Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/VIII

Come impiegasse Dante gli anni della sua gioventù

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VII IX


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§. VIII.

Come impiegasse Dante gli anni della sua gioventù.

Lo studio delle divine, ed umane lettere, e delle belle arti, ed il pensiero della sua Donna, furono le occupazioni di Dante nella sua gioventù. Egli per altro potè stimarsi fortunato, mentre quest’ultima cura non lo distolse dall’applicar seriamente a ciò che più doveva giovarli. Racconta Francesco da Buti, antico comentatore della Commedia, che Dante ne’ suoi più verdi anni aveva vestito l’abito dei Frati Minori dell’Ordine di San Francesco, ma che prima di terminare il noviziato era uscito da detta Religione1. Io non so che d’altronde si abbia notizia di tal fatto; so bene, che il trovarlo riferito assolutamente da un’Autore, che scrisse poco più di 70. anni2 dopo la morte di Dante, è una prova ben forte per supporlo vero. È certo che Fra Antonio Tognocchi da Terrinca3 nomina Dante fra gli scrittori Toscani dell’Ordine di San Francesco; ma non fa questo perchè egli sapesse che Dante fosse [p. 80 modifica]entrato in questa Religione nell’età sua più fresca, ma perchè trovò che egli era morto con l’abito indosso di detto Santo, come Terziario del medesimo Ordine, lo che vedremo quanto sia insussistente tra poco. Se poi fino d’allora, come narra il Buti, si desse Dante allo studio della Teologia, nella quale fece tanto profitto, o se molto dopo si applicasse ad una scienza così sublime, io non saprei deciderlo, benchè mi senta portato a credere, che ciò facesse egli nella sua gioventù, sul riflesso che di una tale scienza era ben fornito, quando intraprese la sua Commedia; la qual cosa non sarebbe potuta succedere, se dopo il suo esilio avesse a quello studio applicato. E chi non vede, che un’ingegno così vivace non era possibile che si restringesse a quegli studj, dei quali la gioventù generalmente suol’esser contenta? Aveva egli di buon’ora4 scorsi non tanto i più dotti scrittori della antichità, quanto le pagine dei sacri libri5, e a questi studj aveva accoppiati ancora quelli della Platonica, ed Aristotelica Filosofia, che erano in grandissimo pregio presso quei pochi, che allora avevano stima di dotti6. Godeva per questo Dante dell’amicizia di tutti quei che erano in Firenze, ed altrove, in credito di Uomini letterati, e fra gli altri di Guido Cavalcanti, il quale il primo fra suoi amici egli stesso chiama7. «Era Guido filosofo di autorità, non di poca stima, e ornato di dignità di costumi memorabili, e degno d’ogni laude e onore8: la simiglianza degli [p. 81 modifica]studj9 aveva fatto nascere fra lui, e Dante quella dolce amicizia, benchè quest’ultimo, conoscendo quanto il proprio sapere avanzasse quello di ogni altro suo coetaneo, non si facesse scrupolo d’innalzare se medesimo sopra lo suo amico10. A quel tempo era ancora in molta [p. 82 modifica]reputazione messer Cino da Pistoja non meno celebre Giureconsulto, che accreditato poeta11, Dante da Majano12, Cecco Angiolieri sanese13, Busone da [p. 83 modifica]Gubbio14, Buonagiunta degli Orbigiani da Lucca15, Dino Frescobaldi16, Gervasio Ricobaldo Ferrarese e canonico di Ravenna17, Brandino o Bandino18 da Padova o sia Ildebrandino, ed altri che possono vedersi annoverati dal dottissimo ab. Girolamo Tiraboschi nelle sue storie della letteratura italiana19 dopo il canonico Giovan Mario Crescimbeni ed il Quadrio. Vi è stato anche chi ha detto, che egli avesse stretta amicizia in Firenze col famoso Francesco Stabili, detto volgarmente Cecco d’Ascoli, la di cui tragica fine20 lo ha renduto più celebre, che alcuna delle sue opere. Ma che Cecco si trovasse in Firenze prima che da essa fosse esiliato il nostro Poeta, [p. 84 modifica]e che con lui si applicasse a disputar sopra diversi punti di Filosofia, come dice il padre Appiani21, non mi pare che si possa francamente asserire senza confondere i tempi22. Comunque sia, questi due Letterati è certo che si conobbero almeno per lettera23; che lo Stabili si dimostrò ne’ suoi Scritti un’ardito disprezzatore della Commedia del nostro Dante24, e che di Guido Cavalcanti ancora [p. 85 modifica]non ebbe alcuna stima25. Era lo Stabili, come dalle sue Opere apparisce, uno spirito ambizioso, disprezzante ed altiero che delle cose sue aveva maggiore opinione di quelle, che ad un Filosofo convenisse.

