Le Allegre Femmine di Windsor/Atto primo
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Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
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le
ALLEGRE FEMMINE
DI WINDSOR
ATTO PRIMO
SCENA I.
Windsor. - Innanzi alla casa di Page.
Entrano il giudice Shallow, Slender e sir(1) Ugo Evans
Shall. Sir Ugo, non vogliate persuadermene; farò di ciò un oggetto per la Camera Stellata: fossero venti i Giovanni Falstaff, non varrebbero a manomettere Roberto Shallow, scudiere (2).
Slen. Giudice di pace nella contea di Glocester e coram.
Shall. Sì, cugino Slender, e cust-alorum (3).
Slen. Anche, anche ratolorum; gentiluomo nato, messer parroco, che si soscrive armigero, in tutti gli atti, biglietti, quietanze, citazioni, obbligazioni o polizze; da per tutto, armigero.
Shall. Si, ciò facciamo; e lo abbiamo fatto sempre in questi trecento anni.
Slen. Tutti i suoi successori, morti prima di lui, lo fecero; tutti i suoi avi che verranno dopo lo faranno: essi possono mostrarvi una dozzina di stemmi sui loro vestiti.
Shall. È un vecchio vestito.
Ev. Una dozzina di armi possono ben spiccare sopra un abito vecchio; bene ad esso ti addicono, e rendono familiare all’uomo l’amore.
Shall. Lo stemma è assai splendido.
Slen. Posso io dividerlo, cugino?
Shall. Lo potete, disposandovi.
Ev. Lo guasterete facendone parte.
Shall. No, no.
Ev. Sì, per la nostra Vergine; s’ei prende un quarto del vostro abito, non ne rimangono che tre lembi a voi, secondo la mia semplice congettura: ma di ciò non si tratta: se sir Giovanni Falstaff ha operato male con voi, io appartengo alla Chiesa, e sarò lieto di impiegare i miei ufficii per farlo venire a una espiazione, a un compromesso.
Shall. La Corte ne udrà parlare; è un vero piato.
Ev. Non conviene che la Corte oda di siffatti piati: non vi è timor di Dio in un litigio: la Corte, vedete, vorrà udire parlare del timor di Dio, e non di una contesa; prendete il vostro partito in ciò.
Shall. Ah! sulla mia vita, s’io fossi giovine ancora, la spada la terminerebbe.
Ev. È meglio che i vostri amici siano la spada, e la compiano per voi: e vi è ancora un altro espediente nel mio cervello gallese, che per avventura potrebbe riparare a grandi cose. Anna Page, figlia di messer Giorgio Page, è un bel fiore di verginità.
Slen. Mistress Anna Page? ella ha i capelli bruni, e parla colla dolcezza della femmina.
Ev. È appunto la persona che vi si addice, se anche la cercaste per tutti gli angoli del mondo. Ella ha settecento monete sonanti d’oro e d’argento: il suo avo (Dio voglia chiamarlo alla beata risurrezione) gliene diede generosamente in punto di morte, perch’ella se le godesse tostochè avesse raggiunti i diciassette anni. Sarebbe dunque una pia risoluzione l’abbandonare i vostri litigi, per trattare un’alleanza matrimoniale fra messer Abramo e mistress Anna Page.
Shall. L’avolo suo le lasciò settecento monete?
Ev. Sì, e il di lei padre le usa con buon profitto.
Shall. Conosco la giovine gentildonna; ella ha stupende doti.
Ev. Settecento monete danno liete speranze.
Shall. Bene; vediamo ora l’onesto messer Page: Falstaff è egli costà?
Ev. Dovrei io dirvi una menzogna? Io disprezzo un bugiardo come un falsario, o come disprezzo un uomo che non è veridico. Il cavalier Giovanni è qui, ed io vi supplico perchè vi lasciate condurre da chi vi vuol bene. Batterò alla porta di messer Page, (batte) Olà! olà! Iddio benedica la vostra casa!
