Le opere di Galileo Galilei - Vol. III/I pianeti medicei
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I PIANETI MEDICEI.
AVVERTIMENTO.
Addì 7 gennaio 1610, mentre stava osservando Giove col cannocchiale, Galileo gli vide dappresso tre stelle, che stimò fisse, disposte secondo una linea retta parallela all’eclittica, piccole, ma più splendenti assai di altre pari in grandezza1. Nel giorno successivo le vide di nuovo, ma diversamente disposte rispetto a Giove, e già nella notte del 10 era indotto a conchiudere che quell’apparente cambia- mento di luogo non seguiva in Giove, ma nelle stelle. Nella notte dell’11 gennaio tornò a vedere due stelle collocate dalla stessa parte rispetto a Giove, ma a distanze diverse da quelle che per lo innanzi aveva osservato e l’una dell’altra maggiore in grandezza, mentre le altre sere gli erano apparse di egual grandezza e tra loro egualmente lontane; e di qui egli traeva la conseguenza che tre erano le stelle da lui osservate. Addì 13 finalmente gli apparvero d’un tratto quattro stelle intorno a Giove, tre ad occidente ed una ad oriente: il 14 non potè osservare, ma il 15 nell’ora terza di notte, le quattro stelle novamente gli apparvero, tutte però ad occidente2. Il sospetto che fin dalla seconda osservazione egli aveva già incominciato a nutrire, e che s’era fatto più forte dopo la terza,, diviene ormai certezza: le stelle non sono fisse, ma satelliti che si muovono intorno a Giove.
L’assidua attenzione con cui egli cominciò a studiarne i movimenti lo condusse a conchiudere, in capo a poche settimane, trattarsi di corpi di natura planetaria, descriventi intorno a Giove orbite circolari di diversa ampiezza in piani poco diversi da quello dell’eclittica, con velocità maggiore nei più prossimi a Giove. Quanto alla durata delle circolazioni loro, la grande somiglianza d’aspetto e la conseguente difficoltà di distinguerli l’uno dall’altro non gli permisero di ottenere subito risultati sicuri, e soltanto per il quarto satellite arrivò a comprendere che il suo periodo non poteva di molto differire da un mezzo mese3. Tutti questi risultati già si trovano enunziati nelle ultime pagine del Sidereus Nuncius, che furono licenziate alla stampa nei primi giorni del marzo 1610.
Fin da quel tempo però, pur invitando gli astronomi «ut ad illorum periodos inquirendas atque definiendas se conferant»4 aveva Galileo fatta risoluzione di studiare egli stesso gli elementi da cui dipendeva il corso dei Pianeti che in via definitiva appellò Medicei; se non che per diverse cause i suoi progressi in questa materia furono da principio molto lenti. Delle sue prime riflessioni e de’ suoi primi calcoli nulla o quasi nulla è rimasto fra le carte di lui, e soltanto è possibile in qualche modo congetturarne l’epoca e l’andamento da alcune allusioni contenute nella sua corrispondenza ed in qualche sua pubblicazione.
Sotto il dì 13 di marzo 1610, mandando a Belisario Vinta la prima copia del Sidereus Nuncius «sciolta et ancora bagnata», gli scrive de «i quattro nuovi pianeti, li quali sono intorno alla stella di Giove et con lui in 12 anni si volgono intorno al Sole, ma intanto con moti velocissimi si aggirano intorno al medesimo Giove, sì che il più lento di loro fa il suo corso in giorni 15 in circa5. E nell’abbozzo di lettera in data del 19 marzo con la quale accompagna, pure al Vinta, gli esemplari dell’opera per la Corte, annunziando il proposito di ristamparla «compita con moltissime osservazioni», aggiunge: «spero ancora che haverò potuto definire i periodi de i nuovi pianeti»6. Vi attendeva dunque Galileo, che in altra sua, pur sempre al Vinta, a proposito dei lavori che andava volgendo nella mente, così gli scrive sotto il 7 maggio: «Io non dirò a V. S. Ill.ma quale occupazione mi sia per apportare il seguir di osservare et investigare i periodi esquisiti de i quattro nuovi pianeti; materia, quanto più vi penso, tanto più laboriosa, per il non si disseparar mai, se non per brevi intervalli, l’uno dall’altro et per esser loro et di colore et di grandezza molto simili»7. Ma ancora il 24 maggio non pare avesse fatto molti progressi, se con questa data scriveva a Matteo Garosi che i Pianeti Medicei «hanno i loro moti velocissimi intorno a Giove, sì che il più tardo fa il suo cerchio in 15 giorni incirca»8 e nulla più.
A conseguire lo scopo desiderato doveva intanto contribuire il perfezionamento ulteriore portato al suo cannocchiale, del quale scrive a Cristoforo Clavio sotto il 17 settembre che gli permetteva di vedere «i nuovi Pianeti così lucidi et distinti come le stelle della seconda grandezza con l'occhio naturale»9; e quello strumento era probabilmente lo stesso del quale scriveva già al Kepler fino dal 19 agosto: «excellentissimum quod apud me est, quodve spectra plusquam millies multiplicat»10. E qualche notevole progresso egli doveva veramente aver fatto quando sotto l’11 dicembre 1610 scriveva a Giuliano de’ Medici: «Spero che haverò trovato il metodo per definire i periodi de i quattro Pianeti Medicei, stimati con gran ragione quasi inesplicabili dal S. Keplero»11 Tutto però rimaneva ancora entro i confini della speranza, giacché il 30 dello stesso mese mandava a Benedetto Castelli: «Se la mia mala complessione mi concedesse il far continue osservazioni, spererei in breve di poter definire i periodi di tutti quattro; ma mi è necessario, in cambio di dimorare al sereno, starmene bene spesso nel letto»12.
Dall’insieme di queste varie comunicazioni sembra risultare che tutto intero il primo anno dalla scoperta passò senza che Galileo avesse fatto notabili passi verso la soluzione del gravissimo problema. Ciò sembra anche provato dai suoi diarii d’osservazione, nei quali per tutto l’anno 1610 si trovano segnate le configurazioni dei satelliti per mezzo di quattro stellette, senz’alcun segno che mostri aver Galileo riconosciuto quale dei satelliti stesse ad indicare. Né a questo proposito si deve passare sotto silenzio che in quei primi tempi, come egli stesso confessa13 per la inesperienza nell’osservare e per la inefficacia dello strumento, non riusciva a distinguere i satelliti altro che alla distanza di almeno tre semidiametri dal centro di Giove. Avvertiamo tuttavia che sotto il 29 dicembre 1610 si trova questa nota: «H. 5. 30’ fuit pianeta in perigeo, nempe ??14», ma non è ben sicuro che queste parole siano state scritte all’atto dell’osservazione; come nemmeno quest’altre che si leggono a fianco dell’osservazione fatta alle ore 5 del 24 gennaio 1611: «??fuit in auge ante occasum hor. 0.30'»15.
Col dicembre 1610 però, essendo Giove ormai in posizione tale da permettere a Galileo le esplorazioni dei satelliti nelle ore più comode della sera, egli vi attese con zelo raddoppiato16. Gradatamente cominciò a distinguere l’uno dall’altro dei quattro; e nel suo diario originale d’osservazione sotto i primi mesi del 1611 i segni convenzionali ??, con cui, salvo variazioni nella posizione respettiva dei punti, egli usò sempre denotarli, cominciano ad occorrere qua e là intorno alle stelline.
Sembra certo che la teoria delle Medicee fosse il principale soggetto delle meditazioni di Galileo a partire dal febbraio 1611, poiché mentre al 12 di quel mese scriveva ancora a Paolo Sarpi: «spero di aver trovato il modo da poter determinare i periodi di tutti quattro, cosa stimata per impossibile dal Keplero e da altri matematici», e ciò dopo aver recati nuovi miglioramenti al cannocchiale, cosicché egli potesse scorgerli «più apparenti assai che le stelle della seconda grandezza»17, sotto il 1° aprile mandava da Roma al Vinta queste parole, che annunziano l’impresa ormai progredita: «Ho trovato che i nominati Padri (cioè i Gesuiti) havendo finalmente conosciuta la verità de i nuovi Pianeti Medicei, ne hanno fatte da 2 mesi in qua continue osservazioni18, le quali vanno proseguendo; et le haviamo riscontrate con le mie, et si rispondono giustissime. Loro ancora si affaticano per ritrovare i periodi delle loro rivoluzioni, ma concorrono col Matematico dell’Imperatore in giudicare che sia per esser negozio difficilissimo et quasi impossibile. Io però ho grande speranza di havergli a trovare et definire, et confido in Dio benedetto, che sì come mi ha fatto grazia di essere stato solo a scoprire tante nuove meraviglie della Sua mano, così sia per con cedermi che io habbia a ritrovar l’ordine assoluto de i suoi rivolgimenti: et forse al mio ritorno haverò ridotto questa mia fatica, veramente atlantica, a segno di poter predire i siti et le disposizioni che essi nuovi Pianeti sieno per bavere in ogni tempo futuro, et habbino anco hauto in ciascun tempo passato; pur che le forze mi concedine di poter continuare sino a molte hore di notte le osservazioni, come ho fatto sin qui»19.
