Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Lisetta e Moschino.

Lisetta. Moschino, la padrona...

Moschino.   Qual padrona?
Lisetta.   La moglie:
Quella che più di tutti comanda in queste soglie.
Vuol che subitamente andiate alla cucina,
E le portiate un brodo.
Moschino.   Ha preso medicina?
Lisetta. Pigliò la medicina che di pigliare è usata.
In letto ogni mattina si bee la cioccolata
Con cinque o sei biscotti, e prima di pranzare.
Altre tre volte almeno è solita mangiare.
E mangia bene a pranzo, e mangia meglio a cena,
E ha di galanterie la tasca ognor ripiena.

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Ora per aiutare, cred’io, la digestione,

Vuole che le si porti un brodo di cappone.
Moschino. Anderò a prepararlo.
Lisetta.   Portatelo prestino.
Sapete che servita vuol essere appuntino.
Ella colla sua flemma suole annoiar la gente,
E poi nell’aspettare suol essere impaziente.
Moschino. Quante caricature ha mai questa signora!
È una cosa ridicola; ed il padron l’adora.
Lisetta. Siccome è nata nobile, ed ei non è gran cosa,
Gli par non esser degno d’averla per isposa.
Moschino. E lascia ch’ella faccia quel che le pare e piace;
Venga chi sa venire, ei lo sopporta e tace.
Lisetta. Anzi ha piacer che sia servita e corteggiata,
Ma la povera donna in questo è corbellata.
Par che abbia all’apparenza cinquanta cicisbei,
Ma quelli che qui vengono, non vengono per lei.
Moschino. Lo so; per donna Barbara vengono tutti quanti,
Chi per la sua bellezza, e chi per li contanti.
Nessuno si dichiara; ciascuno ha soggezione,
Temendo di scoprire l’occulta inclinazione.
Lisetta. Eh, non passerà molto che si verrà a scoprire...
Basta, io so un certo fatto, ma non lo posso dire.
Moschino. Ditelo a me, Lisetta. Sapete ch’io non parlo.
Lisetta. Lo direi, ma non posso; giurai non palesarlo.
Moschino. Pazienza. Lo conosco io quest’occulto amante?
Lisetta. Lo conoscete certo.
Moschino.   È il cavalier Ferrante?
Lisetta. Oibò.
Moschino.   Il signor Fabrizio?
Lisetta.   Nemmeno.
Moschino.   Il signor Conte?
Lisetta. Qual Conte?
Moschino.   Il conte Orazio?
Lisetta.   No.

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Moschino.   Quel di Chiaramonte?

Lisetta. Eh per l’appunto!
Moschino.   Aspetta. I Conti sono tre.
Sarà quel d’Altomare, l’ho ritrovato affè.
Lisetta. Via, va a prendere il brodo.
Moschino.   L’ho trovato, Lisetta?
Lisetta. Va a riscaldare il brodo, che la padrona aspetta.
Moschino. Vado: il Conte alla giovine spiegò il suo sentimento?
Lisetta. Non sono una pettegola; non rompo il giuramento.
Moschino. Brava, del giuramento dei sostener l’impegno.
Senza che altro mi dica, sono arrivato al segno.
(parte)

SCENA II.

Lisetta, poi donna Petronilla.

Lisetta. Povera me! l’ho fatta. Ma io che cosa ho detto?

Moschino ha concepito un semplice sospetto.
Io non ho detto nulla. Rimorso non mi sento
D’aver per questa parte violato il giuramento.
È ver ch’io non doveva vantarmi di sapere.
Ma in certe congiunture difficile è il tacere.
Spero che al scoprimento si leverà ogni ostacolo;
Se ho da tacere un pezzo, se non crepo, è un miracolo.
Parmi che a questa volta sen venga la padrona,
Presto, presto, allestiamole la solita poltrona.
Se non la trova in pronto, colla sua melodia
Va dietro fin a sera a dirmi villania.
Eccola per l’appunto.
Petronilla.   Lisetta.
Lisetta.   Mia signora.
Petronilla. Ho domandato il brodo, e non si vede ancora.
Lisetta. Or or lo porteranno.
Petronilla.   Or or lo porteranno!
Che casa maladetta! non san quel che si fanno.

