Le Allegre Femmine di Windsor/Atto secondo

Atto secondo

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William Shakespeare - Le Allegre Femmine di Windsor (1600-1601)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto secondo
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ATTO SECONDO


SCENA I.

Dinanzi alla casa di Page.

Entra mistress Page con una lettera.

Miss. Page. Come! sarò sfuggita nei dì della mia bellezza alle lettere degli amanti, ed ora vi andrò soggetta? Vediamo: (legge) «Non mi chiedere per qual ragione io ti ami; perocchè sebbene l’amore si valga della ragione per sua medichessa, ei mai non la vuole a consigliera. Voi non siete giovane; nè tale io sono; è dunque simpatia. Voi siete allegra, e così io; quindi simpatia sempre maggiore. Voi amate il vino, io l’adoro; cerchereste all’amore nesso più sublime? Questo vi basti, mistress Page (e se l’amore di un soldato può appagarvi), io vi amo. Non vuo’ dirvi che mi siate pia; non sarebbe frase da militare: ma vi dirò che mi amiate, perocchè io sono il vostro vero cavaliere, di dì e di notte, o a qualunque altro lume, parato con ogni forza a combatter sempre per voi.

«Giovanni Falstaff».

Qual nuovo Erode di Giudea è cotesto? Oh malvagio, malvagio mondo! Un uomo che sta per cadere a brani dai troppi anni, vuol farla ancora da vezzoso! Qual fallo mio ha imbaldanzito quel libertino a mandarmi tal lettera? Ei non stette tre volte in mia compagnia! Che debbo io dirgli? Io non fui, è vero, avara di allegria, e il Cielo me lo perdoni, ma non diedi ansa a tanta audacia. Vuo’ proporre un bill al Parlamento perchè tutti gli uomini vengano esiliati. Come mi vendicherò di costui? Chè vendicarmi io voglio, così sicuramente quanto è vero che ei non è che un composto di vino e di pietanze. (entra mistress Ford)

Miss. Ford. Mistress Page! Andavo a casa vostra.

Miss. Page. Ed io venivo da voi. Mi sembrate sdegnata.

Miss. Ford. Oh! non mai crederò ciò; ho prove del contrario.

Miss. Page. Veramente! A me almeno parete sdegnata.

Miss. Ford. A voi, sia. Dicovi nondimeno che potrei mostrarvi prove del contrario. Oh! mistress Page, datemi qualche consiglio.

Miss. Page. Che fu, mia amica? [p. 22 modifica]

Miss. Ford. V’è un piccolo ritegno che mi vieta di salire a un grande onore.

Miss. Page. Non attendete alle cose piccole, vicina, e prendete l’onore. Quale è esso? Lasciate gli scrupoli; quale è esso?

Miss. Ford. Se volessi soltanto andar all’inferno, per un momento eterno potrei divenir cavaliera.

Miss. Page. Che? Mentite, sir Alice Ford! Untai cavaliere non sarebbe accettato; e voi perciò non ledereste gli stemmi dei gentiluomini.

Miss. Ford. Ve ne darò prova più limpida del dì. Leggete qui, leggete; vedete come potrei entrare negli ordini della cavalleria. Un tale esempio mi farà pensar male degli uomini pingui, finchè avrò gli occhi. Questi nondimeno sembrava non osar di giurare; lodava la modestia delle donne, e offriva tali apparenze di condotta, che avrei giurato che i suoi sentimenti s’accordassero colle sue parole: ma non hanno insieme alcuna attinenza, e gli uni alle altre non si conformano più che nol facciano i cento salmi al tuono delle maniche verdi1. Qual tempesta ha fatto scoppiare sulla nostra terra di Windsor quella balena che porta tante tonnellate d’olio nel ventre? Come mi vendicherò di lui? Credo che la miglior via sia di sojarlo fino a che l’impuro fuoco della sua libidine lo abbia distrutto. — Udiste mai nulla di simile?

Miss. Page. Lettera per lettera; colla sola differenza che v’è fra il nome di Page e quello di Ford. A vostro gran conforto voi non siete in questo mistero onorata sola della sua cattiva opinione; eccovi un’altra lettera: mala vostra soltanto partecipa ai frutti, perocchè la mia non vi pretende. Vi do fede ch’egli ha un migliaio di tali epistole scritte collo spazio in bianco dei diversi nomi; e queste sono di seconda edizione. Ei le stamperà senza dubbio: poichè ne vuol mettere entrambi sotto i torchi, e gli è indifferente la scelta. Vorrei piuttosto essere una gigantessa, e giacermi sotto il monte Pelia. Ma è più facile il trovare venti tortore lascive che un uomo casto.