Non è troppo difficile l’argomentare la via che Galileo avrà, con tutta probabilità, tenuta per tentar di pervenire al desiderato fine. Pare infatti che egli debba avere incominciato dal determinare i raggi delle orbite di ciascun satellite, cioè, in altre parole, le loro maggiori digressioni, e li abbia stabiliti numericamente, prendendo per unità il semidiametro di Giove. Ottenuto questo risultato, dapprima con una approssimazione assai grossolana, ma che poi con l’uso stesso doveva naturalmente rendersi tanto più esatta, Galileo avrà cominciato dal misurare il tempo passato in una conversione tra il muovere ed il ritornare al medesimo punto dell’orbita, e di poi, come ne assicura l’andamento dei calcoli che andò seguendo in progresso di tempo, avrà ottenuto il moto medio orario dividendo la cifra complessiva dei gradi di più conversioni, fatte nel tempo compreso tra due osservazioni bene accertate, per il numero delle ore impiegate nel compierle.
Dei risultati pertanto ai quali sarebbe pervenuto mentre era ancora in Roma attesta egli stesso nel principio del Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono, scrivendo: «L’investigazion de’ tempi delle con versioni di ciaschedun de’ quattro Pianeti Medicei intorno a Giove.... mi succedette l’aprile dell’anno passato 1611, mentre ero in Roma: dove finalmente m’accertai, che ’l primo, e più vicino a Giove, passa del suo cerchio gradi 8 e m. 29 in circa per ora, facendo la ’ntera conversione in giorni naturali 1 e ore 18 e quasi mezza. Il secondo fa nell’orbe suo g. 4, m. 13 prossimamente per ora, e l’intera revoluzione in giorni 3, or. 13 e un terzo incirca. Il terzo passa in un’ora gr. 2, m. 6 in circa del suo cerchio, e lo misura tutto in giorni 7, ore 4 prossimamente. Il quarto, e più lontano degli altri, passa in ciaschedun’ora gr. 0, m. 54 e quasi mezzo, del suo cerchio, e lo finisce tutto in giorni 16, or. 8 prossimamente»20 Di qui dunque apprendiamo, essere riuscito a Galileo di ottenere già nell’aprile del 1611 una prima e buona approssimazione dei periodi revolutivi, senza però che se ne possa conchiudere, essere i numeri qui riferiti quelli che effettivamente rappresentino questa prima approssimazione: che anzi l’esame del materiale originale permette di affermare che tali numeri sono già il risultato di tre, quattro ed anche più correzioni, e rappresentano i periodi considerati da Galileo come i più perfetti nell’aprile 1612, quando si cominciò a stampare il Discorso. Ad anticipare in questo la notizia degli scoperti periodi Galileo fu indotto da parecchi motivi, e soprattutto dal timore di esser prevenuto da altri21, sebbene della scoperta fatta si fosse affrettato a dar notizia agli amici, e fra gli altri a Daniello Antonini, ch’era «di quelli che ciò istimavano cosa impossibile»22; anzi pare che già fra il maggio ed il giugno dell’anno 1611, oltre alla notizia, avesse pur mandato all’Antonini qualche «aspetto» da osservare23. Nè i timori di Galileo apparivano ingiustificati, chè all’invito, del quale abbiamo toccato, aveva risposto il Kepler, sebbene da principio avesse stimata la cosa difficilissima, anzi quasi impossibile, ed a gran fatica fosse riuscito a trovare, con grossolana approssimazione, confermato il periodo della stella tardissima, già annunziato nel Sidereus Nuncius, e quanto alle altre: «proxima ab illa, sed maxime omnium conspicua, spacio dierum octo..., reliquae duo multo adhuc breviori temporis curriculo»24
Ma più ancora che questo risultato, pubblicamente annunziato dal Kepler, noi crediamo abbia influito ad indurre Galileo ad anticipare quella pubblicazione un episodio intervenutogli con uno dei suoi amici e corrispondenti, monsignore Gio. Battista Agucchi. Si trovava questi in Roma nell’occasione in cui vi si era recato Galileo per far toccare, diremmo quasi, con mano, la verità delle sue scoperte celesti, e gli era stato presentato da Luca Valerio25., comune amico; ed in quella circostanza avevano insieme conferito «intorno alla figura e movimento dei Pianeti Medicei», sicché, richiesto l’Agucchi da un “Signor principale” di fargli un’impresa di cose celesti, pensò di prender per corpo le nuove stelle Medicee, e non risovvenendosi più esattamente di quanto dalle labbra di Galileo aveva udito circa le dimensioni delle loro orbite, si rivolse a lui, pregandolo di significargliele «più particolarmente, et aggiungervi oltreacciò in quanto spatio di tempo ciascuna delle stelle compia suo orbe». A questa richiesta non sembra che Galileo abbia risposto abbastanza esplicitamente; sicché l’Agucchi, postosi a considerare attentamente le osservazioni contenute nel Sidereus Nimcius, ne dedusse da sé26 i tempi dei moti periodici di tutti e quattro i Pianeti Medicei, con lievissima differenza dai risultati ai quali era pervenuto Galileo, anzi molto minore di quella che, a quanto sembra, questi avrebbe voluto lasciar credere.
Da quanto siamo venuti esponendo fin qui ci sembra di poter con qualche sicurezza argomentare che i primi studi di Galileo più propriamente diretti alla determinazione dei medii movimenti sono da farsi risalire al marzo 1611, e che per conseguenza non debbano essere di molto posteriori le prime traccie di tavole che ne abbiamo rinvenute nei manoscritti, quali sono insino a noi pervenuti27.
Questi manoscritti, interamente autografi, possono classificarsi così:
1.° Prime osservazioni, a partire dalla scoperta delle Medicee, stampate nel Sidereus Nuncius dal 7 gennaio al 2 marzo 1610; a proposito delle quali è da avvertirsi che nemmeno quelle contenute nel manoscritto autografo di quell’opera, e che già abbiamo riprodotto in facsimile28, rappresentano le configurazioni dei Pianeti Medicei, quali furono originalmente registrate da Galileo, che ci vennero invece conservate in un quaderno contenente tali osservazioni dal 7 gennaio al 26 aprile 1610. Ma nemmeno di tutte le configurazioni in questo quaderno registrate crediamo possa dirsi con sicurezza che rappresentino, per così dire, il primo getto della osservazione che Galileo sarà venuto segnando (specialmente lungo il viaggio fatto al principio dell’aprile, durante le vacanze di Pasqua, da Padova a Pisa per mostrare i Pianeti Medicei alla Corte di Toscana) sopra il primo pezzo di carta che gli sarà venuto sotto mano, per trasportarlo poi nel suo quaderno. Come abbiamo già avvertito, le osservazioni pubblicate nel Sidereus Nuncius arrivano al 2 marzo 1610; ma in un quaderno autografo, del quale si disse a suo luogo, proseguono dal 9 marzo fino al 26 aprile, ed altrove dal 15 al 21 maggio, e delle cinque di questo mese abbiamo anche rinvenuto quello che verosimilmente ne rappresenta il primo getto.
2.° Diario delle osservazioni riprese dopo trascorso il periodo durante il quale, per effetto della congiunzione, non erano visibili i Pianeti Medicei, e che, senza calcoli, va dal 25 luglio 1610 al 23 febbraio 1613; al quale sono da aggiungersi altre quattro osservazioni, rinvenute altrove. Anche delle configurazioni registrate in questo diario dovrebbe ripetersi quello che si è detto rispetto alle precedenti; anzi nominatamente, una serie di osservazioni, secondo ogni probabilità originali, e riportate poi nel diario, che vanno dal 15 al 25 gennaio 1611, abbiamo rinvenuto sul rovescio d’una lettera.
3.° Serie di osservazioni, effemeridi e calcoli misti insieme, che hanno per iscopo d’investigare gli elementi dei movimenti, la quale va dal 17 marzo 1611 al 19 novembre 1619, con interpolazioni riferentisi ad osservazioni anche anteriori. Le osservazioni dal 24 febbraio 1613 al 19 novembre 1619 si trovano soltanto sparse in questa serie, e d’esse non vi ha diario regolare, perchè sembrerebbe che Galileo le facesse soltanto per verificare le predizioni ottenute da effemeridi e calcoli previamente eseguiti.
4.° Note diverse, per lo più relative a correzioni degli elementi desunti da comparazioni d’osservazioni, senza riguardo all’ordine cronologico, sparse in varii luoghi.
5.° Tavole dei medii movimenti.
6.° Figure di Giovilabii e della Prostaferesi.
