Liguria preistorica/Parte prima/Capitolo II

II. — MANUFATTI LITICI IN LIGURIA
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II. — MANUFATTI LITICI IN LIGURIA


Armi ed utensili scheggiati.

Nelle armi e negli utensili di pietra, testimoni della profonda barbarie che, per tempi ben lunghi, regnò nel nostro paese, giova considerare le forme loro svariatissime, gli usi cui erano destinati, la materia di cui sono foggiati, la maggiore o minore perfezione del lavoro, che in generale si connette alla loro antichità. Nelle pagine seguenti tratterò in principal modo di quelli rinvenuti nelle [p. 38 modifica]stazioni situate all’aria aperta, riserbandomi di occuparmi più diffusamente in altri capitoli delle armi e degli utensili raccolti nelle caverne.

Azza a mano. — Tra i manufatti paleolitici (della prima fase) segnalati in Italia, abbondano le così dette ascie. Assai grossolane e di età remotissima sono quelle dell’Imolese, primamente descritte da G. Scarabelli, le quali hanno forma di mandorla, e sono di una selce bigio-scura, coperta di patina bruna. Poco ne differiscono i grossi cervoni (così diconsi nell’Italia meridionale) raccolti dall’Angelucci a Vico Garganico e sul Gargano stesso, nella Capitanata, e le selci trovate da Concezio Rosa nella Valle della Vibrata (Abruzzo Teramano). A questo tipo appartiene un manufatto raccolto da don Perrando nelle vicinanze di Sassello ed ora conservato nel Museo geologico universitario (tav. I, fig. 12).

Si tratta di un grosso arnese amigdalare, assottigliato ad una delle estremità e foggiato a larghe schegge in una quarzite grassa, a grana minuta, di color bigio, con macchie rubiginose, dovute all’alterazione di un minerale ferruginoso accluso nella roccia. L’estremità assottigliata finisce in lama tronca; la opposta offre un taglio irregolarmente arcuato che si continua ai due lati, e questo taglio porta tracce di ammaccature. Le dimensioni del manufatto sono: lunghezza 144; larghezza 92; spessezza massima 50 millimetri; pesa grammi 636. Esso è compreso fra quelli, riferibili ai tempi più remoti del quaternario, e denominati coup-de-poings da G. de Mortillet, il quale riteneva, e credo con buon fondamento, che si adoperassero senza manico, stringendoli in pugno per l’estremità più larga. Mancando a mia cognizione un vocabolo del nostro idioma equivalente a coup-de-poing, mi servirò delle espressioni azza a mano o mazzuolo a mano, che hanno significati poco diversi, secondochè sono taglienti o contundenti. [p. 39 modifica]

Per la forma e pel modo di scheggiatura, lo stromento è somigliantissimo all’esemplare di Sauvigny-les-Bois (Nièvre) rappresentato alla figura 47 della tavola VIII, nel Musée Préhistorique di G. e A. de Mortillet (Paris, Reinwald, 1881). Il prof. Bellucci diede pur la figura di una selce quasi identica nei suoi Materiali paletnologici dell’Umbria (Perugia, tip. Buoncompagni, 1884), alla tav. I, fig 1. Come si vedrà in seguito, tal foggia di manufatto non si è rinvenuta ancora nelle nostre caverne ossifere paleolitiche, mentre invece vi abbondano altre forme che altrove sembrano appartenere al medesimo periodo archeologico.

È risaputo che le ascie od accette scheggiate paleolitiche sono quasi sempre di silice o di pietre silicee (piromaca, diaspro, quarzite, arenaria quarzosa). Si trovano nella regione ligure, massime nei pressi di Sassello e Ponzone, numerose ascie scheggiate, la materia delle quali è invece pietra verde, come anfibolite, diorite, diabase, eufotide, ofisilice, ecc.; ma, per la loro associazione a manufatti schiettamente neolitici e per la circostanza che alcune di esse presentano un principio di levigatura, mi feci persuaso che sono oggetti abbozzati oppure di rifiuto.