Pag. Chi viene?
Ev. Una benedizione di Dio per la famiglia; è il vostro amico che batte insieme col giudice Shallow. Eccovi il giovine Slender, che per avventura vi conterà in seguito un’altra storia, se l’esordio è di vostro gusto.
Pag. Vi saluto tutti, allegrandomi di vedervi. Messer Shallow, ricevete i miei ringraziamenti per quella selvaggina.
Shall. Messer Page, son ben festoso di vedervi, e molto vi ringrazio del vostro buon cuore. Avrei desiderato che la selvaggina fosse migliore: ma fu male uccisa. Era stata ammazzata contro il diritto delle genti. Come vive la buona mistress Page? Io vi amo molto, e con tutto il mio cuore.
Pag. Signore, vi ringrazio.
Shall. Signore, son io che ringrazio voi; sì, o no, così faccio.
Pag. Vado lieto di vedere anche il buon mister Slender.
Slen. Come sta il vostro can grigio, signore? Udii dire che fu vinto a Cotsale.
Pag. Non può affermarsi, signore.
Slen. Non volete convenirne, non volete convenirne.
Shall. Egli nol vuole: è vostra colpa: quello è un buon cane.
Pag. Ottimo cane, signore.
Shall. Ottimo, e bello: può dirsi di più? Bello, ed ottimo. — È costà sir Giovanni Falstaff?
Pag. Sta dentro, signore; e vorrei poter fare un buon ufficio fra di voi.
Ev. Questo è parlar da cristiano.
Shall. Ei mi ha oltraggiato, messer Page.
Pag. Signore, in qualche modo lo ha confessato.
Shall. Cosa confessata non è riparata; è vero, messer Page? Ei mi ha oltraggiato; lo ha fatto... in una parola, lo ha fatto; credetemelo; Roberto Shallow, scudiere, dice che è oltraggiato.
Pag. S’avanza sir Giovanni. (entrano sir Giovanni Falstaff, Bardolfo, Nim e Pistol)
Fal. Ora, messer Shallow, volete voi portar lagnanza di me al re?
Shall. Cavaliere, avete battuto i miei uomini, uccisa la mia selvaggina, e rotte le porte della mia dimora.
Fal. Ma disonorato non ho la figlia del vostro custode.
Shal. Tacete! a questo ancora sarà risposto.
Fal. Vuo’ rispondervi subito: ho fatto tutto ciò: eccovi ora soddisfatto.
Shall. La Corte lo saprà.
Fal. Meglio sarebbe per voi che lo sapesse un avvocato: ei ne trarrebbe materia di riso.
Ev. Pauca verba, sir Giovanni, buone parole.
Fal. Buone opere, gabbàno nero. — Slender, io vi ruppi la testa; che cosa avete da dire contro di me?
Slen. In verità, signore, ho bastanti ragioni in testa contro di voi, e contro i vostri tagliaborse ribaldi, Bardolfo, Nim e Pistol. Essi mi condussero alla taverna, mi fecero ubbrìacare, poscia mi vuotarono le saccoccie.
Bard. Che dite, formaggio di Bambury?
Slen. Sì, sì, non importa.
Pist. Che dite, Mefistofile?
Slen. Sì, sì, non importa.
Nim. Cattiva fetta, io dico; pauca; pauca; cattiva fetta, io dico.
Slen. Dov’è Simple, il mio uomo? Potreste dirmelo, cugino?
Ev. Pace, ve ne prego! Intendiamoci: vi sono tre arbitri a questo litigio: uno è messer Page, fidelicet, mister Page; poi io stesso, fidelicet, io stesso; il terzo è finalmente la mia ostessa della Giarrettiera.
Pag. Noi tre udremo la disputa, e vi porremo termine.
Ev. Molto bene: io farò nota di essa, nel mio libro dei ricordi; e quindi ci adopreremo intorno alla causa con tutta quella discrezione che potremo.