Tutti questi materiali, sulle cui sorti corsero tante dicerie, facevano parte dei Manoscritti Galileiani, che finirono col pervenire in proprietà del Granduca Ferdinando III di Toscana, ed ebbero da lui stesso un primo ordinamento, proseguito e compiuto poi sotto l’alta direzione del suo successore Leopoldo II; secondo il quale ordinamento furono distribuiti in quattro tomi della cosiddetta Collezione Galileiana, oggidì nella Biblioteca Nazionale di Firenze, e precisamente nei Tomi III, IV, e V della Parte III, e Tomo VI della Parte IV, dei Manoscritti di Galileo propriamente detti. Per essere esatti, dobbiamo però aggiungere che altri materiali, concernenti essi pure le Medicee, trovansi sparsi in altri codici della Collezione Galileiana: così p. e. le osservazioni originali dei 26, 27, 28 e 29 maggio 1613 abbiamo rinvenuto sul rovescio d’una lettera indirizzata a Galileo da Filippo Calippi29; uno schema di prostaferesi è nel Tomo II della Parte III; e in questa medesima Parte il volume 2° del Tomo VII contiene un carteggio importantissimo relativo alle Medicee, nel quale si trovano principalmente tutte le osservazioni che a Galileo venivano comunicate da D. Benedetto Castelli30 -; ma nemmeno queste vennero raccolte tutte insieme, che altre ne rimasero disseminate in altri tomi31 ed altre osservazioni ancora, comunicate da altri, si trovano sparse nel Carteggio32.
L’idea assolutamente incompleta, e sotto certi rispetti anche inesatta, che del contenuto dei suaccennati codici somministrano le descrizioni ad essi preposte, il disordine veramente tumultuario con cui le varie carte (che, meno alcuni quaderni del diario, dovevano essere sciolte) vennero insieme unite e rilegate, l’esclusione di alcune che all’argomento strettamente appartenevano, e la stessa assegnazione dei quattro codici a due Parti diverse, dimostrano che chi attese all’ordinamento di tutto questo materiale ne ignorava affatto il contenuto, cosicché anzi per lungo tempo si credette che tutti i lavori condotti da Galileo intorno ai Pianeti Medicei fossero andati irremissibilmente perduti.
A chi incombeva di dare alla luce l’insieme di tutti questi materiali, la quantità ed il disordine dei quali mettono spavento nei più coraggiosi, erano aperte due vie ben distinte: o sottoporre i materiali stessi ad una elaborazione atta a presentarli sotto forma tale da potersene trarre immediatamente le conclusioni alle quali si prestano; oppure riprodurli, ordinarli per quanto è possibile, ma mantenendo loro la forma primitiva, quale è offerta dagli autografi. Seguendo la prima via, la quale abbiamo già adombrata in alcuni studi precedenti33 sarebbe stato opportuno, anzitutto, separare le osservazioni dagli studi teoretici e dai calcoli, e le osservazioni riprodurre a facsimile in tutti i frequentissimi casi nei quali esse consistono puramente e semplicemente nella figura delineata da Galileo, la quale quindi importa riprodurre dagli autografi con la massima possibile esattezza così in forma come in misura, perchè altrimenti è impossibile non solo serbare le giuste proporzioni delle distanze, specialmente quando due satelliti sono molto vicini fra loro ed a Giove, ma neppure indicare con precisione le frequenti deviazioni delle Medicee dalla linea retta passante per il centro di Giove. Quanto ai calcoli poi, escludere dalla pubblicazione tutte le materiali operazioni aritmetiche, riproducendo, senza ometterne alcuna, tutte le parti essenziali, cioè gli elementi che a ciascuno di essi servono di base, ed il risultato, corredando il tutto di quelle spiegazioni le quali valgano ad indicare il modo seguito da Galileo nella deduzione di essi.
Premesse, in tal caso, alcune notizie preliminari intorno allo stato ed al carattere dei manoscritti, il lavoro avrebbe potuto dividersi in due parti.
Una cronaca degli studi Galileiani sulle Medicee avrebbe fornito una analisi minuta, anno per anno, in ordine logico (seguendo il pensiero di Galileo, per quanto è dato divinarlo dalle sue indicazioni e dai suoi calcoli), di tutti i documenti e di tutte le notizie contenute nei manoscritti, riportando testualmente tutto ciò che non è sotto forma di numeri, e dei numeri tutto quanto è essenziale ai ragionamenti, escluse le operazioni materiali d’aritmetica e le effemeridi. In tale cronaca avrebbero quindi potuto riunirsi tutte le notizie e le tabelle sparse qua e là nei manoscritti, e quindi, riducendo la parte del cronista alle spiegazioni strettamente necessarie, intercalare per successione cronologica le tavole dei medii movimenti, quelle della prostaferesi, i giovilabii, le determinazioni delle successive radici e le correzioni successivamente apportate ai medii movimenti con i relativi fondamenti di calcolo; inoltre tutte le notizie staccate che qua e là su tali argomenti sono offerte dai manoscritti, di ciascuna indicando il significato ed il risultato delle successive comparazioni dei calcoli con le osservazioni; non trascurando di spigolare quelle poche notizie supplementari che risultano principalmente dal Carteggio, e che possono servire a rischiarare questa istoria degli studi successivi attraverso i quali, in siffatte investigazioni, è passata la mente di Galileo.
Avrebbero potuto venire in fine le effemeridi disposte in forma di tabelle, collocando in una sola linea gli elementi di calcolo d’un giorno, cioè l’epoca, le respettive radici, le tavole adoperate per i medii movimenti, il giovilabio usato, le distanze angolari dei satelliti dall’apogeo, quali risultano dal calcolo, le distanze apparenti lineari di ciascun satellite a destra o a sinistra di Giove, con la indicazione del codice e della carta dove quel calcolo si trova, omettendo la configurazione propriamente detta, che il lettore può costruire da sé con i precedenti elementi, e tenendo conto dei casi nei quali il calcolo è stato comparato con una osservazione e delle eventuali note relative. Così la immensa farragine delle effemeridi avrebbe potuto ridursi in forma compendiosa contenente un estratto di tutto quello che danno i manoscritti, ma ordinato in modo chiaro e di facile uso.
L’esecuzione di questo disegno, al quale avevamo incominciato dal dare la preferenza, e che forse avremmo portato ad effetto se, per ragioni indipendenti dalla sua ottima volontà, non ci fosse venuto meno l’aiuto dell’illustre astronomo il cui nome si legge in fronte ai nostri volumi, fu tuttavia da noi abbandonata in seguito ad altre riflessioni che si connettono strettissimamente col carattere generale e, quasi diremmo, con l’istituto stesso di questa Edizione Nazionale.
Nessuna infatti delle opere e delle scritture da noi riprodotte è stata oggetto di elaborazione o di commenti: alla critica del testo abbiamo sempre limitate le note appiè di pagina; e gli avvertimenti premessi ad ogni singola scrittura, o a corpi di scritture, si mantennero scrupolosamente entro i confini di semplici introduzioni storiche e bibliografiche e di particolareggiate informazioni intorno alle fonti ed ai criteri con cui queste furono adoperate; e ciò, perchè di proposito, e conforme al mandato ricevuto, ci siamo astenuti da qualsiasi illustrazione d’ordine scientifico, per quanto l’avervi dovuto rinunziare abbia in alcuni casi reso maggiormente difiicile il compito nostro; persuasi, del resto, che l’avere eliminato qualsiasi nostra ingerenza di carattere subiettivo abbia giovato a mantenere quel carattere impersonale, che impedirà al nostro lavoro di invecchiare rapidamente.
Né da tali criteri abbiamo creduto di doverci discostare nel dare alla luce tutto ciò che concerne i lavori di Galileo intorno ai Pianeti Medicei, nella pubblicazione de’ quali abbiamo stimato di limitarci a fornire scrupolosamente i materiali con cui si possa condurre il lavoro secondo quell’altro indirizzo già accennato; lavoro che vivamente ci auguriamo di vedere da altri eseguito, senza escludere che, portata al suo definitivo compimento questa grande impresa, possiamo noi medesimi rivolgere ad esso il nostro pensiero.
Ciò dichiarato, eccoci a dar brevemente ragione del nostro operato, giustificando la distribuzione assegnata al ricchissimo materiale offerto dai manoscritti, nella qual distribuzione, vogliamo dirlo fino da ora, abbiamo procurato di seguire, per quanto era possibile e compatibile con la qualità stessa dei materiali, quell’esatto ordine cronologico dal quale non ci siamo mai dipartiti in tutta la Edizione.
