Meditazioni sull'Italia/Seconda parte/Dicembre

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DICEMBRE


Della nostra riluttanza all’ammirare


In un paese dove nessuno sa e vuole ammirare, l’artista brancola come un cieco senza bastone. Là dove nessuno lo incuora a camminare, lo scrittore tende a rinchiudersi immobile e inquieto in se medesimo.

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Della nostra Riluttanza all’ Ammirare



1 Dicembre

Non si possono forzar gli uomini a raggrupparsi senza offrir loro qualche esca, senza oliare gli attriti inevitabili di queste combinazioni forzate: è il compito della lode.

Qualunque straniero sbarchi a Parigi, che non sia del tutto sfornito di meriti, si vede immerso in un’atmosfera incandescente dove si sente giudicare secondo quello che offre «gentil, agréable, charmant, plein de talent, amusant, délicieux, exquis, charmeur, génial». Il fatto stesso che non sia possibile tradurre quasi nessuno di questi aggettivi è una prova che sono il privilegio della civiltà parigina.

2 Dicembre

Ma i complimenti a Parigi non sono soltanto dei fuochi d’artificio regolati, sono un’arte, un’organizzazione. Una società non si dà la pena di regolare questi arabeschi soltanto per abbellirsene; bisogna che un sentimento spinga gli uomini a

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[p. 52 modifica] lodarsi l’un l’altro; e i complimenti non mi sembrano che l’ultimo coronamento dell’istinto del gruppo.

L’ammirazione che si esprime in complimenti è nel tempo stesso una maniera di attirare gli uomini e di rendere più facili e gradevoli i loro rapporti; ne è l’intermediario e il compenso. Un uomo e una donna che si aspettano di piacere, bruciano di andare incontro agli omaggi che dovranno, secondo il rito segreto, fiorire al loro passaggio; smaniano di riunirsi a tanti specchi benigni del loro merito; entrano in un salotto o in un gruppo come in un mondo incantato, dove saranno coperti di fiori. E notate che Parigi è la città del mondo, dove i complimenti sono più precisi; perchè i parigini, che hanno l’abitudine di vedersi tra loro da tanti secoli, sono nello stesso tempo benevoli e svegli, e un complimento falso o mal detto non li lusinga che a mezzo. O almeno, per paura di un sorriso ironico di colui che lo riceve o di quelli che, intorno intorno li stanno a sentire, i parigini hanno acquistato la scienza di trovare delle formule, che siano gradevoli, ma che non manchino di gradazioni.

Così per la gioia di sentirsi ammirare gli uomini acquistano l’istinto della compagine e si raggruppano. In Francia ogni scrittore, e più largamente ogni essere umano, diventa socievole perchè vive fra gente che lo ammira. Ma tutto si ripercuote, e se da principio gli uomini ammirano per essere ammirati, alla fine si assuefanno davvero a vedere nei loro [p. 53 modifica] simili piuttosto le loro virtù che i loro vizi, e il gioco si trasforma in un profondo senso di benevolenza che fa gli uomini più felici, accresce la ricchezza della materia al poeta e lo eccita a creare.

6 Dicembre

La concezione aggressiva della vita ha distrutto negli intellettuali italiani e poi di riflesso nel loro pubblico la volontà di ammirare, che mi è parso sempre il lievito maggiore di una civiltà letteraria.

Chi c’è infatti in Italia oggi, che tributi agli scrittori un pó di ammirazione? Non i critici, non il pubblico, non i colleghi, non gli amici. Sono stato da uno scrittore celebre in tutto il mondo che aveva invitato a pranzo un piccolo gruppo di letterati.

Poco prima di cena, mentre lo scrittore stava facendo a tutti gli amici un piccolo discorsetto, arrivò una signora francese. « Raccontavo come è nato il mio libro — il libro che è uscito l’altro giorno — spiegò lo scrittore. La signora non esitò « L’ho letto già tutto d’un fiato! Che meraviglia!

Lo scrittore le chiese che cosa le piacesse di più.

« Non saprei dire: Certo, questo è forse di tutti i suoi romanzi, il più patetico, il più forte, il più profondo. »

« Ma non è un romanzo, » rispose lo scrittore.

