Meditazioni sull'Italia/Prima parte/III

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III.


LE RIVOLUZIONI ITALIANE DAL X° AL XIX° SECOLO


Grazie alla sua immaginazione e alla libertà politica e intellettuale l’Italia crea fra il X° e il XIV° secolo una delle civiltà più stupende della storia; ma non avendo idea del diritto, lascia in pochi anni tutto sfasciarsi.

Non è per caso che l’Italia, all’inizio del nostro millenio ha compiuto una delle maggiori rivoluzioni rivoluzionarie della storia, ma perchè gli Italiani possedevano ad un tempo lo spirito investigativo e l’immaginazione proprie dello spirito ateniese; e non esitavano a combattere principi politici invecchiati e a concepirne dei nuovi.

Dopo il X° secolo fino alla fine del secolo XIV gli Italiani, liberi di esercitare la fantasia e l’introspezione, si lascian trascinare dai loro istinti ateniesi.

Cosmopoliti, in un tempo in cui ogni paese si rinchiudeva in un cerchio di castelli fortificati, di barriere doganali, di leggi corporative, fondano una civiltà universale. Gli artisti non creano che per [p. 15 modifica]l’uomo e gli uomini politici non degnano sognare che una supremazia di diritto sull’universo «la monarchia del mondo».

Credono ai principii. Noi ridiamo di questi sognatori che si ostinano a veder nei Papi alleati coi tiranni, i difensori delle repubbliche democratiche e negli Imperatori germanici i successori di Cesare. Ma ostinandosi a far del Papa e dell’imperatore quello ch’essi non erano più, gli Italiani han potuto attribuire una certa legittimità a governi derivati da una rivoluzione e salvaguardare la libertà dei Comuni.

Le lotte civili sono spaventose. Guelfi e Ghibellini sacrificano uomini, sperperano ricchezze, distruggono città. Ma pure sviluppano con quello della fazione il sentimento della solidarietà; come esaltano le passioni pubbliche, le virtù virili della razza, cosí mantengono il paese in uno stato d’eccitamento favorevole, comunque sia, al progresso d’una civiltà. Lo spirito ateniese dell’Italia crea durante quei tre secoli una delle civiltà più stupende della storia.

Sensibili al godimento del bello, gli Italiani arricchiscono le città di palazzi, di chiese, di giardini, di statue; coprono le mura di affreschi e di quadri, producono il «dolce stil nuovo», la Divina Commedia, il Canzoniere del Petrarca, il Decamerone. Attivi, amanti del lavoro, dei commerci, della terra, perfezionano e rinnovano per istinto tutto quello che gli uomini son usi di intraprendere per abitudine e tradizione, e cosí inventano la partita doppia, [p. 16 modifica]la cambiale, gettano le basi del capitalismo (S. Antonino), studiano un’agricoltura scientifica e riabilitano il lavoro fino a farne il principio del diritto sociale. Logici, danno al cattolicesimo un sistema in cui si ordina la produzione immensa dei Padri della Chiesa. Appassionati di coltura, amanti dell’antichità, fondano la scuola di diritto di Bologna, ridiscoprono e commentano il Diritto Romano, rimettono in circolazione i classici. Costretti a far la guerra, stabiliscono le regole di una nuova strategia e di una nuova tattica, sostituiscono gli accorgimenti dello spirito alla forza del corpo e del numero (Bracceschi e Sforzeschi). Curiosi di tutto, amanti di discutere, d’intraprendere, di governarsi, istituiscono e difendono aspramente quelle Repubbliche, primi modelli d’un regime borghese, in cui tutti i cittadini partecipano al potere.

II.


Questa fioritura precoce della civiltà è frutto della libertà politica ed intellettuale, di cui gode l’Italia in questo periodo.

