Liguria preistorica/Parte prima/Capitolo I
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I. — ETÀ PREISTORICHE IN GENERALE
È ormai risaputo che in ogni paese della terra, prima di conoscere i metalli, l’uomo fece uso delle pietre più dure e tenaci per fabbricarne armi ed utensili. Siffatto costume risale, presso i popoli che godono di più antica civiltà, a tempi si remoti che se ne perdette quasi sempre la memoria.
Le ascie e le cuspidi litiche non erano ignote, a quanto pare, alla Grecia e all’Italia, durante l’antichità classica; ma gli accenni che ne furono fatti dagli scrittori, fra i quali Porfirio, Plinio, Svetonio, si prestano a dubbie interpretazioni 1.
Michele Mercati da San Miniato, morto nel 1593, si occupò degli antichi manufatti di pietra che si trovano sparsi qua e là a fior di terra e ravvisò la vera natura di certe accette di pietra levigata, considerandole come rozzi utensili adoperati da gente che ignorava l’uso dei metalli; cosi nella sua Metallotheca Vaticana, pubblicata nel 1717 a spese di Clemente XI. Ma lo stesso Mercati non andò immune, rispetto alle punte di freccia, dal pregiudizio comune che ne attribuiva la formazione al fulmine.
Tolgo a prestito dal maggiore Angelucci una citazione del Moscardo2» nella quale si legge, a proposito dell’ossidiana, che «gli indiani usavano di questa pietra in luogo di ferro, come scrive Pietro Martire (De orbe novo, lib. 4), formandone mannaie ed altri istrumenti per tagliare, e fabbricare case e barche, canoe da loro chiamate, non avendo ancora uso del ferro, ritrovandone assai nei loro fiumi»3. E vuolsi avvertire che Moscardo viveva nel secolo XVII e Pietro Martire nel XV.
Si legge nei Diari Sanesi dell’Allegretti come il capitano delle galee del re di Spagna, Cristoforo Colombo, abbia visitato nel 1493, «oltre alle colonne d’Ercole, in Canaria», un’isola, nella quale «alcuni uomini mangiano gli altri di un’altra isola vicina e sono gran nimici insieme, e non hanno alcuna generazione d’arme...»; «i loro mari, soggiunge, sono molto tranquilli e usanli con certi ceppi d’arboli grossi, cavati per forza di certi sassi taglienti». Da questa citazione, che trovo in una scrittura del maggiore Angelucci4, emerge in prima che nel 1493 regnava, ancora l’età della pietra in una delle Canarie e che fin da quel tempo fu conosciuta da taluno in Italia la vera natura delle ascie litiche.
L’Aldrovandi, che visse dal 1527 al 1605, ravvisa nelle accette di pietra antiche armi che, rimaste lungo tempo sepolte, avrebbero acquistato consistenza litoidea. Vallisnieri, morto nel 1730, asserisce che gli uomini facessero uso di stromenti litici prima di conoscere i metalli.
Il D.r Plot e William Dugdale in Inghilterra interpretarono rettamente, secondo J. Evans, il significato di antiche armi di pietra. In Francia ne furono menzionate da A. de Jussieu nel 1723; e Mahudel diede la descrizione e la figura di parecchi esemplari fin dal 1740.
Nel 1783 il Giovene notò come il suolo delle caverne del Pulo presso Molfetta ricettasse oggetti d’antica industria umana, cioè stoviglie della più rozza fattura, armi ed utensili di pietra proprio identici ad altri che sono opera di isolani di Otaitì.
Vuol essere ricordato il nome di Salvagnoli Marchetti, il quale, fin dal 1843, presentò al Congresso degli Scienziati italiani, in Lucca, una serie di manufatti litici, da lui trovati nella Grotta dei Santi, come pure quello di Giuseppe Scarabelli, il quale, nel 1850, pubblicò la prima diligente illustrazione di una raccolta d’armi di pietra italiane. D’allora in poi, e specialmente dopo le memorabili discussioni provocate dalle scoperte di Boucher de Perthes in Francia, le osservazioni si fecero grado grado più frequenti, si estesero ad ogni provincia e si moltiplicarono in guisa che oggi la loro enumerazione oltrepasserebbe i confini che mi sono prefissi in questa rassegna.
Nei primi tempi di Roma, l’uso degli utensili di pietra si manteneva in alcuni riti religiosi. Così, ci narra la storia, come, nel sacrifizio che precedette la pugna dei Curiazi contro gli Orazi, la vittima fosse scannata per mezzo d’un arnese di selce e, secondo Catullo, certe mutilazioni imposte dal paganesimo a taluni dei suoi sacerdoti dovevano essere praticate per mezzo di taglienti litici.
Similmente, la circoncisione fu praticata per lungo tempo dagli antichi Ebrei, quantunque conoscessero i metalli, per mezzo di trincetti silicei, reputati più atti al compimento di un rito religioso, perchè l’uso loro risaliva a tempi remotissimi. Forse per analoga ragione gli Egiziani facevano uso di utensili litici nello sparare i cadaveri destinati alla imbalsamazione.
Più tardi, confusi coi denti di squalo e coi radioli degli echinodermi fossili sotto il nome di ceraunie, simili manufatti si credettero d’origine celeste, e come tali furono oggetto di venerazione e si vollero incastonare nel diadema degli Dei.