Trincetti. — Merita di essere descritto un altro oggetto rinvenuto all’aria aperta (a Santa Giustina), pur compreso nella collezione Perrando, oggetto che credo proprio ai tempi paleolitici meno remoti. Esso consiste in una lamina di selce bruna, da una parte assottigliata e terminata in punta ottusa, dall’altra, foggiata a tagliente. Una delle sue facce è appena un po’ concava e non offre scheggiature o ritocchi; l’altra, che è convessa, presenta quattro superficie di scheggiatura che si riducono a tre verso la punta, ed è tutta ritoccata lungo i margini. L’estremità più larga ha il margine scheggiato più finamente [p. 40 modifica]e ridotto, come dissi, ad arco tagliente, ma è un po’ sbocconcellata dall’uso. Le dimensioni dello strumento sono: lunghezza cm. 8 ½; larghezza massima 4; spessore massimo poco più di 1 (fig. 2).

Fig. 2.
Trincetto dì Santa Giustina
(Museo di Genova);
assai ridotto
Fig. 3.
Raschiatoio di selce dei Balzi Rossi
(Rivière); grand. nat.

Stromenti simili a quello di cui ho esposti i caratteri furono incontrati nelle caverne dei Balzi Rossi da Rivière che li registrò sotto il nome di raschiatoi. A. de Mortillet figurò lo stesso genere di manufatti, attribuendolo al piano di Moustier. Nelle caverne liguri della seconda età della pietra si raccolsero oggetti affini, ma che furono considerati come punte di freccia, perchè acute all’estremità più sottile. Escludo che l’esemplare di Santa Giustina fosse una di tali cuspidi, perchè ha la punta assai smussata. La dentellatura che si osserva alla parte media dei due margini laterali, mi persuade che esso era destinato ad introdursi in un manico e, considerando la disposizione della estremità più larga, ritengo che lo stromento fosse pro[p. 41 modifica]priamente un trincetto destinato a tagliare, a dividere la carne, l’osso, e forse anche il legno. Esso potè anche servire come raschietto, uso pel quale era forse superflua una fattura tanto accurata.

Un altro manufatto della stessa specie, ricavato da una scheggia di diaspro di color bruno chiaro, fu raccolto a Buentina, in quel di Sassello, e l’ebbi in dono dal signor Vincenzo Rossi farmacista. Anche in questo trincetto il margine è minutamente ritoccato e si vedono ammaccature nel taglio. Il bulbo di percussione, ben palese alla estremità assottigliata, porge chiara prova che, nell’intenzione dell’artefice, non doveva tale estremità ridursi a punta più o meno acuminata, ma era invece foggiata per innestarsi in un manico, di che fanno fede alcuni ritocchi più spiccati degli altri, anzi vere smarginature. La lunghezza dello stromento è di 88 millimetri.

Raschiatoi. — Poco è da dirsi intorno agli utensili designati con questo vocabolo, i quali possono risalire alla prima fase paleolitica od anche alle successive, senonchè nel primo caso rappresentano uno dei tipi di manufatti più perfetti che l’uomo primitivo riuscisse a conseguire, mentre nel secondo erano arnesi improvvisati per soddisfare ad un bisogno del momento, oppure abbozzi rimasti tali perchè una circostanza qualsiasi non ne consentì il compimento, od anche oggetti di rifiuto e residui di lavorazione.

Si tratta in generale di lamelle di arenaria, di quarzite, di diaspro o di piromaca, distaccate colla percussione e di forma indeterminata, ma abbastanza larghe da potersi stringere facilmente nella mano in guisa che rimanesse sporgente un margine atto a tagliare, segare o raschiare. Questo margine suol essere ritoccato da piccole scheggiature irregolari (le quali nei raschiatoi più antichi furono fatte da una parte sola o mancano), e, quando lo [p. 42 modifica]stromento servì all’uso cui era destinato, porta segni più o meno palesi di logoramento (fig. 3).