Nelle Repubbliche italiane, nè la vita, nè la proprietà, nè l’onore dell’uomo erano protette dalle leggi; la Signoria aveva il diritto di avocare a sè il potere giudiziario quando lo credesse opportuno; i Podestà non erano punto chiamati a motivare i loro giudizi, l’istruzione era segreta, l’accusato senza avvocati e la procedura si iniziava con la tortura. Poiché i cittadini non avevano mai pensato a [p. 17 modifica]limitar l’autorità dello Stato, non s’indignavano punto se il governo li condannava per delitto di eresia, di magia o perchè essi gli fossero contrari. Nei consigli delle Repubbliche non si deliberava mai: si votava in segreto. La libertà civile, gloria della Costituzione inglese, era ignorata.

Ma l’Italia possedeva la libertà politica e la libertà intellettuale. Poiché i magistrati si succedevano al potere ogni due mesi, l’amministrazione della cosa pubblica riempiva la vita della borghesia, e il controllo della borghesia bastava a soddisfare il popolo. I cittadini delle repubbliche partecipavano direttamente o indirettamente al potere, la sovranità apparteneva a loro. L’interesse che la Città intera prendeva alla politica e agli avvenimenti internazionali, quello stato di effervescenza perpetua, dovevano sviluppare l’intelligenza degli uomini. Gli Italiani dell’XI°, XII° XIII° secolo potevano tutto discutere, tutto intraprendere. Dante non temeva di collocare nell’inferno un Papa vivente; la Chiesa che rispettava, nei suoi Stati, le istituzioni democratiche, diffondeva la coltura greca e incoraggiava lo studio d’Aristotele; si tolleravano dei Santi molto audaci e quasi pericolosi. Grazie a questa libertà politica — la democrazia veneziana del X° secolo ne è il primo modello e la Pace di Costanza del 1103 la prima carta — grazie a questa libertà intellettuale, l’Italia riusci a creare una civiltà raffinata, in un tempo in cui l’Europa intera non pensava che a campare. [p. 18 modifica]

III.


Pure tra la fine del secolo XIV° e l’inizio del XV° una molla misteriosa si rompe in quest’organismo pieno di vita. La crisi è breve; l’Italia riprende presto la sua via; ma basta studiare da vicino i secoli seguenti per capire che essa trema.

Oh! l’apparenza è grandiosa! I capolavori d’architettura, di pittura, di scoltura che l’Italia produce ancora, sono ben lungi dall’apparire in decadenza.

Trascinando su dei carri i resti di Roma e d’Atene disseppelliti da mille sognatori, il Quattrocento e i secoli seguenti si svolgono come una grandiosa cavalcata. Ricca, malgrado le rapine di cui è vittima, l’Italia considera sempre gli stranieri come barbari. Non è stata l’Italia a scoprir la prima il piacere sottile dell’erudizione? Non ha forse essa immaginato una nuova sorgente di bellezza, l’Opera?

Ma non è sorprendente che una civiltà ateniese, destinata a sviluppare e ad utilizzare tutte le sue qualità intellettuali, dal secolo XVII° non produca quasi più che opere decorative — quadri, statue, palazzi, chiese, giardini — e che i suoi poeti, tanto avviliti da non saper più leggere e comprendere la Divina Commedia, diffidino, spaventati della loro stessa voce, delle idee generali, della politica, della critica dei costumi, dei drammi morali, e cerchino rifugio — quando non si rassegnano a cantar le lodi della ragione di Stato — in una sensualità preziosa, nei giochetti di stile, nel culto della sensazione, [p. 19 modifica]come i pastori d’Arcadia cercavano asilo nelle grotte tappezzate di edera?

E’ veramente un caso che gli Italiani, nello stesso quarto di secolo, vedano iniziarsi la Contro-Riforma e l’Opera? E quei palazzi, quelle basiliche sopracariche di ornamenti, quelle torri, quelle scale di marmo, non sono una deviazione verso il fasto dell’istinto creatore degli Italiani?

La civiltà è in agonia. Che cosa è avvenuto?

IV.


La libertà è stata soppressa.

Prima la libertà politica. Al governo dei partiti succede, durante la seconda metà del secolo XIV, il governo brutale dei Tiranni, poi il regime sospetto dei Signori.

Poiché l’Italia non possedeva libertà civile e l’indipendenza e i diritti delle corporazioni operaie, delle corporazioni mercantili, delle Arti, fondate in un periodo di libertà politica, non erano garantite da alcun privilegio o franchigia, i Comuni passano dalla libertà ad una tirannia illimitata.

