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perciò non dovette esser molto difficile a Dante l’incontrarsi in alcuno, il quale nella medesima potesse servirgli da Maestro1. È molto debole la riflessione di chi ha scritto, per sostenere l’ignoranza del Greco in Dante, che qualora la principal sua scorta fosse stato qualche Poeta di quel linguaggio, ad esso, e non a Virgilio averebbe rivolte le sue parole nell’incominciamento del primo canto dell’Inferno2. Poichè se si voglia considerar la faccenda senza passione, questo sottil raziocinio non esclude la perizia del greco Idioma, mentre può ben essere che di Virgilio si servisse il nostro Poeta per il suo mirabil viaggio, a motivo d’aver trovato esser egli l’inventore della discesa al soggiorno dell’anime de’ trapassati, e perchè ne’ suoi versi latini da primo formasse veramente il bello stile che tanto onore gli ha fatto, e non in quelli d’Omero in età più matura da lui presi fra mano. Comunque sia di tutto questo, sopra di che, siccome per il passato, così in futuro saranno divisi i pareri de’ dotti, volendo procedere al nostro cammino è da premettere che le leggi, ed ordinazioni della nostra Repubblica inviolabilmente comandavano a chiunque voleva essere ammesso al godimento de’ pubblici magistrati l’aggregarsi ad iscriversi in una delle arti in cui la città era divisa: in numero prima di 14. poi di 21. erano queste in Firenze, alcune delle quali dicevansi maggiori, altre minori; sotto alle medesime erano compresi tutti i cittadini, quantunque mestiero alcuno non avesse esercitato3. Fra le arti

    ferendae. Fractae enim erant, ac pene sepultae, antequam essent a Petrarca erectae, maioremque datae in lucem. Fractae inquam: neque enim ante Petrarchae tempora excisae in Italia penitus erant, ac funditus deletae.

  1. Da un sonetto di Dante riferito dal detto Raffaelli nelle sue memorie di messer Busone da Gubbio cap. V. si vede che insegnava la lingua greca, poichè in esso il poeta si rallegra con detto Busone a motivo che suo figliuolo si applicava allo studio della medesima lingua, e vi faceva progressi.
  2. Il Gradenigo loc. cit. pag. 111.
  3. Queste arti, che non molto differiscono da quelle comunità, le quali presso gli antichi dicevansi Collegi, sono descritte da Antonio Pucci nel suo capitolo impresso dietro la Bella mano di Giusto De’ Conti, e delle medesime parla l’Ammirato nelle sue Storie, e gli altri Scrittori Fiorentini.