L’opinione che alcuni riti religiosi dei Romani si debbano far risalire all’età del bronzo e perfino a quella della pietra, venne testé luminosamente confermata da un fatto osservato da Michele Stefano De Rossi. Secondo questo autore, il fondo del bacino o serbatoio delle acque termali Apollinari, presso il lago Sabatino, si trovò coperto di bronzi, di vasi d’oro e d’argento, di monete più o meno antiche, tributo votivo accumulato in lungo volgere di secoli dagli infermi che facevano uso delle acque termali e colla offerta di oggetti preziosi intendevano propiziarsi gli Dei dai quali invocavano la guarigione. Tali oggetti erano, direi quasi, regolarmente stratificati, in guisa che la profondità alla quale giacevano corrispondeva all’ordine cronologico; cioè, al di sopra, si raccolsero i vasi e, le monete dell’impero, poi le monete battute o fuse della repubblica, inferiormente ad esse in gran copia monete rudimentali od aes rude, le quali riposavano alla lor volta sopra uno strato di selci scheggiate, che rappresentano le offerte votive di una epoca anteriore all’uso dei metalli5.
La credenza che le ascie e le saette di pietra cadessero dal cielo fu professata da Paracelso, da Gessner e da altri filosofi dell’antichità, e tuttora è dominante nel volgo d’ogni paese. Infatti, mentre si dicono nell’Italia continentale fulmini, saette folgorine, cunei di tuono, si domandano in Sardegna pedra de lu trono, ascia de tronu o pedra de rasu, in Francia coins de foudre, pierres de tonnerre, in Inghilterra thunderbots, in Danimarca tonderkiler, in Germania Donnerkeile o Thorskeile in Olanda donderbeiteh, in Portogallo corrisco. Sono conosciute sotto nomi che alludono ad analogo significato nell’Affrica settentrionale e media, nella Cina, nel Giappone, nell’alta Birmania e in altre regioni asiatiche.
I nostri terrazzani, in ispecie i montanari, sono persuasi altresì, che le azze litiche abbiano il potere di allontanare il fulmine, per la qual cosa le conservano preziosamente nelle loro case6. In Liguria e in Piemonte pretendono, inoltre, di sperimentare la virtù di queste pietre, avvolgendo intorno ad esse alquanto filo e ponendole sulla brace, che le vere pietre del fulmine (prie du trun le dicono nel Genovesato) non consentono la combustione del filo.
Le punte di freccia e le accette litiche si conservano ancora preziosamente in molte parti d’Italia, specialmente nel mezzogiorno (nelle provincie d’Aquila e di Chieti) come talismani; alcune di esse, montate in argento e munite di un anellino, o semplicemente forate, si tengono appese al collo. Molti di questi oggetti, riferisce Bellucci, furono cosparsi d’olio allo scopo di esaltare la virtù protettrice attribuita all’amuleto, assai diversa secondo i luoghi. La pratica di tali unzioni, alla quale allude Teofrasto, è antichissima; tuttavolta persisteva ancora in Norvegia alla fine del XVII secolo e vive oggi stesso presso le Isole della Società7.
Colini cita il fatto di una accetta di pietra verde rinvenuta sul petto di una donna sepolta nella chiesa di Santa Lucia a Siracusa8.
D’altronde l’uso di utensili litici limitato ad alcuni casi speciali vige ancora in paesi semibarbari od anche civili. È noto che si adoperavano, e forse si adoperano ancora, nell’isola di Teneriffa. in Tunisia, presso Smirne e nell’isola di Cipro trebbiatrici primitive munite di scheggie di selce a guisa di denti. Giglioli descrive e figura una rozza lastra di pietra che si fa trascinare da due paia di bovi sull’aia, allo scopo di trebbiare il grano, ciò nel cuore della penisola cioè a Covigliaio, nell'alto Lucchese 9.
Questi fatti porgono esempi istruttivi di costumi di un’altra età, perpetuatisi tra gente che pur conosce i metalli, e spiegano la strana associazione di manufatti litici e di oggetti metallici che non di rado fu avvertita in antichi ripostigli e sepolcri. Ma per rintracciare i costumi delle nostre stirpi preistoriche ed investigare a quale ufficio fossero destinate le svariate loro armi e suppellettili, e come e quando ne usassero, i migliori criteri ci sono offerti dai popoli propriamente selvaggi. Per breve tempo ancora sarà consentito all’etnologo di coglier sul fatto la vvita di tali società primitive, perciocché ovunque, incalzate ed accerchiate dalla civiltà erompente, stremate in numero, corrotte, affievolite, sono inesorabilmente condannate alla distruzione.
Fra le migliori fonti per la cognizione delle industrie superstiti pertinenti all'età della pietra mi piace additare il pregiato lavoro del mio amico Enrico N. Giglioli «Materiali per lo studio della età della pietra» (Firenze, 1901).