E qui è a proposito il cercare se Dante avesse alcuna tintura della lingua greca, venendogli non solo apertamente negata fra gli antichi dal Filelfo, e dal Manetti26, ma fra i moderni ancora da uomini di vaglia, come da un marchese Scipion Maffei, gloria, ed ornamento delle lettere Italiane27, e da altri28. E a dire il vero l’autorità [p. 86 modifica]di uno dei due citati scrittori della Vita di Dante è stata di tanta forza nell’animo del dotto Veneziano che scrisse in lingua volgare della letteratura greco-italiana, che doppo aver sostenuta nel nostro Poeta la cognizione di questo idioma, si è creduto in obbligo di ritrattarsi29. Ma il sentimento di questi tali non è talmente appoggiato a così valide ragioni, che abbia sicurezza di non esser con giusto impegno combattuto, e forse ancora depresso. Imperocchè facendoci a considerare non solamente le voci greche adoperate da Dante tanto nel suo Poema30, quanto nel suo Convivio31 e negli altri suoi scritti, ma le maniere di [p. 87 modifica]questa lingua fonte di vivissime bellezze, e di nobili e poetiche grazie, di cui l’opera di esso è sparsa con abbondanza32, con difficoltà ci immagineremo come, senza averle attinte ne’ suoi originali, gli sieno nate naturalmente sotto la penna. E come poteva conoscere di quali encomi era degno il Padre della Greca Eloquenza, Omero, e con tanta venerazione e lode nominarlo nella sua Commedia33, se la feconda poesia di questo non avesse gustata nella lettura de’ suoi Poemi? O non vi era nell’età di Dante una compita versione di questo Poeta34, o se mai vi era [p. 88 modifica]questa a lui non fu nota, poichè nel convivio scrive che Omero non era stato mutato ancora «di Greco in Latino» e dà con questo maggiormente a credere ch’egli di lui acquistasse la doverosa stima nello scorrere originalmente i suoi versi, e che per conseguenza avesse delle lettere greche piena notizia. In questa forma hanno molti pensato35, ed a chi teneva in contrario ha contraddetto l’erudito Gio. Lami36 a cui mi piace in tal maniera di unire il mio giudizio con la speranza di non errare con tanta guida. Nè certamente lo studio della lingua greca si spense mai nell’Italia37, e [p. 89 modifica]perciò non dovette esser molto difficile a Dante l’incontrarsi in alcuno, il quale nella medesima potesse servirgli da Maestro38. È molto debole la riflessione di chi ha scritto, per sostenere l’ignoranza del Greco in Dante, che qualora la principal sua scorta fosse stato qualche Poeta di quel linguaggio, ad esso, e non a Virgilio averebbe rivolte le sue parole nell’incominciamento del primo canto dell’Inferno39. Poichè se si voglia considerar la faccenda senza passione, questo sottil raziocinio non esclude la perizia del greco Idioma, mentre può ben essere che di Virgilio si servisse il nostro Poeta per il suo mirabil viaggio, a motivo d’aver trovato esser egli l’inventore della discesa al soggiorno dell’anime de’ trapassati, e perchè ne’ suoi versi latini da primo formasse veramente il bello stile che tanto onore gli ha fatto, e non in quelli d’Omero in età più matura da lui presi fra mano. Comunque sia di tutto questo, sopra di che, siccome per il passato, così in futuro saranno divisi i pareri de’ dotti, volendo