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Lisetta. Signora, io non ho colpa...

Petronilla.   A te non dico niente.
Sempre mi vuol rispondere codesta impertinente.
Lisetta. Ma perchè mi mortifica?
Petronilla.   Vi hanno mortificato?
Spiumacciate il guanciale.
Lisetta.   Eccolo spiumacciato.
(torna a scuotere il guanciale)
Petronilla. Seder comodamente certo è una cosa buona.
Mi piace estremamente il letto e la poltrona. (siede)
Lisetta. Ma perdoni, signora, la troppa libertà;
Se non farà del moto, si pregiudicherà.
Petronilla. Oh, del moto ne faccio. Tre o quattro volte al dì
Vado nella mia camera, e poi ritorno qui.
Fuori di casa a piedi non mi conviene andare.
Lisetta. Perchè non va più spesso a farsi scarrozzare?
Petronilla. Oibò! con questi sassi la vita si rovina.
Mi faccio volentieri condurre in portantina.
Lisetta. Non so com’ella faccia, signora, in verità.
Così senza far moto, mangiar com’ella fa.
Petronilla. Ed io mi maraviglio di voi, sì in mia coscienza.
Che ardite di parlarmi con questa impertinenza.
Lisetta. Perdoni; io lo dicea...
Petronilla.   Chetatevi, insolente.
Guardate in anticamera. Mi par di sentir gente.
Lisetta. (In certe congiunture il sangue mi si scalda.
Non le dovrei badare, ma non posso star salda).

(da sè, e parte)

SCENA III.

Donna Petronilla, poi Lisetta.

Petronilla. Sanno ch’io son flemmatica; vedon la mia bontà.

Onde tutti costoro si prendon libertà.
E non vien questo brodo; e non si vede alcuno.

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Ed io non posso stare col stomaco digiuno.

Saran due ore e più che ho preso il cioccolato,
E a ristorarmi spesso lo stomaco ho avvezzato.
Lisetta. È il padrone, signora, che prima di uscir fuore
Vorrebbe riverirla.
Petronilla.   Venga; mi fa favore.
Lisetta. (Non credo che si veda fuori di queste soglie
Far tanti complimenti fra il marito e la moglie).
Petronilla. E questo maladetto brodo viene o non viene?
Lisetta. Subito, sì signora.
Petronilla.   Ma ho da soffrir gran pene!
Lisetta. (Si vede che a patire non è mai stata avvezza.
Sofistica la rende la troppa morbidezza).
(da sè, e parte)

SCENA IV.

Donna Petronilla, poi don Policarpio.

Petronilla. Per dirla, mio consorte mi ha sempre rispettata.

Si è sempre ricordato che nobile son nata.
Quando può star con me, si gode e si consola,
Ma dica quel che vuole, mi piace dormir sola.
Policarpio. Servo, signora moglie.
Petronilla.   Serva, signor marito.
Policarpio. Come passò la notte?
Petronilla.   Benissimo ho dormito.
Policarpio. Quando si dorme bene, segno è di sanità.
Con lei me ne consolo.
Petronilla.   Grazie alla sua bontà.
Policarpio. Che vuol dir? così sola?
Petronilla.   Non è venuto ancora
A favorir nessuno.
Policarpio.   Veramente è a buon’ora.
Petronilla. E voi sì presto uscite?
Policarpio.   Volea... ma non mi preme.
Giacchè non vi è nessuno, discorreremo insieme.

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Petronilla. Avrò piacer; sedete.