Dimostrato il fatto che l' uomo delle società primitive, che ignorava uso dei metalli, si servì da principio quasi esclusivamente di pietra per foggiarne armi ed utensili, e poi, vieppiù progredito nel civile consorzio e venuto in possesso della metallurgia, mise in opera il bronzo, e in ultimo il ferro per lo stesso scopo, gli archeologi dell'Europa settentrionale immaginarono di scindere i tempi preistorici nelle tre età della pietra, del bronzo e del ferro. Ed infatti, se si considerano le fasi attraversate dai popoli scandinavi dai tempi più remoti fino agli albori della storia, fasi palesate dai prodotti industriali di questi popoli, risulta assai naturale e legittima la divisione anzidetta. Fra le tre età, quella della pietra, che incomincia coi primordi dell’umanità e finisce col nascere della metallurgia, sembra la più spiccata.
Il ritrovamento in varie parti dell’Affrica media (per es. tra i Niam Niam e i Mombuttu), nel Senegal e nel Brasile di azze di un minerale di ferro duro e tenace, l’ematite rossa (fig. 1), accenna ad un termine di transizione tra lo stadio della pietra e quello dei metalli10.
Fig.1.
Ascia di ematite rossa del paese dei Niam Niam.
(Museo Civico di Genova); 1/2 della grandezza naturale.
Hanno il medesimo significato i manufatti, quali scheggiati quali levigati, di limonite, scoperti in una grotta presso Konakry nella Guinea francese 11 e una bolas di ematite proveniente dall’Uruguay e citata da Giglioli. Reputo assai probabile che, sperimentati i requisiti propri agli utensili d’ematite e di limonite, gli Affricani che primi fecero uso di tali utensili, ricercassero per fabbricarne di analoghi le pietre di uguale aspetto, e per questa via fossero condotti a raccogliere e a lavorare il ferro meteorico, il quale, per colore, lucentezza, peso e resistenza alla percussione, si accosta all’ossido e all’idrossido dello stesso metallo. Non è inverosimile che conosciuta poi la proprietà del ferro nativo di diventar più compatto e tenace mercè l’arroventamento e la martellatura, sottoponessero ad ugual preparazione anche altri minerali di ferro, in particolar modo la magnetite e conseguissero in tal guisa il metallo artificialmente ridotto.
In alcuni paesi, come nel Nuovo Continente, in Spagna, in Ungheria, in Irlanda, sembra che la fabbricazione di manufatti di bronzo sia stata preceduta da quella di oggetti di puro rame. Perciò alcuni credono che possa ammettersi anche un periodo archeologico del rame. A tale stadio industriale, che fu brevissimo, accennano alcuni utensili di rame rinvenuti nelle caverne della Liguria, promiscuamente però a manufatti di tipo schiettamente neolitico.
Siccome nelle nostre stazioni preistoriche non esistono che rare e tarde tracce di una lavorazione dei metalli praticata localmente, così non è il caso di contemplare una età del rame in Liguria, e, rispetto a quella del bronzo, non si potrebbe accettare in un ordinamento razionale che quale fase distinta dalla introduzione nel paese, per via di scambi, di scarsi arnesi metallici fabbricati altrove.
I paletnologi italiani designano col nome di età eneolitica, proposto da Gaetano Chierici, quella durante la quale, pur mantenendosi il predominio dei manufatti litici, si adoperavano eziandio arnesi di bronzo. Sì tratta non già di un periodo determinato, ma di una fase di transizione che si manifesta nella facies di alcuni depositi archeologici e in certe necropoli, per esempio in quella di Remedello nel Bresciano. È da lamentarsi che siffatto vocabolo, potendosi facilmente scambiare con neolitico preceduto dalla congiunzione e, si presti ad ambiguità e confusioni.
L’età della pietra si volle distinta, come è noto, in paleolitica (od archeolitica) o della pietra scheggiata e neolitica o della pietra levigata, intendendosi con ciò che da principio la materia prima che s’offriva all’uomo in maggior copia era da lui foggiata esclusivamente per mezzo della percussione e quindi della scheggiatura, e più tardi non solo con questo artifizio, ma eziandio collo stropicciamento sopra altra pietra.
Si comprende di leggeri come certe specie di rocce si prestino ad essere lavorate in un modo piuttosto che nell’altro, come in alcuni paesi debbano perciò abbondare, indipendentemente dalle ragioni d’ordine paletnologico, manufatti scheggiati o pure levigati, e come nei casi più frequenti la scheggiatura abbia avuto solo per oggetto di predisporre l’arme o l’utensile ad ulteriore lavorazione, mercè la quale era condotto a compimento colla levigatura. Ciò spiega perchè nel territorio di Sassello, anche ove mancano tracce sicure di stazioni paleolitiche, sono piuttosto comuni ascie di pietra verde grossolanamente scheggiate, alcune con segni di levigatura appena iniziata, ascie indubbiamente neolitiche, le quali, tanto per la foggia quanto per la materia, son da porsi nel novero dei manufatti abbozzati che rimasero incompiuti a causa di qualche difetto riscontrato dall’artefice nella pietra o per altra circostanza accidentale.
Un tentativo di suddivisione della prima età della pietra si deve a G. de Mortillet, il quale, rispettando la separazione già introdotta nella scienza da Lubbock tra il periodo neolitico e il paleolitico od archeolitico, cangia il nome del primo in robenhausien (dalla località di Robenhausen) e scinde il secondo in magdalénien, solutréen, moustérien acheuleen, chelléen, dal nome di cinque celebrate stazioni preistoriche della Francia (La Madeleine, Solutré, le Moustier, Saint Acheul, Chelles).