procedere al nostro cammino è da premettere che le leggi, ed ordinazioni della nostra Repubblica inviolabilmente comandavano a chiunque voleva essere ammesso al godimento de’ pubblici magistrati l’aggregarsi ad iscriversi in una delle arti in cui la città era divisa: in numero prima di 14. poi di 21. erano queste in Firenze, alcune delle quali dicevansi maggiori, altre minori; sotto alle medesime erano compresi tutti i cittadini, quantunque mestiero alcuno non avesse esercitato40. Fra le arti [p. 90 modifica]maggiori la sesta era quella dei Medici, e degli Speziali, e quivi si sa che Dante si fece descrivere41, o come si usa dire presso di noi, matricolare42. E volendo egli impiegarsi ne’ suoi più verdi anni per benefizio della Patria, credè che il prendere il partito della milizia non disconvenisse ad uno, che le arti di pace aveva particolarmente preso a coltivare. Avendo adunque i Fiorentini l’anno 1289. deliberato di andare contro Arezzo per vendicare i torti ricevuti dai Ghibellini, i quali ivi sotto il dominio del Vescovo Guglielmino degli Ubertini dell’antica famiglia dei Pazzi di Valdarno43 (più atto all’esercizio delle armi, che al governo pastorale delle anime), facevano il loro nido, adunarono un formidabile esercito composto dei più valorosi Guelfi di Bologna, e di Toscana loro alleati. In esso fra i soldati a cavallo si volle trovare il nostro Dante, e con gli altri arrivato nel Casentino presso Poppi, incontrò i nemici, i [p. 91 modifica]quali benchè inferiori di forze nulla temevano, resi animosi dalla vittoria ottenuta l’anno innanzi sopra i Senesi alla Pieve al Toppo44. Messer Amerigo di Nerbona45 Capitano della Cavalleria de’ Fiorentini, o come racconta Dino Compagni46, messer Barone de’ Mangiadori da S. Miniato47 dette ordine che il nostro esercito non fosse il primo ad attaccare la battaglia, ma che si aspettasse di piè fermo l’assalto che mostravano di voler dare gli Aretini. Un tal consiglio procurò senza fallo la vittoria ai Guelfi, mentre i Ghibellini di Arezzo, essendosi spinti con forza, e valore contro dei nostri, averebbero certamente disfatta tutta l’armata, come della Cavalleria era loro riuscito di fare, se dopo una fiera resistenza non fossero stati costretti di cedere al numero maggiore48. Questa famosa battaglia accadde un sabato mattina agli 11. di Giugno in un luogo detto Certomondo nel piano situato tra Poppi e Babbiena che chiamasi Campaldino49, e fu molto dannosa ai Ghibellini, perchè in essa perderono il Vescovo Guglielmino50, [p. 92 modifica]Buonoconte da Montefeltro, figliuolo del celebre Guido51, e non pochi altri valorosi Cavalieri del loro partito. Narra Leonardo Aretino52, che in questa azione Dante si trovava a combattere nella prima schiera, ove portò gravissimo pericolo, e che in una sua Lettera latina l’aveva minutamente descritta. L’anno dopo 1290. del mese d’Agosto53 i Lucchesi con l’ajuto de’ Fiorentini, e degli altri loro collegati, si volsero contro i Pisani, e fra i molti danni fatti ad essi, uno fu la presa del Castello di Caprona, non molto discosto da Pisa. In questa spedizione ancora vi fu Dante, il quale ci racconta54 di aver veduto uscire ignominiosamente pieno di timore il presidio di quel Castello.