Miss. Ford. Davvero, è la stessa mano, le stesse parole. Che pensa ei dunque di noi?

Miss. Page. Non so; ma tal cosa mi farebbe quasi sdegnare colla mia onestà. Vuo’ esaminare me stessa, come cosa sconosciuta; perocchè certo se non avesse veduta in me qualche pecca, che io ignoro, non si sarebbe mai avventurato [p. 23 modifica]

Miss. Ford. Avventurarsì, voi dite? Ma io gli muterò l’avventura in disavventura.

Miss. Page. Così io pure intendo di fare; s’ei si avanza fino a me vuo’ darmi per vinta. Vendichiamoci di lui: assegniamogli un ritrovo; piaggiamolo finchè a forza di speranze lo abbiamo ridotto a dover impegnare i suoi cavalli al nostro oste della Giarrettiera.

Miss. Ford. Sarò con voi in ogni atto, che non contamini la purezza del nostro onore. Oh! se mio marito vedesse questa lettera, essa darebbe pascolo eterno alla sua gelosia.

Miss. Page. Mirate, egli viene; e il mio buon sposo ancora: egli è così alieno dalla gelosia, quanto io sono dal dargliene argomento; e questo segna, io spero, una incommensurabile distanza.

Miss. Ford. Voi siete la più felice delle donne.

Miss. Page. Facciam consulta insieme contro il lurido cavaliere: venite. (escono; entrano Ford, Pistol, Page e Nim)

Ford. Bene, spero che così non sia.

Pist. La speranza è una coda dì cane talvolta: sir Giovanni, abbiate cura di vostra moglie.

Ford. Mia moglie non è più giovine.

Pist. Ei vagheggia le alte e le basse, le ricche e le povere, le giovani e le vecchie, ed ama il vostro pane quotidiano, messer Ford. Siate cauto.

Ford. Ama mia moglie?

Pist. Con tutto il fegato. Prevenitelo, o diverrete simile ad Atteone, che non aveva ai piedi tutti i corni. Odiosa, odiosa!

Ford. Che cosa, amico?

Pist. Tal somiglianza. Addio. Siate prudente prima che l’estate venga, o il cuculo canti. — Andiamo, messer lo corporale Nim. — Credetegli, Page, ei vi dice il vero. (esce)

Ford. Sarò paziente; esaminerò ciò.

Nim. Questo pure è esatto. (a Page) Io non amo la menzogna. Ei mi ha oltraggiato, preso dal suo umore, perchè non volli portar quella lettera: ma ho una spada, ed essa mi provvedere. Egli ama vostra moglie; ecco tutto. Io sono il corporale Nim che parlo il vero. Sono Nim, e Falstaff ama vostra moglie. Addio disprezzo il sapore del pane e del formaggio; quest’è l’umor mio. Addio.

(esce)


Pag. L’umor suo disse! Ei fa entrar l’umore da per tutto.

Ford. Vuo’ cercar di Falstaff.

Page. Non intesi mai più manierato mariuolo. [p. 24 modifica]

Ford. Se ciò verifico bene!.....

Pag. Non crederò a quello zingano, quand’anche il ministro della città cel dichiarasse uom veritiero.

Ford. Era un buon garzone: si vedrà.

(entrano mistress Page e mistress Ford)

Pag. Ebbene, Meg?

Miss. Page. Dove andate, Giorgio? Ascoltate.

Miss. Ford. Dunque, amato Franck? Perchè sei sì melanconico?

Ford. Io melanconico? Non sono melanconico. — Rientrate in casa, andate.

Miss. Ford. In verità, tu hai ora qualche fisima in testa. — Volete venire, mistress Page?

Miss. Page. Vi seguo. — Starete a pranzo, Giorgio! Guardate chi giunge. (a parte a miss Ford,) Ella ne sarà messaggiera allo schifoso cavaliere. (entra mistress Quickly)

Miss. Ford. Credetemi, io pure pensava a lei; ella è acconcia a ciò.

Miss. Page. Voi siete venuta per veder mia figlia Anna?