Abbiamo pertanto incominciato dal preziosissimo quaderno autografo (pag.427-436), finora rimasto inedito, nel quale si rispecchiano esattamente le prime impressioni, i dubbi e le titubanze dell’osservatore. In esso, a partire dal 7 gennaio 1610, Galileo andò registrando le sue osservazioni, dapprima in italiano, proseguendole poi in latino, quando, sicuro della scoperta, deliberò di farne argomento d’una pubblicazione per assicurarsene la priorità. Al modo di riprodurre in questa le configurazioni è senza alcun dubbio relativa l’annotazione: «faransi intagliar in legno tutte in un pezzo, et le stelle bianche, il resto nero, poi si segheranno i pezzi», che si legge in capo a una pagina (pag. 428); ma poi, sia per la difficoltà della esecuzione, sia perchè l’incisione avrebbe ritardato di troppo la stampa, mutò pensiero e si tenne a valersi di segni tipografici. Senza entrare in altri minuti particolari circa le singolarità offerte dal quaderno originale ora per la prima volta pubblicato, accenneremo di volo che tra la seconda osservazione del 23 gennaio 1610 e la prima del 24 (pag. 430) è tracciato un reticolo, il quale ci sembra dimostri il proposito di segnare una mappa celeste, proposito del quale non trovansi ulteriori svolgimenti nelle carte pervenute insino a noi; e noteremo espressamente come in esso quaderno sono registrate le osservazioni dei Pianeti Medicei fino al 26 aprile del 1610, e che le configurazioni sono accompagnate dal relativo commentario illustrativo, eccezione fatta da quelle dei tre ultimi giorni, cioè 24, 25, 26 (pag. 436), dove si vedono le semplici configurazioni con le respettive distanze; e neppure accompagnate da commentario sono le configurazioni osservate nei giorni 15, 16, 17, 20 e 21 maggio (pag. 437), che abbiamo rinvenute in altri manoscritti, e, conforme esigeva l’ordine cronologico, abbiamo inserito al loro luogo.
A queste osservazioni abbiamo fatto seguire le altre, che ormai Galileo venne registrando in quaderni bislunghi, rilegati poi in una vacchetta la quale forma oggidì il Tomo IV della Parte III dei suoi Manoscritti; e le abbiamo ordinate (pag. 439-453) obbedendo in parte alle istruzioni che qua e là trovansi segnate della mano di Galileo stesso, ed in parte guidati dalle precise indicazioni dei giorni nei quali erano state fatte: non tutte però le abbiamo rinvenute, sebbene disperse, nella vacchetta, ma le abbiamo integrate, fin dove ci è stato possibile, valendoci di elementi altrove raccolti (pag. 440, 444, 446, 453). Perchè, senz’alcun dubbio, questa serie di osservazioni, tra le quali Galileo ne inserì anche alcune comunicategli da D. Benedetto Castelli, e che arrivano fino al 29 maggio 1613, non giunse insino a noi completa; e se avventuratamente abbiamo potuto raccoglierne alcune che valgono a colmare qualche vuoto, altre andarono indubbiamente perdute. La lacuna fra i due manoscritti originali, cioè quello del Nuncius con la sua appendice nel quaderno autografo (7 gennaio-26 aprile) e il diario nella gran vacchetta (25 luglio 1610-23 febbraio 1613) che dura dal 26 aprile al 25 luglio 1610, non è riempiuta se non parzialmente dalle poche osservazioni staccate che occupano la settimana 15-21 maggio 1610, e che si rinvennero in un cartellino staccato: vi è dunque il sospetto che siansi perduti altri cartellini foglietti, contenenti osservazioni fatte tra il 26 agosto ed il 15 maggio, e dopo il 21 maggio. La mancanza di quest’ultime si potrebbe giustificare, ma soltanto fino ad un certo punto, avvertendo che Giove fu allora in congiunzione superiore, perchè posteriormente al 21 maggio Galileo deve aver ancora osservato i Satelliti, poiché sotto il 18 giugno 1610 scrive a Belisario Vinta: «il quale (intendi. Giove) ho potuto vedere benissimo insieme con i suoi pianeti addenti, sino a 3 settimane fa»34, e dal 21 maggio al 18 giugno non corrono soltanto tre, ma quattro settimane. E ancora, per modo di esempio, una lacuna si avverte fra le due osservazioni del 7 settembre e del 25 ottobre 1610, poiché tra queste due date corre un intervallo di tempo durante il quale noi possiamo con sicurezza argomentare che, sia pure interpolatamente, egli osservò. Galileo scrive infatti al P.Cristoforo Clavio sotto il dì 17 settembre 1610: «Io, oltre alle osservazioni stampate nel mio Avviso Astronomico, ne feci molte dopo, sin che Giove si vedde occidentale; ne ho poi molte altre fatte da che35 egli è ritornato orientale mattutino, e tuttavia lo vo osservando»36: ed è probabile che un’altra lacuna, che si riscontra dal 21 al 30 novembre 161037, sia dovuta soltanto alla mancanza d’un pezzo della carta nella quale le osservazioni avrebbero dovuto essere registrate. E che debbano essere delle lacune tra le osservazioni contenute nelle carte che ci sopravanzarono, risulta ancora da una dichiarazione esplicita di Galileo medesimo, il quale sotto il dì 25 febbraio 1611 scrive: «Quanto a i Pianeti Medicei, ne ho fatte più di 300 osservazioni, e ben spesso 2 et anco tal volta 3, nell’istessa notte»38. Ora, a tutto il 23 febbraio noi non ne troviamo che 176, sicché convien credere o che Galileo abbia esagerato, sebbene il divario sarebbe troppo grande, o che non avendole stimate importanti egli non le abbia registrate tutte, che, com’è più probabile, parecchie ne siano andate smarrite.
Tutte queste osservazioni39, per ragioni che qui non staremo a ripetere, ma delle quali sono da cercarsi i motivi non solo nelle difficoltà estreme di riprodurle esattissimamente con segni tipografici, ma anche nel desiderio di porre sotto gli occhi del lettore la mano stessa del glorioso osservatore, furono da noi riprodotte in facsimile con quella lieve riduzione che vien suggerita per ottenerne più chiara la stampa.
Alle osservazioni abbiamo fatto seguire immediatamente le «Tavole dei moti medii» (pag. 457-473); e di questa successione, la quale sembrerebbe a prima giunta contraddire ai criteri generali che abbiamo già enunciati, diremo brevemente le ragioni.
Qualora per tutte le tavole, e per i varii frammenti di esse insino a noi pervenuti, fosse stato possibile lo stabilire con esattezza il tempo nel quale vennero da Galileo costruite, non v’ha dubbio alcuno che avrebbero dovuto trovare i loro luoghi nell’ordine cronologico, ed essere inserite fra i calcoli dei quali esse sono ad un tempo i risultati e gli elementi: ma poiché questo non ci parve sempre possibile, e lacune occorrono pur troppo anche in questi materiali, e d’altronde delle tavole, sebbene non sempre nell’ordine di loro successione, è fatto uso nei calcoli, abbiamo stimato conveniente raggrupparle insieme, cosicché riuscisse più comodo il ricorrervi e, disponendole secondo l’ordine che ci sembrò di poter stabilire coi criteri della data eventualmente apposta, degli elementi in base ai quali vennero dedotte e del loro uso, premetterle ai calcoli nei quali vengono di continuo adoperate.
Per migliore intelligenza di quanto seguirà, stimiamo opportuno incominciar dall’avvertire che, secondo noi pensiamo, Galileo ebbe invariabilmente per costume di condurre innanzi simultaneamente e di fronte i calcoli relativi a tutti e quattro i Pianeti Medicei, e ciò specialmente per le effemeridi che sempre o quasi sempre vedremo calcolate su quattro colonne, una per ciascuno di quelli; quindi, anche per maggior comodità, usò di scrivere su di un medesimo foglio, e in quattro colonne simili, le tabelle dei medii movimenti di tutti e quattro. E quando, sul principio, dalle investigazioni fatte sopra uno dei satelliti risultava necessario surrogare per quello una tabella nuova, a fin d’evitar di copiare sopra un altro foglio ogni cosa, soleva agglutinare sul vecchio foglio tale tabella nuova in mezzo alle altre che per allora stimava dover conservare immutate. Da tale operazione, ripetuta sullo stesso foglio per varii satelliti, ed anche per taluno di essi fino a quattro volte, è derivata una specie di stratificazione, dove sotto una tavola che si vede ne sta coperta un’altra ch’era in uso prima di quella. Così ebbero origine le tavole che pubblichiamo a pag. 45740 e 459, nelle quali abbiamo disposto le varie stratificazioni per ciascun satellite (nell’ordine stesso dato dall’autografo, che cioè a pag. 457 parte dal remotissimo e a pag. 459, come sempre in seguito, dal più vicino a Giove) l’una accanto dell’altra, in modo che le più antiche siano a sinistra e le più recenti a destra, stampando in corsivo quelle che abbiamo, con tutti i riguardi dovuti a manoscritti tanto preziosi, disseppellite, e in rotondo quelle che oggi si veggono e rappresentano nel loro insieme lo stato per allora ultimo e definitivo della tavola. Disposte in tal modo, queste tavole multiple vengono quindi a dimostrare nei loro vari stadi di progresso le correzioni ottenute da Galileo per circa un anno.
