Meditazioni sull'Italia/Prima parte/IV

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IV.


LA DISFATTA DELLE RIVOLUZIONI CONSERVATRICI


Gli Italiani sono inetti a compiere rivoluzioni conservatrici perchè non hanno idea del diritto e perchè l’elasticità dello spirito permette al popolo di adattarsi rassegnato alla tirannia.

Ora come spiegare che gli Italiani i quali hanno avuto energia sufficiente per compiere due grandi rivoluzioni rivoluzionarie, per cambiare due volte i principii secondo i quali erano retti, non abbiano saputo resistere ai colpi di mano di qualche ricco banchiere o signore, quando vivevano ancora fra i ruderi delle repubbliche? Che non abbiano mai saputo ribellarsi contro gli abusi del potere? Si tratta solo di un caso?

Esaminiamo una delle rivoluzioni del secolo XVI°, la rivoluzione dei Fieschi.

Essa trionfa. Doria è in fuga e i suoi seguaci si disperdono disordinatamente. I vincitori cercano il loro capo, non lo trovano più: impacciato dalla sua [p. 29 modifica]corazza di ferro si è annegato mentre saltava da un battello all’altro. Fra i partigiani del Fieschi nasce una grande confusione. Doria ritorna e riprende il potere abbandonato senza incontrare resistenza. Poche rivoluzioni conosco in cui il caso sembri avere una funzione cosí capitale. Non spinge esso la civetteria fino a dare la vittoria al partito della tirannia con un’ondata che allontana di qualche bracciata due pontoni al momento in cui Fieschi alza il piede? Ecco un’ondata le cui conseguenze furono enormi. Si capisce come la sproporzione tra questo brivido d’acqua e il destino d’una rivoluzione e d’una repubblica abbiano sedotto l’immaginazione ardente d’un poeta romantico tedesco.

Ma se si studiano una dopo l’altra le rivoluzioni analoghe che scoppiano in Italia dalla fine del secolo XIV° fino alla metà del XVI°, ci si accorge che il caso è sempre favorevole ai tiranni e contrario ai rivoluzionari. No, non è per un caso che queste rivoluzioni naufragano, ma perchè gli Italiani sono inetti a compiere rivoluzioni conservatrici.

Se i Genovesi avessero avuto «il senso della rivoluzione conservatrice» avrebbero trovato altri capi da sostituire a quello improvvisamente annegato; e la morte di Fieschi a cui si attribuisce il fallimento della rivoluzione non sarebbe stato che un disgraziato accidente. Anche i Parigini nel 1830, a un certo momento si trovarono senza capi. Pure, tre persone sconosciute salvano la situazione convocando i deputati al Palazzo Municipale, con un [p. 30 modifica]ordine del giorno affisso ai muri e firmato «G. Bade, per il governo provvisorio, e Colonnello Zimmer per ordine del Generale Dubourg» mentre il governo non esisteva che nella loro immaginazione. Il caso non ha maggiore peso sulla sorte delle rivoluzioni che i bisticci tra amanti non ne abbiano sulle nascite dal punto di vista delle statistiche.

Ma allora perchè i popoli ateniesi non sanno compiere delle rivoluzioni conservatrici?

Perchè non hanno idea del diritto.

E’ uno spettacolo strano questo che il paese in cui si riscopre il diritto romano, in cui si fondano le più celebri Università di diritto d’Europa è quello in cui il diritto resta semplicemente un gioco dello spirito, una branca della filosofia e degli studi classici, una miniera di «tesi»..... Fra il Popolo e il Conte, fra il Popolo e il Vescovo non vedo in Italia alcun patto sulla base del diritto, analogo a quei patti che reggono i rapporti tra i Comuni e i Signori in Francia. Nessuna di quelle convenzioni, di quelle franchigie, di quei privilegi riconosciuti, osservati e legittimati poi dai secoli. La lotta tra Guelfi e Ghibellini non è frenata da alcuna convenzione; la ferocia più ripugnante, le mutilazioni in massa, la distruzione fino alla fondamenta delle città vi sono ammesse; il vincitore ha tutti i diritti sul vinto, la maggioranza sulla minoranza; la giustizia non si vergogna di confessare che obbedisce alle passioni politiche; e i cittadini non hanno niente che li [p. 31 modifica]garantisca contro i capricci del governo che han scelto.

Il Popolo Italiano ha lottato per aver il diritto di esercitare il potere: non per avere il diritto di proteggersi dagli eccessi. Per compiere le rivoluzioni conservatrici gli mancó sempre l’orrore per l’ingiustizia; la rivolta contro il diritto violato che permette senza intesa la resistenza individuale e generale; la coscienza morale che dà l’illusione che tutti sono con noi anche se siamo soli.

Che cosa poteva opporre l’italiano alle tirannie, quando erano le più forti ed erano anche concilianti?

E’ qui che si rivela la debolezza della civiltà ateniese.

Gli Italiani sono abbastanza intelligenti e audaci per attaccare un regime in nome di un principio nuovo, ma sono incapaci di resistere ai suoi abusi, di difendere le istituzioni politiche che hanno conquistato. Incapaci di quella generosa disperazione che spinge alla rivolta anche quando le forze contrarie sono superiori. Essi amano troppo calcolare il pro e il contro e si rassegnano troppo facilmente alla loro sorte.


