Le madri galanti/Atto III
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ATTO TERZO
SCENA PRIMA.
Quattro signori, e Salvi in disparte, (tutti seduti).
1.° Signore.
Ah! (sbadigliando leggermente).
2.° Signore.
Oibò amico! bada ove sei!
1.° Signore.
Oh! il grave scandalo! ove sono? fra gente che crede divertirsi e s’annoia peggio di me, senz’aver la franchezza di dimostrarlo cogli sbadigli.
2.° Signore.
Guardate un po’ dove si caccia la franchezza dell’uomo.
1.° Signore.
Va, conte, non sei filosofo. Lo sbadiglio è il retaggio del pensatore, è il gran grido della materia soffocata dal vuoto.
2.° Signore.
Se la è così, non son filosofo. Io non ispalanco la bocca che per ciarlare. La ciarla fu data all’uomo per turar lo sbadiglio.
1.° Signore.
Non la tua, però, che mi fa l’effetto contrario.
2.° Signore.
Oh! Oh! i motti! i motti!
3.° Signore.
Le mot dévore, et rien ne resiste à sa dent.
2.° Signore.
Da dove piomba questo Victor Hugo?
3.° Signore.
Come? conoscete le contemplations, signore!
2.° Signore.
Certo.
3.° Signore.
Benone, così potremo ciarlare un po’ di letteratura.
2.° Signore.
Di quel che vorrete, marchese, pur che si ciarli.
4.° Signore.
(segue a piacere)
SCENA II
Barone, Signori, Salvi.
Barone.
Come, giovinotti, e disertate così le sale da ballo? la prima polka è già incominciata. Oh! signor Salvi, anche voi fra gl’immobili?
Salvi.
Sì, barone. Quando ognuno parla e si muove, amo assai l’immobilità ed il silenzio. Allora fo come quel signore che per goder meglio lo spettacolo, prende la sua sedia chiusa, osserva, e tace; ed è in questo gabinetto, lontano dal frastuono della musica e dei balli, che anch’io prendo la mia sedia chiusa, osservo e tacio.
Barone.
Ma.... e lo spettacolo?
Salvi.
Avete tempo da perdere?
Barone.
Aspetto la contessa d’Aqui.
Salvi.
L’aspetto anch’io. Allora, prendete anche voi la vostra sedia chiusa ed osservate senza farvi osservare. — In questo boudoir si fanno vedere i sette peccati mortali del secolo.
Barone.
Ah! bah!
Salvi.
(mostrando í quattro signori). Ed ecco gli attori che li rappresentano.
Barone.
Vi faccio notare che gli attori sono quattro.
Salvi.
Non interrompetemi. Vedete là quel giovine sdraiato su quella poltrona che per darsi un po’ di moto ciondola macchinalmente una gamba, mentre tenta di nascondere colla mano lo sbadiglio che va sfiorandogli le labbra?
Barone.
È il visconte Amalfi.
Salvi.
No. — È la Noja. — Primo peccato capitale, figlio primogenito dei piaceri e dell’ozio; veste per lo più il frac; la sua missione è quella di passare il tempo, e vedete come lo passa.
4.° Signore.
(c. s.). Settanta cinque mila sei cento e.... (segue a piacere).
Salvi.
Avete udito? Quello è il secondo peccato: l’Aritmetica. Esso non parla mai che di cifre; la cifra è per esso religione ed eloquenza. Vedete: toglie di tasca un libriccino e nota e calcola; alla vista lo si direbbe un astronomo, ed è invece....
Barone.
Un agente di cambio.
Salvi.
Psss! Sapete di che parlano quei due là in fondo?
Barone.
No, le loro parole non mi giungono all’orecchio.
Salvi.
Per buona sorte! — Essi parlano di letteratura; l’uno è marchese, l’altro conte; osservate i modi, le vesti, l’atteggiamento del marchese, e poi ditemi se non riconoscete in esso il terzo peccato: la Caricatura; osservate poi quel rapido paroleggiar del conte, quel moto perpetuo delle sue labbra, e troverete tosto la Ciarla, quarto peccato. L’uno è figlio della boria e dell’affettazione, l’altro della leggerezza e dell’ignoranza e, vedete, vanno perfettamente d’accordo.