Fal. Pistol.....
Pist. Ei v’ascolta colle orecchie.
Ev. Il diavolo e la sua dama! Che frase è cotesta? Ascolta colle orecchie? V’è ostentazione.
Fal. Pistol, vuotaste voi le scarselle di mister Slender?
Slen. Sì, per questi guanti! lo fece, e se non è vero, ch’io non rientri mai più nella mia stanza. Sette soldi mi ha preso e due scellini di Eduardo, che valevano almeno due scellini e un denaro.
Fal. È ciò esatto, Pistol?
Ev. No, è inesatto, se è un furto.
Pist. Ah! forestier montano!... Sir Giovanni, e padron mio, dimando il combattimento contro questo codardo. La menzogna sta sulle tue labbra. La sporca e lurida menzogna: vil mummia di spuma e fango, tu menti per la gola.
Slen. Per questi guanti! fu dunque quest’altro.
Nim. Siate cauto, signore, nè svegliate la mia collera: io vi dirò caddi nella trappola, se varcate i limiti del rispetto: è necessario che vel sappiate.
Slen. Per questo cappello! allora quegli dal volto rosso fu il reo: perocchè sebbene io non possa rimembrare ciò che feci, allorchè mi aveste ubbriacato, nondimeno non sono del tutto una bestia.
Fal. Che dite voi, fronte di scarlatto?
Bard. Per mia parte, signore, dico che mercè il vino il gentiluomo era ito fuori delle cinque sentenze di natura.
Ev. Ei voleva dire i cinque sensi: vergogna! quale ignoranza!
Bard. Ed essendo ubbriaco, signore, era, come suol dirsi, colla visiera, e per conchiudere prorompeva ad ogni mala condotta.
Slen. Sì, voi parlavate in latino anche allora; ma non giova; non mi ubbriacherò più finch’io vivo, a meno che non sia in buona compagnia; se m’ubbriacherò, mi ubbriacherò con coloro che temono Iddio, e non con furfanti dannati.
Ev. Come è vero che Iddio mi giudicherà, questa è una virtuosa intenzione.
Fal. Voi udite come egli è smentito, gentiluomini; lo udite.
(entrano mistress Anna Page con un fiasco di vino; mistress Ford e mistress Page la seguono)
Pag. No, figlia, riporta il vino; lo beveremo dentro. (Anna esce)
Slen. Oh cielo! quella è mistress Anna Page!
Pag. Ebbene, come va, mistress Ford?
Fal. Mistress Ford, in verità siete la ben trovata: con vostro permesso, mia buona mistress. (abbracciandola)
Pag. Moglie, dà a questi gentiluomini il ben venuto. — Andiamo: avremo un buon pasticcio di selvaggina da pranzo; andiamo, signori; spero che annegheremo tutte le nostre contese nel vino. (escono tutti tranne Shallow, Slender e Evans).
Slen. Darei quaranta scellini e più per aver qui il mio libro di sonetti e canzoni. (entra Simple) Ebbene, Simple, dove siete stato? Debbo io servirmi da me? lo debbo io? Voi non avete il libro degli indovinelli in saccoccia, non è vero?
Sim. Il libro degli indovinelli! Perchè lo prestaste a Alice Shortcake nell’Ognissanti scorso, quindici giorni prima della festa di san Michele?
Shall. Venite, cugino; venite, non aspettiam che voi. Una parola vosco, cugino; si riferisce ad una proposizione gettata là da sir Ugo..... mi capite?
Slen. Sì, signore, mi troverete ragionevole, se la cosa lo è, e farò quello che vuol la ragione.
Shall. Ma mi intendete?
Slen. Sì, signore.
Ev. Date ascolto alle sue proposte, messer Slender; io ti descriverò la cosa, se avrete capacità per intraprenderla.
