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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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Dell’eliconio colle
     Abitator superno,
     Tu che strappi la molle
     Vergine al sen materno,
     Figlio d’Urania, Imene,
     6Imeneo, dolce Imene;

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D’amaraco odoroso
     Cingi le tempie, prendi
     Il velo, e con giojoso
     Volto, qui tosto scendi,
     Il niveo piè costretto
     12Nel croceo calzaretto.

Desto a’ beati istanti,
     Con argentina voce
     Sciogli i nuziali canti;
     E in quel che con veloce
     Piede il terren percuoti,
     18La pinea face scuoti.

Qual Venere al felice
     Pastor di Frigia scese
     Dall’idalia pendice,
     Tale a Manlio cortese
     Sen vien Giulia amorosa
     24Ben auspicata sposa:

Pari ad orientale
     Mirto da’ rami in fiore,
     Cui l’alba è liberale
     Di rugiadoso umore,
     E sorge in atto loco
     30Dell’amadriadi al gioco.

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Qui dunque il vol ti rechi
     Tosto: le tespie rupi
     Lascia e gli aonj spechi,
     Che alimentano cupi
     Di fredda onda sovrana
     36L’aganippea fontana.

Qui la signora, ardente
     Del novo sposo, appella,
     Cui stringe amor la mente
     Di sì tenaci anella,
     Come ad arbore amica
     42L’errante edra s’implíca.

Voi parimente a un’ora,
     O verginelle schiette,
     A cui simile aurora
     La bella età promette,
     Dite cantando: Imene,
     48Imeneo, dolce Imene.

Oh, come all’armonia
     Verrà del vostro invito,
     Perchè più presto sia
     L’officio suo compito,
     Egli che a Vener fida
     54E al fido amore è guida!

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Qual Dio di te più degno
     Chiamar posson gli amanti?
     Qual fra’ Celesti è segno
     Di tanti onori e tanti?
     Qual mai t’agguaglia, Imene,
     60Imeneo, dolce Imene?

Propizio a’ suoi te chiama
     Il tremulo parente;
     Il novo sposo brama
     Te con orecchie intente;
     A te la vergin buona
     66Scioglie del sen la zona.

Tu stesso al giovinetto,
     Cui voglia acre martella,
     Tolta al materno petto
     La florida donzella,
     In man consegni, o Imene,
     72Imeneo, dolce Imene.

Se te con lieto core
     Venere non accoglie,
     Un sol onesto fiore
     Di voluttà non coglie:
     A te de’ numi or quale
     78Osa vantarsi uguale?

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Senza di te non vede
     Liberi figli il sole,
     Nè il padre, orbo d’erede,
     Intrecciar può la prole:
     A te de’ numi or quale
     84Osa vantarsi uguale?

Terra che mai non vegga
     I tuoi riti divini,
     Uomo non dà che regga
     Dei popoli i destini:
     A te de’ numi or quale
     90Osa vantarsi uguale?

Già vien la sposa, aprite
     Gli usci: vedete come
     Squassan le faci ignite
     Le rutilanti chiome?
     Che stai? La luce è ascosa:
     96Esci, novella sposa.

Natio pudor ti tiene
     Perplessa; e s’odi intanto
     Che tosto andar conviene,
     Ecco, raddoppj il pianto.
     Che stai? La luce è ascosa:
     102Esci, novella sposa.

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Tergi quel pianto vano,
     Arunculea: periglio
     Non è che, l’oceàno
     Lasciando, il Sol vermiglio
     Scovra in un’altra plaga
     108Donna di te più vaga.

Tal di ricco signore
     Nel giardin variopinto
     Sorge su l’alba un fiore
     Di tenero giacinto,
     Che stai? La luce è ascosa:
     114Esci, novella sposa.

Esci. Zitti, ella appare;
     Ascolta i nostri accenti:
     Ve’ le faci agitare
     L’auree chiome fulgenti?
     Che stai? La luce è ascosa:
     120Esci, novella sposa.

Non a furtiva amante
     Lo sposo tuo s’allaccia:
     Nè, correndo incostante
     Di rei piaceri in traccia,
     Vorrà lasciar solette
     126Le tue mamme acerbette.

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Ma, quale i rami cari
     Attorce il tralcio lento,
     Te stringerà del pari
     D’avido abbracciamento.
     Che stai? La luce è ascosa;
     132Esci, novella sposa.

. . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . .
     O d’amor nido eletto
     138Dal piè d’avorio, o letto.

Oh, quali gioje e quante
     Verranno al tuo signore!
     Quanto alla notte errante
     E del meriggio all’ore
     Godrà! Ma s’è nascosa
     144La luce; or vieni, o sposa.