Barone.
E gli altri tre?
Salvi.
Oh! gli altri tre li troveremo subito: se volete, potete rinvenirli ancora in questi quattro; se no, li vedrete qui appena fuori dell’uscio, giacchè dove ci sono dei frac quello è il posto dei peccati mortali. — Gli altri dunque sono Vanità, Indifferentismo.... che fanno sei....
Barone.
Ma.... siete in frac anche voi.
Salvi.
Certo, e perchè non potrei essere la Maldicenza? che fa sette!
Barone.
Ah! ah! vorreste per caso portar la riforma sull’abito nero?
Salvi.
Oh! vi pare? l’alta società non me lo permetterebbe: perchè, infine, cos’è oggi l’alta società? — l’abito nero.
(Entrano alcune dame: tutti si alzano).
SCENA III.
Tre Dame, Signori, Barone, Salvi.
3.° Signore.
(al 2.° Signore). (Ecco tre grazie rimaste sul tappeto).
Barone.
Gentili Signore, e qual ventura vi conduce fra noi?
1.a Dama.
Dite sventura, barone, mi si è staccata la ghirlanda.
2.a Dama.
Un galante cavaliere m’ha scucita la veste.
Barone.
Oh! ciò tornerà in onore del mio guancialino, che metto subito a vostra disposizione.
(offre alle signore un guancialino da spille).
2.a Dama.
Un galante cavaliere Grazie.
3.° Signore.
(al 1.° Signore). (Vi raccomando il guancialino).
Barone.
E qui, signor Salvi, trovereste forse un ottavo peccato?
Salvi.
(No! questo è uno dei peccati vecchi; data da Eva, barone: è la Civetteria).
SCENA IV.
Le Dame, i Signori, Barone, Salvi, Collalto, poi Anna, poi Matilde.
Collalto.
Signori e signore, s’incomincia presto il primo valtz.
Barone.
Oh! e la contessa..?
Collalto.
Appunto, la contessa d’Aqui non è ancora arrivata?
Barone.
No. Corro ad avvertire l’orchestra che aspetti ancora un momento.
Collalto.
Bravissimo. (entra Anna). Ah! eccola.
2.° Signore.
(salutandola). Contessa.
3.° Signore.
(stringendole la mano). Contessa.
Barone.
Così tardi?
Collalto.
Così tardi?
Barone.
Siete incantevole.
Collalto.
Sfolgorante.
(entra Matilde).
2.° Signore.
Ecco donna Foschi, più bella del solito.
Matilde.
(ad Anna, con una riverenza). Signora....
(l’una guarda il vestito dell’altra).
Anna.
(a Matilde, inchinandosi). Signora....
Collalto.
Il waltz sta appunto per cominciare.
Anna.
S’è così, aspettate che m’aggiusti un poco, e poi entriamo in campo.
Barone.
Siete adorabile. (sta per offrire il braccio ad Anna).
Collalto.
Eccovi il braccio. (offrendo il braccio ad Anna).
Barone.
Perdono, spetta a me.
Anna.
Ah! Collalto: barone.... scusate.... una dimenticanza.... sono impegnata col signor Collalto.
Barone.
Come? — Ma io sono stato il primo, signore.
Collalto.
Ed io l’ultimo, barone.
Matilde.
(a Salvi). (Andate presto, avvocato, a liberare la vostra dama da quest’imbroglio).
Salvi.
(Via, siate prudente).
Barone.
Il diritto è pel primo.
Collalto.
Per l’ultimo è la preferenza. — Molti primi saranno gli ultimi, e molti ultimi saranno i primi.
Anna.
Ebbene. — Rimettiamoci alla sorte: il bouquet deciderà; l’ho preso a caso. — Se è il vostro, avrete vinto voi; se è quello del barone, avrà vinto il barone.
Matilde.
(a Salvi). (Vedete la vostra Penelope).
Collalto.
È il mio. Ho vinto. Eccovi il braccio. Ah! ah! povero barone.... molti primi saranno gli ultimi....