Slen. No, io voglio fare come dice mio cugino Shallow: pregovi, perdonatemi; egli è giudice di pace nel suo paese, quantunque sembri un uomo semplice.
Ev. Ma di ciò non si tratta; si tratta del vostro matrimonio.
Shall. Sì, questo è il punto, signore.
Ev. In verità è questo; è proprio il punto che scorre direttamente sino a miss Anna Page.
Slen. Ebbene, se è ciò, io la sposerò a condizioni eque.
Ev. Ma potrete amarla? Fate che lo sappiamo dalla vostra bocca, o dalle vostre labbra, che alcuni filosofi sostengono appartenere alla bocca: ditelo recisamente; potete voi amare quella fanciulla?
Shall. Cugino Abramo Slender, potete amarla?
Slen. Spero di sì, signore; e mi comporterò come si addice a un essere dotato di ragione.
Ev. No, per le beate anime del Cielo! dovete rispondere di quello che è possibile. Credete voi di saper rivolgere verso di lei i vostri desiderii?
Shall. Parlate schietto: volete disposarla con buona dote?
Slen. Farei cose ben maggiori, cugino, purchè s’accordassero colla ragione.
Shall. Ma, intendetemi, intendetemi, mio caro; quel ch’io vi propongo è diretto al vostro bene: potrete amare quella fanciulla?
Slen. La sposerò, signore, a vostra inchiesta; e se non vi sarà grande amore in princìpio, il Cielo potrà farlo decrescere dopo maggior conoscenza, allorchè ci saremo congiunti, e avremo migliori occasioni di favellarci. Io spero che dalla familiarità venga il disprezzo; ma se voi dite, disposatela, io la disposerò; in ciò sono altamente dissoluto.
Ev. La risposta è savia, eccetto che nell’ultima parola: ma e’ volle dire risoluto: avanti; la sua intenzione è buona.
Shall. Sì, io pur credo che mio cugino abbia buone intenzioni.
Slen. Se ciò non fosse, vorrei essere appiccato. (entra Anna Page)
Shall. S’avanza la vaga miss: potessi io esser giovine, per amor vostro, mistress Anna!
Ann. Il pranzo è imbandito; mio padre desidera la compagnia di vossignoria.
Shall. Andrò da lui, vaga mistress Anna.
Ev. Benedetta sia la volontà del Signore! Non vuo’ esser lontano all’azione di grazia. (esce con Shall.)
Ann. Piace a vossignoria di entrare?
Slen. No, vi ringrazio, in verità, di cuore; qui sto assai bene.
Ann. Il pranzo vi aspetta, signore.
Slen. Non sono un affamato, vi ringrazio, in verità. Va, mio valletto, che componi tutto il mio seguito, va e bada a mio cugino Shallow. (esce Simple) Un giudice di pace può qualche volta abbisognare del domestico di un suo amico. Io mantengo tre uomini e un mozzo, finchè mia madre sarà morta; ma nondimeno sto sempre come un povero gentiluomo.
Ann. Non entrerò senza di voi: non vorranno sedere finchè non siate rientrato.
Slen. In fede non mangierò nulla: ma vi ringrazio, come se lo facessi.
Ann. Pregovi, signore, entrate.
Slen.. Passeggerò piuttosto qui, vi ringrazio; mi ammaccai uno stinco l’altro di schermendo con un maestro di spada e pugnale: da quel tempo in poi non mangio che susine cotte. Perchè i vostri cani latrano così? Vi sono orsi nella città?
Ann. Credo che ve ne siano, signore; ne ho udito parlare.
Slen. Amo molto quel sollazzo, e combatterei con uno di essi, come ogni più prode d’Inghilterra. — Voi tremereste vedendo un orso sciolto, non è vero?
Ann. È vero, signore.