Quick. Sì, in verità; e, pregovi, come sta la buona miss?

Miss. Page. Andiamo a vederla; parleremo con voi almeno un’ora. (escono le tre donne)

Pag. Ebbene, messer Ford?

Ford. Voi udiste quello che quel furfante mi disse?

Pag. Sì; e voi quello che l’altro mi rivelò?

Ford. Credete ne dicessero il vero?

Pag. Appiccateli i malandrini! Non credo che il cavaliere volesse venirne a tanto: e coloro che lo accusano intendono a vendicarsi della loro cacciata: son ribaldi a cui non si vuol prestar fede.

Ford. Erano essi ai suoi stipendii?

Pag. Erano.

Ford. Non apprezzo meno il loro avviso per ciò. — Abita Falstaff alla Giarrettiera?

Pag. Sì; e se egli intende alla caccia di mia moglie, io la lascierò sciolta dinanzi a lui; ove ottenga qualche cosa di più che aspre parole, vuo’ mi cresca il capo.

Ford. Non ho sospetti sulla mia sposa, ma non vorrei lasciarli insieme. Un marito può aver troppa fiducia: non vuo’ arrischiare il mio capo a nulla: tal cosa non mi appaga.

Pag. Guardate il nostro oste della Giarrettiera, che borbottando si avanza. Egli ha vino in testa, o denaro in borsa quand’è sì allegro. — (entrano l’Oste e Shallow) Ebbene, mio oste? [p. 25 modifica]

Ost. Che v’è di nuovo, che v’è di nuovo? Tu sei un gentiluomo, giudice e cavaliere.

Shall. Seguo il mio oste, io. — Buona sera venti volte, ottimo messer Page! Messer Page, volete venir con noi? Abbiam sollazzi vicini.

Ost. Ditegli quali, giudice cavaliere.

Shall. Signore, vi è una sfida fra sir Ugo parroco gallese, o Cajus dottor di Francia.

Ford. Mio buon oste della Giarrettiera, una parola.

Ost. Che volete, gran re? (si ritirano a parte)

Shall. Volete (a Page) venir con noi a vederla? Il mio allegro oste ha misurate le armi; ed ha, credo, assegnato ai due campioni diversi ritrovi, perocchè, credetemi, udii dire che il parroco non è uomo da beffe. Ascoltatemi, e vi dirò quale sarà il nostro diporto.

Ost. Non hai tu alcuna lagnanza contro il mio cavaliere, il mio ospite cavaliere?

Ford. Alcuna, lo protesto: ma vi darò un fiasco di vin vecchio, se, così per ridere, mi farete stare vicino a lui, e l’assicurerete che il mio nome è Brook.

Ost. Eccoti la mano, signore: tu avrai ingresso e regresso: dico bene? E il tuo nome sarà Brook. È un allegro cavaliere. — Volete venire, bei cuori?

Shall. Siamo con voi, oste.

Page. Ho udito dire che il Francese maneggi la spada da valoroso.

Shall. Zitto, signore, potrei dirvelo più di ogni altro; in questo secolo non si fa che schermire, e tutti sanno le parate e le stoccate. Ma è qui, è qui nel cuore, messer Page, che si debbono drizzar i colpi. Ho veduto i giorni in cui colla mia lunga spada avrei fatti fuggire, come topi, quattro dei vostri più prodi.

Ost. Andiamo, signori, andiamo! Debbo precedervi?

Pag. Siam con voi. — Vorrei piuttosto combattessero colle lingue che colle spade. (esce con l’Oste e Shallow)

Ford. Sebbene Page sia sì confidente, e riposi con tanta insensata sicurezza sulla fragilità di sua moglie, io non ho tutta la sua fidanza. Ella era in sua compagnia a casa di Page; e quel che ivi facesse non so. Bene; esaminerò meglio questa bisogna: e il mio travestimento mi servirà a scrutare Falstaff. Se trovo mia moglie onesta non avrò perduto la fatica; se questo non è, sarà una fatica bene spesa.

(esce)

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SCENA II.

Una stanza nell’albergo della Giarrettiera.

Entrano Falstaff e Pistol.

Fal. Non ti voglio prestare neppure uno scellino.

Pist. Ebbene, riguarderò la terra come un’ostrica, che m’è forza di aprire colla spada. — Nullameno, credetelo, tì avrei risarcito col primo contrabbando.