Note

  1. Il Buti comentando quel verso del Cant. XXX. del Purgatorio vers. 42. «Prima ch’io fuor di puerizia fosse„ dice che Dante fino dalla sua puerizia si era invaghito della Sacra Scrittura» e questo credo che fosse quando si fece Frate Minore dell’Ordine di S. Francesco, del quale uscette innanzi che facesse professione„ Questa curiosa notizia la comunicò al Mondo letterario il Canonico Biscioni per mezzo del laborioso autore di Stor. letter. d’Italia vol. VIII. pag. 119. n. 25. e fu accennata ancora dal padre Richa nel tom. 1. della sua Storia delle Chiese Fiorentine pag. 105.
  2. Francesco di Bartolo da Buti spiegava il Purgatorio di Dante nell’alma Università di Pisa nel 1395.
  3. Nelle giunte alla sua opera intitolata «Genealogicum, et honorificum Theatrum Etrusco-Minoriticum, edit. Fior. 1682. in 4. pag. 288. et seq. Benchè male architettato, e male scritto sia questo libro, non ostante contiene una quantità grande di notizie di Storia letteraria.
  4. Nella sua Vita Nuova, che Dante scrisse nella sua gioventù, cita molti passi di antichi poeti.
  5. Ved. la sopraddetta Vita Nuova, nella quale Dante riferisce alcuni passi tolti dalle sacre carte.
  6. Prima la filosfia di Platone, poi quella di Aristotele furono con grande impegno insegnate nelle scuole. Di ambedue Dante aveva un’esatta cognizione, come da tutte le sue opere apparisce, e particolarmente da quella che intitolò Convivio.
  7. Nella Vita Nuova, Dante quando vuol nominare Guido Cavalcanti, dice »il primo delli miei amici.
  8. Filippo Villani nella Vita di Guido, fra le altre pubblicate dal Co. Mazzucchelli, pag. 96. Dino Compagni lib. 1. pag. 19. narra «che era cortese, e ardito, ma sdegnoso, e solitario, e intento allo studio» e senza più si può vedere ciò che ne dice il detto Villani, ed il Mazzucchelli nelle sue annotazioni a detta Vita, oltre molti altri scrittori che citar si potrebbero. Egli morì verso la fine del 1300. come racconta Gio. Villani, lib. 8. cap. 41. ed è falso che egli fosse Epicureo, come dice il Boccaccio nella nov. 9. della 6. giorn. il quale prese forse abbaglio nell’attribuire al figliuolo quello che Dante nel Cant. X. dell’Inf. fu a messer Cavalcante suo padre attribuito. In effetto di Guido assai diversamente ne parla nel suo Comento al detto luogo dell’Inferno, il qual Comento compose molto dopo il Decamerone (Ved. il Biscioni nelle sue annotazioni alla Vita nuova di Dante fra le prose dello stesso Dante, e del Boccaccio). Forse ancora in detta novella messer Giovanni riferì quello che allora credeva il popolo, il quale diffamava per eretico chiunque fosse degli altri più dotto o nella fisica, o nell’astronomia (Ved. il Manni nell’illustrazione del Decamerone Par. 2. cap. 61.)
  9. Egli fu eccellente poeta, ed a’ suoi nobili componimenti «molto è tenuta la volgar poesia, perciocchè da essi ricevette non poca robustezza, e splendore». Crescimbeni tom. II. dell’istoria della volg. poesia pag. 266. Dante nella sua Vita nuova ci dice, che l’amicizia con Guido nacque dall’aver questo saputo, che dell’Allighieri era un Sonetto, a cui con altro aveva esso risposto. Il mentovato sonetto di Dante è quello, di cui sopra si parlò, e che incomincia:
  10. Nel Cant. XI del Purg. vers. 94. e seg, dice Dante

        «Così ha tolto l’uno all’altro Guido
             «La gloria della lingua:

    (cioè Guido Cavalcanti a Guido Guinicelli Bolognese)

                        — — e forse è nato
             «Chi l’uno e l’altro caccerà di nido.

    È certo che quivi Dante parla di se medesimo (Varchi Ercolano pag. 210. ediz. di Firenze del 1730. in 4.) non del Petrarca, come vuole il Vellutello, perchè questi era bambino quando Dante scrisse la Commedia, essendo nato nel mese di maggio 1304. (Tomasini, Petrarcha redivivo cap. 1.). È vero poi, che Dante colle sue rime oscurò la gloria di Guido, mentre poco più si leggono quelle di costui, ma bensì sono studiate, ed ammirate quelle del primo; ma Filippo Villani per lodare Guido, dice che era sentimento dei letterati, che il Cavalcanti «tenesse dopo Dante» cioè quasi lo pareggiasse.

  11. Di messer Guittorino de’ Sigibuldi, detto volgarmente Cino da Pistoja, oltre il Crescimbeni nella Storia della volg. poesia vol. II. pag. 289. e molti altri, senza escludere le notizie raccolte dall’erudito Francesco Ignazio Merlini Calderini suo concittadino, vedasi il dotto padre Francesco Antonio Zaccaria nella sua Biblioteca Pistojese Part. II. pag. 220. e seg. Fra le rime di Dante si leggono alcuni Sonetti di lui a Dante, e di Dante a messer Cino. Fra’ primi ve n’è uno in risposta al sopra mentovato Sonetto, che incomincia:

    «A ciascun’alma presa, e gentil core ec.

  12. Dante da Majano fiorì intorno al 1290. e fu uno di quelli che cooperarono per l’ingrandimento della Toscana poesia. Amò una donna Siciliana chiamata Nina, in lode della quale compose ed ordinò diverse bizzarrìe, che erano allora alla moda. Crescimbeni Comment. alla Stor. della volg. Poesia vol. I. lib. 1., cap. 8. pag. 108 e cap. 19. pag. 178. Ancor questa Nina si dilettò di poesia, come dice detto Crescimbeni loc. cit. vol. II. part. III. lib. 2. pag. 84 e tanto amò Dante, che si faceva chiamare la Nina di Dante. Egli poi fu dei primi che introdussero le Lettere missive in Sonetti; (Crescimbeni loc cit. pag. 83.) il qual’uso avendo seguitato l’Allighieri, fra le mentovate rime si trova una risposta del detto Dante da Majano al più volte citato sonetto, che principia

    «A ciascun’alma presa, e gentil core ec.