Le caverne Barma Grande, del Principe e dei Bambini (Balzi Rossi) ci insegnano che la materia adibita nei tempi più remoti per la fabbricazione dei raschiatoi fu l’arenaria quarzosa a grana minuta.

S’intende di leggeri come dal raschiatoio tipico a lama larga e a tagliente unico trasversale dei primi tempi si possa passare, per transizioni graduate, alle lame strette ed allungate con uno o con due margini longitudinali taglienti, o coltelli primitivi a lame più o meno lunghe ed appuntate, suscettibili di servire, secondo i casi, ad uso di pugnali, di stiletti, di lesine, di perforatori. È presumibile che, a norma dell’abbondanza o della penuria della pietra, subordinatamente alle sue proprietà e alla perizia dell’artefice, si fabbricassero di proposito deliberato, durante la fase soprapaleolitica, stromenti diversi per le varie destinazioni od a queste si adibissero le scheggie e le lame che risultavano dalla spezzatura dei nuclei, scegliendo all’uopo le più appropriate, senza ritocchi o con lievi scheggiature complementari.

Lamelle smarginate. — Meritano particolare attenzione fra le selci dei Balzi Rossi, laminette, o raschiatoi che dir si vogliano, a smarginatura (lames à encoches) che offrono forme irregolari e sono provviste di smarginatura semicircolare più o meno ampia, d’ordinario finamente ritagliata a piccole schegge. Queste servivano indubbiamente ad assottigliare e levigare aste di frecce o di giavellotti, aste formate di ramoscelli di piante arboree o di cannucce. Parecchi esemplari di manufatti compresi nella raccolta Perez, sono forse da inscriversi sotto questa rubrica. Vi si riferisce con certezza un bel diaspro appartenente al Museo di Genova, rinvenuto dal Prof. L. Orsini nella Barma Grande. La sua forma è semielittica e [p. 43 modifica]misura 35 mm. di lunghezza e 25 di larghezza; il diametro della smarginatura è di 11 mm. (fig. 4).

Fig. 4.
Lamella smarginata della
Barma Grande (Museo di
Genova); grand. nat.
Fig. 5.
Punta di freccia a foglia
di sambuco della Tanassa
(Coll. Morelli); grand. nat.

A proposito di queste lamelle son da consultarsi le note del D.r Allen Sturge1.

Coltelli. — Gli stromenti compresi sotto la denominazione generale di coltelli sono ovvii nelle stazioni litiche in Italia e specialmente nelle meno antiche fra le paleolitiche. Gli uni consistono in semplici lamine a sezione triangolare, coll’angolo opposto alla base assai ottuso; gli altri offrono sezione quadrangolare in tutta la loro lunghezza o solo in parte. Raramente, le due estremità sono terminate in punta smussata e in certi casi una delle due si termina in tagliente arrotondato, mentre l’altra è troncata. I due margini sono talora integri, talora ritagliati a piccole scheggie. Rispetto allo dimensioni, il più voluminoso che io conosca, fra quelli rinvenuti all’aria aperta nel nostro territorio, non misura che 11 centimetri di lunghezza e consiste in una lamina di diaspro rosso, alquanto [p. 44 modifica]arcuata, a sezione triangolare, coi margini ritagliati e le due estremità troncate e proviene da Santa Giustina. Un secondo coltello della medesima provenienza è una laminetta di selce bruna, translucida, lunga 8 centimetri ½, a margini taglientissimi non ritoccati, troncata ad un capo e terminata alla estremità opposta da un margine obliquo, pur tagliente.

Altre lamine, quali ad estremità sottile, obliquamente troncata, quali ad estremità incurvata ed acuminata a becco d’aquila, come quella di Santa Giustina qui appresso figurata (fig. 6), erano forse arnesi destinati ad incidere, intagliare o forare l’osso o il corno, in altre parole sorta di bulini.