« Romanzo, naturalmente, continuò la signora, dicevo romanzo, perchè per essere un libro, come dire, un libro di storia, è interessante, appassionante, divertente più di un romanzo. » [p. 54 modifica]

« Grazie, grazie » badava a dire lo scrittore. Ma la signora si avvide che in quel « grazie » c’era un palpitar di voce sospetto, uno strascico vagamente ironico, e dette un colpo di sonda. « Non crede anche lei, forse... »

« Sì, sì, lei è troppo buona; ma non so se questo si potrebbe chiamare un libro di storia...; forse; ha ragione lei... »

La signora ribattè, recisa « Sì, da una parte si può dire che è un libro di storia, perchè ci si ritrovano come condensate tutte le vaste esperienze che lei ha del passato; ma non è un libro di storia, perchè le passioni che lei descrive con mano maestra, sono immortali, rientrano dunque, per un altro verso, nel campo della poesia, della filosofia... »

« Troppo buona! Troppo buona! Sarà così — diceva lo scrittore, sorridendo — non mi pareva che si ritrovassero condensate in questo libro, che è un libro di poesie, tante esperienze del passato; ma forse si può dire anche questo; perchè le esperienze del passato, come la passione, si trovano dappertutto, non è vero? » « Oh che verità profonda! — esclamò la signora, che cosa sarebbe l’uomo senza la passione? ». E così cambiò discorso.

Dopo pranzo arrivò, tra gli altri, una signora italiana che non aveva letto il libro dello scrittore neppur lei, nè quello, nè altri. Era una signora ancora bella nonostante l’età. La lunga abitudine agli omaggi le aveva dato un’aria imperatoria e il bisogno di far dello spirito senza repliche, di [p. 55 modifica] essere il centro indiscusso di qualsiasi conversazione, la Bocca della Verità, della Sapienza, della Grazia, dell’Intelligenza, da cui tutti pendevano, anche quando parlava di marche d’automobili, di grandi alberghi, di corse di cavalli, di bridge e di quegli altri soggetti, che per loro fortuna, il mondo fornisce a tutti quelli che non avrebbero, se no, nessuna ragione di parlare e nessuna idea da esprimere. Sicura di tutto, avvezza a emetter sentenze anche su quello che non conosceva, volle subito discorrere di letteratura.

« In Italia, cominciò, non c’è nessuno che sappia scrivere. » La gente la guardò un pò stupefatta. Nella casa di uno scrittore celebre, piena quella sera, di scrittori italiani, quella sentenza di una signora sprovvista dell’autorità di giudicar di letteratura sembrò inopportuna.

« Sí, disse. Chi sa più scrivere dei romanzi? Chi sa più scrivere delle poesie? Già, per me, Romain Rolland li ha ammazzati tutti. Dopo Jean Cristophe non è più possibile scrivere dei romanzi. Dopo Albert Samain non è più possibile scrivere delle poesie. »

« Non ha letto ancora il suo libro di poesie?, disse un amico, accennando allo scrittore. — E’ uscito che è poco ed è certo bellissimo. » Sperava di salvar la signora dall’imbroglio in cui si era andata a mettere; ma la signora, senza darsela per intesa, continuò:

« Ah sí? Ma insomma in Italia non c’è nulla, [p. 56 modifica] nulla, nulla. Un’amico mi chiedeva qualcosa da leggere, e io non ho saputo consigliargli che dei libri inglesi: Gilbert Frankau, per esempio, ecco un romanziere. »

« II nostro ospite — disse un altro dolcemente — ha scritto dei romanzi. »

« Ah sí? — rispose con la stessa calma la signora — Certo è che io non sono mai riuscita a trovar qualcosa di leggibile nella letteratura italiana. Mi consiglio sempre con il mio libraio, che mi manda dei libri in esame; ma glieli rimando in genere tutti quanti. »

« Ci sono dei giovani — disse lo scrittore — delle ultime generazioni, che hanno scritto dei buoni libri. Gliene presento tre ». E glieli presentò.

« Ah sí? rispose la signora, io leggo i romanzi di Blasco Ibañez - quello è un romanziere! - perchè è uno scrittore di fama europea. Nessuno sa che i loro libri sono pubblicati. »

« E’ un gran male, disse lo scrittore, che i mezzi di comunicazione tra la Repubblica delle lettere e il pubblico stiano sparendo. Il pubblico non crede più ai giornali. Non ci sono quasi più riviste. Gli editori falliscono. I librai non pagano gli editori... »

« Ma naturale! Ma naturale! ribattè la signora, non si scrivono buoni libri! »

Questa conversazione sembra quasi incredibile a leggersi e lasciò tutti molto stupefatti. La signora se ne andò senza aver capito perchè, ma oppressa da un vago malessere. Quando si rimase a [p. 57 modifica] quattr’occhi lo scrittore mi prese sotto il braccio e mi disse:

