188 modifica]traduzione si conserva in un Codice cartaceo in foglio della Riccardiana15, ed in fine di essa si legge «Finita la Monarchia di Dante Allighieri Poeta Fiorentino, et scritta per me Pierozzo di Domenico di Jacopo de Rosso, et finita questo dì 18. di giugno 1461.» L’altra è quella, che ad istanza di Bernardo del Nero, e di Antonio Manetti fece il nostro celebre Filosofo Marsilio Ficino, la quale non è ancora comparsa in luce, ma è in un bel Codice della Libreria Mediceo-Laurenziana Plut. XLIV. n. XXXVI.16. Se adunque Marsilio Ficino, e chi avanti di lui volgarizzò il libro de Monarchia, il quale esiste presentemente, lo credettero parto sincero [p. 189 modifica]di Dante, molto ci vuole per dimostrare, che tale non sia quello, che per tale tenghiamo, nè senza più chiari riscontri mi so indurre a dubitare della sua identità. La prima edizione che fu fatta di quest’Opera nel 1559. in Basilea per Gio. Oporino in 8. è molto rara17, ed assai più conosciuta è quella di Simone Scardio che l’inserì nel suo Trattato de Imperiali Jurisdictione impresso due volte18, dal quale la trasse chi la fece ristampare nel 1740.19 Raccontano che il Cardinal Bertrando del Poggetto20 Legato Apostolico del Pontefice Gio. XXII. vedendo che l’Antipapa Fra Pietro da Corvara, il quale prese il nome di Niccolò V. e che era del partito di Lodovico il Bavaro, prendeva argomento per sostenere la validità della sua elezione da questo libro, non si contentò di proibirlo sottoponendo chiunque lo leggeva alle censure della Santa Sede, ma tratto ancora da troppo zelo religioso, volea che al fuoco si dessero le ossa dell’Autore per ignominia della di lui memoria: lo che si sarebbe mandato ad effetto, se ad una simile risoluzione non si fosse opposto un tal Pino della [p. 190 modifica]nobil famiglia della Tosa, e messer Ostagio Polentano21: perciò il celebre Giureconsulto Bartolo, il quale viveva intorno alla metà del XIV. secolo22, lasciò scritto, che a motivo di quest’Opera, nella quale sostenne Dante che l’autorità degl’Imperatori era independenta da quella dei Romani Pontefici, fu quasi dannato come eretico23. Ed in fatti molti scrittori, i quali hanno sostenute le ragioni della Santa Sede, hanno in questa parte condannato24 il nostro Poeta, il quale non è maraviglia, se in tempi pieni di turbolenze, come quegli quegli che si professava Ghibellino, per aderire ai disegni di Arrigo VII. s’inducesse a difendere i pretesi diritti dell’Impero contro i Papi, dei quali non era punto contento. Merita per altro Dante qualche scusa25, se egli [p. 191 modifica]s’impegnò a scrivere in disfavore della Santa Sede in un secolo, nel quale le comuni disgrazie avevano talmente acciecate le menti degli uomini, che non sapevano essi discernere i legittimi confini della laicale, ed ecclesiastica sovranità; e se alcuni han fatto abuso dell’autorità di un soggetto così rispettabile26, dobbiamo certamente compatire l’ignoranza di simili persone, le quali trovandosi scarse di legittime prove, sono ricorse al ripiego di allegare fra quelli del loro partito indistintamente tutti coloro, che per fini particolari hanno procurato di abbattere la giurisdizione del Pontificato. Ad altre dispute è stato soggetto il libro di Dante de Vulgari Eloquentia, il quale non ebbe tempo di terminare, essendo forse stato sorpreso dalla morte, mentre intorno ad esso andava faticando27. Egli lo scrisse in latino28, e di IV. libri che doveva contenere, due soli sono quelli, che abbiamo alle stampe. Da prima venne in luce in lingua [p. 192 modifica]Italiana volgarizzato, e ciò accadde in Vicenza nel 1529.29 presso Tolomeo Gianicolo, con dedica al Cardinale Ippolito de’ Medici fatta da Gio. Battista Doria nobil Genovese. Gio. Battista Gelli30, e dietro a lui molti altri31 negarono che quest’Opera fosse veramente di Dante, e moltissime controversie nacquero sopra l’identità della medesima, perchè ad alcuni dispiaceva d’incontrare in essa delle cose poco favorevoli alle loro opinioni in proposito del volgare idioma, intorno al quale tanto fu scritto dai maggiori Letterati del secolo XVI. Le opposizioni fatte a questo libro svanirono tutte, quando comparve nella lingua originale, cioè in Latino, come lo scrisse Dante, per opera di Jacopo Corbinelli amicissimo del Tasso, ed a cui siamo debitori d’aver pubblicate altre opere per benefizio della Toscana favella. Pietro del Bene gentiluomo Fiorentino, avendo in Padova trovato un codice a penna contenente il Testo latino di quest’Opera, senza indugio lo trasmesse in Parigi al Corbinelli che colà si trovava al servizio della Regina Caterina de’ Medici32. Il Corbinelli pensò subito a comunicarlo al Pubblico per [p. 193 modifica]via delle stampe di Parigi33 sotto gli auspici di Arrigo III., e per render più stimabile la sua edizione34 arricchì il Testo di Dante con note, una sopra il solo primo libro. Si lagna Monsignor Fontanini, (il quale di questo libro parla forse troppo prolissamente nella sua Eloquenza italiana)35 che il mentovato Corbinelli non ebbe l’avvertenza di stampare a fronte del testo latino, il volgarizzamento pubblicato dal Doria nell’edizione fatta in Verona nel 1729. di tutte le Opere del Trissino. Ma36, fu ristampato poi il detto Testo con la volgar traduzione a canto con la dedica al Cardinale de’ Medici37; e ciò ebbe attenzione di fare ancora Gio. Battista Pasquali nella sua impressione di questo libro nel 174138. Per altro il volgarizzamento che stampò Gio. Battista Doria, checchè ne dicano alcuni, e fra gli altri il Fontanini, non ha il minimo carattere di probabilità per esser creduto fattura legittima di Dante39. Io non [p. 194 modifica]starò poi a far l’analisi del libro de Vulgari Eloquentia, nel quale ragiona Dante della lingua comune d’Italia, dei diversi dialetti della medesima, e della forma e natura dei versi, e dei componimenti volgari, perchè a bastanza ne scrisse circa il Fontanini; e tornando a parlare della traduzione, e parafrasi dei sette Salmi che Dante fece, è assai probabile, che in età molto avanzata ponesse mano a questa fatica, quando cioè conosciuto il poco merito delle cose di questa terra, si volse a pensare all’ultimo suo fine40. Questa sua Operetta, benchè sia scritta in stile piano e basso, o come egli stesso lo chiama nel libro della Volgare Eloquenza41, elegiaco proprio dei miserabili, apparisce, non ostante i dubbj dell’Autore della Storia letteraria d’Italia42, esser lavoro di quel sublime ingegno, che compose la Divina Commedia. Comparve alle stampe questo lavoro la prima volta nel 1480. in circa in 4. senza data di luogo con altre cose, siccome ci dice l’Abate [p. 195 modifica]Francesco Saverio Quadrio43 il quale fece manifesta al pubblico sì fatta rarissima edizione. Da essa il medesimo Quadrio trasse quella, che fece uscire dai torchi della stamperia della Biblioteca Ambrosiana44 nel 1752. in 8. arricchita con annotazioni tanto teologiche, che gramaticali45. Non solamente la versione dei VII. salmi, ma altre rime spirituali di Dante fece stampare il detto Abate Quadrio, perchè «tra tanta copia di libricciuoli spirituali, de’ quali per uso delle persone divote è ripieno il mondo, uno ancora ce n’abbia in rime, che gradir possa giustamente a’ poeti, e servir loro con frutto»46. Tali rime consistono in una Raccolta delle cose principali insegnateci dalla nostra santa Fede, e contengono il simbolo degli Apostoli secondo il Concilio Niceno, la spiegazione dei sette Sagramenti, il sunto dei precetti del Decalogo, l’enumerazione dei peccati capitali, e finalmente la parafrasi della Orazione Domenicale, e dell’Ave Maria; il tutto disteso in terzetti. È intitolata ne’ manoscritti qusta poesia il Credo di Dante: ed oltre a moltissime copie, le quali sono nelle nostre Biblioteche47, [p. 196 modifica]quantunque non affatto simili fra loro, si trova anche stampata dopo la Commedia nell’edizione fatta in Venezia per lo Spira nel 1477. con i supposti Comenti di Benvenuto da Imola, e nell’altra fatta in Milano per Lodovico e Alberto Piemontesi nel 1478. con il Comento attribuito al Terzago, e da queste vecchie impressioni la ricopiò il Quadrio, avendola per altro ridotta alla moderna ortografia. Molte lettere poi scrisse Dante in varj tempi48, di tre delle quali abbiamo sicura notizia, perchè sono accennate da quei che parlarono di lui: la prima era diretta al popolo Fiorentino, e Dante la scrisse di Verona avanti l’elezione di Arrigo VII. al dire di Leonardo Aretino49 per impetrare da chi reggeva la [p. 197 modifica]città, la revocazione del suo esilio. Il principio di essa, secondo questo medesimo scrittore, era «Popule mi, quid feci tibi?» Un’altra indirizzata a’ Re d’Italia, ed a’ Senatori di Roma, ec. in volgare, è stata poco fa per la prima volta pubblicata dal Padre Lazzari Gesuita sopra un Codice della libreria del Collegio Romano50; la terza finalmente scritta all’Imperatore Arrigo in latino51 nel 1311.52 fu impressa da Antonio Francesco Doni fra le prose antiche in Firenze nel 1547. in 4. ma in lingua volgare, nel quale idioma non si sa da chi, nè quando fosse tradotta. Così la ristampò il Biscioni nella sua edizione delle Prose di Dante, e del Boccaccio, con un’altra a Guido da Polenta53, nella quale contro ogni ragione parla Dante in disfavore dei Veneziani. Torquato Tasso nel Forno I. Dialogo della nobiltà restò assai maravigliato, che Dante avesse scritta questa [p. 198 modifica]lettera54, e per iscusarlo non seppe dir altro, se non che egli era un uomo, il quale non di rado faceva apertamente conoscere di parlare più «per affetto, che per opinione». Ma il Tasso non si avvedde, che questa era una nera impostura del Doni, inventata per qualche suo fine particolare. Ed in vero la falsità delle accuse date a’ Veneziani non provano bastantemente, che l’Allighieri non averebbe potuto scrivere quanto leggesi nella lettera, che porta in fronte il suo nome? Paolo Paruta lo Storico, o altri di questo nome, compose una «Risposta alla detta lettera in difesa dei Veneziani»; ma più modernamente il procurator Marco Foscarini55, e il defunto padre Gio. degli Agostini56 hanno dimostrato senza fallo a maraviglia, che non potettero mai uscire dalla penna del nostro maggior poeta tante ingiurie contro questa sì gloriosa Repubblica57. È assai che monsignor Fontanini ed il Biscioni non si avvedessero di una simil falsità, mentre per dichiarar tale la lettera di Dante, basta l’osservare che non si è ancora incontrata in alcun manoscritto, e che il Doni non ci dette il discarico donde l’avesse presa. L’altre Epistole che scrisse Dante, si sono perdute, siccome anche la Storia dei Guelfi e dei Ghibellini da esso composta in lingua volgare, se dobbiamo prestar fede al citato Filelfo, che della medesima riferisce il principio58. Finalmente nel primo volume della Raccolta intitolata «Carmina [p. 199 modifica]illustrium poetarum Italorum»59 nel 1719. vennero in luce due Egloghe latine indirizzate, come dice il Boccaccio60, a Giovanni del Virgilio per risposta di altre mandateli61 dallo stesso Giovanni. La presente edizione è assai scorretta, ed il Canonico Bandini, promise sopra un bel Codice di questa Libreria62 di pubblicare di nuovo le mentovate Egloghe con quelle del Petrarca, e di Giovanni Boccaccio. Ma non le Poesie solamente, le quali sono comprese nella Vita nuova, e nel Convivio fece l’Allighieri, ma molte altre ancora. Imperciocchè de’ dieci libri63 in che sono scompartiti i Sonetti, e le Canzoni di diversi antichi Autori Toscani, raccolti da Bernardo di Giunta, e stampati in Firenze [p. 200 modifica]nel 1572.64 i primi IV. sono formati con le Rime di lui65. Fra queste v’è una Canzone in lingua Provenzale66, Latina ed Italiana, per la quale il Canonico [p. 201 modifica]Crescimbeni ha creduto di dovere annoverar Dante fra’ Poeti Provenzali tralasciati da Giovanni di Nostra Dama67. Trovo ancora che nel 1518. furono impresse le Canzoni, ed i Madrigali di Dante68; ma la Raccolta delle dette Rime pubblicata dal Pasquali in Venezia69 è forse la migliore di quante ne sono state fatte70, e lunga impresa sarebbe il ricercare per le Librerie, se di lui veramente sieno tutte quelle, alle quali ha dato luogo sopra la fede altrui il suddetto Pasquali in questa Raccolta, o se ve ne abbiano delle inedite, o impresse sotto altro nome. Una simil fatica però sarebbe di moltissimo vantaggio per le Muse Toscane, acciocchè non si credessero di Dante quei Sonetti, e quelle Canzone le quali furono [p. 202 modifica]poste da chi meno di lui ne sapeva. Ancora potrebbe darsi che nuove Poesie di Dante inedite si ritrovassero nelle Librerie quando alcuno si accingesse ad una tale ricerca, ed intanto avvertiremo che nella Compagnia di S. Barnaba di Poppi Terra del Casentino si crede che si conservino alcune Canzoni di lui, in prova di che si addice leggersi nelle antiche costituzioni di quella «dopo cantisi una Canzone del nostro Alighieri»71; così egualmente è di una vita in 3. rima di S. Torello eremita di detto luogo, la quale aveva Antonio Magliabechi, impressa forse in Firenze da Zanobi della Barba, ed era da questo letterato riputata opera di Dante72. Il Cinelli nella sua Biblioteca Volante73 ci somministrò la notizia del seguente Libretto in 4. senza il luogo, nè anno della stampa, e nome dello stampatore. «Quaestio florulenta ac perutilis de duobus elementis Aquae, et Terrae tractatus, nuper reperta, quae olim Mantuae auspicata, Veronae vero disputata, et decisa, ac manu propria scripta a Dante Florentino Poeta clarissimo, quae diligenter, ac accurate correcta fuit per Rev. Magistrum Joan. Benedictum Moncettum de Castilione Aretino Regentem Patavinum Ordinis Eremitarum Divi Augustini, Sacraeque Theologiae Doctorem excellentissimum». Questo Opuscolo e’ fu dedicato al Cardinale Ippolito d’Este, e dopo la Dedicatoria evvi un’Epistola di fra Girolamo Gavardo dell’Ordine Eremitano di S. Agostino indirizzata al Moncetto, che chiama suo Maestro74. Io non so qual fede meriti un [p. 203 modifica]tal libro, di cui altrove si parlò, siccome ancora se di Dante sieno veramente le seguenti Opere accennate dal Padre Giulio Negri75.