Al magdalénien, che è il più recente, spettano lunghe lame prismatiche di silice o coltelli, seghe, lisciatoi, punteruoli, punte di freccia amigdaloidi, associati ad una gran varietà d’armi e di suppellettili d’osso e di corno; al secondo appartengono utensili litici foggiati con molta diligenza, e specialmente cuspidi appuntate alle due estremità in forma di foglia d' alloro 12; al terzo si riferiscono larghe lamine silicee assai meno perfette, per lo più scheggiate sopra una sola faccia, ed appuntate ad una estremità; vi si incontrano anche punte d'altra foggia e raschiatoi. Lacheuleen offre stromenti amigdaloidi o piriformi di quarzo o quarzite scheggiati sulle due facce. Nel chelléen gli stessi stromenti (azze o mazzuoli a mano) sono più voluminosi e grossolani.
È questo un ordinamento assai utile nella pluralità dei casi, ma non conviene applicarlo senza attenta disamina alle stazioni preistoriche lontane da quelle scelte a termini di confronto. È certo, infatti, che le forme e i tipi delle armi litiche variassero da un punto all’altro, presso i diversi popoli, secondo le attitudini di ciascuno e secondo la natura dei materiali adoperati, precisamente come presso le odierne tribù e nazioni dell'Affrica centrale variano, a breve distanza, le foggie delle suppellettili e degli utensili. Inoltre, alle età più recenti si riferiscono utensili accurati e perfetti ed altri assai grossolani, che simulano quelli propri ai tempi più remoti, E poi, come discernere gli strumenti improvvisati per soddisfare alle necessità del momento e le schegge di rifiuto dei periodi meno antichi, dai prodotti costantemente rozzi dell'industria primitiva?
Secondo H. Fischer, le difficoltà da superarsi per conseguire un manufatto finamente scheggiato son ben maggiori di quelle che si oppongono alla fabbricazione di un utensile colla levigatura. Egli però, istituendo il confronto fra oggetti lavorati nelle due maniere con straordinaria finezza, pertinenti nell'un caso e nell'altro all'era neolitica , negava ogni valore cronologico alla divisione precitata, Dal canto mio, osservo che in certe azze assai rozze, rinvenute tra gli Apennini liguri, l’opera della levigatura si riduce all’affilatura del taglio che richiedeva destrezza, intelligenza e tempo minore di quanto fossero necessari per la fabbricazione di qualsiasi arnese scheggiato.
Tuttavolta, fa d’uopo convenire che non solo fra noi, ma in tutti i paesi, il criterio suesposto ha fatto in pratica buona prova per distinguere l'età della pietra in due periodi, che in altre parole si è sempre verificata la pertinenza dei manufatti levigati ai tempi più recenti della detta età ed anche all’era dei metalli. Ben s’intende, innanzi tutto, come l' accennata divisione valga soltanto ad esprimere i gradi successivi di svolgimento pei quali passarono gran parte dei popoli europei (probabilmente non tutti) prima di giungere alla condizione presente, e sia subordinata a circostanze locali ; perciocché uno di questi periodi potè durar meno in tal territorio che in tal altro, o anche mancare affatto. Chi può dubitare che la Germania e la Scandinavia fossero appena giunte all’età del bronzo, quando l’Italia e la Grecia, già in possesso del ferro, godevano di una civiltà relativa ?
Io poi ritengo, che nella nostra stessa Liguria certe tribù montane, che vivevano segregate da ogni altro popolo, conservassero i barbari costumi propri all’età litica fino a tempi storici non remoti. D’altra parte, le recenti indagini tendono a ridurre sempre più il campo dell’era del bronzo e legittimano il supposto, che in molti luoghi l’uomo sia passato senza transizione dall’uso della pietra a quello del ferro. Intanto, quando anche si respingano le conclusioni che ammettono la scoperta di selci scheggiate dall’uomo in formazioni plioceniche o mioceniche, non è men vero che l’età della pietra abbracci uno spazio di tempo incomparabilmente più lungo delle due successive, e risalga, anche secondo i più moderati apprezzamenti, fino ai primi tempi dell’era quaternaria.
Questi riflessi giustificano la proposta di Paolo Lioy, il quale vorrebbe abolite le denominazioni di età della pietra, del bronzo e del ferro, e adottate invece quelle di litoplidi, calcoplidi, sideroplidi (armati di pietra, di rame, di ferro), applicabili agli uomini e non ai tempi. Tuttavolta, il criterio delle tre epoche preistoriche, anzi delle quattro, ammettendo la divisione dell’età della pietra in neolitica e paleolitica, quantunque insufficiente, riuscì di gran giovamento quando fu applicato con prudenza, tenendo sempre conto delle condizioni locali. Fa d’uopo che nelle determinazioni cronologiche dei depositi contenenti vestigia umane, lo studio degli avanzi organici e principalmente delle ossa di vertebrati proceda di pari passo con quello dei manufatti; fa d’uopo eziandio, che s’introducano ulteriori suddivisioni nella prima età litica, la cui ampiezza non è proporzionata a quella delle età successive.