(esce con Anna).
(i tre cavalieri escono colle tre dame e Matilde).
SCENA V.
Barone, Salvi, poi 1.° 2.° 3.° signore e 4.a dama.
Barone.
Signor Salvi.
Salvi.
Che?
Barone.
M’avete dato una lezione poc’anzi e voglio giovarmene, parola d’onore. Non più feste in casa mia, son più balli, non più cene; domattina chiudo la porta a tutti sette i peccati mortali. — Vada altrove la noia ad esalare i suoi sbadigli, ch’io per me non voglio più che nessuno s’addormenti sui miei seggioloni; vada altrove l’aritmetica a fare i suoi computi, le mie sale non sono nè la Borsa nè il mercato; via di qua le ciarle ignoranti e le ridicole caricature che ci fanno grazia della presenza loro; non vo’ più dar cene all’indifferentismo, offrire spettacolo alla vanità, far ballare la maldicenza; e così non mi vedrò rubar la mia dama dal primo bambolo venuto, la mia dama che spetta a me, me solo, capite?
Salvi.
Via, via, consolatevi, barone....
2.° Signore.
(al 3.° signore). Ma se io vi garantisco che la contessa è cotta.
3.° Signore.
Baie! quelle donne non possono amare: non amano nemmeno abbastanza per ingannare i loro mariti.
2.° Signore.
Eh via! parola d’onore, il conte d’Acqui è minotaurizzato.
Barone.
(a Salvi). Pss! (prestano attenzione al discorso dei due signori).
3.° Signore.
Chi ve l’ha detto?
2.° Signore.
Me l’ha detto Collalto medesimo.
3.° Signore.
Ah! Fraility thy name is woman! È un verso inglese. Sapete cosa vuol dire?
2.° Signore.
No.
3.° Signore.
La donna è un vaso di porcellana.
Barone.
(irritato). Lasciatemi andare.
Salvi.
Dove?
Barone.
Dalla contessa, da Collalto; voglio fare uno scandalo.
Salvi.
Siete pazzo! badate, barone, siete in casa vostra.
1.a e 4.a Dama.
(entrando). Barone, barone....
Barone.
Madamigelle....
3.a Dama.
Conducetemi dalla mamma, il mio ballerino è scomparso....
4.a Dama.
E il mio balla con donna Foschi.
(barone colle due dame esce da una parte, Salvi dall’altra).
SCENA VI.
Anna, Collalto.
Collalto.
Nessuno, contessa. — Entriamo?
Anna.
Come volete.
Collalto.
Grazie.... Continuerò dunque la storiella. — Io era, come vi diceva, il mio sarto: così, in via di discorso, gli dico: Eh! non sapete? un vostro avventore è caduto stamane da cavallo, e si è rotto una gamba. — Bene, osservò seriamente il sarto, si sarà rotto anche i calzoni.
Anna.
E non ne avete altre delle fanfaluche da raccontare?
Collalto.
Eh! vorrei potervene dire fino a domattina: lo scopo mio, contessa, è di farvi sorridere: siete così bella quando sorridete!
Anna.
Grazie del complimento.... per quando non sorrido.
Collalto.
Il mio paradiso sta tutto nel contemplarvi, contessa: sorridete, ve ne prego....
Anna.
(ridendo). Signore, moderatevi un poco.
Collalto.
Moderarmi.... contessa! e non ve ne siete accorta?
Anna.
Di che?
Collalto.
Ora.... là.... in quella sala quando volavamo stretti assieme nella tempesta del waltz, i miei polsi battevano come per febbre; io, contessa, non vedevo più nulla, più nulla che voi, sentivo l’alito vostro e n’ero briaco, ed ero colto da vertigine come chi si trova sollevato in un attimo a sovrumana altezza; e non ve ne siete accorta, contessa?... io vi amo!
Anna.
(alzandosi con uno scroscio di risa). Ed io niente affatto, signore.
SCENA VII.
Salvi, Anna, Collalto, poi Barone.
Salvi.
(ad Anna). Come? e non ballate?
Anna.