  13. Cecco Angiolieri, di cui parla il Boccaccio nella Nov. 4. della 6. Giorn. visse sul finire del XIII. secolo. Più sonetti scrisse a Dante, i quali sono nella raccolta dell’Allacci, e da alcuno di essi apparisce che egli fosse suo amico, ma da uno assai satirico si viene in chiaro, che fu veramente suo emulo. Ved. il Crescimbeni ne’ Coment. alla Stor. della volg. Poesia vol. II. part. II. lib. 2. pag. 103.
  14. Di lui dovremo più a basso ragionare.
  15. È nominato da Dante nel XXIV. Cant. del Purg. e certo con lode. Di questo antico Rimatore ne parla il Bembo nel lib. 2. delle sue Prose, il Redi nelle annotazioni al suo Ditirambo pag. 101. e 236. ed il Crescimbeni loc. cit. lib. 1. pag. 59.
  16. Più a basso si vedrà, come secondo alcuni, costui fu amico di Dante. Nella dolcezza, e vaghezza della Poesia non fu inferiore a Cino, come ci assicura il Crescimbeni loc. cit. lib. 3. pag. 120 e 121..
  17. Questo celebre storico, e poeta morì verso l’anno 1297. Ved. il ragionamento posto in principio delle rime scelte de’ poeti ferraresi antichi e moderni di sopra mentovato, ed impresso in Ferrara nel 1713. in 8.° per gli eredi di Bernardino Pomatelli Imp. Episc. e l’ab. Tiraboschi nell’opera che qui sotto citiamo: tom. IV. lib. 2. cap. 6. § V.
  18. Così si chiama questo famoso poeta dei Padovani, ricordato nel libro de vulgari eloquentia, dall’Allacci, e dal Co. Mazzucchelli negli scrittori d’Italia.
  19. Tomo IV. lib. 3. cap. 3. e tom. V. Modena in 4.°
  20. Fu bruciato in Firenze il dì 16. Settembre 1327. per Sentenza dell’Inquisitore, presso del quale era stato accusato d’eresia (Gio. Villani Storia lib. 10. cap. 41). La detta Sentenza si conserva manoscritta nella Magliabechiana nel cod. 127. della cl. 34. ed altrove. Del resto di lui vedasi quanto scrive il P. Paolo Antonio Appiani Gesuita nel suo Ateneo Ascolano manoscritto presso il Vernino nella Storia dell’Eresie al Sec. XIV. cap. 3. pag. 456. e seg. e l’abate Quadrio nel vol. IV. della sua storia, e ragione d’ogni poesia lib. I. distinz. II. cap. III. pag. 38. e seg. ediz, di Milano 1749. 4.° grande. I suoi persecutori furono principalmente Dino del Garbo medico, e Tommaso suo fratello. Nacque Cecco nel 1251. e dal 1322. al 1325. insegnò a Bologna.
  21. Il P. Appiani, di cui è da vedersi quanto scrive il Co. Mazzucchelli nel vol. I. degli Scrittori d’Italia pag. 885. racconta che lo Stabili dopo essere stato alla Corte del Pontefice Gio. XXII, in qualità di suo Medico, si portò in Firenze, e che strinse amicizia con molti uomini di lettere, e particolarmente con Dante Allighieri, col quale si occupava a sciorre varie questioni, che scambievolmente si proponevano, e ad insegnare al medesimo Dante l’Astronomia. Narrano anco circostanziatamente che tralle questioni propostesi, una fu quella che l’arte vinceva la natura, a sostener la quale, Dante disse avere ammaestrato un gatto a reggere una candela di sego mentre scriveva; Cecco desiderò vederne la prova; ma allorchè il gatto eseguiva la funzione imparata, Cecco mise fuori una pignatta che aveva seco, nella quale erano alcuni topi, lo che il gatto vedendo lasciò cader la candela, e corse loro dietro, e così Cecco vinse la questione: non è credibile peraltro che Dante impegnato in studj cotanto severj, si occupasse di sì piccole e difficili bagattelle.
  22. Il citato Autore non dà discarico, donde tali notizie abbia prese; e dicendoci, che Cecco venne in Firenze dopo aver servito Gio. XXII. bisogna credere che ciò seguisse verso l’anno 1318. perchè Gio. fu eletto Pontefice ne’ 7. Agosto 1316. (Muratori Ann. d’Italia a detto anno). In questo tempo Dante era esule dalla Patria.
  23. Nel lib. 3. e cap. 10. del suo Poema intitolato l’Acerba, o Acerva, dice parlando della Nobiltà:

              Ma qui mi scrisse dubitando Dante,
              Son doi figlioli nati in uno parto,
              Et più gentil si mostra quel d’avante,
              Et ciò e converso come già vedi,
              Torno a Ravenna de lì non me parto,
              Dimme Esculano quel che tu ne credi.
              Rescrissi a Dante, intendi tu che leggi ec.