Apologia in difesa di Dante, accasato d’Eresia, manoscritta nella Libreria Gaddi76.

Alcune Chiose di lui medesimo, manoscritto in foglio presso gli stessi Gaddi.

Risposta fatta a un Maestro di Teologia, manoscritto presso i suddetti.

Tractatum de Symbolo civitatis Hierusalem ac almae Romae77.

De calamitatibus Italiae libri IV78

Un Poema intitolato la Resione.

Libellus de officio Pontificis et Caesaris Romani79.

La Magnificat tradotta in versi Toscani. [p. 204 modifica]

Nessun manoscritto autografo resta del nostro Dante, che che dicasi d’alcune poesie serbate nell’Archivio di Gubbio; nessuna nemmeno delle sue ultime Lettere scritte ad amici, o alla Repubblica per ottenere il ritorno alla Patria80. Resta solamente la sua sicura effigie in pitture antiche, in busti, e più medaglie delle quali nessuna è nel ricchissimo Medagliere di Firenze81. Il Marchese [p. 205 modifica]Ferdinando Cospi vantava di possedere la Scacchiera di Dante nel suo Museo di produzioni naturali e cose antiche82 ma senza alcun autentico riscontro.


FINE

Note

  1. Convivio, e non Convito vuole il Fontanini che si scriva coll’autorità del Varchi, dell’Ab. Salvini ec. Ved. la sua Biblioteca Italiana tom. 1. pag. 459. E le annotazioni dello Zeno. Ivi pure tom. 2°. pag. 180. riferisce la taccia data irragionevolmente a Dante da Gio. Filoteo Achillino nelle sue strane annotazioni della volgar lingua (pag. 10. e seg. edizione di Bologna del 1537.) di essersi egli attribuito il Confesso di Guido Guinicelli Bolognese, mutandone il titolo in quello di Convivio.
  2. Leggasi il principio di quest’opera, alla quale il Tasso compilò le note (op. tom. V. pag. 33.) tanta era la stima, che ne faceva.
  3. In un Codice cartac. in fogl. della Riccardiana segn. O. I. num. XXVI. vi è un sonetto di Dante con questo titolo «Qui appresso fia scritto uno sonetto di Dante Alegieri, pel mezzo del quale e’ si vede quest’opera (cioè il Convivio) non esser finita, e non gli piacere, ed essere di sua intenzione non seguitare più oltre, ec.» Lascerò che gli altri giudichino di tal cosa a loro piacimento, ma si veda in tanto la nota seguente.
  4. Sopra 14. canzoni «sì d’amore, come di virtù materiate» voleva Dante scrivere questo comento, siccome egli medesimo asserisce nello stesso suo Convivio. Gio. Villani l. 9. c. 135. dice di esso «che per la sopravvenuta morte non perfetto si trova, se non sopra le tre, il quale, per quello che si vede, alta, bella, et sottile, et grandissima opera ne uscia; però che ornato appare d’alto dittato, et di belle ragioni philosophice et astrologice».
  5. L’osserva il Canonico Biscioni nelle sua Annotazioni sopra il presente libro di Dante.
  6. Quando Dante scrisse quest’opera, aveva già provati i disastri originati dal suo esilio, come in essa lo dimostra. Sbaglia per altro sicuramente Giannozzo Manetti dicendo che tanto il Convivio, che la vita nuova, fosse da Dante composta nella sua gioventù. Il Canonico Dionisi pensa che Dante cominciasse quest’opera dopo il 1310.
  7. Addì 20. settembre, siccome si legge in fine di questa rarissima edizione, rammentata come tale da Mons. de Bure nella sua Bibliografia istruttiva tom. I. delle belle lettere pag. 629.
  8. Questa edizione in corsivo, e poco corretta è citata nella predetta Biblioteca istruttiva.
  9. Nel 1531. in 8. Questa edizione in corsivo è affatto simile a quella del 1529. ed un esemplare se ne conserva in Pesaro in casa di Giordani con postille in margine di mano di Torquato Tasso appostevi, come sta notato, nel 1578. probabilmente nel tempo che il medesimo per alcuni giorni si trattenne in detta casa (P. Zaccaria Excursus litterar. per Italiam vol. I. pag. 17. ediz. Veneta del 1754. in 4.). Può egli essere che queste postille sieno quelle note che sopra nell’annotazione 2. dicemmo aver fatte a quest’opera di Dante il medesimo Tasso? Il luogo citato non pone in chiaro questo nostro dubbio, il quale rimarrà tale finchè non si acquistino maggiori lumi. Un altra edizione di Firenze in 4. senza indicarcene l’anno accenna il Cinelli nella sua storia manoscritta degli scrittori fiorentini.
  10. Pag. 53.―210.
  11. Nel catalogo de’ Testi stampati serviti per la sua edizione, cita il Biscioni XII. Codici del Convivio, ma niuno più antico del XV. secolo. Fra questi egli medesimo dice di averne uno, che era stato di Luca di Simone della Robbia, Letterato insigne, e lavoratore di certe terre, che da un’altro Luca della sua famiglia presero il nome. Se si avessero dei manoscritti della Vita nuova, e del Convivio di Dante del 1300. queste opere comparirebbero più corrette di quello che sono presentemente.
  12. Nella Vita di Dante, secondo l’edizione fattane dal Biscioni con le prose quì sopra accennate pag. 259. È da osservarsi che nell’impressione di questa Vita pubblicata dal Sermartelli nel 1576. non si trova alcuna cosa intorno alla Monarchia: ma questa Vita varia molto nei manoscritti, siccome ci avverte il mentovato Biscioni nelle sua annotazioni sopra la medesima.