E qui, richiamandoci a quanto abbiamo antecedentemente esposto, noteremo anzitutto che in quel Discorso nel quale venivano per la prima volta pubblicamente enunciati i tempi delle conversioni, si riconosceva che dovevano essere ulteriormente corretti e si annunziava la risoluzione di perfezionare le tavole, sebbene anche quelle prime cifre rappresentassero già delle correzioni introdotte in confronto di tavole precedenti e meno esatte. Galileo scrive infatti: «Ma perchè la somma velocità delle loro restituzioni richiede una precisione scrupolosissima per li calcoli de’ luoghi loro nei tempi passati e futuri, e massimamente se i tempi saranno di molti mesi o anni, però mi è forza con altre osservazioni, e più essatte delle passate, e tra di loro più distanti di tempo, corregger le tavole di tali movimenti, e limitarli sino a brevissimi istanti. Per simili precisioni non mi bastano le prime osservazioni, non solo per li brevi intervalli di tempi, ma perchè non avendo io allora ritrovato modo di misurar con istrumento alcuno le distanze di luogo tra essi pianeti, notai tali interstizii colle semplici relazioni al diametro del corpo di Giove, prese, come diciamo a occhio; le quali benché non ammettano l’errore d’un minuto primo, non bastano però per la determinazione dell’esquisite grandezze delle sfere di esse stelle. Ma ora che ho trovato modo di prender tali misure senza errore anche di pochissimi secondi, continuerò le osservazioni...»41. L’istrumento al quale Galileo qui accenna è il micrometro, che incominciò ad usare nella seconda osservazione del 31 gennaio 1612, prendendone nota nei termini seguenti: «In hac 2a observatione primum usus sum instrumento ad intercapedines exacte accipiendas, ac distantiam orientalioris proxime accepi, non enim fuit instrumentum adhuc exactissime paratum» (pag. 446)42. E di seguito alla seconda osservazione del giorno successivo avverte il modo di rilevare se le Medicee corrano in piani paralleli all’eclittica, scrivendo: «Nota quod si in instrumento quo distantiae capiuntur, notetur linea quae illum secet secundum angulum quo ductus eclipticae secat parallelum aequatori in loco % per motum % in hac linea cognoscetur numquid Medicei Planetae ferantur in planis eclipticae parallelis» (Ibidem). Sicché, accompagnando con lettera del 23 giugno 1612 un esemplare del Discorso a Giuliano de’ Medici, ambasciatore toscano a Praga, ed entrando a parlare del Keplero, scrive: «il quale credo che sentirà con gusto come io ho finalmente trovati i periodi de i Pianeti Medicei, e fabbricate le tavole esatte, sì che posso calcolare le lor costituzioni passate e future senza errore d’un minuto secondo»43.
In questa fiducia era venuto Galileo mercè le correzioni che in seguito a nuovi calcoli ed a confronti con precedenti osservazioni si trovò in grado di introdurre, giungendo così ad una nuova tavola per gradi, minuti e secondi (pag. 461-465), che poi ridusse a soli gradi e minuti, arrotondando le cifre con aumentare fino ad un minuto le quantità che avevano la frazione superiore a 30’’ e trascurando la inferiore a quella cifra (pag. 466).
Oggetto speciale di studi e di correzioni, dopo la formazione di quest’ultima tavola, furono, verosimilmente tra la fine del 1612 ed il principio del 1613, il secondo ed il quarto satellite, e le correzioni introdotte e le ragioni di esse si hanno nei computi e nelle tavolette a pag. 467 e 468; e presso a poco al medesimo tempo è da riferirsi la tavola riprodotta a pag. 469, che troviamo citata col nome di Tabula bona, e della quale Galileo sembra essersi in generale servito fino al 16 luglio 1616. Sopra questa tavola quindi, secondo ogni probabilità, saranno state compilate le effemeridi anticipate che Galileo mandò nel 1613 al Welser44 e quelle altre che tra il 12 ed il 15 novembre 1614 mostrò a Giovanni Tarde45. Dalla Tabula bona non si passa immediatamente ad una successiva del tutto nuova, trovandovisi di mezzo correzioni recate alle cifre per il primo ed il terzo satellite (pag. 471) nella precedente. Ancora al terzo satellite sono relative altre correzioni (pag. 472) verosimilmente introdotte nell’ottobre 1616, sinché si arriva alla tavola che con la designazione «di Bellosguardo» si trova frequentemente citata nei calcoli e che è del principio dell’anno 1617 (pag. 473).
Queste, a grandi linee e senza troppo sottilizzare, le tavole dei moti medii, quali noi abbiamo rinvenute negli autografi pervenuti insino a noi; avendo avuto cura di porre di fronte alle correzioni registrate in tavole i relativi computi, se anche i manoscritti non li presentavano ad esse congiunti.
Sull’uso poi che delle tavole Galileo andava facendo successivamente, avremo motivo di entrare in maggiori particolari, accingendoci a trattare più .di proposito del complesso dei calcoli e delle effemeridi. Il quale complesso per la massima parte, anzi quasi per intero, è contenuto nella ormai più volte menzionata vacchetta; ma, come già avvertimmo, nel più tumultuario disordine che immaginar si possa: cosicché, essendoci imposti di nulla trascurare di quanto a tale proposito era conservato nei manoscritti, la questione dell’ordinamento dovette precedere ogni altro studio; e poiché noi citiamo scrupolosamente volta per volta le carte della vacchetta come sono presentemente numerate, un semplice sguardo all’ordine definitivo nel quale si susseguono questi calcoli fornirà la idea più esatta intorno allo stato presente del codice.
A tali calcoli in generale avevamo appunto inteso di riferirci, quando poco fa scrivevamo di voler comprendere nella pubblicazione nostra anche le operazioni aritmetiche; e qui aggiungiamo che queste vengono date alla luce inalterate e complete: inalterate, sebbene non sia infrequente il caso di errori nelle somme i quali noi ci siamo ben guardati dal correggere, perchè portandovi la mano sarebbe stato necessario il portarla il più delle volte anche sopra operazioni conseguenti e sulle relative configurazioni; complete, perchè nelle cifre esposte si ha la sola indicazione che permetta di arguire la tavola della quale il calcolatore si è servito. Rispetto poi alle configurazioni, gli studiosi ci saranno certamente grati dell’aver noi per quanto la presenza dei numeri lo rendesse superfluo, voluto ciò non ostante riprodurle in facsimile; alla qual riproduzione, oltre che per altre considerazioni, ci siamo indotti anche a fine di evitare le difficoltà tipografiche che si sarebbero presentate per mantenere esattamente in iscala le distanze fra i satelliti, soprattutto nei casi nei quali due o più satelliti venissero ad essere molto vicini tra loro ed a Giove.
Ed ora, prima di entrare nei necessarii particolari relativamente ai calcoli ed alle effemeridi da noi riprodotti, stimiamo opportuno di mandare innanzi alcune generali avvertenze che spianeranno la via a meglio dichiarare l’essenza loro ed i criteri che abbiamo creduto di dover seguire.
Quanto a quel primo risultato che Galileo dovette, come abbiamo già avvertito, cercar di ottenere, cioè la determinazione dei raggi delle orbite di ciascun satellite, il più grossolano valore al quale egli sia pervenuto ci fu conservato in un giovilabio (pag. 477) dove la massima digressione dei satelliti, computata in semidiametri di Giove è rappresentata rispettivamente dalle cifre 3½, 5⅔, 8⅚, 15⅑; ma già in altro giovilabio (pag. 479), del quale incomincia ad usare nei calcoli del 1611, troviamo questi valori rappresentati da 3⅚, 6⅕, 8⅖ e 15, nel quadrante di un altro (pag. 481) da 4, 7, 10, 15, e in altro ancora (pag. 483) da 4¾, 7⅓, 10⅓ e 18. Se non che sul principio della primavera del 1612, come è lecito argomentare dai calcoli, egli aveva già determinato per i raggi delle orbite questi altri valori 4⅔, 8⅔, 14 e 24, conservatici da un ultimo giovilabio (pag. 486-487): e diciamo di proposito ultimo, perchè i calcoli mettono in luce come egli se ne sia servito per oltre due anni, il che risulta dimostrato eziandio dalle condizioni nelle quali si trova presentemente il disegno; ed anche le ulteriori correzioni ch’egli stimò di dovervi recare in seguito e che portarono le 5 suesposte cifre prima a 5.50, 8.45, 14, e 24.40 (pag. 734) e poi a 511/16, 8⅝, 14 e quasi 25 (quali sotto il dì 2 agosto 1627 comunicò tanti anni più tardi al P. Don Benedetto Castelli)46, sono segnate con cerchi punteggiati sul giovilabio medesimo.