No, il primo giro non lo ballo mai lungamente.
Salvi.
Perchè forse preferite ciarlarlo lungamente, il primo giro; in questo caso è più fortunato quel cavaliere che potrà chiedervi il secondo. A momenti si incomincia la nostra mazurka.
Barone.
Ah! eccovi qui, contessa: sono ai vostri ordini. Posso?....
(per offrirle il braccio).
Salvi.
Ancora troppo tardi, barone. Contessa, usciamo: ho qualche cosa a dirvi.
Barone.
Ah! questo è un tradimento, contessa.
Salvi.
Dite fatalità, barone (a Collalto). (Avrò bisogno di parlarvi).
Collalto.
(a Salvi). (A’ vostri comandi. Del resto la dichiarazione è fatta, sapete?)
Salvi.
Andiamo a ballare?
Anna.
Dopo questo ballo, tocca a voi, barone.
SCENA VIII.
Barone, Collalto.
Barone.
(a Collalto che s’era incamminato alla porta). Signor Collalto, devo dirvi una cosa.
Collalto.
Un segreto?
Barone.
Sì, devo dirvi che siete un maleducato, signore.
Collalto.
Oh! barone.
Barone.
(con ischerno). Silenzio, è un segreto — che nessuno lo sappia: vien gente.
Collalto.
Vi domando spiegazione.
Barone.
Aspettate un poco.
4.° Signore.
(entrando). Al rialzo o al ribasso?
1.° Signore.
Oh! al ribasso, sempre al ribasso, io sono scettico e pessimista, questo è il mio giuoco.
4.° Signore.
Sta bene, concluderemo l’affare.
(escono per l’altra parte).
Barone.
Dunque siete un maleducato, signorino. Il rubare in una festa la ballerina ad un gentiluomo è la più grave offesa che gli si possa fare, e voi, signore, mi avete offeso rubandomi la contessa e lanciandomi inoltre una ridicola beffa davanti a tutti con quella specie d’epigramma sui primi e sugli ultimi.
Collalto.
Ah! ah! mi somigliate terribilmente ad Otello, barone.
Barone.
Signorino, badate...
Collalto.
Silenzio, vien gente. Ah! ah! Otello, Otello! (esce ridendo).
3.° Signore.
(a braccio della 4.a Dama). Il waltz è per me una magica danza; ha un non so che di turbinoso che mi sale alla testa, e che mi fa provar dolcemente le voluttà dell’annegato, travolto dai vortici del mare.
1.a Dama.
Siete molto esaltato.
3.° Signore.
(col 1.°, presso alla porta). E tu non fai saltar queste dame?
4.° Signore.
No. Si sta per incominciare un whist, preferisco far saltar le carte.
2.a Dama.
(parlando col 4.° signore). La povera fanciulla è morta etica l’altr’ieri, il carnevale l’ha uccisa.
4.° Signore.
Il carnevale, signora, è il simoun d’Europa, anche una forte casa bancaria è fallita l’altr’jeri.
(escono; entrano Anna e Salvi).
SCENA IX.
Salvi, Anna.
Anna.
Sono tutta affannata, ballate come un selvaggio.
Salvi.
Perdonatemi, ma non capisco che si possa ballare come un uomo incivilito.
Anna.
Forse perchè non capite come un uomo incivilito possa ballare. — Se siete così austero! caro Salvi, seguite un mio consiglio e fatevi quacchero.
Salvi.
Grazie, contessa, ma, che volete, ci son tante cose che non capisco! fra le altre, per esempio, c’è quel briciolo di ragnatela quadrata che pende dalle vostre mani.
Anna.
Come! un magnifico fazzoletto in point d’Alençon.
Salvi.
Oh! non ardisco porre in dubbio la sua magnificenza, pure se quello è un fazzoletto, come dite, perchè non v’asciugate con esso il sudore che la mia danza selvaggia vi ha fatto salire alla fronte?
Anna.
Profanazione! a ciò vi ha un batiste che, se si vuole, si tiene qui in un taschino.
Salvi.
Adunque il vostro fazzoletto in point d’Alençon è una mostra vana, una convenzione, un superfluo.