Fal. Non ti darò un obolo. Volli bene, messere, prestarvi il mio credito perchè trovaste denari; infestai i miei buoni amici onde ottenere tre dilazioni per voi e per Nim, vostro compagno, senza le quali veduti vi si sarebbe farla da giumenti al di là di una inferriata; mi sono perduto per aver giurato ai lórdi, miei intimi, che eravate oneste persone: ho posto innanzi l’onor mio allorchè madama Bridget smarrì il manico del suo ventaglio, onde assicurare che voi non l’avevate preso... e parmi bene che ciò basti.

Pist. Non divideste voi forse ancora il bottino? Non aveste quindici soldi?

Fal. Con ragione, impudente, con ragione. Credi tu ch’io voglia risicare la mia anima gratis? In una parola, cessa di attaccarti a me; io non sono il giubbetto a cui devi restar appeso. — Andate. — Un pugnale e una corda. — Andate al vostro quartiere di Pickt-hatch. — Voi non voleste portarmi una lettera, sciagurato? Allegaste allora l’onore? Via di qui, uomo vile. Voleste serbar intatto il vostro onore? Iniquo! Io, io stesso, obliando qualche volta il Cielo, e coprendo la mia virtù colla necessità, mi sento tentato a commettere qualche mariuoleria: e voi, insolente, coi vostri cenci, col vostro occhio da volpe, coi vostri discorsi da taverna, e le vostre bestemmie che farebbero dirizzare i capelli a un eremita, volete ripararvi sotto le vesti dell’onore? non voleste portar la lettera, voi?

Pist. Me ne pento. Che volete di più da un uomo? (entra Robin)

Rob. Signore, vi è una donna che vorrebbe parlarvi.

Fal., Fate che s’avanzi. (entra mietress Quickly)

Quick. Buon giorno a vossignoria.

Fal. Buon giorno, ottima sposa.

Quick. Non tale, così piaccia a vossignoria.

Fal. Ottima vergine, dunque. [p. 27 modifica]

Quick. Potrei giurarlo; e quale lo era mia madre nella prima ora che mi generò.

Fal. Credo a chi mi giura. Che volete da me?

Quick. Potrei io dire a vossignoria una parola o due?

Fal. Due mila, bella donna: e vi ascolterò con attenzione.

Quick. Vi è mistress Ford, signore..... Pregovi, avvicinatevi di più..... Io abito col dottor Cajus.

Fal. Sta bene, mistress Ford, dunque.....

Quick. Ah! avete ragione. Pregovi, avvicinatevi di più.

Fal. Vi assicuro che nessuno ci ode: colui è del mio seguito.

Quick. Son tutti così? Il Cielo li benedica e li renda suoi servitori!

Fal. Bene, mistress Ford e poi?

Quick. Ah! ella è, signore, un’eccellente creatura. Dio! Dio! — Vossignoria è pur vaga! Il Cielo vi perdoni, e perdoni a noi tutti; io ne lo prego!

Fal. Mistress Ford... Andiamo! mistress Ford...

Quick. Ecco la cosa. Yoi Pavete posta in tale agitazipne che non potrebbe significarsi. il più astuto de’ cortigiani che bazzicano a Windsor non avrebbe saputo commuoverla tanto: e nondimeno abbiamo avuto qui altri cavalieri e lórdi con servi e carrozze, ve ne assicuro, le carozze seguivano le carrozze, le lettere le lettere, i doni i doni, e tutto con profumi da imbalsamare. La seta e l’oro, il musco e le rose vedevansi da ogni parte: poi udivansi discorsi sì lusinghieri, poesie sì eloquenti, e con esse regali di dolci, sì deliziosi da captivare il cuore d’ogni più schiva. Ebbene: essa non volle vibrare un’occhiata per verterli. Io stessa mi son sentita ieri metter venti angeli in mano: ma sfido, come suol dirsi, tutti gli angeli del mondo a conquistarmi in modo che non sia onesto. Ora vi do fede che il più fiero di quei gentiluomini non ottenne mai neppure il favore di leccare la sua sottocoppa allorchè essa libava il tè. E nondimeno erano conti e marchesi e addetti alla corte. Ma tutto ciò incanutisce inutilmente vicino a lei.

Fal. Ma che dice ella a me? Sii breve, mio buon Mercurio femmina.