Ciò premesso, e tenendo presente la via da seguirsi nella determinazione dei moti medii, era necessario partire da un dato bene accertato della posizione di ciascuno dei satelliti nella rispettiva orbita, od in altre parole stabilire la radice; per la quale si offerse a Galileo la opportunità dell’osservazione da lui fatta dalle 3 alle 7 ore di notte del 15 marzo 1611 (pag. 441), cioè quando egli vide per la prima volta Giove solo, in apparenza privo di satelliti. Da tale singolare e rarissima osservazione egli concluse che verso la metà di quell’intervallo tutti e quattro dovessero essersi trovati davanti al pianeta o dietro di esso, e ad ogni modo in congiunzione apparente; e fu da ciò indotto a stabilire quel giorno come radice o principio del calcolo dei movimenti, partendo per ciascun satellite da quell’istante nel quale lo studio delle anteriori e delle posteriori osservazioni gli assegnava il momento della esatta congiunzione quale si sarebbe dovuto osservare dalla Terra se i satelliti non si fossero trovati occultati. Ne risultò il seguente insieme di epoche delle congiunzioni:
1611. |
15 |
Marzo |
5h |
ab occasu |
?? |
nel perigeo, |
» |
» |
» |
4 |
» |
?? |
nell'auge, |
» |
» |
» |
6 |
» |
?? |
nell'auge, |
» |
» |
» |
9 |
» |
?? |
nell'auge, |
che Galileo designò col nome di magna coniunctio diei 15 Martii 1611 (pag. 481); e sono gli istanti da cui egli nei calcoli del 1611 numera gli archi percorsi dai satelliti, supponendo 0° 0’ l’arco corrispondente agli istanti medesimi. Per il primo satellite il punto di partenza essendo lontano 180° dall’auge, di tale circostanza si deve tener conto nell’interpretazione dei calcoli ad esso relativi. Per questo fine Galileo usò di non fare alcuna differenza nel computo di tutti e quattro, come se l’epoca fosse per tutti nell’auge; ma, come risulta chiaramente, dopo aver costruito col giovilabio la posizione del primo rispetto a Giove, ebbe sempre l’avvertenza di invertirla, ponendo il satellite di tanto a sinistra di Giove di quanto
il calcolo lo indicava lontano a destra e inversamente: così si teneva conto della semicirconferenza trascurata nella parte aritmetica del procedimento.
E venendo finalmente a dire della distribuzione effettivamente da noi assegnata all’ingente materiale dei calcoli e delle effemeridi, avvertiamo che quanto all’uso delle tavole bene spesso avviene di trovar adoperate tavole diverse per ciascuno dei quattro pianeti in un medesimo calcolo, e talvolta anche si è indotti ad ammettere o che alcune delle tavole usate siano andate perdute, oppure che Galileo non abbia usato di quelle insino a noi pervenute se non con qualche approssimazione, quasi che egli le modificasse parzialmente all’atto di servirsene: e così pure quanto alle radici, le introduce talvolta con variazioni saltuarie, tali da far credere che così facesse soltanto in via di prova e qualche volta anche alquanto modificate, cioè con variazioni nei minuti. Il notare luogo per luogo tutte queste particolarità, insieme con altre alle quali abbiamo per lo innanzi accennato, avrebbe portato a raddoppiare quasi il volume della pubblicazione e, a parer nostro, senza utilità per i non competenti, e senza necessità per gli studiosi competenti che le riconosceranno facilmente da sé.
Come abbiamo già detto, ripetiamo ancora una volta che le nostre riproduzioni sono costantemente ed esattamente conformi agli autografi, per quanto questi erano traducibili con segni tipografici, ed anche la forma di colonna fu da noi scelta perchè meglio rispondente al bislungo della vacchetta: non abbiamo però tenuto conto del segno col quale, in testa ai calcoli, ai giorni interi computati a partire dalla radice, devono intendersi aggiunte le ore, ed eventualmente i minuti, espressi in seguito alla indicazione del giorno al quale il computo si riferisce.
Conforme alla distribuzione da noi adottata, incominciando dai calcoli del 1611, li abbiamo divisi in due sezioni, la prima contenente la comparazione diretta dal 17 marzo al 15 giugno 1611 (pag. 491-503), la seconda quella retrograda dal 10 marzo 1611 al 15 novembre 1610 (pag. 507-517); Tuna e l’altra senza la prostaferesi: dove non sarà fuori di luogo il notare per la storia, che a partire dal 10 maggio 1611 (pag. 498) cominciano a trovarsi calcolate configurazioni per giorni nei quali non fu, od almeno non apparisce che sia stato, osservato.
Le imperfezioni dei risultati ottenuti prendendo per fondamento il ritorno dei satelliti alle medesime fasi, e non tenendo alcun conto della influenza esercitata dai moti della Terra e di Giove, pare abbiano indotto Galileo a tradurre in eliocentriche le posizioni geocentriche osservate, od in altre parole a tener conto della parallasse annua di Giove. Con questo intendimento, tra la fine del 1611 ed il principio del 1612, egli riprendeva i calcoli delle osservazioni ultimamente fatte, e vi introduceva il nuovo elemento, cioè la prostaferesi, con che egli era portato a modificare novamente le sue tavole dei moti medii orarii (pag. 463, 466) con sensibili perfezionamenti.
Della riduzione in figura del metodo da lui adoperato per procurarsi anticipatamente i valori di un elemento così continuamente variabile, è rimasto tra i manoscritti un chiarissimo disegno (pag. 521), accanto al quale a sinistra sono pure due schemi di tavole, con elementi variati dall’una all’altra, ed a destra una effemeride della prostaferesi dal 10 gennaio al 29 luglio 1611: un’altra ne rinvenimmo estesa dal 6 settembre 1612 al 23 settembre 1613 (pag. 452); e finalmente, accanto alla cosiddetta Tavola di Bellosguardo, un’altra ancora (pag. 523), della quale sembra aver egli usato per la prima volta nel 1616. Ma anche per questi valori della prostaferesi dobbiamo ripetere ciò che in generale abbiamo avvertito per le tavole dei moti medii, cioè che non di rado lo vediamo adoperare valori diversi dai registrati in quelle sino a noi pervenute.
Nei calcoli del 1612 (pag. 527-542) con la prostaferesi troviamo costantemente adoperata la tavola segnata con la lettera Z (pag. 463), o la sua equivalente con i numeri arrotondati (pag. 466).
Nei calcoli del 1613 abbiamo tenuto separate le comparazioni retrospettive fatte dopo il gennaio (pag. 545-555), ed evidentemente intese a migliorare la tavola della quale aveva ultimamente usato; e tra i manoscritti abbiamo trovato anche una tabellina per il secondo ed il quarto satellite (pag. 467-468), che presenta valori assai poco differenti da quelli dei quali apparisce essersi servito.
E questi calcoli del 1613 sono stati da noi divisi in quattro sezioni: la prima (pag. 559-567), nella quale, dedotta la radice dalla configurazione 4-5 maggio 1611, con qualche successiva modificazione, Galileo la saggia mediante calcoli retrospettivi, usando di una tavola che non è più quella ultimamente adoperata, ma che non è ancora l’altra della quale lo troveremo usare tra poco; la seconda (pag. 568571), nella quale egli è già in possesso d’una tavola nuova (pag. 469); la terza (pag. 572-579), dove troviamo usate la tavola nuova e quella precedente, intermedia tra le due pervenuteci; la quarta (pag. 580-608), finalmente, che chiameremmo volentieri col nome di < grande effemeride del 1613 >, calcolata posteriormente agli irregolari tentativi precedentemente fatti; eccetto alcune lievi diversità a principio, la tavola della quale usa è quella novamente trovata (pag. 469). La qual tavola vediamo usata anche nei calcoli del 1614 (pag, 611-634), del 1615 (pag. 639-642) e nella prima parte di quelli del 1616 (pag. 645-654), cioè dal 5 maggio al 19 luglio: seguirono poi le indagini per il primo e per il terzo satellite, che abbiamo riportate al loro luogo fra le tavole (pag. 470), perchè condussero effettivamente a modificare i medii movimenti conforme la tavola che vi sta di fronte. Intanto con osservazioni dal 5 maggio al 10 luglio si correggono le radici per tutti, salvo che per il quarto, e si arriva a nuove radici, con le quali, e con la tavola novamente formata (pag. 471), si calcola l’effemeride dal 20 luglio al 2 agosto (pag. 655-656). Ma già il 28 luglio la osservazione del primo satellite aveva mostrato la necessità d’una correzione per questo, la quale troviamo usata nel calcolo delle effemeridi dal 3 agosto al 15 ottobre (pag. 656-665). Il 15 ottobre si istituisce un esame per il secondo che abbiamo riportato fra le discussioni (pag. 696-697), e che induce a nuove correzioni, le quali si rendono necessarie anche per gli altri. Con gli elementi corretti sono calcolate le effemeridi dal 15 al 19 ottobre (pag. 665-666), e novamente mutano al 20 ottobre (pag. 666) continuandosi con essi fino al 3 novembre (pag. 666-667): dal 4 al 18 novembre (pag. 668-669) le radici sono le medesime; e forse il motivo di tanti cambiamenti è da ricercarsi nelle osservazioni fatte dal 3 agosto al 15 ottobre. Ma chi vorrà indagare a fondo tutto il grande lavorio che Galileo compì intorno a questo tempo attraverso le ansie del primo Processo e che doveva condurre alla compilazione di quella tavola (pag. 473) che terminò, correggendo tutte le precedenti, l’il gennaio 1617 e che chiamò «di Bellosguardo > (pag. 701-702), dovrà esaminare tutti i materiali per la discussione e correzione degli elementi fatta nel 1616-1617 (pag. 673-736) che ci siamo studiati di raggruppare come ci parve possibile. A proposito dei quali materiali ci sembra dover dichiarare, che anche di alcune date apposte, e che sembrerebbero offrire una guida all’ordinamento, non si può affermare sempre che non siano state apposte posteriormente; ed anche quando questo dubbio non si presenti, il seguire quella disposizione ci parve che avrebbe creato molti altri inconvenienti ed avrebbe in qualche caso obbligato anche ad abbandonare una quantità di materiali contrariamente al proposito ed all’istituto nostro. Farne una scelta in modo da darne un saggio sarebbe stato senza alcun dubbio molto più agevole, ma il voler raccogliere e pubblicare tutto ha fatto incontrare difficoltà, le quali non ci affidiamo di essere pervenuti a superare.