L’ordinamento di de Mortillet è difettoso in ciò che si fonda sui caratteri differenziali di alcune stazioni arbitrariamente ritenute tipiche, mentre esse son tali solo dal punto di vista della paletnologia francese; in secondo luogo, perchè non è dimostrato che i termini di siffatto ordinamento sieno tutti periodi successivi, e non, in parte, facies verificatesi contemporaneamente in punti diversi. Da siffatte obbiezioni al sistema di de Mortillet risulta palesemente che il criterio dei manufatti è da solo impotente a risolvere i più essenziali quesiti della cronologia preistorica; esso non può andar disgiunto dal criterio paleontologico. Persuaso di questa verità, Édouard Lartet: stabilì una classificazione della così detta epoca archeolitica, tutta fondata sui resti dei mammiferi fossili che trovansi associati ad oggetti d’antica industria umana, nei depositi delle caverne. Egli suddivise tale epoca in tre periodi, ciascuno dei quali è distinto dalla prevalenza d'una specie di mammiferi. L’Ursus spelœus sarebbe la specie caratteristica dei più antico, il mammut l'Elephas primigenius) del successivo, il renne (Rangifer tarandus) del terzo. Ma siccome il mammut si trova quasi sempre associato all’orso delle caverne e ad altri quadrupedi della medesima età, Dupont preferisce riunire i due primi periodi in uno solo. Senonchè, ammettendo pure l’emendamento proposto dal direttore del Museo di Bruxelles, non si eliminano dubbi , ambiguità e cause d’errore. Il renne, infatti, comunque caratteristico del secondo periodo, non manca nei depositi del primo; quindi la distinzione è fondata più che altro sulla copia relativa degli avanzi di questo ruminante, criterio, come ognun vede, assai lieve. Di più, tale specie, cui si attribuisce sì alto valore nella cronologia dei depositi delle grotte non attraversò le Alpi, manca all’Italia, tranne la Liguria occidentale, come manca probabilmente alla Grecia, alla Turchia e alla Spagna meridionale.
Il criterio paleontologico al pari dell' archeologico non può dirsi assoluto, e deve necessariamente variare secondo la natura dei depositi e secondo le regioni. Per trarne tutto il frutto di cui è suscettibile non bisogna tener conto di due o tre specie soltanto per ogni stazione, ma di intere faune, interpretando il significato loro cronologico in relazione colla climatologia e colle condizioni morfologiche locali. Sono posteriori ai depositi ascritti al pliocene superiore (astiano) e distinti dalla presenza di numerose specie di mammiferi, fra le quali Elephas meridionalis, Mastodon Arvernensis e Rhinoceros Etruscus, i giacimenti che ricettano la medesima specie d’elefante associata all'E.Antiquus, ad un ippopotamo, come pure a spoglie d’altri vertebrati 13. Le grotte dette Kent’s Hole, in Inghilterra, e di Baume, in Francia, ricettano anche lo strano felino Machœrodus latidens dai canini foggiati a lama di sciabola, non ancora osservato in Italia 14, e si riferiscono al medesimo orizzonte, che reputo infraquaternario , mentre per molti autori si considera come pertinente ad un piano peculiare (villafranchiano)del pliocene. Lievi differenze di fauna distinguono questo dal successivo, al quale passa per graduate transizioni. Si attribuiscono allo stesso orizzonte schegge informi di selce più o meno ritoccate lungo i margini, e molti di quegli arnesi di quarzite o di silice irregolarmente amigdaloidi, scheggiati sulle due facce, che G. de Mortillet denominò instruments chelléens dal nome di una classica stazione del dipartimento di Seine-et-Marne; mentre la facies delle rare selci scheggiate rinvenute in depositi pliocenici (per esempio ad Otta presso Lisbona, nel Kent e nel Forest cromer bed in Inghilterra, come pure a Saint-Prest in Francia), selci le quali secondo molti scienziati offrono tracce dell’opera umana, è data semplicemente da che i frammenti della pietra, distaccati ed elaborati da cause naturali, avrebbero subito scheggiature, ammaccature, ritocchi fortuiti per mano di una creatura intelligente nell’ adoperare questi frammenti ad uso di armi o di utensili. Detta facies fu profondamente studiata nel Belgio dai naturalisti Neyrinck, Delvaux, Cels, Rutot, ed ebbe il nome di industrie mesvinienne dal nome di un villaggio dei pressi di Mons.
In altri giacimenti assai più numerosi i vertebrati estinti sono rappresentati da scarsi resti di Elephas antiquus e Rhinoceros Mercki da Trogontherium Cuvieri, assai raro, e specialmente dall’orso delle caverne, dalla iena delle caverne (var. della H. crocuta), dal leone delle caverne (Felis leo, var. spelæa), dal leopardo (F. pardus, var. antiqua). A questo livello, che rappresenta il medioquaternario, i manufatti di pietra si riferiscono a forme più svariate, in parte analoghe alle precedenti, in parte diverse, cioè a lamine più o meno allungate (pugnali o coltelli) scheggiate a larghe falde, a punte triangolari più o meno ritoccate lungo i lati, a scaglie irregolari dai margini taglienti (raschiatoi) ecc.