Quick. Dice che ha ricevuta la vostra lettera, di cui vi ringrazia mille e mille volte; e vi ammonisce che suo marito starà assente da casa dalle dieci alle undici.

Fal. Dalle dieci alle undici!

Quick. Sì, e quindi potrete venir per vedere, ella mi disse, il ritratto che sapete. Messer Ford, suo marito, sarà lontano. [p. 28 modifica]Oimè! la cara donna passa pur male il suo tempo con lui; egli è la gelosia in persona, onde la tapina ne ha crucci perpetui e soggetto di dolori continui.

Fal. Dalle dieci alle undici? Donna, raccomandatemele caldamente. Non mancherò.

Quick. Ben detto. Ma ho un altro messaggio per vossignoria. Mistress Page! offre anch’ella i suoi omaggi, e, per dirvelo all’orecchio è una donna modesta, civile, virtuosa; una donna che non obblierebbe la sua prece della sera per tutto l’oro del mondo. Ora essa pure mi ha incumbenzata di dirvi che suo marito esce di rado di casa; ma nondimeno ella spera che verranno tempi anche per lei più felici. Non mai viddi donna invaghita a tal segno di alcun gentiluomo. Certo io penso che voi abbiate qualche talismano; ditelo veramente.

Fal. No, te ne assicuro: poste a parte le mie buone qualità, io non ho alcun altro talismano.

Quick. Siate dunque benedetto.

Fal. Ma, te ne prego, dimmi: la moglie di Ford e quella di Page si sono confidate il loro scambievole amore?

Quick. Sarebbe una bella celia, in verità! Ma hanno più buon senso, io spero; tal beffa apparirebbe curiosa. Madonna Page desidererebbe che le mandaste il vostro piccolo paggio; suo marito, ella dice, ne è assai desideroso: e messer Page è un uomo onesto. Alcuna donna in Windsor non conduce vita migliore di quella di lei: ella fa ciò che vuole, dice quello che vuole, prende ciò che le piace, paga tutto, va a letto quando ha sonno, sorge quando è desta, ogni cosa corre a suo talento; e in verità lo merita: perchè se vi è donna gentile in Windsor è lei. Dovete mandarlo il vostro paggio; non v’è da esimersene.

Fal. Lo manderò.

Quick. Fatelo. Vedrete bene ch’ei può in seguito divenire messaggiere fra di voi; e ad ogni caso datevi una parola di accordo, onde poter rilevare i sentimenti l’uno dell’altro, senza che il garzone li comprenda; perocchè non è bene che i fanciulli abbiano il male dinanzi agli occhi: solo i vecchi sono discreti o conoscono il mondo.

Fal. Addio: raccomandatemi ad entrambe: eccovi la mia borsa; e resto ancora vostro debitore. — Garzone, va con questa donna. — Queste notizie mi hanno alterata la mente. (escono Quickly e Robin)

Pist. Veggo una flotta apparecchiata pei traffichi di Cupido, che mostra assai buona apparenza. Diamole la caccia; [p. 29 modifica]inseguiamola a forza di vele. Fuoco; ella è nostra preda o lo diverrà dell’oceano.

(esce)


Fal. A questo ne venisti adunque, vecchio Falstaff? Segui la tua via. Vuo’ trar più partito dal tuo vecchio corpo che non dal tuo corpo giovine. Sì, quelle donne volgono in te uno sguardo concupiscente. Or dovrai tu, dopo aver speso tanto danaro, divenir di nuovo dovizioso? Buon corpo, ti ringrazio. Lasciam dire all’invidia ch’egli è fatto grossolanamente; se lo è in modo da dilettare, che importa? (entra Bardolfo)

Bard. Sir Giovanni, v’è un certo messer Brook disotto, che parlerebbe volentieri con voi, e farebbe la vostra conoscenza: egli ha mandato a vossignoria questa mattina un barile di malaga.

Fal. Brook, è il suo nome?

Bard. Sì, signore.

Fal. Chiamatelo; (Bard. esce) tai Brooks2 sono i benvenuti da me, allorchè fluiscono di siffatti liquori. Ah vaga Ford e vaga Page! vi ho prese entrambe? Via, via, coraggio! (rientra Bardolfo con Ford travestito)

Ford. Dio vi salvi, signore.

Fal. E voi anche. Volete parlar meco?

Ford. Fui ardito ad introdurmi con voi con sì poche cerimonie.