Al secolo XVI° gli Italiani avrebbero avuto bisogno di una dozzina di Hampden.

Hampden era un gentiluomo inglese della Contea di Burkingham serio, moderato, prudente, sereno, affabile, rispettato da tutti. Quando, nel 1636, si trattó di ripartire le tasse, i magistrati della Contea non [p. 32 modifica]volendo irritarlo, imposero ai suoi bastimenti la piccola somma di 20 scellini.

Questa imposta era illegale; Hampden rifiutó di pagarla. Lo si minacció, ma persistette nel suo rifiuto. In prigione insistette per portare la questione davanti al Re, poiché il Re era interessato quanto lui — diceva — a risolvere detta questione. Il Re si lasció convincere.

Fu allora che si aperse il memorabile processo che mise a socquadro l’Inghilterra. Durante 12 giorni Hampden e i suoi avvocati senza declamazioni e partendo solo dalla propria coscienza e dal proprio diritto, discussero delle leggi del regno in mezzo alla effervescenza generale. Hampden fu condannato, ma tutto il paese si sentí condannato insieme ad Hampden per questa sentenza, e quei 20 scellini imposti senza diritto scatenarono la più grande rivoluzione conservatrice della storia europea.

In questo paese che ha la legislazione la più confusa e la meno organica, l’idea del diritto è tanto profonda e il senso morale tanto sensibile che un minimo di illegalità e di ingiustizia basta a provocare una rivoluzione.

Il popolo inglese è disposto a sopportare dal potere piuttosto delle ferocie che dei capricci.

La resistenza inglese contro l’illegalità e l’ingiustizia non si indebolisce quando il potere passa dal Re al Parlamento, dal Parlamento a Cromwell. La Camera ordina la proclamazione ufficiale nella città di Londra degli atti votati contro la [p. 33 modifica]monarchia. Il Lord Maire si rifiuta, allegando scrupoli della propria coscienza. Hampden affronta volontariamente la prigione per protestare contro il regime di Carlo I°. Lillburne si fa arrestare e processare per difendersi dalla tirannia del Parlamento e poi da quella di Cromwell e la giuria lo assolve. Durante la tirannia di Cromwell, che rende la resistenza assai pericolosa, Cony, un negoziante della city, rifiuta di pagare certi diritti di dogana non sanzionati dal Parlamento. E’ la stessa attitudine di Hampden: come Hampden, Cony si fa processare e reclama la libertà davanti alla corte dell’Haut Banc. I suoi avvocati lo sostengono con tanto vigore che Cromwell è obbligato di arrestarli. Cony si difende da solo. Siccome il giudice Rolles, imbarazzato, rinvia la causa ad una successiva sezione, lo si destituisce.

Un gran numero di vittime della Rivoluzione, a cominciare dal Re, rifiutano di difendersi davanti al Tribunale che li giudica «perchè quel Tribunale non è legale».

L’idea del diritto è cosí profonda in Inghilterra che quelli stessi che la violano in pratica, riconoscono in teoria il dovere di resistere all’illegalità. Nel piano del governo repubblicano che il Generale in capo e il Consiglio Generale degli ufficiali hanno portato davanti al Parlamento si legge questo articolo: «Chiunque resista a mano armata agli ordini dell'Assemblea legislativa sarà punito di morte come nemico e traditore della Nazione, eccetto il caso in cui l’Assemblea legislativa tradisse o [p. 34 modifica]violasse i principî stessi fondamentali del diritto comune, della libertà, della sicurezza pubblica stabiliti dalla presente convenzione».

Siccome gli inglesi abbandonano la causa difesa con mezzi illegali, cosí in Inghilterra ogni regime arbitrario deve temere le violenze delle rivoluzioni conservatrici.

Siccome l’Italia non ha l’idea del diritto, nessun regime — anche mirabile — puó durare. Quale mirabile sforzo, quale slancio hanno gli Italiani quando si tratta di compiere rivoluzioni rivoluzionarie. Con quale coraggio rischiano la loro vita in guerre civili spaventose a cui non manca che la penna di un Tucidide. Ma niente resiste.

In Italia la vita è distrutta dalle forze stesse che l’alimentano ed è alimentata dalle forze stesse che la distruggono: l’immaginazione, che crea la bellezza e provoca il disordine; la riflesione che si esercita a affermare e a negare; l’esaltazione dell’io che si corrompe in invidia. Tra le sue forze creatrici e le sue forze distruttrici, tra la sua grandezza e la sua corruzione si stabiliscono degli scambi miracolosi: l’una nasce dall’altra: il male dal bene, il bene dal male. L’intelligenza stessa dell’italiano è formata e affinata dalle difficoltà della vita; ma questi cattivi e ammirevoli geni della razza italiana sono onnipotenti; nessuna saggezza li frena. L’Italia deve essere stata incredibilmente feconda, perchè dieci secoli di una civiltà cosí stremante non abbiano lasciato soltanto delle rovine. [p. 35 modifica]

Come tutte le civiltà ateniesi l’Italia venne fatta dal proprio dolore e dalla propria irrequietudine — per questo forse fu la più grande e dolce civiltà dell’Europa.

Una civiltà ateniese splende bruciando, e la luce sparsa dall’Italia sul mondo non è paragonabile che a quella di una capitale incendiata.