  24. In più luoghi del suo Poema Francesco Stabili parla di Dante, e della sua Commedia, e particolarmente nel lib. 5. cap. 10. ove dice:

         Qui non si canta al modo delle Rane,
              Qui non si canta al modo del Poeta
              Che finge immaginando cose vane,
         Ma qui risplende, e luce ogni natura
              Che a chi intende fa la mente lieta.
              Qui non si sogna per la selva scura.
         Qui non vego Pavolo nè Francesca,
              De li Manfredi non vego Alberigo
              Che de li amari frutti nella dolcie esca
         El Mastino nuovo, et Vecchio da Veruchio
              Che fece de Montagnia qui non dico
              Nè dè Franceschi lor sanguigno muchio.
         Non vego ’l Conte, che per ira, et asto
              Ten forte l’Arcivescovo Ruggiero
              Prendendo del suo ceffo el fiero pasto.
         Non vego qui squatrare a Dio le fiche;
              Lasso le ciancie, e torno su nel vero,
              Le Favole mi son sempre nemiche.

    Quivi si vede che lo Stabili allude a più cose raccontate da Dante nella sua Commedia, e che riprende aspramente l’invenzione di essa. Da ciò è derivato che sia stato scritto dal Sig. Osmont nel suo Dizionario tipografico, istorico, e critico de’ libri rari uscito in luce a Parigi nel 1768. in 2. vol. in 8.° in francese pag. 178. del tom. I. che Cecco fosse accusato di magia, e di eresia dagli amici, e partigiani di Dante da lui criticato.

  25. Nel cap. 1. del Lib. 4. esamina con molto rigore la celebre Canzone di Guido Cavalcanti, che incomincia.
  26. Nelle loro vite del Poeta.
  27. Nel suo esame l’atto al detto libro dell’Eloquenza italiana, ed inserito nel tom II. delle sue osservazioni letterarie.
  28. Carlo Lenzoni a difesa di Dante Gior. II pag. 46. Anton-Maria Salvini lez. 32. fra le sue prose Toscane; Ab. Meuhs nella Prefaz. alla citata Vita del Manetti pag. XXIV; Domenico Manni lez. della antichità delle lettere greche in Firenze quivi impressa nel 1762. in 4.°
  29. Questi è il padre Giangirolamo Gradenigo cherico regolare poi Vescovo. Egli indirizzò in una lettera al Card. Quirini un suo ragionamento sopra lo studio della lingua greca in Italia ne’ tempi di mezzo, e la fece inserire nel tom. VIII. delle miscellanee di varie operette pubblicate da Tommaso Bettinelli nel 1744. in Venezia. In essa adunque sostenne pag. 97. e seg. che Dante aveva saputa la lingua greca; ma dando in luce nuovamente questo discorso in Brescia nel 1759. in 8.° ha con poca avvedutezza pag. 109. e seg. mutato parere per essergli sembrato militare più forti ragioni per la parte negativa, che per l’affermativa, e per aver fatto troppo caso dell’autorità di Giannozzo Manetti scrittore che a senso mio non sbilancia col suo detto le prove le quali dall’opere stesse di Dante si ricavano. Altre prove decisive si troveranno più avanti sulla cognizione di Dante nella lingua Greca.
  30. Più voci greche mescola Dante nella sua Commedia come Perizoma nel C. XXXI. dell’Inferno vers. 61. Entomata, che che ne dica il Salvini, per significare insetti, Purgatorio C. X. vers. 128. Geomanti ivi C. XIX. vers. 4. Eunoè (buona-mente) ivi C. XXVIII. vers. 131. Galassia (via lattea) Paradiso C XIV. vers. 99. Latria (culto) ivi C. XXI. num. 111. Teodia, canto in lode di Dio, ivi C. XXV. vers. 73. ec. Non avrebbe mai detto dell’anima: Angelica Farfalla: se non avesse saputo che il Greco chiamava l’anima, e la farfalla con lo stesso nome.
     Parve anco al dottissimo Greco Cav.Fonte/commento: Pagina:Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri.djvu/228 Mustoxidi che quell’apostrofe ch’è nell’Inferno al XXXIII. O Genovesi uomini diversi, sia una imitazione dell’epiteto che Omero nella sua Protasi dell’Odissea dà di Politropos ad Ulisse, voce che si reputa molto difficile da rendersi in italiano.
  31. Quivi ancora usa la voce Protonoe cioè prima-mente, ed alcune altre, e nella Dedica di una Cantica del suo Poema a Can Grande della Scala assegna l’etimologia della parola Allegoria, Commedia ec.
  32. Lo ha osservato Pier Vettori nel cap. 21. del lib. 31. e nel cap. 7. del lib. 35. delle sue varie lezioni, ed in una sua opera inedita citata dal Can. Bandini nella di lui vita, benchè non sia di quelli che accordino a Dante la cognizione della lingua greca. Ma più ampiamente lo potranno conoscere coloro che con la perizia di questo Idioma si porranno a leggere con attenzione la Commedia. Vi si troverà pure argomento da credere che fosse perito anco in lingue orientali meditando quel verso: Rafel ec.
  33. Nel canto IV. dell’Inferno v. 88. chiama Omero «Poeta Sovrano» e vers. 95. e 96.