I lavori dell’anno 1617 abbiamo ripartito in una prima effemeride dal 7 al 26 febbraio (pag. 739-741), in una seconda dal 7 marzo al 24 aprile (pag. 741-745), e nella grande effemeride continuata dal 12 luglio all’11 dicembre (pag. 746-763) nella quale, tranne che nell’intervallo del 13 al 19 agosto e forse per errore, Galileo usa costantemente la tavola di Bellosguardo.
I calcoli del 1618 constano di due effemeridi, comparate a quando a quando con le osservazioni. La prima va dal 3 gennaio al 30 novembre (pag. 767-783) e in essa i medii movimenti sono sempre quelli della tavola di Bellosguardo; ma nella seconda, che preparò dal 14 settembre al 31 dicembre (pag. 784-795), usò anche, ed anzi in generale, di un’altra tavola ottenuta per «ultimam correctionem».
Con una lacuna dovuta alla congiunzione di Giove, i lavori dell’anno 1619 comprendono una prima effemeride continuata dal l’al 18 gennaio con calcoli isolati per il 24 e 30 gennaio ed 8 febbraio (pag. 799-801), ed una seconda che cominciando con alcuni calcoli isolati per il 18 agosto, 10, 13, 14 settembre, prosegue poi continuatamente dal 19 settembre al 19 novembre (pag. 801-807), usandosi, con frequenti correzioni nelle epoche, talvolta la tavola ultima, ma più in generale quella di Bellosguardo.
E qui, sebbene noi abbiamo dovuto vietarci di entrare nei particolari dei risultati che Galileo veniva via via ottenendo, non possiamo lasciare senza speciale menzione il fatto intervenutogli il 14 novembre 1619. In detto giorno volle egli passare dal calcolo per 6h a quello per 5h, e mentre dall’epoca 14 ottobre 6h a 14 novembre 5 erano decorsi giorni 30 ed ore 23, egli, dimenticando che la suddetta epoca del 14 ottobre valeva per 6 e non per mezzodì, suppose decorsi giorni 31 e ore 5, e introdusse quindi per il 14 novembre e per tutti i giorni seguenti un medio movimento per 6 ore di eccesso, quindi rispettivamente un errore in più di 50°.51’; 25°.19’; 12°.34’; 5°.22’, secondo la tavola di Bellosguardo. Questo errore fu ripetuto da Galileo anche nel calcolo del 19 novembre, onde l’osservazione gli diede una correzione di —53°.30’ per il primo, e di —14°.45’ per il terzo satellite, cioè, come egli avvertì (pag. 807), maximae exorbitantiae. Che Galileo il quale chiese, dieci anni più tardi, che, essendosi «occupato più nella geometria che ne i calcoli», gli fosse concesso «valer molto in quella e meno in questi»nota, abbia potuto credere seriamente, doversi attribuire tale errore alla sua teoria e non ad uno sbaglio accidentale, non è provato in alcun modo né crediamo possa onninamente ammettersi; ma si comprende benissimo come, disgustato, rimettesse ad altro tempo l’indagare l’origine dello sbaglio di cui l’eguale non era mai per lo innanzi intervenuto nei suoi calcoli: ed anzi di un tentativo fatto in questo senso abbiamo trovato traccia nei manoscritti: tale è infatti l’ultimo calcolo che di sua mano abbiamo rinvenuto tra le carte relative alle Medicee (pag. 807).
Che del resto Galileo non avesse minimamente disperato di poter pervenire a determinare tavole di medii movimenti ancor più esatte di quanto, come noi ora sappiamo, egli potesse realmente ottenere, risulta dal fatto che proprio sul finire di questo medesimo anno 1619, aiutato da Giuliano de’ Medici, ambasciatore toscano a Madrid, egli riprendeva le trattative con la Spagnanota intavolate una prima volta fino dal 1612nota per la determinazione delle longitudini in mare, valendosi delle osservazioni delle ecclissi delle Medicee.
E a questo proposito crediamo dover osservare che la possibilità di un ecclisse non sembra essere nei primi tempi occorsa alla mente di Galileo: quando vedeva sparire uno dei satelliti prima del tempo preveduto, o ritardare l’apparizione di un altro oltre l’aspettazione, supponeva da principio che fosse reso invisibile dalla troppa vicinanza del fulgido pianeta (pag. 441); ma già nella lettera a monsignor Piero Dini le ecclissi delle Medicee sono adombratenota; ne troviamo cenno nella effemeride del 18 marzo 1612 (pag. 527), in quelle del 1° aprile (pag. 591) e dell’8 maggio 1613 (pag. 597), e nel corso delle effemeridi ne abbiamo numerate ben ventidue osservazioninota. E non è forse affatto fuori di luogo il
47 48 49 50 51 pensare che il disegno da lui concepito, di applicare la sua scoperta alla risoluzione di quel grande problema, dalla quale si riprometteva lucri ed onori straordinarii abbia trattenuto dal dare altro in luce sull’argomento delle Medicee. Perchè la ulteriore pubblicazione da lui già promessa nelle parole con le quali si chiude il Sidereus Nuncius52 annunziata ripetutamente a Belisario Vinta53 ed al Sarpi54 alla quale veniva esortato fra gli altri da Paolo Gualdo55 e da Antonio Santini56 aspettata dal Welser57 e dal Cesi58 e novamente promessa nel più volte citato DIscorso59, non fu mai eseguita, per quanto l’abbia fatto credere a qualcuno un frontespizio introdotto nella suddivisione delle opere di Galileo quale si trova nella prima edizione di Bologna60; sicché, ove se ne tolgano le effemeridi pubblicate in calce alla terza lettera sulle macchie solari e delle quali abbiamo già tenuto parola, null’altro diede egli alla luce su tale argomento, né vi tornò sopra se non nella occasione della richiesta fattagli dal Castelli nel 1627 alla quale si è pure accennato, e in quelle altre delle varie riprese dei negoziati intorno alla determinazione delle longitudini, delle quali non è qui il luogo di parlare.
Abbiamo già notato che i manoscritti non conservano traccia alcuna di studi e d’indagini direttamente da Galileo istituiti posteriormente al 19 novembre 1619 né continuativamente né in forma frammentaria, e questo ci sembra di poter porre assolutamente fuori di dubbio, perché anche i frammenti e tutto ciò che non CI parve immediatamente legato col corpo principale dei lavori così da avere Il suo posto necessariamente segnato con caratteri di assoluta continuità, abbiamo insieme raccolto per modo, da poter dichiarare che, ad eccezione di alcuni calcoli isolati e dei quali non era palese il legame con le parti da noi riprodotte, oppure per la stessa loro natura del tutto insignificanti, tutto quanto i manoscritti ci conservarono di relativo alle Medicee venne da noi ed anzi non senza aver lasciato correre perfino qualche ripetizione, diligentemente raccolto e pubblicato, con una religione che i più giudicheranno forse soverchia.
Tali frammenti dovevano esistere sotto forma di appunti staccati ed in più fasci anche vivente Galileo, e furono verosimilmente da lui stesso compresi entro camicie sulle quali egli scrisse di suo pugno le relative indicazioni: «Fragmenti di calcoli delle Medicee» (Par. IV, Tomo VI, car. 17t), «Fragmenti di osservazioni intorno alle Medicee» (Par. III, Tomo V, car. 72r), senza che però presentemente queste indicazioni si trovino ad avere qualsiasi significato rispetto ai materiali che ad esse fanno seguito; e per l’ordinamento di questi materiali non ci parve né possibile né opportuno di adottare criteri assoluti.
Prefiggendoci tuttavia, in generale, di scostarci il meno possibile dall’ordine cronologico, procurammo di seguirlo ogniqualvolta più o meno chiaramente lo trovammo indicato; e questo criterio ci permise di dare al principio alcuni saggi dei primissimi calcoli originali, tanto più interessanti in quanto non convien mai dimenticare che la maggior parte, specialmente i primi conservatici nella vacchetta, non rappresentano altro che trascrizioni, nelle quali anzi occorrono bene spesso, come lo indicano in qualche caso il carattere ed il colore diverso del inchiostro, interpolazioni posteriori per le quali in ispazii rimasti vuoti tra calcoli di più antica data ne vengono inseriti altri posteriori; e perchè ancora essi conservano nelle relative configurazioni traccia di alcuni segni dei quali Galileo uso a principio per indicare i varii satelliti (pag. 812-815). In conformità dei suesposti criteri siamo venuti disponendo tutti questi materiali frammentarli, non senza riproduzioni a facsimile (pag. 816, 820), tra le quali abbiamo voluto trovasse posto anche un computo chiarissimo e completo (pag. 849). Dalla espressa o non espressa successione cronologica ci siamo però talvolta discostati per dar luogo continuato in alcuni casi ai calcoli relativi ad uno stesso satellite, senza che mai ci potessero servire di guida sicura le caratteristiche offerte dagli autografi e l’ordinamento loro attuale.