Anna.
V’ingannate; questo pezzo di ragnatela è men superfluo di quello che credete; senza di questo una toelette è compromessa, è perduta. Questo pezzo di ragnatela, signor Salvi, è il nostro punto d’appoggio.
Salvi.
(con ironia). Non si può negare che vi appoggiate sul sodo. Pure cedo umilmente alle vostre dimostrazioni; ho a parlarvi di cose più importanti.
Anna.
Più importanti! impossibile: dite più nojose.
Salvi.
Forse.
Anna.
Se è così, ve ne supplico, parliamo ancora del mio fazzoletto in point d’Aleçon.
Salvi.
Ebbene, permettete che l’osservi. (mentre Enrico osserva attentamente il fazzoletto, passa Matilde col 2.° signore).
Anna.
Non me lo sciupate.
Salvi.
Non temete. — Ecco dunque un punto d’appoggio! non è certo su questo che Archimede avrebbe sollevato il mondo. Ma ciò che non è valso al filosofo è valso alla donna. — Donna, Aracne, ecco il tuo simbolo. Gli è con questo che ti copri le guancie nei momenti del vago rossore. Guai allora per l’uomo che s’intricherà in questi fili. — Contessa, dicono che il signor Collalto vi si sia intricato.
Anna.
Ah! baje: non mutate discorso.
Salvi.
Non lo muto contessa. Ecco dunque la sintesi del genio della donna. — Dietro ai veli d’una candida menzogna cela i misteri d’una men candida verità. — Cos’è un marito per essa? è un bel fazzoletto in point d’Alençon che si tien sempre fra mano per non compromettersi; mentre v’ha qualcos’altro che rassomiglia un po’ troppo a quel tale battiste che, se si vuole, si tiene in un taschino. — Contessa, dicono che teniate in un taschino il signor Collalto.
Anna.
Ah! ah, quello scioccherello che non sa nemmeno fare una dichiarazione.
Salvi.
Eppure.... io credevo che ve l’avesse fatta (facendosi serio). Contessa, ve ne supplico, corron delle voci maligne su di voi.
Anna.
Baje!
Salvi.
Coll’onore non si scherza.
Anna.
(ridendo). Volete un mio consiglio? fatevi quacchero.
Salvi.
(sempre serio). Temete le perfidie del mondo, ve ne prego, temete que’ giovinastri imprudenti come Collalto, que’ vecchi balordi come il barone; sono pericolosi, contessa.
Anna.
(c. s.). Ah! ah! fatevi quacchero.
SCENA X.
Barone.
Contessa, l’orchestra rincomincia, tocca a noi.
Anna.
Sì, tocca a noi, datemi il braccio. Ma vi raccomando, non ballate troppo pateticamente; vostra moglie potrebbe diventarne gelosa.
Barone.
Non temete. Sono severo e forte come una piramide.
Collalto.
(di dentro). Ah! ah! chi è questo? il barone! — avrei giuocato la testa.
Barone.
(brusco). Avreste giuocato di nulla. — Andiamo, contessa?
(barone ed Anna escono).
SCENA XI.
Salvi, Collalto.
Collalto.
Quante vittime! tutti gelosi di me, anche il barone. Questa si chiama gloria. Don Giovanni al paragone non è più che un casto Giuseppe.
Salvi.
A chi parlate?
Collalto.
Oh bella! a chi m’ascolta.
Salvi.
(brusco) Allora siete sicuro di parlar solo.
Collalto.
Ah! ah! caro Salvi, sempre fatto! siete un gran bravo ragazzo; fuori che in materia di conquiste: là, avete le idee ancora un po’ retrograde. — Alcuni giorni fa mi domandavate, parlando della contessa, se ero appena uscito dal collegio; oggi a voi, caro Salvi! la contessa è lì lì per cadere. Ah! ne avrei delle belle a dirvi. (ridendo). Ah! ah! volete che vi racconti la storia del mio amore?
Salvi.