Fig. 6.
Bulino di selce di S.ta
Giustina (Coll. Perrando);
½ della grand. nat.
 
Fig. 7.
Pugnale di selce paleolitico
di Stella S. Martino
(Coll. Perrando);
½ della grand. nat.
Fig. 8.
Pugnale di selce
neolitico di Palo
(Coll. Perrando);
½ della grand. nat.

Pugnali — Lamine di selce o di diaspro più o meno allungate, dai margini taglienti e terminate in punta, possono considerarsi come pugnali piuttostochè coltelli. Dalle [p. 45 modifica]grotte dei Balzi Rossi se ne trassero di grandissime, alcune delle quali erano collocate in prossimità od anche in contatto di scheletri umani.

Reco ad esempio di pugnale l’arme paleolitica di Stella S. Martino rappresentata nella fig. 7, arme di 138 mm, di lunghezza, piana sopra una faccia, scheggiata longitudinalmente a larghe falde sull’altra, e ritoccata lungo parte dei margini, massime verso la punta e alla base.

Tale è parimente una lunga lama di selce bruna, in forma di foglia di salice, lama pianeggiante sopra una faccia, convessa, minutamente scheggiata sull’altra, che misura 137 mm. di lunghezza. Essa mi sembra di epoca recente e proviene da Palo (fig. 8).

Seghe. — Le seghe di pietra degli archeologi altro non sono che coltelli a taglienti più o meno sbocconcellati o dentellati, con una certa intenzione di regolarità. A. de Mortillet crede che servissero ad assottigliare od aguzzare punteruoli od altre punte d’osso, e non propriamente a segare; ma a siffatta opinione si può opporre il riflesso che si danno nelle caverne ossifere e in altri giacimenti preistorici ossa e corna propriamente segate. Tali utensili, non mai in gran numero, si trovano in parecchie delle nostre stazioni. È spesso difficile di distinguere i coltelli dalle seghe e questi dai raschiatoi, perchè probabilmente, nei primi tempi dell'età litica, gli stessi artefici non erano sempre guidati da un deliberato proposito nel fabbricare l'una o l’altra delle foggie, che ora noi designiamo con peculiari denominazioni.

Certi arnesi a margine concavo dentellato, che da taluni si suppongono seghe, sono piuttosto da considerarsi come falcetti 2. [p. 46 modifica]

Punteruoli — Sotto il nome di punteruoli3, o di trapani, si sogliono comprendere, nelle collezioni di oggetti preistorici, certe punte di piromaca o di quarzo, più o meno aguzze, per lo più a sezione trigona; delle quali io dirò solo, senza perdermi in congetture sulla loro destinazione, che sono comuni in Italia, massime nelle caverne. Più innanzi è figurato un punteruolo, raccolto in una delle grotte dei Balzi Rossi.

Nuclei — L’importanza di questi oggetti consiste in ciò che accennano ad una lavorazione in posto dei’ manufatti silicei. Se ne trovano di rado nelle nostre caverne come pure nelle stazioni all’aperto.

Un bel nucleo di piromaca fulva, dal quale furono staccate lunghe lame (coltelli) e molte schegge, si raccolse a Bella (Sassello), e figura nella collezione Ferrando. Sono ben manifesti, all’estremità superiore di questo oggetto, che è troncata, i segni corrispondenti ai punti in cui avvenne la percussione pel distacco delle lame; l’estremità opposta, ridotta dalla scheggiatura a tagliente smussato, presenta tali ammaccature e tracce di logoramento, da far credere che l’arnese fosse adoperato ad uso di azza a mano. La sua lunghezza è di 122 mm., la larghezza massima di 73. Altri nuclei più piccoli, conservati nel Museo di Genova, furono rinvenuti nelle vicinanze di Sassello e di Santa Giustina.