Lungi da noi la presunzione d’esser riusciti a far opera che corrisponda pienamente al desiderio di tutti gli studiosi: saremmo sodisfatti se si stimasse che avendo ormai provveduto a salvare da eventuali pericoli anche questa parte del’preziosissimo patrimonio Galileiano, ne abbiamo reso meno difficile lo studio; e senza invocare indulgenza di giudizio, ci auguriamo soltanto che nessuno si pronunzi sull’operato nostro senza aver veduto da sé le condizioni dei materiali sui quali, se non altro, abbiamo esercitata la nostra buona intenzione.
In appendice a questi frammenti abbiamo anche riprodotto in facsimile, poiché le trovammo trascritte della mano di Galileo, alcune tra le prime osservazioni dei Pianeti Medicei eseguite dai Matematici del Collegio Romano (pag. 863-864).
Note
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. I, pag. 35, 80; Par. II, pag. 427; Vol. X, pag. 277.
- ↑ Cfr. Vol. III. Par. I, pag. 35-37, 80-82; Par. II, pag. 427.
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. I, pag. 95, lin. 7-8.
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. I, pag. 80, lin. 3-4.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 289.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 299.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 352.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 357.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 431.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 421. — Cfr. Intorno ai cannocchiali costruiti ed usati da Galileo Galilei. Nota del prof. Antonio Favaro (Atti del Reale Istituto Ve- neto, di scienze, lettere ed arti. Tomo LX, pag. 317-342). Venezia, tip. Carlo Ferrari, 1901.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 483.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 504-505.
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. II, pag. 686.
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. II, pag. 440.
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. II, pag. 441.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 54.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 49.
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. II, pag. 863-864. — Già fino dal 4 dicembre 1610 Galileo aveva saputo, col mezzo di Antonio Santini, che i Gesuiti del Collegio Romano avevano fatto osservazioni delle Medicee ma che però non erano «ancora sicuri, se sono pianeti o non» (Cfr. Vol. VIII, pag. 480); ed è del 17 dicembre di questo medesimo anno la lettera con la quale lo stesso P. Cristoforo Clavio invia a Galileo «alcune osservationi, delle quali chiarissimamente si cava che non sono stelle fisse, ma erratiche, poi che mutano sito tra sè et tra Giove» (Cfr. Vol. VIII, pag. 484).
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 80.
- ↑ Cfr. Vol. IV, pag. 63-64.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 175-176.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 129.
- ↑ Altri ne mandò in seguito a Gio. Francesco Sagredo per lui e per gli altri amici di Venezia. Cfr. Vol. XI, pag 330.
- ↑ Ioannis Kepleri S.ae C.ae M.tis mathematici Dioptrice, seu demostratio eorum quae visui et visibilibus propter propter conspicilla non ita pridem inventa accidunt. Praemissae epistolae Galilaei de iis quae post editionem Nuncii Siderii ope perspicilli, nova et admiranda in coelo deprehensa sunt, ecc. Augustae Vindelicorum, typis Davidis Franci, MDCXI, pag. 14.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag 205.
- ↑ Cfr Vol. XI, pag. 219, 225.
- ↑ Cfr. Antonio F avaro. Per la storia dei Manoscritti Galileiani concernenti i Pianeti Medicei. (Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo LXII, pag. 1083-1098). Venezia, officine grafiche di C. Ferrari, 1903.
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. I, pag. 15-50.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag 512. — Alcune configurazioni, esso pure autografe di Galileo, ma prive di data, trovatisi nei Mss. Galileiani anche a car. 97t del Tomo VI e a car. 75t, 252t e 260t del Tomo VII della Parte I; a car 73bt. del Tomo X della Parte III; e a car 38t., 49t. del Tomo X della Parte VI.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 279; Vol. XII. pag 24, 30-31, 37, 50, 69, 126, 131-132, 134, 135, 179, 182-183.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 456, 478, 604; Vol. XII, pag. 116, 123, 159. 318.
- ↑ Vol. X, pag. 435, nel Vol. XI la tavola annessa al n.° 548, e Vol. XII, pag. 64.
- ↑ Cfr. Antonio Favaro. Intorno alle opere scientifiche di Galileo Galilei nella Edizione Nazionale (Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Tomo LVIII, pag. 154-158). Venezia, tip. Carlo Ferrari, 1899.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 378, ed anche a pag. 408, 413.
- ↑ Cioè dal 25 loglio. Cfr. Vol. X, pag. 489.
- ↑ Cfr. Vol. X, pag. 431.
- ↑ Cfr. pag. 489.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag, 54.
- ↑ Alcune particolarità inerenti a queste osservazioni sono da cercarsi altrove e soprattutto nel Carteggio; cosi, per esempio, nella lettera al P. Cristoforo Clavio sotto il di 11 settembre 1610 è detto della osservazione dei Pianeti Medicei «mentre si rischiarava l’aurora» (Cfr. Vol. X, pag 431); nell’altra a monsignor Piero Dini dei 21 maggio 1611 sono menzionate le ecclissi delle Medicee (Cfr. Vol. XI, pag. 114); ecc. Non sembri poi fuori di luogo il notare qui che Galileo vide prima di ogni altro le macchie di Giove, e precisamente prima del tempo in cui postillò il libro del Lagalla De phaenomenis in orbe Lunae. Infatti nell’occasione di parlare delle macchie della Lana, dicendosi ohe anche la Terra ha delle macchie, Galileo postilla: «in ♃ quid consimile videre licet» (Cfr. Vol. III, Par I. pag 387).
- ↑ L’intestazione dell’ultima colonna relativa al primo satellite porta traccia dell’intenzione che Galileo ebbe da principio, d’intitolare ciascuno dei quattro (Cfr. Vol. X, pag. 283) ad uno dei Principi di Casa Medici, figli di Ferdinando I, cioè Cosimo, Francesco, Carlo e Lorenzo.
- ↑ Cfr. Vol. IV, pag. 64.
- ↑ Notizie intorno allo strumento ed al modo di usarne si hanno a pag. 141-149 delle Theoricae Mediceorum Planetarum ex causìs physicia deductae a Io. Alphonso Borellio. Florentiae, ex typographia S. M. D., MDCLXVI. E per quel che risguarda i lavori di Galileo intorno ai Pianeti Medicei e dell’esame che dei relativi manoscritti sembra aver fatto il Borelli, cfr. la medesima opera a pag. vi. 12 e 16.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 335.
- ↑ Cfr. pag. 589-592, 597, Vol. V, pag. 241-245 e Vol. XI, pag. 446, 462, 471-472, 481, 487.
- ↑ Di Giovanni Tarde e di una sua visita a Galileo dal 12 al 15 Novembre 1614 per Antonio Favaro (Bullettino di Bibliografia e di Storia delle scienze matematiche e fisiche. Tomo XX, pag. 347). Roma, tip. delle scienze matematiche e fisiche, 1887.
- ↑ Cfr. Vol. XIII, pag. 370.
- ↑ Cfr. Vol. XIV, pag 46.
- ↑ Cfr. Vol. XIII, pag. 17.
- ↑ Cfr. Vol. XI. pag. 392.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 114.
- ↑ Cfr. pag 630 (13 agosto 1614), pag. 636 (2 e 4 agosto 1616), pag. 658 (13 agosto 1614),
- ↑ Cfr. Vol. III, Par. I, pag. 96.
- ↑ Cfr. Vol. X. pag 373, 410, 425.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 49.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 57.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 69.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag 52, 74.
- ↑ Cfr. Vol. XI, pag. 175.
- ↑ Cfr. Vol. IV, pag. 63.
- ↑ Continuatione del Nuntio Sidereo di Galileo Galilei linceo, overo saggio d’istoria dell’ultime sue osservationi fatte in Saturno, Marte, Venere e Sole et opinione del medesimo intorno alla luce delle stelle fisse e delle erranti. Opera di nuovo raccolta da varie lettere passate reciprocamente tra esso ed alcuni suoi corrispondenti e data in luce a publica eruditione. In Bologna, per gli HH. del Dozza, 1655.
pag. 659 (20 agosto 1614), pag. 660 (20 agosto 1614), pag. 748 (30 luglio 1617), pag. 753 (30 agosto e 1° settembre 1617), pag. 757 (3 ottobre 1617), pag. 758 (17 ottobre 1617), pag 759 (24 e 26 ottobre 1617), pag. 762 (27 novembre 1617), pag. 776 (6 settembre 1618), pag. 786 (6 ottobre 1618), pag. 791 (15 novembre 1618), pag. 805 (18 e 21 ottobre 1619), pag. 806 (29 ottobre 1619), pag 807 (19 novembre 1619). Cfr. anche pag. 853.