  13. Loc. cit.
  14. Secondo il Filelfo il libro della Monarchia di Dante incominciava «Magnitudo ejus qui sedens in Throno cunctis dominatur» e questa testimonianza ha avuto tanta forza nell’animo dell’Abate Mehus, che ha servito per far dichiarargli apocrifo il testo che va per le mani comunemente, come si può vedere nella vita del Traversari pag. CLXXV. Giuseppe Antonio Sassi in Historia librario-Typograph. Mediolan. tom. 1. Bibl. Script. Mediol. ad annum 1473. pag. 131. asserisce, che in un codice della Biblioteca Ambrosiana contenente le Opere di Dante si legge «Nota secundo, extare libros tres De Monarchia Dantis Aligheriis Florentini, quem alium faciunt a Dante isto Poeta» e l’Oporino che nel 1559. pubblicò, come siamo per dire, questo libro, nella Prefazione con cui l’indirizza a Gio. Fricher, ha voluto insinuare che non è composizione «vetustioris illius Florentini Poetae celeberrimi, sed philosophi acutissimi atque doctissimi Angeli Politiani familiaris quondam» lo che essere una favola dice l’Apostolo Zeno (Lett. Vol. 11. num. 251.) di averlo dimostrato in certe sue memorie manoscritte intorno alla Vita, e Scritti di Dante; e poco ci vuole per esserne convinti, osservando quello che siamo per dire.
  15. Il Codice è nel Plut. O. ord. 2. num. 1. e principia «Incomincia il libro di Dante Allighieri di Firenze chiamato Monarchia, cioè principio doctrine di reggere». In fine sta scritto — Liber Bartholomei Ser Benedicti Fortini de Florentia (Ved. Catal. cod. manuscript. ex. Bibl. Riccardiana auctore Jo. Lamio pag. 21.). Non si sa chi lavorasse questa versione, ma certamente ella è diversa da quella fatta da Marsilio Ficino.
  16. Nel fine di questo prezioso Codice si legge «Finisce la Monarchia di Dante, tradotta di Latino in lingua Toscana da Marsilio Ficino, a Bernardo del Nero, et Antonio di Duccio Manetti amicissimi suoi, e prudentissimi cittadini Fiorentini nel mese di marzo ad dì 21. 1467. in Firenze. Scripto di mano di me Antonio di Tuccio sopraddetto tratto dall’originale anchora scritto da me, et dectato da detto Marsilio Ficino homo doctissimo, et filosafo Platonicho». Avanti a questa versione vi è una lettera proemiale di Marsilio, la quale è stata pubblicata dal P. Lazzeri nel Tom. I. Miscell. ex manuscript. libr. Collegii Rom. Soc. Jesu. Altri Testi di questa fatica ci sono, ma il più stimabile è quello della Laurenziana, del quale non trovo chi ne dia un’esatta relazione. Nelle annotazioni alla Vita del Ficino scritta da Gio. Corsi e stampata in Pisa nel 1771. in 8.° il Can. Bandini pag. 78. cita quest’opera, fra le altre che non sono in luce sotto n°. X. ma non fa parola del codice Laurenziano, scrivendo solo: «Extat manuscript. in Bibl. Riccard. 0.11. chart. fol. num. 1., cui conferendus est codex chartac. in 4. S. Mariae Novellae.» col. num. XIII. ivi, credendo che questo manoscritto Riccardiano contenga appunto il volgarizzamento del Ficino.
    Elogio di Dante, ed altre memorie nella Riccardiana num. 1. cod. chart. 4. num VIII.
  17. Il titolo di questa edizione dice così «Andreae Alciati Juriconsulti clariss. de formula Rom. Imp. libellus. Accesserunt non dissimilis argumenti Dantis Florentini de Monarchia lib. III. Radulphi Carnotensis de translatione Imp. libellus. Chronica M. Giordani qualiter Rom. Imp. translatum sit ad Germanos, omnia nunc primum in lucem edita. Basilae per Jo. Oporinum 1559. mense octobri».
  18. La prima volta in Basilea nel 1566. in foglio con questo titolo «Syntagma Tractatum de Imperiali Jurisdictione, auctoritate, et praeminentia ac potestate Ecclesiastica, deque juribus Regni, et Imperii» e poscia «Argentorati sumptibus Lazari Zetgneri 1609. in fogl.».
  19. In Ginevra «Coloniae Allobrogum apud Henr. Albert. Posse et Soc.». Se pure non è questa una data falsa, mentre la presente edizione fu fatta per accompagnare la Monarchia alle altre opere di Dante pubblicate in Venezia da Giovan Battista Pasquali.
  20. Di questo Cardinale vedi il Ciacconio e l’Oldoino in Vit. Pontif. et S. R. E. Cardinal. Tom. 2. pag. 409. edizione di Roma 1677. in fogl.
  21. Tutto ciò lo racconta il Boccaccio nella Vita di Dante pubblicata del Biscioni fra le prose pag. 259. e pag. 260.
  22. Ved. il Pancirolo de clar. leg. Interpr. lib. 2. ec.
  23. In lib. 1. Divi Verus et Antoninus v. Praesides num. 3. § de requirendis reis, dice il Bartolo, che Dante in un libro intitolato «Monarchia disputavit tres quaestiones, quarum una fuit, an Imperator dependeat ab Ecclesia, et tenuit quod non, sed post mortem suam quasi propter hoc fuit damnatus ab Haeresi». Ved. Giannozzo Manetti nella Vita di Dante. Vedasi ciò che scrive il Fabricio nella sua biblioteca, ove si trovano notati (Ed. di Padova vol. 1. pag. 13.) alcuni autori che lo condannano come Eretico, tra i quali Bartolo. Anche S. Antonino molte cose riprende in lui nella cronica part. III. tit. 21. cap. 5. §. 2. pag. 306. e seg.