Punte di lancia e di freccia. — In fatto di cuspidi di lancia, meritano un cenno due bellissimi esemplari provenienti da Bobbio, compresi entrambi nella collezione Ferrando. Uno di essi, lavorato con somma diligenza e destrezza, è una selce biancastra, variegata di bigio e di bruno chiaro, finamente scheggiata sulle due facce, in forma [p. 47 modifica]di foglia d’alloro, sprovvista di picciolo. La sua base è smussata, quasi tronca (non però spezzata); la punta, che doveva essere acutissima, si trova un po’ smussata dall’uso; i due margini, regolarmente arcuati, sono ritoccati in guisa da risultare taglienti; sulle due superficie si vedono ancora i residui di una antica patina. Le dimensioni della cuspide sono: lunghezza mm. 120; larghezza massima 37; spessezza massima 8 (tav. I, fig. 9). Tanto per la forma quanto per le dimensioni, non è da escludersi il dubbio che questo oggetto fosse destinato invece ad uso di pugnaletto.

Il secondo esemplare di Bobbio è una cuspide ad alette, più grossolana ed un po’ sbocconcellata sui margini, fatta d'una selce di color bruno chiarissimo, a macchiette biancastre. La lamina ha forma di triangolo isoscele, assai allungato, le alette, poco sporgenti, sono appena incavate alla base, il peduncolo è breve e ristretto all’estremità; la lunghezza totale dell'arma non passa gli 11 centimetri (tav. I, fig. 8).

I due manufatti recano esempio della facies remedelliana, che si manifestò nell'alta Italia tra la fase della pietra levigata e quella del bronzo (età eneolitica di alcuni paletnologi).

Le punte di freccia litiche sono quali peduncolate, quali senza peduncolo, le une provviste, le altre prive di alette. Le peduncolate sono ad alette più o meno lunghe ed acute, e di forma triangolare, a lati rettilinei o curvilinei. Quelle non peduncolate possono essere ad alette più o meno acute, in forma di mandorla, di foglia di salice, di foglia di sambuco, di prisma triangolare, di losanga ecc.

Le forme non peduncolate, a foglia e a mandorla, lavorate più o meno grossolanamente, talvolta con una faccia piana e l’altra convessa, talvolta, invece, colle due facce egualmente convesse, sono comuni nelle grotte dei Balzi [p. 48 modifica]Rossi, e risalgono al paleolitico; di rado ne furono trovate all’aperto nelle nostre provincie. Provengono dalle medesime stazioni e risalgono alla medesima età cuspidi assai rozze ad una o due alette, che sembrano abbozzi di manufatti neolitici.

Fra le punte di freccia destituite di alette e di peduncolo, ve ne ha una, raccolta a Santa Giustina (tav. I, fig. 7) che presenta la forma di una lamina triangolare isoscele, acutissima, assottigliata e arrotondata alla base. Una delle sue facce è piana, l’altra convessa; i margini sono ritoccati dalle due parti. La pietra di cui è fatta questa cuspide è di color violaceo screziato di bigio e sembra un diaspro. Altra punta poco diversa, fatta di piromaca bruna, fu trovata nel territorio che intercede tra Sassello e Ponzone e differisce dalla precedente perchè scheggiata sulle due facce; inoltre, è terminata in punta ottusa e non troncata alla base. Un esemplare consimile, ma colla base un po’ troncata, figura tra gli oggetti rinvenuti da don Perrando nella grotta della Matta. La punta che porta il numero 574, nel Museo di Genova, e proviene da Sassello, si distingue da quella ora citata perchè verso la base si assottiglia grado grado, in guisa da foggiarsi quasi a peduncolo.

Notevole la cuspide a foglia di sambuco (neolitica), qui appresso rappresentata (fig. 5), raccolta in una caverna dei pressi di Toirano.