Slen. Mi è cibo e bevanda la vostra ingenuità: io ho veduto Sackerson4 sciolto, venti volte, e l’ho preso per la catena: ma vi assicuro che le donne urlavano tanto da non potersi esprimere: invero le donne non possono favorirli, chè e’ sono troppo brutti. (rientra Page)
Pag. Venite, gentile Slender, venite, noi vi aspettiamo.
Slen. Non mangierò nulla, vi ringrazio, signore.
Pag. Pel gallo! non farete il voler vostro; venite, venite.
Slen. No, ve ne prego, andate innanzi.
Pag. Venite.
Slen. Mistress Anna, voi stessa sarete prima.
Ann. Non io, signore. Pregovi, ite voi.
Slen. Affè, ciò non accadrà; non proromperò in tale oltraggio.
Ann. Ve ne prego, signore.
Slen. Sarò piuttosto incivile che impronto. L’insulto procede da voi medesimi.(escono)
SCENA II.
La stessa.
Entrano sir Ugo Evans e Simple.
Ev. Seguite la vostra via, e chiedete della casa del dottor Cajus. Una certa mistress Quickly vive colà, riempiendovi gli ufficii di nudrice, di cuoca, di lavandaia, di guattera e di imbianchitrice.
Sim. Sta bene, signore.
Ev. No, non sta bene ancora: datele questa lettera; perocchè è una donna che conosce mistress Anna Page; e questa lettera tende a porla nelle nostre vedute rispetto al matrimonio che stiamo combinando. Pregovi, siate sollecito; vo’ a finire il mio pranzo; vi sono anche i pomi e il formaggio.(escono)
SCENA III.
Una stanza nell’albergo della Giarrettiera.
Entrano Falstaff, l’Oste, Bardolfo, Nim, Pistol e Robin.
Fal. Oste mio della Giarrettiera.....
Ost. Che dice la mia torre? Parla da scolare e da savio.
Fal. In verità, mio oste, bisogna ch’io licenzi qualcuno dei miei seguaci.
Ost. Cacciali, mio grand’Ercole; cacciali e trottino.
Fal. Sto qui per dieci lire la settimana.
Ost. Tu sei un imperatore. Cesare, Cisara e Sisara; terrò meco Bardolfo: ei caverà vino, e forerà le botti; dico io bene, mio Ettore?
Fal. Fatelo, buon oste.
Ost. Ho parlato; ei può seguirmi. Ti farò vedere spumar la birra e il vino. Son di parola, vien meco. (esce)
Fal. Bardolfo, seguilo; il mestiere dell’oste è buono: con un vecchio mantello si fa una giubba nuova: da uno scudiere decrepito si può trarre un eccellente mozzo: va; e addio.
Bard. È la vita che sempre desiderai, e in essa farò fortuna.(esce)
Pist. Oh vil bezoniano, abbandonerai la spada per il fiasco?
Nim. Suo padre lo generò ubbriaco: non è ben detto? La sua mente non è eroica, e questo scioglie il nodo.
Fal. Vo lieto di essermi così spacciato di quella bomba accesa; i suoi furti erano troppo manifesti: la sua maniera di rubare rassomigliava a quella di un ignorante suonator d’organo, che scorre sui tasti, senza osservar tempo nè misura.
Nim. Il buon senso sta nel saper cogliere il momento.
Pist. I savi chiamano rubare l’appropriarsi le cose altrui: oh! ignominia a tal parola!
Fal. Bene, signori, la mia borsa è vuota.
Pist. Allora falliremo.
Fal. Non v’è rimedio; conviene ricorrere all’astuzia.
Pist. I giovani corvi avran la loro porzione di cibo.
Fal. Chi di voi conosce Ford di questa città?
Pist. Io; ed è un buon uomo.
Fal. Miei onesti garzoni, vuo’ dirvi a che mi trovo ridotto.
Pist. A due canne e più di grossezza.