Fal. Siete il benvenuto. Che volete? Lasciatene, il mio uomo. (Bard. esce)

Ford. Signore, sono un gentiluomo ed ho speso molto; il mio nome è Brook.

Fal. Ottimo messer Brook, desidero conoscervi di più.

Ford. Buon sir Giovanni, anelo di essere dei vostri: non per divenirvi a carico, perocchè io mi trovo più in condizione di far servigio ad un amico che voi nol possiate essere: e ciò mi rese audace tanto da venirne in tal modo da voi. Dicesi, lo sapete, che la verga d’oro rompe le porte di ferro.

Fal. L’oro è un buon soldato, signore, fa breccia in ogni muro.

Ford. Certo; ed ho qui un sacco di doppie che mi pesa: se volete aiutarmi a portarlo, sir Giovanni, prendetelo tutto o la metà per isgravarmi del & fardello.

Fal. Signore, non so come io possa meritare di divenir vostro facchino.

Ford. Ve lo dirò, se vorrete ascoltarmi.

Fal. Parlate, buon messer Brook, sarò lieto di divenirvi servitore. [p. 30 modifica]

Ford. Signore, odo che siete un uomo istrutto... mi terrò, dunque breve con voi. Da gran tempo io vi conosco, quantunque non avessi mai modo, come ne avevo il desiderio, di farmi da voi conoscere. Quello che sto per dirvi porrà in chiaro le mie imperfezioni: ma, buon sir Giovanni, mentre terrete un occhio sulle mie follie, e ne udrete il racconto, volgete l’altro sulle vostre proprie, onde io possa più facilmente sfuggire a’ rimproveri, avvegnachè niuno meglio di voi conosca quanto facili siano i peccati del genere che sto per dichiararvi.

Fal. Molto bene, signore, continuate.

Ford. V’è una gentildonna in questa città, che ha un marito chiamato Ford.

Fal. Sta bene, signore.

Ford. Da lungo tempo l’ho amata, e vi affermo, che ho spese molto per cagion sua: seguendola con vigile ardore; cercande le occasioni di vederla; mendicando in mille altre guise il piacere di stare con lei; nè contento dei doni che le mandavo, spargendone molti intorno ad essa per aver sempre sue nuove. In breve, l’ho perseguitata come l’amore mi perseguitava; cioè a dire ad ogni istante, in ogni occasione. Ma sebbene io abbia almeno in mente mia, meritata una ricompensa, non ne ho ricevuta alcuna; a meno che per tale non voglia riguardarsi il gioiello dell’esperienza, che ho comprato ad infinito prezzo, e che mi ha insegnato a dire: l’amore come ombra fugge l’oggetto che lo insegue; esso insegue chi lo fugge, e si sottrae a chi gli va dietro.

Fal. Non avete ricevuta alcuna promessa da lei?

Ford. Alcuna.

Fal. L’avete sollecitata a ciò?

Ford. Mai.

Fal. Oh! quale amore era dunque il vostro?

Ford. Simile ad una bella casa fabbricata sul terreno di un altro; talchè ho perduto il mio edifizio, avendo fallito il luogo in cui lo avevo eretto.

Fal. A che proposito mi avete comunicato ciò?

Ford. Quando ve lo avrò detto, vi avrò detto tutto. Alcuni pensavano, che sebbene apparisse, sì onesta a me, sia stata in altre circostanze meno ritrosa. Ora, sir Giovanni, eccovi il fine della mia confidenza. Voi siete un gentiluomo, di eccellente nascita, di ammirabile educazione, di gran talenti, commendabile per la vostra carica, per la vostra persona, per la vostra aria di Corte, per le vostre geste guerriere e le vostre profonde cognizioni. [p. 31 modifica]

Fal. Oh signore!

Ford. Credetelo, e voi ben lo sapete. Eccovi danaro: spendetelo, spendetelo; spendetene di più; spendete tutto quello ch’io ho; soltanto datemi in cambio di esso quel tanto di tempo vostro che occorrerà, per porre assedio all’onestà di questa monna Ford; usate delle vostre arti, vincetela; se v’è un uomo che lo possa fare, siete voi.

Fal. Sarebbe un mezzo di guarirvi dal vostro amore, l’impadronirmi di quella che voi amate? Farmi scegliate rimedi ben strani.

