Le poesie di Catullo/61
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Dell’eliconio colle
Abitator superno,
Tu che strappi la molle
Vergine al sen materno,
Figlio d’Urania, Imene,
6Imeneo, dolce Imene;
D’amaraco odoroso
Cingi le tempie, prendi
Il velo, e con giojoso
Volto, qui tosto scendi,
Il niveo piè costretto
12Nel croceo calzaretto.
Desto a’ beati istanti,
Con argentina voce
Sciogli i nuziali canti;
E in quel che con veloce
Piede il terren percuoti,
18La pinea face scuoti.
Qual Venere al felice
Pastor di Frigia scese
Dall’idalia pendice,
Tale a Manlio cortese
Sen vien Giulia amorosa
24Ben auspicata sposa:
Pari ad orientale
Mirto da’ rami in fiore,
Cui l’alba è liberale
Di rugiadoso umore,
E sorge in atto loco
30Dell’amadriadi al gioco.
Qui dunque il vol ti rechi
Tosto: le tespie rupi
Lascia e gli aonj spechi,
Che alimentano cupi
Di fredda onda sovrana
36L’aganippea fontana.
Qui la signora, ardente
Del novo sposo, appella,
Cui stringe amor la mente
Di sì tenaci anella,
Come ad arbore amica
42L’errante edra s’implíca.
Voi parimente a un’ora,
O verginelle schiette,
A cui simile aurora
La bella età promette,
Dite cantando: Imene,
48Imeneo, dolce Imene.
Oh, come all’armonia
Verrà del vostro invito,
Perchè più presto sia
L’officio suo compito,
Egli che a Vener fida
54E al fido amore è guida!
Qual Dio di te più degno
Chiamar posson gli amanti?
Qual fra’ Celesti è segno
Di tanti onori e tanti?
Qual mai t’agguaglia, Imene,
60Imeneo, dolce Imene?
Propizio a’ suoi te chiama
Il tremulo parente;
Il novo sposo brama
Te con orecchie intente;
A te la vergin buona
66Scioglie del sen la zona.
Tu stesso al giovinetto,
Cui voglia acre martella,
Tolta al materno petto
La florida donzella,
In man consegni, o Imene,
72Imeneo, dolce Imene.
Se te con lieto core
Venere non accoglie,
Un sol onesto fiore
Di voluttà non coglie:
A te de’ numi or quale
78Osa vantarsi uguale?
Senza di te non vede
Liberi figli il sole,
Nè il padre, orbo d’erede,
Intrecciar può la prole:
A te de’ numi or quale
84Osa vantarsi uguale?
Terra che mai non vegga
I tuoi riti divini,
Uomo non dà che regga
Dei popoli i destini:
A te de’ numi or quale
90Osa vantarsi uguale?
Già vien la sposa, aprite
Gli usci: vedete come
Squassan le faci ignite
Le rutilanti chiome?
Che stai? La luce è ascosa:
96Esci, novella sposa.
Natio pudor ti tiene
Perplessa; e s’odi intanto
Che tosto andar conviene,
Ecco, raddoppj il pianto.
Che stai? La luce è ascosa:
102Esci, novella sposa.
Tergi quel pianto vano,
Arunculea: periglio
Non è che, l’oceàno
Lasciando, il Sol vermiglio
Scovra in un’altra plaga
108Donna di te più vaga.
Tal di ricco signore
Nel giardin variopinto
Sorge su l’alba un fiore
Di tenero giacinto,
Che stai? La luce è ascosa:
114Esci, novella sposa.
Esci. Zitti, ella appare;
Ascolta i nostri accenti:
Ve’ le faci agitare
L’auree chiome fulgenti?
Che stai? La luce è ascosa:
120Esci, novella sposa.
Non a furtiva amante
Lo sposo tuo s’allaccia:
Nè, correndo incostante
Di rei piaceri in traccia,
Vorrà lasciar solette
126Le tue mamme acerbette.
Ma, quale i rami cari
Attorce il tralcio lento,
Te stringerà del pari
D’avido abbracciamento.
Che stai? La luce è ascosa;
132Esci, novella sposa.
. . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
O d’amor nido eletto
138Dal piè d’avorio, o letto.
Oh, quali gioje e quante
Verranno al tuo signore!
Quanto alla notte errante
E del meriggio all’ore
Godrà! Ma s’è nascosa
144La luce; or vieni, o sposa.