              — Signor dell’altissimo canto
              Che sopra gli altri com’aquila vola.

    e nel cant. XXII. del Purgatorio vers. 101. e 102.

              — Quel greco
              Che le Muse lattar più ch’altri mai.

    In questo medesimo luogo vers. 106. e seg. dice ancora

              Euripide v’è nosco, e Anacreonte,
              Simonide, Agatone, e altri piùe
              Greci, che già di lauro ornar la fronte.

    Adunque Dante aveva notizia di questi Poeti celebri nell’antica Grecia.

  34. Che nel tempo di Dante non vi fosse ancora una versione latina di Omero lo hanno pensato sopra l’autorità di lui il citato Marchese Maffei, e monsignore Fontanini. Il Fabbricio poi nella Biblioteca Greca scrive lib. 2. cap. 111. quest. 18. vol. 1. pag. 297. «Primus ex recentioribus Homerum latine reddi curavit Franciscus Petrarcha «per opera cioè di Leonzio Pilato, di che è da vedersi specialmente l’abate Mehus nella sua vita di Ambrogio Traversari pag. CCLXIX. e seg. Che se alcuno in quei tempi fra i latini ebbe notizia di Omero questo seguì per mezzo del compendio che fece Pindaro Tebano in verso dell’Iliade, come in parte osserva ivi lo stesso Mehus pag. CCCXXI. Si consulti ancora il citato padre Gradenigo pag. 134. ove parimente confessa che avanti il Petrarca, Euripide, Esiodo, ed Omero non erano stati mutati di greco in latino. Molto più adunque prima di Dante, che d’altronde non ebbe notizia della pretesa traduzione di Pindaro.
  35. L’opinione che il nostro Poeta sapesse l’idioma greco è seguitata dal Padre Negri nella sua Istoria degli scrittori Fiorentini pag. 140. dal Boesarde presso il Pope-Blount censurae celebriorum auctorum pag. 139. da monsignore Domenico Giorgi nelle sue osserv. intorno alla persona di Emanuele Grisolora, che sono nel tom. XXV. della raccolta di opuscoli fatta in Venezia dal padre Calogerà; da monsignore Fontanini nella sua Eloquenza italiana cap. 15. del lib. 11.; dal canonico Giulianelli in una postilla manoscritta alla prima edizione di queste mie memorie, e da altri, i quali troppo nojosa inchiesta sarebbe il rammentare.
  36. Domenico Manni avendo pubblicata la suddetta sua lezione dell’antichità, oltre ogni credere, delle lettere greche in Firenze, pag. 3. pensò doversi negare senza dubitazione il saper di Greco in Dante, ma il Lami nel dar ragguaglio di questa operetta nelle sue novelle letterarie del 1762. num. 22. col. 350. si dichiara per l’opinion contraria, e la tien per certa maravigliandosi che altrimenti abbia pensato l’autore di essa. Anche il canonico Dionisi con buoni argomenti sostenne l’affermativa.
  37. Vedi il Muratori nell’antichità italiane de’ tempi di mezzo tom. III. dissert. XLIV. ed il suddetto padre Grandenigo. Per questo il citato Mehus nella vita del Traversari pag. CCXVII. scrive «Pari modo graecae litterae Petrarchae sunt acceptae referandae. Fractae enim erant, ac pene sepultae, antequam essent a Petrarca erectae, maioremque datae in lucem. Fractae inquam: neque enim ante Petrarchae tempora excisae in Italia penitus erant, ac funditus deletae.
  38. Da un sonetto di Dante riferito dal detto Raffaelli nelle sue memorie di messer Busone da Gubbio cap. V. si vede che insegnava la lingua greca, poichè in esso il poeta si rallegra con detto Busone a motivo che suo figliuolo si applicava allo studio della medesima lingua, e vi faceva progressi.
  39. Il Gradenigo loc. cit. pag. 111.