  24. Nell’indice espurgatorio di Spagna sono censurati alcuni passi della Commedia, e si accenna nominatamente l’edizione di Venezia del 1569. in fogl. col Comento del Landino; tanto è vero, che con ragione sono sempre state condannate le sue troppo pungenti espressioni contro i capi della Chiesa.
  25. E’ osservabile per altro quello che scrisse il medesimo Dante in questo suo Libro. Ecco le sue parole: «Quae quidem veritas ultimae quaestionis» cioè che il Monarca non riconosca fuori di Dio alcuno immediato superiore «non sic stricte recipienda est, ut Romanus Princeps in aliquo Romani Pontifici non subjaceat, cum mortalis ista felicitatas ad immortalem felicitatem ordinetur. Illa igitur reverentia Caesar utatur ad Petrum, qua primogenitus filius debet uti ad patrem, ut luce paternae gratiae illustratus, virtuosus orbem terrae irradiet».
  26. Fra gli altri l’Anonimo Autore di un’empio libro che verso la fine del XVI. secolo uscì da Ginevra con questo titolo «Avviso piacevole dato alla bella Italia da un nobil giovane francese» pretese provare con i testi di Dante, del Petrarca e del Boccaccio, esser Roma la Babilonia, ed il Pontefice l’Anticristo. Ma vi rispose il dottissimo Cardinale Bellarmino in una operetta che si trova, fra le altre di lui, alle stampe.
  27. Così dicono Gio. Villani, ed il Boccaccio loc. cit.
  28. Di ciò ci fanno fede il Villani, il Boccaccio, Leonardo Aretino, il Filelfo ec. Quest’ultimo per altro riporta il principio di quest’opera diversamente da quello che si legge nelle stampe: così dice secondo il citato Filelfo «Ut Romana lingua in totum est orbem nobilitata terrarum, ita nostri cupiunt nobilitare suam: proptereaque difficilius est hodie recte nostra, quam perite latina quicquam dicere etc.» Eppure non vi è chi neghi esser di Dante il testo Latino impresso dal Corbinelli, (Ved. Crescimbeni lib. 2°. della Stor. della volgar Poesia pag. 288.) se si eccettui l’Ab. Mehus, il quale non lo vuol credere genuino nella citata vita del Traversari pag. 175. conforme poco avanti osservammo.
  29. Col Castellano Dialogo del Trissino, così detto da Gio. Rucellai cugino di Clemente VII. ed allora Castellano del Castel S. Angiolo che fa in esso la principal figura. Crescimbeni lib. 11. del vol. IV. de’ suoi Comentarj Cent. 2. pag. 98. Questo volgarizzamento fu stampato ancora avanti il suddetto Dialogo in Ferrara per Domenico Memarelli nel 1583. in 8. con Dedica dello stampatore a Gio. Lorenzo Malpigli, e nel tom. 1. della Galleria di Minerva pag. 36.-62.
  30. In una Lezione sopra il XXVI. Canto del Paradiso, messa fuori dal Doni in Firenze nel 1547. e poi di nuovo dal Gello medesimo inserita in primo luogo fra quelle, che egli divulgò sopra Dante, e il Petrarca nel 1555. Ved. il Fontanini nell’Eloq. Ital. lib. 2. cap. 24. e nel cap. XI. del suo Aminta difeso.
  31. Ved. il Fontanini nel lib. 2. della sua Eloquenza Italiana.
  32. Intorno al Corbinelli si veda il Padre Negri nella Storia degli Scrittori Fiorentini pag. 325. Ne parlano ancora il Cinelli, ed il Canonico Biscioni nelle loro respettive Opere sopra gli scrittori nostri, manoscritti nella Magliabechiana.
  33. Il frontespizio di questa rarissima edizione dice così: «Dantis Aligerii praecellentissimi Poetae de vulgari Eloquentia libri duo, nunc primum ad vetusti, et unici scripti codicis exemplar editi ex libris Corbinelli, ejusdemque adnotationibus illustrati. Ad Henricum Franciae, Poloniaeque Regem Christianissimum. Parisiis apud Jo. Corbon via Carmelitarum ex adverso Collegii Longobardorum 1577. cum Privilegio, in 8.°
  34. Oltre alle annotazioni del Corbinelli sopra il solo primo libro di Dante, altre cose rendono pregevole questa edizione, come si può vedere nel Fontanini.
  35. Dal Cap. XXII. del libro II. fino al cap. XLII. che è l’ultimo di detto libro.
  36. Per Jacopo Vallarsi sotto la direzione del Marchese Scipione Maffei in due Volumi in 4.° grande.
  37. Volume 2. pag. 141.-192.
  38. Fra le Opere di Dante Tomo II. pag. 83.-205.
  39. L’Apostolo Zeno nelle Annotazioni al Tomo I. dell bibl. del Fontanini pag. 33. Egli stesso in una lettera inserita nella Galleria di Minerva tomo I. pag. 63 e nella Vita del Trissino impressa ivi, pag. 73. non ebbe difficoltà di pronunziare, che il volgarizzamento di questa opera di Dante è del medesimo Trissino, e così il Marchese Maffei nella Prefazione pag. 29. alla mentovata edizione delle opere di questo Autore, soggiungendo ch’egli l’avea data fuori sotto altro nome, cioè del Doria. Monsignor Fontanini per altro non accorda niuna di queste proposizioni, ma lo stile della controversa traduzione è troppo diverso da quello, che nella Vita nuova, ed altrove usò Dante.
  40. Il Credo di Dante, di cui si parla qui sotto, incomincia:

         Io scrissi già d’amor più volte in rime
              Quanto più seppi dolci, belle, e vaghe;

              E in pulirle adoprai tutte le lime.

         Di ciò son fatte le mie voglie smaghe;
              Perch’io conosco avere speso in vano
              Le mie fatiche, ad aspettar mal paghe.
         Da questo falso amor omai la mano
              A scriver più di lui io vo’ ritrarne,
              E ragionar di Dio, come Cristiano ec.

    Mentre rivolgeva Dante nell’animo questi pensieri, è probabile che si desse a tradurre tutti i Salmi.

  41. Lib. II. cap. IV.
  42. Tom. XIII. pag. 21. ove esterna qualche piccolo dubbio che questa versione non sia di Dante, ma nel tempo medesimo, senza esitare, la giudica certamente d’un antico. Quali sieno i motivi d’un tal sospetto non mi son noti, onde non posso nè combatterli, nè scioglierli.
  43. Nella storia della volgar poesia Tomo VII. pag. 120.
  44. Presso Giuseppe Marelli.
  45. Queste annotazioni sono molto stimabili, siccome degna pur di essere letta, è l’introduzione generale del medesimo Quadrio, e la prefazione a ciascun salmo: onde per questa sua fatica ha riscosse le lodi dell’Autore della storia letteraria d’Italia Tomo VII. pag. 98. e seg.
  46. Così dice nella mentovata introduzione pag. 5.
  47. Più testi ne cita il dottor Lami nel suo catalogo dei manoscritti Riccardiani, e fra qusti segnato O. 11. in 4.° num. XXV. col seguente titolo «qui comincia el trattato della Fede Cattolica composto dallo egregio, famosissimo dottore Dante Alighieri Poeta Fiorentino, secondo che detto Dante rispose a messer l’inquisitor di Firenze, di quello che esso credea». Io non so quanto corrisponda al titolo la verità del fatto, e mi basta l’accennare, che non altro che questo Credo penso che sieno «alcuni versi, che fece Dante Alighieri quando li venia opposto essere eretico, e non credere in Dio» i quali erano in Venezia presso Giuseppe Aromatari, al dire del Tommasini pag. 95. delle sue biblioteche Venete. Ebbe torto adunque l’Arcimboldo Vescovo di Milano a ripor Dante fra gli eretici nel catalogo, che fece di costoro. In una edizione del Credo di Dante si suppone di Roma (1477.) vi è un sonetto con la coda sopra le qualità di lui, ossia ritratto, ch’è riferito dal Proposto Fossi nel catalogo delle stampe del 1400. come esistente nella Magliabechiana vol. I. col. 661. il qual sonetto merita di esser veduto.
  48. Dice Leonardo Aretino che Dante scrisse molte lettere latine, in prosa; ed il Boccaccio soggiunge che a suo tempo se ne trovavano assai; ma il Villani loc. cit. non parla che di tre, due delle quali noi qui sotto accenniamo. Il tante volte mentovato Filelfo così ha lasciato scritto intorno a ciò nella Vita manoscritta: «Edidit et epistolas innumerabiles: aliam cujus est hoc principium ad invictissimum Hunnorum Regem: Magna de te fama in omnes dissipata, Rex dignissime, coegit me indignum exponere manum calamo, et ad tuam humanitatem accedere: aliam, cujus est hoc initium rursus ad Bonifacium Pontificem Maximum: Beatitudinis tuae Sanctitas, nihil potest cogitare pollutum, quae vices in terris gerens Christi totius est misericordiae sedes, verae pietatis exemplum, summa religionis apex: aliam, quam filium alloquitur, qui Bononiae aderat, cujus hoc est principium: Scientia, mi fili, coronat homines, et eos contentos reddit, quam cupiunt sapientes, negligunt insipientes, honorant boni, vituperant mali etc. Edidit alias quas habent multi. Mihi quidem est enumerare difficile etc.». L’Aretino riporta uno squarcio di una Lettera da noi altrove citato, in cui Dante si lagnava, che l’origine del suo esilio fosse nata nel tempo che era Priore nella Repubblica Fiorentina.
  49. Nella Vita di Dante. La latinità del nostro Poeta, checchè ne dica Gio. Villani lib. 9. cap. 135. è molto disadorna per colpa del secolo in cui visse, perchè allora le lettere umane erano in gran decadenza.
  50. Nel tomo I. Miscellan. ex lib. manuscrip. della stessa libreria, impresso in Roma nel 1754. Il Padre Lazzeri congettura che Dante la scrivesse in Latino nel 1311. quando Clemente V. mandò a Roma il Cardinale Ostiense per incoronare l’Imperatore Arrigo. Diversa da questa è certamente la lettera che dice il Villani loc. cit. essere stata scritta in latino da Dante ai Cardinali Italiani «quando era la vacazione dopo Papa Clemente, acciocchè s’accordassero ad elegger Papa Italiano».
  51. Vita di Dante. Il Testo latino di questa Lettera lo possedeva Lorenzo Pignoria Letterato Padovano assai avveduto nel discernere gli scritti buoni dai falsi, come ci assicura nel suo Scipilegio alla storia di Albertino Mussato. Il Biscioni nelle prose ne cita quattro testi, i quali tutti contenevano il volgarizzamento di essa; onde non è punto probabile, che il Doni, che il primo lo pubblicò, lo inventasse di pianta, benchè non ci abbia informati di qual Libreria lo copiasse. Io non so se veramente Dante scrivesse in Latino ancor quella pubblicata dal Padre Lazzeri, ma è probabile di sì.
  52. La data di questa Lettera pubblicata anche dal Biscioni nelle prose stampate in Firenze pag. 211. è di Toscana sotto la fonte d’Arno; ma nel citato Codice del Collegio Romano ove si trova ancor questa, al dire del Padre Lazzeri, è di Toscanella; e così credo che veramente deva dire.
  53. Ivi pag. 215.
  54. Il mentovato Doni fu il primo a pubblicarla fra le suddette prose pag. 75.
  55. Nella sua bellissima opera della Letteratura Veneziana Tomo I. b. 3. pag. 319.
  56. Nella prefazione premessa al Volume I. delle notizie Istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli scrittori Veneziani pag. 19.
  57. Nel Tom. I. del saggio di storia Veneta dell’Abate Cristoforo Tentori, pag. 250 e seg. si trova un esame critico sulle supposte lettere di Dante pubblicate da Anton Francesco Doni nel 1547. poco onorevoli al Veneto Governo, e si danno per apocrife.
  58. Così «Dovendo de’ fatti nostri favellare, mólto debbo dubitare di non dir con presumptione, o malchompositamente cosa alcuna ec.».
  59. Florent. per Jo. Tartinium et Sanctem Franchium in 8. pag. 115.
  60. Vita di Dante.
  61. Lo dice lo stesso Boccaccio, e nel Codice Laurenziano, di cui parleremo nella seguente annotazione, vi sodo ancora l’Egloghe scritte da Gio. di Virgilio a Dante. Egli fu grande amico, e grande ammiratore del nostro Poeta. Ved. il padre Orlandi nella Notizia degli Scrittori Bolognesi pag. 647. e seg.
  62. Pluteo XXIX. Codice membranaceo in foglio num.° 8. contenente varie cose, fra le altre vi sono le due Egloghe di Dante dirette a messer Gio. di Virgilio, e due di questo mandate a Dante, la prima pag. 132. e la seconda pag. 135. Questo Codice contiene parimente pag. 90. un’Egloga del medesimo messer Giovanni scritta a messer Musatto Poeta Padovano «ad petitionem Raynaldi de Cinciis» nella quale compiange la morte del nostro Dante. Egli è molto stimabile non tanto per l’antichità, quanto perchè tutti questi versi sono illustrati con note marginali di autore sincrono, che spiegano il vero significato dei medesimi. In un’altro Cod. della detta Libreria membran. in 4.° Plut. XXXIX. n.° 26. scritto nel XV. secolo da fra Giacomo da Volterra vi sono pure le dette Egloghe di Dante, con quelle di Virgilio, di Francesco Petrarca, di Gio. Boccaccio, di Gio. di Virgilio, e di Cecco da Meleto. Con questi due Testi, e principalmente col primo si possono correggere gli errori dell’edizione Fiorentina delle mentovate Egloghe. Mario Filelfo dice in generale che Dante «Eclogas nonnullas ediderat instar Virgilii» senza individuarne il numero.
  63. Così si legge nel frontespizio del libro, ma veramente sono XI.
  64. Per gli eredi di Filippo di Giunta in 8.° L’edizione di questa Raccolta è molto rara, ma fu ristampata prima in Venezia per Gio. Antonio e fratelli Niccolini di Sabio nel 1532. in 8.° poi distinta in XII. libri con aggiunte notabili, e con una belli Prefazione, pure in Venezia appresso Cristoforo Zane nel 1731. in 8.° e finalmente ivi per il medesimo Zane nel 1740.
  65. Dice il Boccaccio loc. cit. che Dante compose molte Canzoni, Sonetti, e Ballate amorose, e morali, oltre a quelle che ti trovano nella sua Vita nuova; lo stesso affermano ancora l’Aretino, il Filelfo, il Manetti ec. e Gio. Villani a venti fa montare quelle Canzoni, che scrisse quando era in esilio; ma più se ne incontrano nella Raccolta del Pasquali. Il Cod. 65. della Bibliot. di S. Marco di Venezia contiene più Canzoni, e Ballate del XII. secolo, e tra queste ve ne sono alcune di Dante.
  66. Incomincia

