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Più tardi, confusi coi denti di squalo e coi radioli degli echinodermi fossili sotto il nome di ceraunie, simili manufatti si credettero d’origine celeste, e come tali furono oggetto di venerazione e si vollero incastonare nel diadema degli Dei.
L’opinione che alcuni riti religiosi dei Romani si debbano far risalire all’età del bronzo e perfino a quella della pietra, venne testé luminosamente confermata da un fatto osservato da Michele Stefano De Rossi. Secondo questo autore, il fondo del bacino o serbatoio delle acque termali Apollinari, presso il lago Sabatino, si trovò coperto di bronzi, di vasi d’oro e d’argento, di monete più o meno antiche, tributo votivo accumulato in lungo volgere di secoli dagli infermi che facevano uso delle acque termali e colla offerta di oggetti preziosi intendevano propiziarsi gli Dei dai quali invocavano la guarigione. Tali oggetti erano, direi quasi, regolarmente stratificati, in guisa che la profondità alla quale giacevano corrispondeva all’ordine cronologico; cioè, al di sopra, si raccolsero i vasi e, le monete dell’impero, poi le monete battute o fuse della repubblica, inferiormente ad esse in gran copia monete rudimentali od aes rude, le quali riposavano alla lor volta sopra uno strato di selci scheggiate, che rappresentano le offerte votive di una epoca anteriore all’uso dei metalli1.
La credenza che le ascie e le saette di pietra cadessero dal cielo fu professata da Paracelso, da Gessner e da altri filosofi dell’antichità, e tuttora è dominante nel volgo d’ogni paese. Infatti, mentre si dicono nell’Italia continentale fulmini, saette folgorine, cunei di tuono, si domandano in Sardegna pedra de lu trono, ascia de tronu o pedra de rasu, in Francia coins de foudre, pierres de tonnerre, in Inghil-
- ↑ De Rossi M. S., Secondo rapporto sugli studii e sulle scoperte paleoetnologiche, Roma, 1868.