Fal. No, cessa dalle celie, Pistol; è vero che io son due canne di grossezza; ma di questo non si tratta; ora è quistione d’industria. In breve; io intendo di amoreggiare la moglie di Ford, bramo con lei un colloquio, e credo che abbia buone disposizioni per me. Potrei tradurre tutte le frasi del suo stile; e dal contesto che ne risulterebbe, non se ne caverebbe altro, senonchè: «Io amo sir Giovanni Falstaff».
Pist. Ei l’ha studiata bene e ben tradotta.
Nin. L’ancora è profonda: vi piace il traslato?
Fal. Ora le cronache dicono ch’ella maneggi tutti i denari del consorte, ed abbia una legione di angeli 5 a’ suoi servigi.
Pist. Una legione di diavoli piuttosto! Su, su, alla caccia, mio prode, alla caccia!
Nim. Ecco di che infiammare l’imaginazione più sterile; bene sta: gli angeli mi rallegrano.
Fal. Le ho scritta una lettera che tengo in questa saccoccia; come un’altra ne tengo per la moglie di Page, che dianzi davami buoni sguardi, ed esaminava con molto discernimento tutte le mie parti, qualche volta vibrando l’aureo raggio delle sue pupille sui miei piedi, qualche volta sulla maestà del mio ventre.
Pist. Così splende il sole sovente al disopra de’ letamai!
Nim. Il tuo spirito mi allieta!
Fal. Oh! ella scorreva sul mio esteriore con tale un’avidità che il fuoco de’ suoi occhi, quasi specchio ardente, parea rosolarmi! Ecco una lettera anche per lei; ella pure maneggia il denaro; ella è una regione della Guiana, tutta oro e splendidezza! Vuo’ agguantarle entrambe e farle mie tesoriere: saranno le mie Indie Orientali e Occidentali, e trafficherò con tutte e due. Va, porta tu questa lettera a mistress Page; e tu questa a mistress Ford: ci arricchiremo, garzoni, ci arricchiremo!
Pist. Diverrò io un novello Pandaro da Troia? E ciò mentre cingo una spada? Satana ci investa tutti!
Nim. Il mio spirito non si conforma a basse opere: riprendete la vostra lettera. Manterrò il fiore della mia riputazione!
Fal. Porta tu dunque (a Robin), mio amico, le mie lettere: va, corri, vola verso il loro indirizzo. — Via di qui (agli altri due), inutile servidorame; svanite come fiocchi di neve. Sudate, ansate, lavorate quali bestie per guadagnare una misera vita: Falstaff assume gli spiriti del tempo per far fortuna alla francese: ite, canaglia: io solo, io solo rimango col mio paggio dall’abito ricamato. (esce con Robin)
Pist. Possano gli avoltoi frugarti in gola! I dadi falsi e le false monete ingannano il ricco e il povero! Vuo’ aver testoni in tasca, intantochè tu languirai per un soldo, vil turco frigio!
Nim. Rumino fra me disegni di vendetta.
Pist. Vuoi vendicarti?
Nim. Sì, pel Cielo e la sua stella.
Pist. Colla lingua o col ferro?
Nim. Con tutti e due. — Andrò a rivelare a Ford le intenzioni di Falstaff.
Pist. E così io farò con Page; e gli dirò come il degno cavaliere intenda a rapirgli il denaro, a far gracchiar la sua tortora e a bruttare i suoi talami.
Nin. Non lascierò raffreddare i miei spiriti. Consiglierò a Ford di usar l’arsenico; lo dominerò colla gelosia, arma terrìbile; a questo io intendo assolutamente.
Pist. Tu sei il Marte dei malandrini: ti seconderò; va innanzi.(escono)
SCENA IV.
Una stanza nella casa del dottor Cajus.
Entrano Quickly, Simple e Rugby.
Quick. Giovanni Rugby, te ne prego, avvicinati alla finestra e guarda se viene il mio padrone, il dottor Cajus; se giungesse e trovasse gente in casa l’udreste abusare della pazienza di Dio e del re.