I Comuni francesi non possedevano nessuna sovranità politica; ma usi, dopo l’undecimo secolo a resistere ai Signori e ai Re, avevano dato alla loro fedeltà, grazie al sistema feudale, la forma d’un contratto. Stipulando innumeri garanzie — il mantenimento delle istituzioni locali, il diritto per gli abitanti di essere giudicati nel paese, la facoltà di sorvegliare la ripartizione dell’imposta — essi [p. 20 modifica]avevano ottenuto che l’autorità della monarchia fosse limitata dal loro consenso. D’altra parte, il numero di corpi che godevano di franchigie, di libertà, di privilegi irrevocabili era imponente.

Nei Comuni italiani il governo avendo goduto invece di un’autorità illimitata, era naturale che il tiranno che prendeva il suo posto, ereditasse gli stessi diritti pur non essendo tenuto agli stessi doveri.

Ma se la libertà politica è soppressa, resta ancora agli Italiani, nel primo quarto del secolo XVI, la libertà intellettuale; è la Contro-Riforma che s’incarica di distruggerla col fuoco.

Come una madre troppo sollecita che impedisce al suo bambino di correre per paura che possa cadere, la Chiesa circonda, poi addormenta il popolo Italiano per paura che ceda alla tentazione dell’eresia.

Per la prima volta la Chiesa pubblica un Indice, quell’Indice così severo che i soli librai di Firenze rischiano di perderci 100.000 scudi! Vengono chiuse numerose accademie. Le spie dell’Inquisizione paralizzano le conversazioni, rendono prudenti i parlatori, che dopo un secolo di umanesimo sono usi a sottomettere ogni cosa al libero esame. Autorità sospettose si sforzano d’impedire il progresso delle scienze. A Padova si può visitare ancora il primo teatro anatomico costruito in Europa. È rotondo ed elegante con balaustre scolpite in legno chiaro fino al soffitto. Ma gli studenti vi venivano con [p. 21 modifica]strumenti musicali per ingannar la polizia e vi avevano preparata una trappola in cui il cadavere poteva sparire in caso di sorpresa.

Si capisce che Savonarola al secolo XV° lanci già il grido: «Non mi resta che piangere su questa cattedra. Imparate a morire.»

La tragedia quotidiana delle nostre «élites» comincia allora. In tutti i dominii dello spirito non si vedon più che dei piccoli papati e dei solitari. Quelli che non hanno voluto o non hanno saputo adattarsi ai quadri ufficiali si esiliano spontaneamente nella solitudine. Anche tra di loro hanno pochi rapporti. Cardano, Campanella, Bruno, Vannini non si conoscono l’un l’altro.

E’ qualche volta difficile di riabilitare, tanto i contemporanei sono indifferenti e tanto facilmente la posterità è pronta a dimenticare, quegli uomini di Stato senza elettori e senza re, quei musici senza orchestre, quegli architetti senza pietre, vittime d’una ingiustizia ignorata. Denina, lo storico italiano parla nella sua storia delle Rivoluzioni d’Italia, d’uno scrittore «che sarebbe diventato altrettanto celebre che il Signor Caylus se non fosse caduto in disgrazia del Gran Duca.» Quanti intellettuali, in Italia, si son rassegnati all’oscurità per sfuggire il martirio!

V.


Qual’è il cataclisma che ha distrutta la libertà in Italia? E’ stato lo scisma d’Occidente che scartando [p. 22 modifica]la Chiesa, tolse al partito Guelfo il suo appoggio naturale? E’ stata l’invasione di Carlo VIII, che riveló all’Europa la debolezza militare d’un paese rigurgitante d’oro? E’ stata la dominazione degli Imperiali? O la Contro-Riforma?