Sottentra la terza fase quaternaria, nella quale vengono a mancare i mammiferi fossili che accennano a clima caldo e sono sostituiti in gran parte da tipi artici, confinati al presente in regioni più settentrionali; cioè il renne, il gran cervo d’Irlanda, l’Ovibos moschatus, il Bison Europæus od auroch, che vive ancora in Lituania, la Saiga tatarica, confinata al presente fra la Polonia e Altai, il Gulo spelæus, varietà del ghiottone, la marmotta, e tanti altri, cui si associano le specie estinte mammut (l’elefante glaciale dalla folta lana e dai lunghi velli) e Rhinoceros tichorhinus. Nei giacimenti riferibili a questa fase, cioè al periodo sopraquaternario, sono comuni i manufatti abbandonati dair uomo, e consistono in talune delle forme di selci già ricordate, alle quali si uniscono svariatissime punte di freccia e di lancia, coltellini, punteruoli, come pure in manufatti d’osso, di corno, di conchiglia, denti lavorati, di cui si dirà più innanzi (industries moustériennes, solutréennes' magdaléniennes ecc). Nelle stazioni di data posteriore che non possono ascriversi al periodo quaternario, ma al recente, l'uomo fu accompagnato da prima da una fauna vertebrata prevalentemente costituita da animali selvatici, viventi ancora nel paese o solo recentemente scomparsi (orso bruno, lupo, cinghiale, cervo comune, daino, capriolo, capra, stambecco, camoscio, marmotta), cui si aggiunsero più tardi animali domestici analoghi o identici alle comuni varietà di cani, porci, pecore, capre, bovi. In tali stazioni succedono a quelli già ricordati i manufatti di tipo neolitico (accette o ascie di pietra levigata, punte di freccia e di lancia ad alette, finamente scheggiate, stoviglie ecc.); poi gli stessi oggetti sono associati a scarsi manufatti di bronzo (fase eneolitica), indi si trovano in gran prevalenza arnesi di bronzo e finalmente oggetti di ferro insieme ai bronzi, ciò, ben inteso, procedendo dalle stazioni antiche alle recenti.
Non fa d'uopo insistere sul fatto che parechie specie di mammiferi fossili sono comuni a due o più epoche ed anche al periodo quaternario e all’attuale.
Nell'apprezzare le condizioni della fauna convien tener conto non solo della latitudine del giacimento, alla quale sono subordinate fino ad un certo segno, come ognun sa, le condizioni climatologiche del passato e del presente, ma ancora degli altri fattori geografici e principalmente della configurazione verticale, della idrografia e della vegetazione del paese, ciò riferendosi alla data del giacimento stesso. Così, nell’apprezzare il significato della presenza o della mancanza di certe specie di vertebrati caratteristiche, fa d’uopo ricordare che l'Elephas antiquus, il Rhinoceros Mercki, le varie sorta di cervi furono animali di selva, che il Rhinoceros tichorhinus e il Rangifer tarandus prediìigevano la tundra o la steppa, che la saiga è esclusivamente antilope di steppa, che il camoscio e lo stambecco sono ruminanti di montagna, che l'ippopotamo accusa la vicinanza di corsi d’acqua, laghi o paludi.
La mobilità dei tipi organici nella serie dei tempi (mobilità che niuno omai potrebbe revocare in dubbio), non solo non fa ostacolo all'applicazione del criterio paleontologico alla cronologia dei depositi delle caverne, ma, sotto un certo rispetto, è anzi un vantaggio, perchè ne accresce la squisitezza. Infatti, scelte certe forme tipiche come termini di confronto, le variazioni che esse subiscono in una data località sono, direi quasi, proporzionali ai tempi trascorsi. Si osserva, per esempio, che l′Ursus spelæus dei giacimenti più antichi differisce da quello dei depositi posteriori per la mole gigantesca, per la robustezza maggiore delle ossa, perchè il suo cranio ha le gobbe frontali assai prominenti, perchè i suoi denti offrono una configurazione più complicata. Orbene, certi Ursus spelæus presentano caratteri di transizione fra quelli delle due varietà summentovate e sono più recenti della prima e più antichi della seconda.
Similmente i leoni, i leopardi, i lupi quaternari sono più voluminosi e robusti dei recenti e degli attuali.
I mutamenti verificatisi nella fauna europea durante il periodo quaternario sono subordinati a quanto pare alle vicende climatologiche subite in quel volger di tempi dal paese. In tesi generale si produssero fasi di minor trasparenza nell’atmosfera, per densità e frequenza di nebbie e nubi, con copiosa precipitazione acquea, accrescimento di campi nevosi e ghiacciaie, e con ingente refrigerazione, fasi tra le quali intercedevano momenti caldi ed asciutti.
Una prima espansione glaciale poco spiccata si manifesta fra noi appena terminato il pliocene: la più importante si svolge alla fine dell'infraquaternario; la terza durante il quaternario superiore e coincide collo svilupparsi della fauna vertebrata artica nell’Europa media e meridionale. L'intervallo che separa le due ultime fasi glaciali è quello durante il quale la nostra regione si popola di fiere attualmente cofinate nell'Africa tropicale, vale a dire di leoni, leopardi, iene 15.