Rug. Corro a vedere. (esce)
Quick. Ricompenserò le tue fatiche, in fede di massaia. Stassera berremo di quel migliore, appena il mio padrone sia coricato. Quello è un buon domestico, servizievole, compiacente e non cianciatore, nè amator di contese: il suo maggior vizio è di aver fede nelle preghiere; in ciò è alquanto contumace, ma molti altri hanno quel difetto; basta di tal cosa. Voi dite che il vostro nome è Pietro Simple?
Sim. Sì, in mancanza di un migliore.
Quick. E messer Slender è vostro padrone?
Sim. Appunto, appunto.
Quick. Non è quegli che porta una gran barba rotonda, foggiata a guisa d’un coltello da guantaio?
Sim. No; ei non ha che pochi peli sul mento, e questi colore della barba di Caino.
Quick. Un uomo alacre, non è così?
Sim. Sì, ed alto, dritto e robusto: ha combattuto contro un guardacaccia.
Quick. Che dite? Oh! me ne rammento. Non tiene sollevata il capo e non è fiero il suo portamento?
Sim. Così è.
Quick. Ebbene, il Cielo non mandi ad Anna Page peggiori fortune! Dite a messer lo parroco Evans che farò quanto posso pel vostro padrone. Anna è una buona fanciulla, e desidero....(rientra Rugby)
Rug. Oimè me! viene il padrone.
(canta; entra il dottor Cajus)
V. VI. — 2 Shaksprare, Teatro completo
Caj. Che cosa cantate? Non amo tanta allegria. Pregovi, andate a prendermi un astuccio verde che sta nel mio gabinetto un astuccio verde, intendete? Dico un astuccio verde.
Quick. Andrò a cercarlo. Ho piacere non vada egli stesso. (a parte) Se avesse trovato il giovine, sarebbe stato un gran sconcio.
Caj. Fe, fe, fe, fe! Ma foi il fait fort chaud. Je m’en vais à la cour,..... la grande affaire.
Quick. È questo, signore?
Caj. Oui; mettez-le dans ma saccoccia; dèpèche..... presto. Dov’è il ribaldo Rugby?
Quick. Giovanni Rugby! Giovanni!
Rug. Eccomi, signore.
Caj. Voi siete Giovanni Rugby, e siete un mariuolo. Venite, prendete la vostra spada e seguitemi alla corte.
Rug. Son pronto, signore.
Caj. In verità, indugio troppo. Ah! che cosa ho io obbliato? Vi sono alcuni semplici nel mio gabinetto che non vorrei lasciare per tutto il mondo. (entra nel gabinetto)
Quick. Oimè! troverà il giovine e impazzirà.
Caj. Oh diable, diable! Che v’è nel mio gabinetto? Infamia! Larron! (cacciando fuori Simple) Rugby, la mia spada.
Quick. Buon padrone, calmatevi.
Caj. Perchè mi calmerei?
Quick. Il giovine è onesto.
Caj. Che fa l’onesto giovine nel mio gabinetto? Nessun giovine onesto sarebbe andato nel mio gabinetto.
Quick. Ve ne supplico non siate così flemmatico; udite la verità. Ei mi recò un messaggio del parroco Ugo.
Caj. Sta bene.
Sim. È vero, è per pregarla di.....
Quick. Tacete, ve ne supplico.
Caj. Tacete voi: voi parlate.
Sim. Per pregare questa onesta gentildonna, onde mettesse una buona parola con mistress Anna Page, pel mio padrone, a fine di matrimonio.
Quick. Di ciò si tratta veramente; ma io non porrò le mie dita nel fuoco per tal bisogna.