              Ahi faulx ris perque trai haves etc.

    cioè

              Falso riso, ahi perchè tradito avete ec.

    E non è maraviglia che Dante fosse in grado di scrivere in questa lingua, perchè doveva conoscerla, e perchè la nostra Poesia si vuol nata dalla Provenzale, e dalla Siciliana. Di più altre lingue mostra esser inteso Dante ne’ suoi scritti, e specialmente per varie voci da esso adoprate nella Commedia, quali sono per esempio:
    Alla, misura, da Ell, che in Inghilterra comprende una lunghezza di 3. piedi e 9. pollici.
    Privati per latrine dall’Inglese Privy, che così tali luoghi si chiamano, significando luogo segreto o nascosto.
    Alcune altre voci adoprò e trasse della lingua Spagnuola, e sono 1.° Chiero del verbo querer, quero che significa volere, desiderare ec.. Paradiso Cant. III. vers. 93.
    2.° Leno da lleno, che significa pieno. Parad. Cant. XXVIII. vers. 81. quantunque il Volpi lo derivi con contrasenso dal latino lenis, fiacco, debole, mite. Coerentemente all’idea del Volpi anco il Venturi lo trae dal latino lenis, sebbene nella sua lunga nota convenga che Borea dee soffiar forte per sbarazzar l’aria dalle nuvole:

             «Come rimane splendido, e sereno
             «L’emisperio dell’aere, quando soffia
             «Borea da quella guancia, ond’è più leno:


    Cioè da quella guancia, che essendo più gonfia lo fa soffiar più forte.
    Dice uno de’ Comentatori che Dante pigliasse la voce Brolo dai Veronesi, o Tirolesi presso i quali dicono che vuol dire giardino chiuso di mura: questo pure non quadra perfettamente col senso, e la voce è toscana, sebbene non usitata. Nell’Aretino Bruolo significa bosco: e vi è specialmente un luogo chiamato per eccellenza così. Da questo deriva il nostro verbo imbrogliare, quasi imbruolare, cioè imboscare o intrigarsi in luogo da dove difficilmente si cavano i piedi. In Irlandese Bru-ole vuol dire campagna cattiva. Forse questa è la radice del nome.
    Si è rilevato che anco voci orientali adoperò Dante nel suo Poema, e specialmente quando fa parlar Satan, e Nembrot.