In una punta di diaspro bigio venato di bruno, rinvenuta a Santa Giustina e conservata nella collezione del Museo di Genova al n.° 564 (tav. I, fig. 5), i margini sono curvilinei, convergenti ad una estremità acuminata; presso la base, che è troncata, si osservano due intaccature, o meglio smarginature, destinate a fissar la selce alla sua asta. Sopra una delle due facce si vedono tre grandi scheggiature e ritocchi marginali; sull’altra, una superficie pianeggiante e piccole scheggiature periferiche. Lunghezza mm. 41; larghezza 22. [p. 49 modifica]

La figura 3ª della tavola I rappresenta una punta di piromaca bruna, assai rozza e irregolare, ma tuttavia ritoccata sui margini, la quale era destinata ad essere assicurata ad una asticina, come dimostrano le due intaccature di cui è fornita alla base. Questa punta fu raccolta ai confini del comune di Ponzone. La piccola cuspide di diaspro bianco, figurata al n.° 11 della stessa tavola e proveniente da Santa Giustina, era lavorata con maggior cura per servire allo stesso uso; sono notevoli in essa l’acutezza della punta, la dentellatura dei margini e le due intaccature della base. I due manufatti erano forse coltellini, ridotti posteriormente a punte di freccia.

Tipo raro e bizzarro è quello di una piccola cuspide di piromaca biancastra ed opaca, in forma di lamella quadrilatera irregolare, permodochè alla punta corrisponde un angolo acuto e alla base un angolo ottuso (tav. I, fig. 6). Rispetto alle altre punte, essa apparisce larga e corta, e dalla sua scheggiatura, quantunque poco uniforme, conseguono due margini taglienti e tre punte aguzze. Questa arme, che è distinta col n.° 586, fu raccolta ai Viazzi presso Sassello. La fig. 1 della tav. I, rappresenta una cuspide peduncolata ad alette poco pronunziate, e proviene da una stazione neolitica all’aperto dei pressi di Sassello.

Esempio tipico di punta di freccia silicea, a peduncolo sottile e ad alette assai distinte, che potrebbero dirsi uncinate, vien dato dall’esemplare di Santa Giustina, che porta il n.° 573 nella collezione del Museo di Genova (tav. I, fig. 4). Un secondo, poco diverso e proveniente da Sassello, ha il peduncolo rotto e le alette un po’ più divergenti (tav. I, fig. 13). Il numero 568 offre, con maggiori dimensioni (58 mm. di lunghezza e 24 di larghezza massima), un tipo in cui le alette sono brevi e mediocremente acute e il peduncolo, largo alla radice e terminato in punta ottusa, misura un po’ meno del terzo della [p. 50 modifica]lunghezza totale. L’esemplare, rinvenuto a Santa Giustina, è lavorato a piccole schegge in una piromaca biancastra. Da questo tipo si passa ad un altro4, in cui la punta essendo alquanto più lunga, le alette non presentano sviluppo maggiore. Ne porge esempio un manufatto di piromaca bionda, proveniente da Santa Giustina (fig. 9). Forma prossima a questa ci è rappresentata da una bella cuspide raccolta a Mioglia (fig. 10), assai più allungata, ma con peduncolo brevissimo5. Fig. 9 e 10.

Punta di freccia di piromaca
di Santa Giustina (Museo
di Genova); grand. nat.
Punta di freccia di selce
di Mioglia; grand. nat.

Fra i tipi più singolari di cuspidi silicee è quella distinta coll’aggettivo tricuspidata, provvista di peduncolo di due espansioni con piccola punta rivolta in alto per [p. 51 modifica]ciascun lato. Don Morelli ne figurò una di piromaca scura, convessa sopra una faccia pianeggiante sull’altra, da lui raccolta nella caverna delle Arene Candide6, e che io riproduco un po’ ridotta nella fig. 2 della mia tav. I.

Non mancano, nei depositi delle caverne e in quelli all’aperto, rari esempi di cuspidi triangolari o meglio deltoidi. Ne osservai uno a base incavata, proveniente da Sassello nella collezione Rossi; un altro fu rinvenuto da Morelli nella caverna delle Arene Candide7. Ve ne hanno di lavorate con somma cura e perfezione, ma non ne conosco alcuna che possa gareggiare, sotto questo aspetto, colle finissime cuspidi d’ossidiana e di selce (tutte senza peduncolo) rinvenute nelle tombe di Micene da Schliemann e conservate nel Museo archeologico d’Atene.