Questi grandi avvenimenti e sopratutto la Contro-Riforma, hanno influito molto sul destino dell’Italia; ma secondo me, questa crisi della libertà è dovuta sopratutto a cause psicologiche; le qualità e gli istinti ateniesi del popolo portati all’estremo, provocano necessariamente la rovina d’una civiltà ateniese. La libertà è soppressa dalle forze stesse che l’hanno insediata. Il cosmopolitismo che gli Italiani derivavano dal Papato, quel «sentimento dell’universo» ammirevole in un’Europa feudale in cui i popoli si drizzano gli uni contro gli altri, favorisce a lungo andare lo stabilirsi delle tirannie straniere in Italia. Indifferenti alla loro nazionalità, avvezzi da secoli a veder il tedesco seduto al loro focolare, gli italiani lasciano rovesciar dagli Imperiali le loro Repubbliche senza degnare neppur di mettersi alla finestra.

La passione dei principii si esaurisce: gli uomini non possono battersi durante tre secoli per dei fantasmi — un papa Guelfo e un Cesare che si riconciliano al momento in cui i loro seguaci si massacran per loro — , senza diventar scettici.

Lo spirito di fazione resta fecondo finchè un certo rispetto dell’avversario lo tiene a bada. Eccessivo, apre la via, per reazione, ai monopoli e alle [p. 23 modifica]tirannie. Ogni città, indebolita da lotte sempre più feroci, minacciata di diventar preda della città vicina, è obbligata di preferire un’apparenza d’ordine che l’avvelena lentamente, ad una libertà che l’uccide. Volontariamente essa si assoggetta a un condottiere o si vende, spettacolo pietoso, a un signore.

VI.


Dopo tre secoli di grandezza, questo decadere dei Comuni era nell’ordine delle cose. In ogni regime libero vi sono i germi d’una tirannia, nello stesso modo che ogni tirannia sfocia nella libertà. Poichè gli uomini non apprezzano che quello che loro manca, la vita dei popoli è sottoposta a un’altalena continua.

Ma come spiegare che questi governi arbitrari e illegittimi, stabilitisi in tutta l’Italia con colpi di Stato verso la fine del secolo XIV°, durino più di quattro secoli, senza provocare una vera rivoluzione? L’acqua vivifica la terra; dappertutto dove passa si vedono crescer le piante e sorgere le città, moltiplicare gli uomini, gli animali, la vegetazione. Ma se invece di scorrere nel letto dei fiumi o di scaturire in sorgenti dalle montagne, l’acqua stagna, essa spande intorno miasmi e diventa tanto più pericolosa quanto più mite è la stagione. Quando il destino dell’Italia parve irrevocabile, l’elasticità dello spirito ateniese permise al popolo di adattarsi rassegnato alla tirannia. Osservatori acuti, gli italiani credettero troppo [p. 24 modifica]facilmente che il cambiamento non avesse rimedio: riconobbero con troppa lucidità la loro debolezza. Questa chiaroveggenza, invece che eccitarli a resistere, li depresse. I partiti si sfasciarono, ciascun uomo trovandosi solo, diffidente degli altri non pensó più che a sè. Voltó casacca e cercó di sfruttare i nuovi regimi, che la sua stessa indifferenza contribuiva a mantenere. Gli artisti si orientarono d’istinto verso le arti plastiche e figurative in cui non si correva rischio di imbattersi in un’idea generale. Si misero al soldo dei Signori, li divertirono con delle barzellette, o tentarono di dare a questi governi, stabiliti sulla forza, l’appoggio di una teoria e una giustificazione ideale attinta alla storia antica.

Niente prova meglio questa degradazione dell’intelligenza, che la leggenda creata intorno a Tacito dai filosofi italiani del secolo XVII°. In questo quadro, destinato dal primo storico romantico a render eterna l’onta dell’Impero e a colpire la secreta nequizia degli Imperatori, gli scribi della Contro-Riforma ritagliano l’immagine d’un Principe modello che giustifichi la ragion di Stato. E come sono abili a conciliare le necessità di perpetrare un delitto per conservare un trono illegittimo e le leggi morali di Moise e di Gesù Cristo, lo Stato Dio dei latini e lo Stato, strumento di Dio, dei Cattolici!