Nella recente edizione del pregiato manuale di G. de Mortillet 16, riveduta dal figlio del compianto autore, A. de Mortillet, l'ordinamento dei tempi preistorici, fondato essenzialmente sui manufatti, è riassunto nel quadro qui appresso trascritto.
TEMPI | PERIODO | EPOCHE |
---|---|---|
Quaternario attuale | Neolitico | Robenhausienne (Robenhausen, Zurigo) |
Tardenoisienne (Fere-en-Tardenois, Aisne) | ||
Quaternario antico | Paleolitico | Tourassienne (La Tourasse, H.te Garonne) |
Magdalénienne (La Madeleine, Dordogne) | ||
Solutréenne (Solutre, Saône-et-Loire) | ||
Moustérienne (Le Moustier, Dordogne) | ||
Acheuléenne (S. Acheul, Somme) | ||
Chelléenne (Chelles, Seine-et-Marne) | ||
Terziario | Eolico | Puv-Cournienne (Puv Cournv. Cantal) |
Thenaisienne (Thenay Loir-et-Cher) |
Anche rispetto a questa classificazione, esprimo il fermo convincimento che non rappresenti rispetto alle epoche una successione di tempi, ma una serie di facies, fra le quali due, in qualche caso anche tre, prossime l'una all’altra, nel medesimo periodo, furono simultanee in regioni più o meno lontane.
Engerrand, autore di un corso di preistoria17 posteriore all’opera di de Mortillet, considera il solutréen come una facies e manifesta il dubbio che il tardenoisien, come pure il campinien dei paletnologi belgi, rappresentino da canto loro due facies del neolitico. Egli preferisce poi sostituire agli aggettivi magdalénienne e solutréenne, i vocaboli tarandienne e éburnéenne, proposti da Piette, che alludono ai materiali (corna di renne e avorio) adibiti alla fabbricazione di manufatti caratteristici pertinenti alle epoche o facies dì cui si tratta. Le due espressioni sono certo assai suggestive, ma non mi par necessario contravvenire alla legge di priorità e abbandonare due termini consacrati da lunga consuetudine, per introdurre nella nomenclatura un concetto diverso da quello che informa le altre denominazioni, concetto già adottato in geologia.
Per Piette i tempi della Madeleine e di Laugerie-Haute si distinguono nelle epoche gourdanienne e papalienne. Durante la prima si produssero tre fasi, secondochè furono prevalenti l’incisione e l'uso di numerosi raffii od arponi (nella prima), l’incisione con pochi raffii o senza (nella seconda), l’incisione a contorni profondamente impressi (nella terza). L’epoca papaliana è poi caratterizzata da sculture a basso rilievo o a rilievo poco risentito.
Per conto mio, debbo deplorare impiego della espressione periodo eolitico, adoperata dai paletnologi francesi e belgi con significato affatto diverso da quello che io fin dal 1885 18 attribuivo all'età eolitica19. Per essi i tempi durante i quali l’uomo non possedeva ancora l’arte di scheggiare la pietra per appropriarla all’uso cui la destinava, e metteva in opera come utensili ed armi le pietre gregge, sono distinti coll'aggettivo di eolitici, mentre eoliti sono quelle selci gregge, le quali, per le ammaccature che portano per le speciali condizioni di giacimento, si suppongono semplicemente usufruttate dall’uomo primitivo allo scopo di percuotere, infrangere, tagliare, raschiare, ecc. Questi tempi ebbero lunghissima durata; son tutti compresi nell’era terziaria, e dai signori de Mortillet furono suddivisi in epoca puy-cournienne e thenaysienne dalle stazioni omonime.
Il concetto cui si informa l’accennata distinzione mi sembra in generale mal sicuro e poco pratico; mi associo perciò, circa il significato di tali tracce (quali reali, quali supposte) della esistenza dell’uomo in tempi remotissimi, alle giudiziose considerazioni esposte non è molto da Boule20, il quale dimostrò come molte pietre simili a quelle che diconsi in qualche modo adoperate e ammaccate per mano dell’uomo ripetono i propri caratteri da un semplice giuoco di forze fisiche. Senonchè, in mancanza di indizi più positivi, son pure da tenersi in qualche conto anche le così dette eoliti, in ispecie quando si trovano in giacimenti schiettamente pliocenici.
Espongo per concludere uno schema di ordinamento dei tempi preistorici in Europa, schema principalmente applicabile all’Italia, il quale riassume i concetti da me professati in proposito 21.
Durante la fase infrapaleolitica furono fabbricati dall’uomo rozzi manufatti di pietra, che si adoperavano senza il sussidio di un manico come armi contundenti e perforanti e ad uso di utensili; mancavano le lancie, i givelotti e le frecce. Generalmente, al principio di essa le selci lamellari erano scheggiate sopra una faccia sola e non ritoccate lungo i margini. Le più antiche tracce di riti funebri risalgono a questa fase e più specialmente al principio del quaternario medio.
Nella fase successiva furono foggiate le prime ascie od accette provviste di manico, insieme a pugnali, coltelli, punteruoli, seghe, trincetti, scalpellini, ecc. Si adoperarono eziandio armi da getto. Si iniziò o almeno sì sviluppò la lavorazione dell’osso, del dente, del corno e della conchiglia; e siffatta industria procedette di pari passo con notevoli manifestazioni artistiche, le quali tuttavolta si osservano in alcune stazioni e mancano in altre della medesima età. Risalgono a questo periodo graffiti, disegni, bassorilievi,e perfino vere pitture, che rappresentano generalmente animali.