Non debbo omettere, prima di abbandonare il tema delle punte di freccia, che ai Balzi Rossi furono adoperati a quest’uso i denti degli squali fossili (specialmente del Carcharodon megalodon). Dell’antico uso di tali oggetti tramandarono a noi la tradizione i Latini, tra i quali Servio, commentatore di Virgilio, narra come Telegone, fondatore di Tuscolo, avesse ucciso il padre di Ulisse «aculeo marinae belluae».

Selci diverse. — Altre selci e diaspri, provenienti in particolar modo dalle stazioni dei Balzi Fiossi, delle quali tuttavolta si sono rintracciati esemplari sporadici, massime nelle vicinanze di Sassello, consistono in punteruoli (?) a punta doppia o semplice, scheggiati lungo i due margini, che raggiungono da 3 a 5 centimetri di lunghezza (fig. 11), in laminette piccolissime, foggiate a mo’ di coltelli ed obliquamente troncate alle due estremità (misurano di ordinario da 15 a 20 mm. di lunghezza, in cuspidi non [p. 52 modifica]maggiori delle lamelle testè ricordate e terminate in punta diritta o curvata (fig. 12, 13), in lame romboidali, più o meno minutamente ritagliate lungo i margini (fig. 14).

Fig. 11.
Punteruolo (?) a doppia
punta dei Balzi Rossi;
grand. nat.
Fig. 12, 13.
Piccole punte dei Balzi
Rossi; grand. nat.
 
Fig. 14.
Selce romboidale dei
Balzi Rossi; grand.
nat.

Alcune di queste fogge di selci, e in particolar modo le lame romboidali o trapezie di minori dimensioni, potrebbero essere non già utensili integri, ma parte di arnesi più complessi. Servivano forse ad armare i margini di aste di legno, che così si rendevano atte a servire come stromenti da taglio od anche come armi, suscettibili di produrre dolorose ferite.

Ai Balzi Rossi furono raccolti oggetti di piromaca o diaspro a foggia di piccoli dischi, simili a quelli scoperti dal Prof. Stasi nella grotta Romanelli, i quali difficilmente si potrebbero considerare come utensili; è piuttosto a supporsi che servissero alla numerazione di oggetti determinati o a sussidio di qualche giuoco.

Non escludo che certe selci di forme insolite e bizzarre, ritagliate lungo i margini, fossero scheggie ottenute per caso, modificate poi di proposito affine di usufruttarle come armi od utensili, ciò quando la pietra per la sua tenacità e durezza si prestava a qualche utile applicazione.

Il Dottor A. Sturge, il quale adunò, nella sua privata collezione, serie numerose ed istruttive di manufatti litici [p. 53 modifica]d’ogni età e d’ogni paese, crede con buon fondamento che bene spesso gli abitanti delle stazioni paleolitiche meno antiche ricercassero le selci già adoperate dai lóro predecessori, per adattarle al proprio uso, dopo averle opportunamente ritoccate o rinfrescate con ulteriore scheggiatura. Siffatta particolarità emerge dall’esame della patina di età più o meno remota di cui le superficie scheggiate sono coperte.