(serio). Tempo fa conoscevo di vista un certo tale che m’aveva l’aria di persona abbastanza educata ed onesta, se non che una volta gli saltò il grillo di raccontarmi un suo libero romanzetto con una signora, che del resto io non conoscevo moltissimo. Non so più se il romanzo avesse stile di menzogna o di verità, ma il fatto si è che, a metà del racconto, io consegnai il mio biglietto a quel signore. — Un giorno dopo quel signore aveva un braccio al collo.
Collalto.
(ridendo). Ah! ah! caro Salvi! sempre allegro; ne sapete di belle voi, mio buon collega!
Salvi.
Ditemi.
Collalto.
Che c’è?
Salvi.
Avete dieci scudi da prestarmi pel whist?
Collalto.
Non dieci, ma venti; ad un vecchio amico come voi!... eccoli (trae la borsa).
Salvi.
No, no.... vi prego: riponete.... scusate, non è questo che volevo.... C’è una vecchia massima che dice: volete liberarvi dagli importuni che vi si chiamano amici? domandate loro del denaro. Di rado la massima falla; questa volta però con mio grande fastidio ha fallato: rimettete la vostra borsa, signore.
(esce, Collalto rimane sbalordito ed esce poco dopo; entrano, il 3.° ed il 4.° signore).
4.° Signore.
Io sto per la Foschi.
2.° Signore.
Ed io per l’altra. Quell’occhio patetico e provocante.... quelle spalle d’alabastro....
4.° Signore.
E nella Foschi quel modo austero pudico.
3.° Signore.
Ma nella contessa, quel brio, quella grazia....
4.° Signore.
La Foschi è una vestale.
3.° Signore.
La contessa d’Acqui una odalisca.
(escono dall’altra porta. Entra Anna a braccio del barone).
SCENA XII.
Anna, Barone.
Anna.
(ridendo). Ove mi trascinate, barone? temete che vostra moglie c’insegua? Coraggio! volete un bicchier d’acqua?
Barone.
Ridete pure, non sapete quanto mi fate soffrire.
Anna.
Dove, povero barone?
Barone.
Dove? al cuore. Questa sera m’avete abbeverato di disinganni. Il bouquet ripudiato.
Anna.
Fu il caso.
Barone.
Ricusati due balli, il terzo interrotto a metà.
Anna.
La stanchezza m’opprimeva.
Barone.
Ma soprattutto quel piccolo signor Collalto ch’io detesto...
Anna.
E che v’ha fatto mai il poverino?
Barone.
E me lo chiedete, traditrice!
Anna.
Badate, vostra moglie potrebbe udire. Avete uno spillo?
Barone.
Eccolo, tiranna. (le porge il suo guancialino).
Anna.
Mi parlate in in stile del secolo passato, barone.
Barone.
Ah! come siete crudele. Ebbene, contessa, sappiatelo....
Anna.
(fingendo sgomento). Vostra moglie!...
SCENA XIII.
Anna, Barone, Collalto poi 2.° Signore, quindi Salvi.
Collalto.
Tutti cercano nelle sale la bella contessa, e la bella contessa si nasconde a tutti come il sole fra la nebbia.
Anna.
Oh! fate dei progressi, signor Collalto.
Barone.
(a Collato). Signore! sarei io per avventura la nebbia?
Collalto.
(senza badargli). I miei progressi son merito vostro, contessa; mi avete dato poco fa una dolce lezione.
Barone.
(impazientito). Signore, sarei io per avventura la nebbia?
Collalto.
Oh! siete molto pertinace nelle vostre idee.
Barone.
Sì, quanto voi nelle vostre offese.
Anna.
Ah! ah! su via pace, pace, signori.
Collalto.
Tentate provocarmi, barone, provocarmi innanzi alla contessa; non lo soffrirò....
Barone.
Signore, badate....
Anna.
(con affettazione). Barone, è qui vostra moglie.
Barone.
(piano con terrore) Dove?.... (s’allontana frettolosamente).
Collalto.
(al barone che esce). Fermatevi.... non si fugge... è fuggito.... vedete, contessa, s’è ritirato; la è una bella storiella da raccontare.
Salvi.
(che avrà udito le ultime parole, serio a Collalto). Non la racconterete.
Collalto.