La fase neolitica è quella nella quale furono messi in opera i primi arnesi foggiati o finiti colla levigatura e comparvero le forme più accurate e perfette di cuspidi più finamente scheggiate. Intanto si sviluppa l'arte ceramica, nata forse allo scorcio della fase precedente. Si rendono frequenti in questa fase l'addomesticazione degli animali e le pratiche di una agricoltura primitiva.
Nella fase calcolitica o del bronzo non cessa l’uso dei manufatti litici e vi si aggiunge la metallurgia del rame e del bronzo; le stoviglie, modellate d’ordinario col sussidio del torno, si cuociono nella fornace; esse presentano decorazioni più complicate che non nei tempi neolitici. Al rito della inumazione si sostituisce generalmente quello della cremazione. La pastorizia e l’agricoltura si diffondono, sostituendosi alla caccia e alla pesca.
Finalmente la fase siderolitica o del ferro è distinta dalla lavorazione di questo metallo, come pure dell’argento e dell’oro, dall’ uso di ceramiche ornate di figure umane graffite o dipinte, da numerosi tipi affatto speciali di armi, di utensili e di ornamenti.
Quanto ai confini da assegnarsi all’epoca recente e quindi ai tempi preistorici, essi debbono coincidere coi più antichi documenti storici propriamente detti, i quali per l’Europa, che è quanto dire per la Grecia e per l’Italia, non si possono far salire oltre al settimo secolo della nostra era. Anzi, per quanto concerne Roma, si ritengono in gran parte leggendari gli episodi anteriori all’istituzione del consolato (509 p. di C.) riferiti dai classici.
Non fa d’uopo avvertire che se l’ordinamento adottato dovesse applicarsi non solo all’Europa, ma anche all’Asia e all’Africa, il campo che legittimamente appartiene alla storia dovrebbe accrescersi per necessità di buon numero di secoli a spese della preistoria, per dar luogo ai documenti di data sicura, scritti o scolpiti, rinvenuti nella Cina, nell’Assiria e specialmente nell’Egitto, ove risalgono ad oltre 4500 anni prima dell’era volgare.
Note
- ↑ Si veda in proposito la memoria di Baudoin e Bonnemère « [Les haches polies dans l’histoire] », nel periodico « Bull. et Mém. de la Société d’Anthrop. de Paris », 5e série, vol. V, fasc. 5°. Paris, 1904.
- ↑ Angelucci A., Ricerche preistoriche e storiche nella Capitanata, pag. 29. Torino, 1872.
- ↑ Museo Moscardo, lib. II, cap. 3°.
- ↑ Angelucci A., Op. cit., pag. 29.
- ↑ De Rossi M. S., Secondo rapporto sugli studii e sulle scoperte paleoetnologiche, Roma, 1868.
- ↑ De Rossi M. S., Op. cit.
- ↑ Bellucci G., Il feticismo primitivo in Italia, Perugia, 1907.
- ↑ Tombe eneolitiche del Viterbese, Bull. di Paletn. ital., 1903.
- ↑ Archivio per l’Antrop. e l’Etnol., XXIII. Firenze, 1893.
- ↑ Annali del Museo Civico di Storia Naturale di Genova, vol. XX, 1884, e serie 2.a, vol. II, 1885.
- ↑ Si veda a questo proposito una nota pubblicata durante il 1901 nel periodico L'Anthropologie.
- ↑ Lartet e Christy, pur riconoscendo le differenze che intercedono fra le industrie di Solutré e della Madeleine, conclusero, in base alle proprie osservazioni stratigrafiche e paleontologiche, per la loro contemporaneità.
- ↑ Tipo di tali giacimenti è in Italia quello di Leffe nel Bergamasco, il quale non forni tuttavolta residui d’industria umana.
- ↑ Il ritrovamento di un dente di questa specie nei pressi di Cairo Montenotte, da me annunziato anni sono, era fondato sopra una determinazione erronea.
- ↑ In Italia si sono osservati i residui di due o, al massimo, di tre glaciazioni; nell'Europa settentrionale e media i geologi ne ammettono quattro o anche cinque.
- ↑ La Préhistoire: origine et antiquité de l'homme. Paris, C. Reinwald ed., 1900.
- ↑ Engerrand G., Six Legons de Préhistoire. Bruxelles, Imp. Veuve, F. Larcier, 1905.
- ↑ La Liguria e i suoi abitanti nei tempi primordiali, Genova, tip. Martini, 1885. — Liguria geologica e preistorica Ia ediz., vol. II, p. 94. Genova, Donath ed., 1892.
- ↑ Intendevo per età eolitica quella durante la quale si adoperavano arnesi scheggiati assai rozzi e sprovvisti di manico o d’asta.
- ↑ L'origine des éolithes. L’Anthropologie, vol. XVI. Paris, 1905.
- ↑ La fase siderolitica che fa transizione all’epoca storica è bene spesso designata sotto il nome di epoca protostorica per opposizione alle precedenti denominate in complesso preistoriche.