Alzate, o giovanetti,
Le faci: io vedo il velo
Venir; sorgan da’ petti
I vostri canti al cielo.
Gridate: Evviva Imene,
150Imeneo viva, Imene.
Non taccian più le voci
Dei fescennini arguti;
Omai non più le noci
Ai ragazzi rifiuti
Il donzelletto amato
156Or dal padron lasciato.
Da’ le noci, o mignone
Ozioso, ai fanciulli:
Passò per te stagione
Di teneri trastulli:
Servir Talassio è bello;
162Da’ le noci, o donzello.
Ti parve in fino a jeri
Irto il mio volto, o illuso,
Ed ora ecco hai mestieri
Di chi ti peli il muso.
O davvero miserello!
168Da’ le noci, o donzello.
Dicevi, o impomatato
Sposo, che a mal in core
Avresti abbandonato
Il tuo sbarbato amore;
Ma or lo lasci bene;
174Imene viva, Imene!
Lecito a te sapere
Di tali cose un poco,
Non lecito a messere
Il ripigliar tal gioco.
Evviva, evviva Imene,
180Imeneo viva, Imene.
Ma tu, sposina, bada,
Non gli negar le prove
Ch’ei vuol, perchè non vada
A ricercarne altrove.
O Imene viva, Imene
186Imeneo viva, Imene.
Ecco, la casa è questa
Del tuo sposo beata,
Che di tua vita onesta
Sarà la stanza agiata,
(O Imene viva, o Imene,
192Imeneo viva, Imene)
Finchè tremula e senza
Vigor traendo stanca,
Farai la riverenza
Con la testina bianca.
O Imene viva, o Imene,
198Imeneo viva, Imene.
Con l’aureo piè, di rito,
Il limitar trapassa;
Sotto l’uscio polito
Con buono augurio passa.
O Imene viva, o Imene,
204Imeneo viva, Imene.
Ve’ come già soletto
Il tuo sposo ti attende;
Come dal tirio letto
Tutto in te si protende!
O Imene viva, o Imene,
210Imeneo viva, Imene.
In esso e in te non meno
La fiamma acre ribolle;
Ma cerca a lui del seno
Le più cupe midolle.
O Imene viva, o Imene,
216Imeneo viva, Imene.
Lascia, giovanottino,
Il braccio ritondetto
Della sposa: vicino
È del marito il letto.
O Imene viva, o Imene,
222Imeneo viva, Imene.
E voi, brave signore
Di fama intemerate
Ed ai vecchi in onore,
La fanciulla assettate.
O Imene viva, o Imene,
228Imeneo viva, Imene.
Or vieni, è la tua volta,
O marito: la sposa
Già nel talamo accolta
Splende fresca e vezzosa,
Pari a vitalba o a grato
234Papavero incarnato.
E tu, così gli Dei
M’ajutino, o marito,
Non sei men bel, nè sei
A Venere sgradito.
Ma il dì s’è già nascoso;
240Rompi l’indugio, o sposo.
Ma tu non troppo attendi:
Eccoti; e così t’ama
Venere, che già prendi
Quant’hai di prender brama,
Nè celi ai nostri sguardi
246L’onesto amore ond’ardi.
Dell’Eritreo le arene,
Degli astri le scintille
Numeri pria chi tiene
A numerare i mille
Vostri giochi secreti
252E i baci e i colpi lieti.
Godete, o sposi, come
Vi aggrada, e un figlio in breve
Sorga: l’antico nome
Isterilir non deve,
Ma rigoglioso al sole
258Crescer d’ingenua prole.
Vo’ che un picciol Torquato
Dal grembo della madre
Porgendo al padre amato
Le manucce leggiadre,
Sorrida con incerto
264Labbruzzo semiaperto.
E tanto al padre ei pari
Cresca, che a primo tratto
Riconoscan gl’ignari,
Che di Manlio è il ritratto;
E il suo sembiante dica:
270La mia mamma è pudica.
Tal dalla madre buona
Gli venga egregia lode,
Quale dintorno suona
A Telemaco prode,
Cui fama unica, eterna,
276Dà la virtù materna.
O vergini, chiudete
Gli usci: scherzammo assai.
Lieti, o sposi, vivete;
Esercitate omai
Al dolce ufficio intenti
282I forti anni fiorenti.