  40. Queste arti, che non molto differiscono da quelle comunità, le quali presso gli antichi dicevansi Collegi, sono descritte da Antonio Pucci nel suo capitolo impresso dietro la Bella mano di Giusto De’ Conti, e delle medesime parla l’Ammirato nelle sue Storie, e gli altri Scrittori Fiorentini.
  41. In un libro membranaceo in foglio di detta arte intitolato «Estratto del primo libro delle Matricole di Firenze segnato A. che comincia dall’anno 1297. e dura fino al 1300. a cart. 47. leggesi «Dante d’Aldighieri Poeta Fiorentino». Perchè più in quest’arte, che in altra fosse descritto il nostro Dante, non saprei di sicuro asserirlo. Può essere che i suoi passassero, come noi Fiorentini diciamo, per quest’arte, per avere avuto un negozio di speziale: e può essere ancora che Dante volesse un tempo esercitare la medicina, di cui non era certo ignorante.
  42. Vedi il Vocabolario della Crusca in questa voce.
  43. Così dicono Simone della Tosa nei suoi Annali all’anno 1289. e Dino Compagni nel lib. 1. pag. 6. edizione di Firenze del 1728. in 4. benchè gli altri Storici tutti facciano questo Vescovo della casata degli Ubertini. Ma avvertendo che Dino visse appunto a’ tempi di questo Vescovo, e che perciò potè essere meglio degli altri informato di che casata egli fosse, ho creduto di dovere seguitare la sua asserzione, la quale per questo stesso motivo è stata abbracciata ancora dal Coleti dottissimo annotatore dell’Italia Sacra dell’Ughelli, colà dove nel tom. I. si parla di Guglielmino. Vero è per altro, come costa da più scritture dell’Archivio dei Canonici di Arezzo, che un ramo de’ Pazzi di Val d’Arno, del quale era il Vescovo, intorno a’ tempi ne’ quali egli visse, cominciò a chiamarsi degli Ubertini, onde ben sta’ che Guglielmino sia chiamato da Dino, e da Simone della Tosa, de’ Pazzi, e da altri degli Ubertini.
  44. Annali d’Arezzo pubblicati dal Muratori nel tom. 24. Script. Rer. Italic. pag. 855. Giovanni Villani lib. 7. cap. 119. Di questa sconfitta seguita il dì 27. giugno 1288. fa menzione Dante nel Cant. XIII. dell’Inferno vers. 120. e seg.
  45. Di questo illustre Capitano vedi il Villani lib. 7. cap. 129.
  46. Loc. cit. pag. 9. Questa rotta è accennata dal nostro Poeta nel Cant. XXII. dell’Inferno vers. 4. dicendo:

         «Corridor vidi, per la terra vostra
              «O Aretini,

    e segue a far vedere, che egli sapeva come andavano le cose nelle battaglie.

  47. Messer Barone de’ Mangiadori l’anno 1289. era Capitano di Siena. Andrea Dei, Cronica Sanese pubblicata dal Muratori tom. XV. Rer. Ital. Script. pag. 40.
  48. Lo dice Dino Compagni loc. cit.
  49. Villani lib. 7. cap. 130.
  50. Nel nostro Batistero di S. Giovanni furono appesi l’elmo, e la spada di questo Vescovo, quasi spoglia opima, e vi restarono fino a che il Gran Duca Cosimo III. volle che si togliesse dalla pubblica vista una tal memoria sacerdotale insieme, e guerriera. Ved. Guazzesi Disser. del Dominio del Vescovo di Arezzo in Cortona pag. 154. e 155. in not.
  51. Di costui parla Dante nel Cant. V. del Purg. vers. 88. e seg. dicendo, che nella detta battaglia, in cui restò morto, non fu trovato il di lui corpo. Buonconte fu Capitano di gran valore, come raccontano gli Storici.
  52. Vita di Dante.
  53. Vedi il Villani lib. 7. cap.136.
  54. Inferno Cant. XXII. vers. 94. e seg.

        «E così vid’io già temer li fanti,
             «Ch’uscivan, patteggiati, di Caprona,
             «Veggendo sè tra nemici cotanti.