Peso arcaico. — Inscrivo sotto questo nome, tra i manufatti dell’Appennino Ligure, un oggetto grossolanamente elaborato, che sembra destinato a rappresentare un uccello dalla testa grossa, dal capo eretto e un po’ piegato verso il lato destro, dal corpo depresso, pianeggiante alla parte inferiore, dalla coda breve, e ricorda lontanamente l’aspetto di un’anatra o d’altro palmipede, mentre riposa colle zampe piegate e nascoste sotto il ventre. La figura è ricavata da un frammento di cloritescisto logorato dagli agenti esterni, che fu opportunamente assottigliato, mediante un utensile tagliente, per rendere il collo ben distinto dal capo e dal corpo e per diminuire in questo la naturale Fig. 15.
Peso arcaico di Sassello (Coll. Ferrando); dimensioni assai ridotte.
asimmetria della pietra. Il manufatto misura 13.5 cm. di lunghezza, 8.2 di larghezza massima, circa 15.5 d’altezza, e pesa kg. 2 e 190 gr. Esso può essere facilmente preso [p. 54 modifica]dal collo come da un manico. Il suo colore, che in gran parte consegue dall’alterazione della roccia, è bruno traente più o meno al verdastro; la sua struttura originaria finamente granulosa, con tracce oscure di scistosità, non si manifesta che in qualche punto. Raccolto anni sono da D. Ferrando nei dintorni di Sassello, si conserva ora nel Museo geologico di Genova, sotto la rubrica di peso arcaico. Questo riferimento è fondato sopra un giudizio del Prof. Lindemann di Monaco, di cui è nota la competenza nella metrologia antica.

Oggetti diversi con scarse tracce di lavorazione. — Questi, già elaborati dagli agenti naturali, furono modificati assai lievemente, sia, nella forma sia nella condizione della superficie, per mano dell’uomo. Alludo ai così detti percuotitoi, ciottoli pesanti e tenaci di forma più o meno allungata, che si adoperavano ad infrangere le ossa lunghe dei mammiferi affine di estrarne il midollo; alludo ai martelli a mano, destinati alla lavorazione di altre pietre per mezzo della percussione, ai pestelli, macinelli e porfirizzatori, che servivano a contundere e schiacciare radici eduli, fibre tessili, cereali, o a ridurre in polvere ocre da tingere. Alludo alle pietre da macina tanto comuni nelle caverne ossifere neolitiche, alle pietre da affilare e da appuntare, colle quali si impartiva o si rinfrescava il filo agli stromenti da taglio o si aguzzavano pugnali, giavellotti, lancie, dardi, raffii, lesine, aghi d’osso o di corno; e finalmente alle pietre da fionda, scelte fra ciottoletti di peso appropriato e di forma più regolare traente alla sferica. Più innanzi, trattando delle singole stazioni, mi farò a descrivere alcuni degli esemplari più notevoli. [p. 55 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/61 [p. 56 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/62 [p. 57 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/63 [p. 58 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/64 [p. 59 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/65 [p. 60 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/66 [p. 61 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/67 [p. 62 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/68 [p. 63 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/69 [p. 64 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/70 [p. 65 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/71 [p. 66 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/72 [p. 67 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/73 [p. 68 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/74 [p. 69 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/75 [p. 70 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/76 [p. 71 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/77 [p. 72 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/78 [p. 73 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/79 [p. 74 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/80 [p. 75 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/81 [p. 76 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/82 [p. 77 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/83 [p. 78 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/84 [p. 79 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/85 [p. 80 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/86 [p. 81 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/87 [p. 82 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/88 [p. 83 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/89 [p. 84 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/90 [p. 85 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/91 [p. 86 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/92 [p. 87 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/93 [p. 88 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/94 [p. 89 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/95

Note

  1. Catalogue descriptif etc., pag. 99. Nice, 1906.
  2. Si vedano in proposito le osservazioni del D.r Alien Sturge, nel suo Catalogue descriptif (Nice, 1906).
  3. Esito a servirmi del vocabolo punteruoli, quantunque consacrato dall’uso, perchè fu attribuito, nei secoli scorsi, a stiletti di foggia peculiare.
  4. Si tratta forse di punte di lancia anzichè di freccia.
  5. La punta di freccia di cui si tratta, che mi fu comunicata nel 1867 da don Perrando, non è compresa nella raccolta acquistata pel Museo di Genova.
  6. Iconografia della Preistoria Ligustica, tav. LII, fig. 7.
  7. Opera citata, tav. LIV, fig. 4, 5.