Caj. Sir Ugo vi mandò? Rugby, datemi un foglio di carta. Aspettate un poco. (scrive)
Quick. Son contenta che sia sì tranquillo: se fosse rimasta commosso l’avreste veduto agitato dall’ira più violenta. Nondimeno farò pel vostro padrone quello che potrò; questo che vi dico è vero, come vero non era quello che dissi al dottor francese, mio signore. Io posso chiamarlo mio signore, perchè tengo la sua casa; e fo il bucato, asciugo, scopo, cucio, stiro, mendo, detergo in mille guise, fo i letti e ogni altra cosa...
Sim. É un gran carico esser soggetto a qualcuno.
Quick. Voi pure lo sapete? Dunque voi pure lo proverete e sentirete quanto costa lo stare in piedi da mane a sera. Ma nondimeno, ve lo dirò all’orecchio, pregandovi di non ripeterlo, il mio padrone ancora è amante di miss Anna: ma il cuore d’Anna non è nè qui, nè là.
Caj. Voi, ribaldo, darete questa lettera a sir Ugo; pel Cielo: è una sfida: gli taglierò la gola nel parco. Insegnerò a quel sozzo ecclesiastico a non immischiarsi, a non fare... andate: non è bene che vi fermiate qui: pel Cielo! vuo’ polverizzarlo; non rimarrà un minuzzolo di lui. (esce Simple)
Quick. Oimè! ei non parlava che pel suo amico.
Caj. Non importa per cui. Non mi diceste voi che io avrei ottenuta miss Anna Page? Pel Cielo! vuo’ uccidere quel prete montanaro, e ho scelto il mio oste per misurare le nostre armi. Viva Dio! vuo’ Anna Page per me.
Quick. Signore, la fanciulla vi ama e tutto terminerà bene; bisogna lasciare che il mondo cianci.
Caj. Rugby, vieni alla corte. Pel Cielo! se non ottengo Anna, vuo’ chiuder la vostra testa fuori della mia porta. Stammi alle calcagne, Rugby. (esce con Rugby)
Quick. Avrete la testa di un pazzo, e sarà vostra. No, io conosco i pensieri di Anna: niuna donna di Windsor conosce Anna meglio di me, e niuna ha su di lei maggiore impero.
Fent. (al di dentro) Chi è costà? oh!
Quick. Vengo, vengo. Avanzatevi, ve ne prego, (entra Fenton)
Fent. Ebbene, buona donna; come stai?
Quick. Meglio, allorchè piace alla bontà di vossignoria di dimandarmelo.
Fent. Quali novelle? Come vive la vaga miss Anna?
Quick. In verità, signore, ella è vaga, onesta e gentile; e vi è aliante, posso dirvelo, e ne ringrazio il Cielo.
Fent. Avrò buon successo, credi? Non andranno sperdute le mie istanze?
Quick. In verità, signore, tutto dipende dal Cielo. Ma nondimeno, messer Fenton, giurerei sopra un libro, che ella vi ama. Non ha vossignoria un piccol segno al disopra di un occhio?
Fent. Sì, e che perciò?
Quick. È piacevole tal aneddoto; perocchè Anna ne ha uno simile. Ma io detesto che essa è la più onesta fanciulla che mai spezzasse pane. Abbiamo parlato un’ora di quel segno; non mai risi tanto come in compagnia di quella fanciulla. Ma, a dir vero, ella è troppo inchinata alla alicolia: quantunque per voi..... basta.
Fent. Bene; andrò a trovarla oggi: tenete questo danaro: fate ch’io v’abbia favorevole: se la vedete prima di me, raccomandatemele...
Quick. Lo vorrò io? In fede, lo vorrò: e dirò a vossignoria molte altre cose su quel segno e sugli altri di lei amanti, la prima volta che ci vedremo.
Fent. Bene, addio; ora sono molto impaziente. (esce)
Quick. Addio, signore, addio. — In verità, è un onesto gentiluomo; ma Anna non l’ama, che io conosco bene la mente di Anna al par d’ogni altro. Su via, si vada: che ho dimenticato? (esce)