Alzate, o giovanetti,
     Le faci: io vedo il velo
     Venir; sorgan da’ petti
     I vostri canti al cielo.
     Gridate: Evviva Imene,
     150Imeneo viva, Imene.

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Non taccian più le voci
     Dei fescennini arguti;
     Omai non più le noci
     Ai ragazzi rifiuti
     Il donzelletto amato
     156Or dal padron lasciato.

Da’ le noci, o mignone
     Ozioso, ai fanciulli:
     Passò per te stagione
     Di teneri trastulli:
     Servir Talassio è bello;
     162Da’ le noci, o donzello.

Ti parve in fino a jeri
     Irto il mio volto, o illuso,
     Ed ora ecco hai mestieri
     Di chi ti peli il muso.
     O davvero miserello!
     168Da’ le noci, o donzello.

Dicevi, o impomatato
     Sposo, che a mal in core
     Avresti abbandonato
     Il tuo sbarbato amore;
     Ma or lo lasci bene;
    174Imene viva, Imene!

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Lecito a te sapere
     Di tali cose un poco,
     Non lecito a messere
     Il ripigliar tal gioco.
     Evviva, evviva Imene,
     180Imeneo viva, Imene.

Ma tu, sposina, bada,
     Non gli negar le prove
     Ch’ei vuol, perchè non vada
     A ricercarne altrove.
     O Imene viva, Imene
     186Imeneo viva, Imene.

Ecco, la casa è questa
     Del tuo sposo beata,
     Che di tua vita onesta
     Sarà la stanza agiata,
     (O Imene viva, o Imene,
     192Imeneo viva, Imene)

Finchè tremula e senza
     Vigor traendo stanca,
     Farai la riverenza
     Con la testina bianca.
     O Imene viva, o Imene,
     198Imeneo viva, Imene.

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Con l’aureo piè, di rito,
     Il limitar trapassa;
     Sotto l’uscio polito
     Con buono augurio passa.
     O Imene viva, o Imene,
     204Imeneo viva, Imene.

Ve’ come già soletto
     Il tuo sposo ti attende;
     Come dal tirio letto
     Tutto in te si protende!
     O Imene viva, o Imene,
     210Imeneo viva, Imene.

In esso e in te non meno
     La fiamma acre ribolle;
     Ma cerca a lui del seno
     Le più cupe midolle.
     O Imene viva, o Imene,
     216Imeneo viva, Imene.

Lascia, giovanottino,
     Il braccio ritondetto
     Della sposa: vicino
     È del marito il letto.
     O Imene viva, o Imene,
     222Imeneo viva, Imene.

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E voi, brave signore
     Di fama intemerate
     Ed ai vecchi in onore,
     La fanciulla assettate.
     O Imene viva, o Imene,
     228Imeneo viva, Imene.

Or vieni, è la tua volta,
     O marito: la sposa
     Già nel talamo accolta
     Splende fresca e vezzosa,
     Pari a vitalba o a grato
     234Papavero incarnato.

E tu, così gli Dei
     M’ajutino, o marito,
     Non sei men bel, nè sei
     A Venere sgradito.
     Ma il dì s’è già nascoso;
     240Rompi l’indugio, o sposo.

Ma tu non troppo attendi:
     Eccoti; e così t’ama
     Venere, che già prendi
     Quant’hai di prender brama,
     Nè celi ai nostri sguardi
     246L’onesto amore ond’ardi.

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Dell’Eritreo le arene,
     Degli astri le scintille
     Numeri pria chi tiene
     A numerare i mille
     Vostri giochi secreti
     252E i baci e i colpi lieti.

Godete, o sposi, come
     Vi aggrada, e un figlio in breve
     Sorga: l’antico nome
     Isterilir non deve,
     Ma rigoglioso al sole
     258Crescer d’ingenua prole.

Vo’ che un picciol Torquato
     Dal grembo della madre
     Porgendo al padre amato
     Le manucce leggiadre,
     Sorrida con incerto
     264Labbruzzo semiaperto.

E tanto al padre ei pari
     Cresca, che a primo tratto
     Riconoscan gl’ignari,
     Che di Manlio è il ritratto;
     E il suo sembiante dica:
     270La mia mamma è pudica.

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Tal dalla madre buona
     Gli venga egregia lode,
     Quale dintorno suona
     A Telemaco prode,
     Cui fama unica, eterna,
     276Dà la virtù materna.

O vergini, chiudete
     Gli usci: scherzammo assai.
     Lieti, o sposi, vivete;
     Esercitate omai
     Al dolce ufficio intenti
     282I forti anni fiorenti.