«Ciascuno adotta volentieri i pareri altrui quando sono in favore di un’opinione che professa» diceva Montaigne, [p. 25 modifica]

Gli Italiani credevano veramente a questi sofismi o si divertivano per vanità di letterati a rivestir tali controsensi d’un’apparenza di ragione? Contempliamo quel Machiavelli che li scandalizza e che non citano mai. Esiliato all’Albergaccio dopo aver subito la tortura, l’ultimo italiano che soffre della decadenza del suo popolo si vede ridotto a scrivere, per vendicarsi della malizia umana, una rabbiosa apologia di Cesare Borgia. Rapidamente, gli italiani adattarono la loro morale ai tempi nuovi.

L’amore della famiglia, che era sempre stato molto vivo in loro, diventa tanto più importante perchè gli uomini lo possono invocare nei pericoli pubblici per giustificar la loro vigliaccheria o la loro indifferenza. L’ordine fondato sulla famiglia si sostituí lentamente in Italia all’ordine politico dei Comuni. La morale più barbara e più facile prendeva il posto della morale superiore. Una società in cui l’uomo tiene al suo onore di Repubblicano, di Guelfo, di Ghibellino, non è superiore a una società, in cui sotto l’influenza degli spagnoli, egli non tiene più che al suo onore di marito? Quanto si è lontani dalle lotte per l’Imperatore e per il Papa! E quel coraggio che ormai poteva servire solo le passioni personali, si trasformó in spirito di vendetta.

L’immaginazione stessa si offrí agli italiani inattivi per occuparli, agli sdegnosi per distrarli, ai briganti che avevano ancora un resto di coscienza, per giustificar le loro azioni malvagie.

Accanto a una nobiltà evirata e a una «élite» [p. 26 modifica]intellettuale che si era venduta per dell’oro e dei posti, solo la plebe sfuggí all’influenza corruttrice del governo e conservó il buon senso, la drittura, il vigore interiore degli antichi italiani.

VII.


Disperso e senza difesa questo popolo ha dunque vissuto fino al secolo XIX° solo per fare il comodo dei suoi Principi?

Chi ignora con quali armi esso si difende, si lascia facilmente ingannare dalla sua calma. E’ stato tacciato di scetticismo. Perchè avrebbe dovuto credere ai Re e ai Duchi? Invece di resistere al potere, lo disgrega. Prudenti e ossequiosi, gli Italiani cedono sempre e non si lasciano convincere mai. Lodano i regimi più arbitrari; ma, come tutti gli uomini cresciuti nei regimi di tirannia, indifferenti al bene pubblico, si sforzano di indebolire i governi per meglio sfruttarli. Soggetti, corrompono l’amministrazione che li regge, fin che la vita, in apparenza impossibile, continua grazie a mille accomodamenti. Funzionari, tradiscono il loro governo, sia che il loro buon senso o il loro odio istintivo della crudeltà si rivolti contro le misure odiose che dovrebbero applicare, o sia che semplicemente un’irritazione profonda d’uomini oppressi, li inciti a nuocere al potere a cui pure partecipano.

Cosí non si dovrebbe dimenticare, quando si accusa la Chiesa di aver indebolito gli Italiani che gli [p. 27 modifica]Italiani hanno nel tempo stesso indebolito la Chiesa, la Curia romana, il Papa. Non allignavano forse, sacra vigna, su quella terra che avevano forzata a diventar sterile?

I secoli sfilarono. Piegando poco a poco sotto i colpi tremendi che avevano ricevuto al secolo XIV° e al XVI° e di cui nessuno più si ricordava, l’Italia e la Chiesa si sforzavano ancora di paralizzarsi l’un l’altra, quando un generale abbattè per distrazione l’una e l’altra alla fine del XVIII° secolo.

Nel secolo XIX° l’Italia ha ancora energia bastante per compiere una seconda rivoluzione rivoluzionaria. Questa volta è la rivoluzione di un piccolo gruppo: il popolo resta indifferente quando non è ostile; ed è a viva forza, violentandolo, che un piccolo gruppo d’intellettuali, di nobili, di politicanti lo costringono a creare, profittando del disordine, dell’Europa, un nuovo Stato... ma esso sta morendo.