  67. Parte 1. vol. 2. de’ suoj Comentarj p. 181. ed a p. 249. ci dà la traduzione di detta Canzone. Anche nel Cant. XXVI. del Purgatorio vers. 149. e seg. Dante fa parlare Arnaldo Daniello, Poeta Provenzale molto celebre, nel suo linguaggio.
  68. Questa impressione la trovo più volte citata dal Pasquali, ma io non l’ho mai veduta.
  69. Nel secondo Tomo delle Opere di Dante. Venezia 1741. in 8.° pag. 209. 291.
  70. Io non credo che questa Raccolta sìa interamente perfetta, ma fino ad ora non se ne ha una migliore. Il sopraccitato sig. Raffaelli nel Trattato sopra Busone da Gubbio cap. 5. pag 118. ha pubblicato un Sonetto inedito di Dante, e due o tre se ne accennano nel Catalogo dei manoscritti Riccardiani. Senza dubbio ricercando i Codici della Biblioteca Mediceo-Laurenziana, particolarmente ora che in essa sono passati quei della Gaddiana, e riscontrando quei della Vaticana, si scoprirebbero nuove poesie di Dante.
  71. Padre Don Fedele Soldani Vallombrosano trattato Apologetico concernente l’ordine a cui era ascritto S. Torello da Poppi. Lucca 1737. in 4.° nel catalogo degli autori, da’ quali è ricavata detta operetta.
  72. Il medesimo Padre Soldani ivi.
  73. Di quest’operetta parla ancora nella Storia manoscritta degli Scrittori Fiorentini.
  74. Nella Marucelliana ho veduto questo libretto di poche pagine, in fine dei quale si legge «Impressum fuit Venetiis per Manfredum de Monteferrato sub inclyto Principe Leonardo Lauredano anno Domini DVIII. sexto cal. novembris». Se questa non è la medesima impressione di quella citata dal Cinelli, giacchè ci dice, che nella sua non vi era nè data di luogo, nè di tempo, almeno non differisce da quella, che accenna l’Apostolo Zeno nel vol. 2. delle sue Lettere pag 304.
  75. Negli Scrittori Fiorentini pag, 141. e seg.
  76. Io non so se quest’operetta diversifica dall’altra intitolata il Credo di Dante, di cui si parlò.
  77. Il Negri cita Fanusio Campano per riprova che Dante componesse quest’Opera, ma egli medesimo confessa che costui non merita fede, e si sa da Monsignor Leone Allaccio nel suo Trattato contro le Antichità Etrusche scoperte a Volterra, che questo Autore è uno di quei che furono manomessi dal celebre impostore Alfonso Ceccarelli.
  78. Quest’Opera è forse la stessa cosa, che la Storia dei Guelfi, e Ghibellini citata dal Filelfo.
  79. Può essere che il Padre Negri abbia creduto questo libro una cosa diversa dalla Monarchia, ma che poi non sia tale. È bastantemente nota la poca esattezza di questo Gesuita, perchè la sua fatica venne in luce dopo la sua morte; onde è credibile che ad essa non potesse dare l’ultima mano. Nel Catalogo dei manoscritti Riccardiani si riportano quattro versi di Dante presi da un Codice segnato O. III. n.° XXI. ed altri quattro ne lessi nella Storia degli Scrittori Fiorentini del Cinelli; i quali ho tralasciato di ricopiare, perchè non ho una riprova sicura, che siano veramente di lui.
  80. Merita di esser riportata quella con la quale renunziò per sempre al suo ritorno, esistente nel Codice 8.° della Laurenziana Pluteo XXIX. pag. 123. e per la prima volta stampata dal Canonico Dionisi nel n.° 5 della sua Serie di Aneddoti dei Codici Fiorentini, edizione di Verona 1790. in 4.° pag. 176.
    «In licteris vestris, et reverentia debita, et affectione receptis, quam repatratio mea cure sit vobis ex animo, grata mente, ac diligenti animadversione concepi: etenim tanto me districtius obligastis, quanto rarius exules invenire amicos contingit. Ad illarum vero significata respondeo: et (si non eatenus qualiter forsan pusillanimitas appeteret aliquorum) ni sub examine vestri consilii ante judicium ventiletur, affectuose deposco. Ecce igitur quod per literas vestri meique nepotis, nec non aliorum quamplurium amicorum significatum est mihi, per ordinamentum nuper factum florentie super absolutione bannitorum, quod si solvere vellem certam pecunie quantitatem, vellemque pati notam oblationis, et absolvi possem, et redire ad presens. In quo quidem duo ridenda, et mali preconsiliata sunt, pater. Dico male preconsiliata per illos, qui tali expresserunt; nam vestre litere discretius, et consultius clausulate nihil de talibus continebant. Est ne ista revocatio gloriosa, qua d . alla . revocatur ad patriam per trilustrium fere perpessum exilium? hec ne meruit innocentia manifesta quibuslibet? hec sudor, et labor continuatus in studio? Absit a viro philosophie domestico temeraria terreni cordis humilitas, ut more cuiusdam cioli. et aliorum infamium, quasi vinctus, ipse se patiatur offerri. Absit a viro predicante iustitiam, ut perpessus iniuriam inferentibuns, velut bene merentibus pecuniam suam solvat. Non est hec via redeundi ad patriam, pater mi: Sed alia per vos, aut deinde per alios invenietor, que fame . d . que onori non deroget, illam non lentis passibus acceptabo. Quod si per nullam talem florentia introitur, nunquam florentiam introibo. Quid ni? nonne solis astrarumque specula ubique conspiciam? nonne dulcissimas veritates potero speculari ubique sub celo, ni prius inglorium, imo ignominiosum populo florentineque civitati me reddam? Quippe nec panis deficiet.
  81. Si conserva nella Biblioteca dell’Autore di questa Vita nella che vedesi incisa segnata con n.° 3.
  82. Vedasi il museo Cospiano, ove il Legati a pag. 302. e 303. ne dà la descrizione, e la figura. Il museo Cospiano passò nell’Istituto di Bologna, ma lo Scacchiere non vi si trova: d’altronde l’arme, o stemma col quale vedevasi decorato, non era quello della famiglia, o famiglie Alighieri.