« Veda; questa signora italiana era sconfortevole, non tanto perchè ignorasse i miei libri e quelli dei miei amici; ma perchè trovava naturale di dircelo. Questa signora, che rappresenta, per il rango, la ricchezza e la famiglia, quelle che siamo soliti chiamare con parola vaga « classi alte » è il nostro pubblico, e non solo non pensa un momento che sia necessario di aiutarci, di leggerci, di ammirarci; ma non pensa nemmeno che avrebbe il dovere, almeno, di far le viste di averci letti quando si trova con noi. Perchè, se veramente, riflettendo, volessimo dirci che la maggior parte del nostro pubblico è fatto cosí, e che noi lavoriamo per questa gente, che non ci legge da vivi, e non ci leggerà da morti, verrebbe voglia di non scrivere più una riga. Ma per fortuna non lo pensiamo. Noti poi che questa signora si crede « nazionalista » e « patriottica », e che avrebbe la forza di sdegnarsi in maniera clamorosa se sentisse qualcuno dir male di quella matrona con la torre sullo scignone, che chiama Italia. Guardi invece quella signora francese; la sua ipocrisia è il più grande omaggio alla letteratura che si potesse fare. Perchè non aveva letto il mio libro — e questo è ben naturale, poiché era forestiera e il libro è uscito da poco — ma non lo ha voluto ammettere. Questo vuol dire che il fatto di non aver letto il mio libro le sembrava una colpa, che non si potesse confessare, sopratutto a me. Quella signora [p. 58 modifica] sottintendeva dunque il dovere di leggere le opere importanti che si pubblicano ai suoi tempi — anche fuori del suo paese — e il dovere di aiutare i letterati a scriverle, tributando loro un’ammirazione, che è meno falsa di quel che si crede; perchè era falsa la sua ammirazione per il mio libro, che non aveva letto; ma era vera la sua ammirazione per me in quanto scrittore e per la letteratura in genere. Quella signora è il piccolo frutto di una grande civiltà letteraria.

10 Dicembre

A vedere con che fatica e sforzo e come raramente gli italiani riescono a ammirare i loro grandi uomini fin che son vivi e a ricordarsene quando son morti, e quante volte invece facciano pompa della loro ignoranza, si direbbe che gli Italiani siano indispettiti più che orgogliosi dei propri geni, e che ogni grande uomo debba pagare in Italia lo scotto della propria grandezza. L’idea di far coro con un’opinione universale riempie di risentimento l’italiano, che vuol essere aggressivo, scontento e solitario anche ammirando. Ma se dura tanta fatica ad ammettere che ci sia tra quelli che frequenta come uomini, un uomo superiore agli altri ed a lui, gli è che al di fuori d’ogni passione di parte, ogni Italiano comune si considera come un grande uomo mancato. Ci si meraviglia poi che gli stranieri non ammirino e studino i nostri grandi uomini; e non si pensa che noi ammiriamo i genî francesi, i tedeschi e gli [p. 59 modifica] inglesi perchè hanno incominciato ad essere ammirati in patria, e che nessun forestiero è tenuto a conoscere e a ammirare un italiano, che gli italiani seppelliscono nell’indifferenza o coprono di disprezzo.

12 Dicembre

In Francia è uscito « Les Faux Monnayeurs » di André Gide. Il romanzo ha fatto un gran clamore: in Francia, e per questo è stato letto in Italia. Immaginiamoci quello che sarebbe successo da noi, se un romanziere italiano avesse scritto « Les Faux Monnayeurs ». Si può dire che questo sia un romanzo chiassoso per le sue lacune, dispettosamente assurdo. I critici, in Italia, se la sarebbero dunque goduta un mondo a dire che « Les Faux Monhayeurs » prima di tutto non è un romanzo, poi che è un romanzo mal fatto; che non c’è nè filo, nè intreccio, nè logica, nè grandi situazioni; che i personaggi son tutti matti o tarati; che si sente troppo la « maniera » di Dostoiewski — tutte cose giustissime, in verità, ma che avrebbero seppellito il romanzo in Italia e naturalmente anche in Francia.

Ora queste cose le hanno dette anche i critici francesi; ma dopo aver messo in chiaro, punto primo, che se « Les Faux Monnayeurs » hanno tutti questi difetti e non sono un romanzo, hanno infinite altre qualità positive; che sono un’esperienza nuovissima e una maniera mai tentata di rappresentare una fetta della vita, tagliata in profondità. Succede cosí, che persino i critici italiani, [p. 60 modifica] giudichino i libri francesi, sotto la suggestione dei loro critici, con un metro tutto diverso da quello con cui giudicano gli italiani. Perchè il loro primo istinto, che è di vedere quel che in un libro non c’è, è un pó imbrigliato dallo spettacolo della critica francese, che si strema a mettere in valore tutto quello che in un libro c’è. Ma come si può pretendere che gli stranieri si persuadano della bellezza d’un libro, in cui i critici italiani hanno denunziato tante mancanze? Non così faceva il critico Giorgio Vasari; gli andrebbe fatto un monumento solo quando si pensasse che era pittore e architetto anche lui, e che è riuscito a ammirare lo stesso dei concorrenti.