Ford. Oh intendete la mia astuzia! Quella donna fa tanta pompa dei suoi principii d’onore, che la mia folle anima non osava avvicinarsele, ed essa sembrava troppo lucida al mio sguardo; ma se potessi andare a lei con qualche prova in mano, i miei desiderii avrebbero argomento saldissimo per essere apprezzati; e la potrei forzare fra le sue stesse trincee di riputazione, d’onore, di fede coniugale, e di mille altre sue difese, che ora mi paiono troppo forti per essere atterrate. Che dite di ciò, sir Giovanni?

Fal. Messer Brook, profitterò prima arditamente del vostro danaro: poscia datemi la mano; quindi, quant’è vero che sono un gentiluomo, potrete, se vi piace, godere madonna Ford.

Ford. Oh buon signore!

Fal. Messer Brook, vi dico che lo potrete.

Ford. Non risparmiate il danaro, sir Giovanni, nol risparmiate.

Fal. Otterrete madonna Ford, siatene certo. Posso confidarvelo: ho un ritrovo con lei, e questo ad istanza sua. La sua confidente esciva appunto quando voi siete entrato. Contate su di me: debbo essere da lei fra le dieci e le undici, perocchè a quell’ora il maledetto marito gelosissimo sarà fuori. Tornate da me questa sera; saprete come vanno i negozii.

Ford. Son lieto della vostra conoscenza. Conoscete voi Ford, signore?

Fal. Appiccatelo quel miserabile caprone! Nol conosco; nondimeno gli fo torto chiamandolo miserabile. Si dice che il geloso possegga monti d’oro, lo che accresce a cento doppi i pregi di sua moglie. Io userò di lei come di chiave dello scrigno del malandrino; questa sarà la mia messe.

Ford. Vorrei che conosceste Ford, signore, onde poteste evitarlo vedendolo.

Fal. Appiccatelo il dannato usuraio! Vuo’ atterrirlo; vuo’ tenerlo al guinzaglio col mio bastone che sospenderò come meteora fra le corna dell’animale. Messer Brook, vedrete se [p. 32 modifica]manometterò il villano a dovere, e se voi avrete cara della sua donna. Venite da me in prima sera. Ford è un mariuolo, ed io voglìo accrescere i suoi titoli; voi, messer Brook, lo conoscerete per uno scornato furfante. Venite da me al crepuscolo. (esce)

Ford. Vile epicureo, scellerato mostro! Il mio cuore sta per scoppiare dalla collera. — Chi dice che improvvida è la gelosia? Mia moglie ha mandato da costui, l’ora è fermata, l’accordo stretto! Avrebbe alcuno potuto pensarlo? Oimè quale inferno è l’avere una donna mendace! Il mio talamo sarà contaminato, il mio scrigno manomesso, la mia riputazione offesa; ed io debbo non solo sobbarcarmi a tanta infamia, ma udirne anche i nomi abbominevoli, e per bocca di colui che mi fa oltraggio! Oh nomi spaventevoli, in paragone di cui, quelli di Satana, di Lucifero e di Belzebù divengono dolci! Codesti almeno son nomi di demonii, ma gli altri... dai demonii stessi sarebbero ripudiati. Page è un ciuco, sicuramente un ciuco; ei confida in sua moglie, non vuol essere geloso: io vorrei piuttosto affidare il mio burro a un fiammingo, il mio formaggio a un parroco gallese, la mia acquavita a un uomo d’Irlanda, o le mie ricchezze ad un ladro, che la mia sposa a se stessa: perocchè la donna quando è sola medita, trama, mulina, e ciò che concepisce eseguirà, dovesse andarne di mezzo il suo cuore. Sia lodato il Cielo d’avermi reso geloso! Alle undici è il ritrovo; li preverrò, smaschererò mia moglie, mi vendicherò di Falstaff e riderò di Page. Si vada. Meglio tre ore prima che un minuto dopo. Vergogna, vergogna, non cuoprirmi del tuo orribile manto. (esce)

SCENA III.

Il parco di Windsor.

Entrano Cajus e Rugby.

Caj. Giovanni Rugby!

Rug. Signore.

Caj. Che ora è?

Rug. È passata l’ora appuntata da sir Ugo.

Caj. Pel Cielo! ei s’è salvata l’anima non venendo; ha letto bene nella sua bibbia per non venire. Pel Cielo! Rugby, ei sarebbe morto se fosse venuto.