Oh! l’amico Salvi.
Salvi.
Sapete, mio caro, che avete il bernoccolo dell’impudenza sviluppato sino all’ultimo grado
Collalto.
(affettando disinvoltura). Ah! bah! veramente?
Salvi.
Veramente. Ed è un molto maligno bernoccolo. Ma ciò che più mi meraviglia si è che non abbiate ancora trovato uno che ve lo faccia calare un tantino: la sarebbe da senno un’azione filantropica, perchè vi so dire che un battaglione d’individui col bernoccolo alla vostra maniera basterebbe per compromettere tutte le donne di Lombardia, e non esagero. Sì, potete vantarvi, signor Collalto, d’appartenere ad una fra le razze le più terribili del giorno; quella che, senz’esser capace di torcere un capello ad alcuno, assassina l’onore di tutti.
(Matilde e 2.° signore si presentano sulla porta).
Collalto.
Signore, la mia dignità non....
Salvi.
Eh via, tacete, signore; vi è certa gente che parla della dignità umana come altri del Messico, solo perchè ne ha letto o sentito dire qualcosa.
Collalto.
Contessa, una quadriglia sta per incominciare; vorreste?...
Salvi.
La contessa non balla, rispondo io.
Collalto.
Signor Salvi, v’aspetto nel gabinetto da giuoco.
(esce).
Salvi.
Ci verrò subito.
SCENA XIV.
Conte, Anna, Matilde, Salvi, i quattro Signori, le tre Dame ed altri invitati.
Conte.
(va direttamente ad Anna). Anna cos’è accaduto? entrando ho udito circolar per le sale il vostro nome; qui avviene uno scandalo, rispondete.
Salvi.
Nulla, conte, m’era saltato in capo di dare una lezione a quel signor Collalto.
Conte.
Volevate battervi?
Salvi.
Un po’!
Conte.
E per chi volevate battervi?
Salvi.
Per nessuno.
Conte.
Anna, si dice che il duello fosse per voi.
Salvi.
Che? menzogna! Il duello era per vostra figlia, contessa.
2.° Signore.
Per sua figlia!
1.a 2.a 3.a Dama.
Ha una figlia!....
Anna.
(piano a Salvi). Signore, siete pazzo? mi compromettete.
Salvi.
(piano ad Anna). No, vi salvo l’onore, e siccome non ho ancora smesso l’idea di diventare vostro genero, permetterete che ve lo salvi.
Conte.
Enrico, dimmi, cos’è accaduto?...
Salvi.
Saprai tutto.
Matilde.
(piano a Salvi). Avvocato, siete molto abile nella menzogna, ma temo che non vi serva. Volevate battervi per la contessa: negatelo, se lo potete; una lingua di donna potrebbe nuocervi.
Salvi.
(piano a Matilde). Anche una penna d’avvocato potrebbe nuocervi, signora, se m’irritate.
SCENA XV.
Barone e detti.
Barone.
Al buffet dunque, signori e signore! al buffet!
Salvi.
Venite a prendere una tazza di thé, contessa? (dà il braccio alla contessa).
Conte.
Donna Foschi. (dà il braccio a Matilde)
(escono)
SCENA XVI.
I quattro Signori e due Dame.
2.° Signore.
Amici, signore, volete gli ulteriori chiarimenti intorno a nostra figlia?
1.a Dama.
Dite.
2.° Signore.
È un angelo di bellezza, è una perla di candore, ha sedic’anni.
3.° Signore.
Sedic’anni! Ed io che credevo la contessa così giovine! Chi ve l’ha detto?
2.° Signore.
Donna Foschi. Oh! a proposito, aspettate; volete un’altra notizia recentissima?
1.a e 2.a Dama.
Che? che?
2. Signore.
Donna Foschi s’è separata dal marito.
1.° Signore.
Io che la credevo una signora tanto austera.
2.° Signore.
E suo marito resta senza un quattrino in tasca.
4.° Signore.
Ah! ed io che gli ho prestato 4,000 franchi ieri sera al giuoco.
(ridono).
1.° Signore.
Ah! che noia!
Cala la tela.