20 Dicembre

Il pubblico che ammira, che ammira davvero con cuore, con gioia, il pubblico che ha la felicità di ammirare (niente è più deleterio che l’ammirazione convenzionale) è il più grande animatore di una letteratura. Una letteratura direi, anzi, non può fiorire che in un clima di ammirazione. Io credo infatti che fioriscano delle opere da ammirare là dove gli uomini vogliono ammirare delle opere, e che l’ammirazione non sia tanto il premio, come l’incubatrice, lo stimolo dei capolavori.

Giuseppe Rensi ha già osservato quanto c’è di fecondo nella lode. La lode è necessaria all’intellettuale, perchè gli garantisce che ha visto giusto, nel tempo stesso in cui gli inocula di nuovo la grandiosa febbre della creazione. Anche Cicerone aveva [p. 61 modifica] scritto nelle Tusculane: « Honos alit artes omnesque incenduntur ad studia gloria. »

Si crede che nel ’600 il Vasari potesse ammirare tante opere belle perchè c’erano quelle opere. Errore: ci furono nel ’600 tante opere belle perchè c’era Vasari che le sapeva ammirare e far ammirare.

22 Dicembre

In un paese ove nessuno sa e vuole ammirare, l’intellettuale brancola come un cieco senza bastone. Partiamo dal punto di vista che lo scrittore, rispetto all’opera che ha fatto, sia quasi come un cieco. Là dove nessuno lo incuora a camminare o tutti gli riempiono lo spirito di paurosi fantasmi, invece di rassicurarlo, lo scrittore tende a chiudersi, immobile e inquieto, in se medesimo. Perciò se alle volte questo clima selvaggio non impedisce ai grandi capolavori di fiorire, se alle volte, come successe a Dante, il paese stesso fa scrivere la Commedia per la forza incommensurabile del disgusto, inaridisce molti scrittori, che avrebbero bisogno di dolcezza per vivere, e li tuffa tutti in uno stato di perenne irrequietudine.

23 Dicembre

Una civiltà non può fiorire che là dove il pubblico e i critici ammirano. L’ammirazione è come il calore di una serra. Non si dirà che il calore si spande perchè sono nati molti fiori odorosi; [p. 62 modifica] ma piuttosto che i fiori sono nati perchè c’è calore. Certi genï, va bene, spuntano in tutti i climi, perchè il calore l’hanno in sè. Ma una civiltà non è fatta di genî. I genî quando si fa il bilancio non contano; sono le masse che contano, è il pubblico. Un paese non è civile quando gli nasce un genio, che scrive un capolavoro, ma quando ha molti artisti che operano, senza cader mai al disotto di un certo livello; quando i pittori sanno che cosa è e che cosa deve fare la pittura, e gli scrittori la scrittura. Ma questo non si può ottenere che con l’ammirazione, che vuol dire chiaro intendimento del bello che è in un’opera.

23 Dicembre

Il guaio della critica italiana come la si fa oggi, non è che partisca con nitidezza le cose d’arte in belle e brutte, ma che non le partisce affatto; che per non aver a core di trovare « le belle » e per timore di trovare « le brutte » rimescoli e confonda come fa il vento sulle biade, in modo che tutte le uguaglia le belle e le brutte; mentre l’ammirazione che è coraggio, (perchè l’affermare che ti fa responsabile, è più duro che l’obbiettare o il dettar condizioni) è ricca di sottili gradazioni più che la tavolozza del Credi che adoperava cento pennelli.

Che ha detto la critica italiana di Segantini, di Fattori quando erano vivi? Che ha detto di Pascoli, di Gozzano, di Verga? Anche ora qualcuno tra gli Italiani che i posteri chiameranno « divino » o « grandissimo » c’è di sicuro e molti che nessuno [p. 63 modifica] ricorderà più; o perchè se si ha tanta benevolenza pei mediocri da lodarli nelle gazzette con accorta simpatia, non si ha quella di chiamar « grandissimi » e « divini » quelli che lo sono e di additare come modelli ai più giovani l’opera loro?

Il pubblico nostro che non è stato educato da nessuno ad ammirare, se ne vergogna, si convince, a poco a poco, che le opere grandi si possono trovare soltanto nella storia passata. Niente lo disturba e meraviglia come il dover riconoscere che un libro moderno non è meno bello di un venerabile avanzo del tempo. L’inquietudine e l’ignoranza di un pubblico si vede a quella ch’io vorrei chiamare la religione degli incunaboli. I lettori del Figaro, ch’io mi ricordi, nel corso di pochi anni hanno letto un articolo in cui Mirbeau scriveva d’aver scoperto un drammaturgo grande come Shakespeare, che si chiamava Maurizio Maeterlink, e un articolo in cui Maeterlink scriveva di aver scoperto un nuovo Omero, in un vecchio con un piede nel sepolcro, che si chiamava Henry Fabre.

Così facendo la Francia ha empito di artisti la sua terra più che d’erbe un prato, e per questo si è serbata verde quella civiltà che sta intristendo da noi.