Rug. È savio, signore; immaginò che vossignoria volesse ucciderlo, e non venne. [p. 33 modifica]

Caj. Pel Cielo! dovunque lo trovi l’ucciderò. Prendete la vostra scimitarra, e vi dirò in qual modo voglio ucciderlo.

Rug. Oimè! signore, io non so schermire.

Caj. Vergogna! prendete la vostra scimitarra.

Rug. Aspettate; ecco altre persone. (entrano l’Oste, Shallow, Slender e Page) Ost. Salute al nostro valoroso dottore.

Shall. Siate benedetto, messer Cajus.

Pag. Buon giorno, ottimo dottore.

Slen. Vi saluto, signore.

Caj. A che venite in tre o quattro?

Ost. Per vedervi combattere, parare, assaltare, correr qua e là, dando stoccate, colpi di punta, fendenti interi, botte trasversali. È morto il mio Etiope? è morto il mio Francisco? Che dice il mio Esculapio? il mio Galeno? il mio cuore di roccia? È egli morto, è morto?

Caj. Pel Cielo! quel ministro è il più gran codardo del mondo; ei non ardì mostrare il suo viso.

Ost. Tu sei un re Castigliano, Urinale! Sei Ettore di Grecia!

Caj. Pregovi, siatemi testimonii che l’ho aspettato qui due o tre ore senza ch’egli venga.

Shall. È perchè è più savio, dottore; ei cura le anime come voi i corpi; se combatteste insieme, operereste contro lo spirito delle vostre professioni: non è vero, messer Page?

Pag. Messer Shallow, siete stato voi stesso un gran duellante, sebbene ora uomo di pace.

Shall. Pel Cielo! messer Page, quantunque vecchio e giudice, se veggo una spada, mi corre il solletico alle dita; la rimembranza del passato ci torna sempre eloquente. Dottori, giudici, ecclesiastici, un po’ di sale di gioventù ci rimane sempre; siam i figli delle donne, messer Page.

Pag. È vero, è vero, messer Shallow.

Shall. Sarà sempre così, ottimo Page. Dottor Cajus, son venuto per condurvi a casa: son giudice di pace. Voi vi siete mostrato un savio medico, come sir Ugo un dotto e paziente ecclesiastico: dovete venir con me, dottore.

Ost. Col permesso della giustizia... una parola, messer Muck-Water3.

Caj. Muck-Water! che vuol dire?

Ost. Vuol dire valoroso. [p. 34 modifica]

Caj. Pel Cielo! allora ho in me più Muck-Water che non l’inglese. Vile scarafaggio! vuo’ tagliargli le orecchie.

Ost. Ei vi farà andare al diavolo.

Caj. Che dite?

Ost. Che farà ammenda.

Caj. Pel creato! la farà certo; io la voglio.

Ost. E lo provocherò ad essa o l’abbandonerò a se medesimo.

Caj. Vi ringrazio.

Ost. E di più... miei ospiti (a parte agli altri) traversate la città e andate a Frogmore.

Caj. Sir Ugo è egli là?

Ost. Si: vedete di qual umore è; ed io vi condurrò pei campi il dottore; farà ciò bene?

Shall. Sì, sì.

Pag. Shall. e Slen. Addio, addio, ottimo dottore. (escono)

Caj. Pel Cielo! vuo’ uccidere l’ecclesiastico, che mi vorrebbe soppiantare con Miss Page.

Ost. Ch’ei muoia: ma prima disperdi la tua impazienza; spandi acqua fresca sulla tua collera: vieni con me pei prati fino a Frogmore; vuo’ condurti dov’è Miss Anna ad una festa campestre; ivi l’amoreggierai. È bello il giuoco?

Caj. Pel Cielo! te ne ringrazio: pel Cielo! ti amo e ti troverò buoni ospiti; conti, lórdi, gentiluomini e cavalieri, miei pazienti.

Ost. Del che io ti sarò avversario con Anna4; dico bene?

Caj. Ottimamente.

Ost. Andiamo dunque.

Caj. Venitemi dietro, Giovanni Rugby. (escono)




Note

  1. Canzone.
  2. Che in inglese significa ruscello.
  3. Che significa cerretano.
  4. L’oste, come si è già veduto, abusa dell’ignoranza del medico della lingua inglese, parlandogli.