Policarpio.   Degli interessi miei (siede)
Poco tempo mi resta da ragionar con lei.
Il dì vi è sempre gente, la notte non mi vuole.
L’ora non so trovare di dir quattro parole.
Petronilla. Quando mi vuol parlare, difficile non è;
O io verrò da lei, o lei verrà da me.
Comanda qualche cosa?
Policarpio.   L’ora è un poco avanzata.
Non voglio incomodarla.
Petronilla.   Le son bene obbligata.
Policarpio. Ora qui son venuto per una cosa sola:
Per favellare un poco di questa mia figliuola.
Barbara è da marito; e se le par, signora,
Vedrem di collocarla.
Petronilla.   Eh no, vi è tempo ancora.
Policarpio. Dice bene, vi è tempo.
Petronilla.   Prima di maritarla.
Prima di darle stato, convien meglio educarla.
Si vede chiaramente la trista educazione,
Che diedele una madre di bassa condizione.
E sciocca, non sa nulla; d’ogni buon garbo è spoglia.
Trovar non isperate un cane che la voglia.
Policarpio. Eppure qualcheduno l’ha fatta domandare.
Petronilla. Gente l’avrà richiesta dell’ordine volgare:
O qualche vagabondo, oppur qualche spiantato.
Che sol della sua dote si sarà innamorato.
Signor don Policarpio, so che vossignoria
Vorrà, prima di farlo, l’approvazione mia.
Policarpio. Oh, cosa dice mai! non moverò una spilla,
Senza comunicarlo a donna Petronilla.
Petronilla. D’istruir vostra figlia io prenderò l’impegno,
Ma vi vorran dieci anni pria di ridurla a segno.
Policarpio. Dieci anni? sarà vecchia.
Petronilla.   Esporla non conviene

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Senza un merito al mondo. (con un poco di caldo)

Policarpio.   Ha ragion; dice bene.
Petronilla. Quando poi non voleste che fosse maritata
Con un di basso rango, come sua madre è nata.
Ma dopo che una dama venuta è in queste soglie,
D’un cavaliere anch’essa potria divenir moglie.
E a voi la vostra figlia dev’essere obbligata,
Veggendo la sua casa per me nobilitata.
Policarpio. Con trentamila scudi e il vostro parentato
Si potrà per mia figlia trovare un titolato.
Ma un di quei titolati che ha stabili e danari,
Non di quei che hanno feudi nei spazi immaginari.
Petronilla. Come sarebbe a dire il conte d’Altomare.
Policarpio. Un Conte che non conta. Non gliela voglio dare.
Di trentamila scudi la dote è comodissima.
Poi, se non ho altri figli, un dì sarà ricchissima.
Petronilla. Con una moglie al fianco voi ne averete un dì.
Policarpio. Credo sarà difficile, fin che farem così.

SCENA V.

Moschino che porta il brodo, e detti.

Petronilla. Ti sei fatto aspettare, asino malcreato.

(a Meschino, placidamente)
Moschino. Ho sempre in questa casa da essere strapazzato?
Petronilla. Sentite come parla? (a don Policarpio)
Policarpio.   Taci; non si risponde, (a Moschino)
Petronilla. La servitù di casa per me non si confonde.
Che fai che non ti muovi? (a Moschino)
Moschino.   Son qui per obbedirla.
Petronilla. Costui non sa far nulla. (a don Policarpio)
Policarpio.   Farò io, per servirla.
Dammi quella salvietta.
(prende la salvietta di mano a Moschino e la stende dinanzi a donna Petronilla.)

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Petronilla. Grazie, consorte mio.

Moschino. (Le presenta la tazza.)
Petronilla. Gli puzzano le mani.
(a don Policarpio, parlando di Moschino)
Policarpio.   Da’ qui, che farò io.
Petronilla. Il brodo veramente mi par più saporito,
Quando sì gentilmente mel dà il signor marito.
(va bevendo il brodo a sorsi, levando e rimettendo la tazza nel tondo tenuto in mano da don Policarpio.)
Policarpio. Quando servirla io posso, internamente io godo.
Ma da me non vuol altro che una tazza di brodo.
Petronilla. Caro don Policarpio! che cosa ho da volere?
Policarpio. Se qualche volta almeno...
Petronilla.   Picchiano; va a vedere.
(a Moschino, che parte)

SCENA VI.

Donna Petronilla, don Policarpio, poi Moschino che torna.

Policarpio. Cara la mia sposina, dopo che vi ho pigliata,

Oh, è passata pur male.
Petronilla.   Ahi! mi sono scottata.
Policarpio. Il brodo è troppo caldo.
Petronilla.   Sia maladetto il cuoco.
Policarpio. Vedrò io col cucchiaro di raffreddarlo un poco.
(va col cucchiaro scuotendo il brodo per raffreddarlo)
Moschino. Signora, è il signor Duca che vorrebbe inchinarla.
Petronilla. Venga pure, è padrone.
Moschino.   (E il marito non parla).
(da sè, e parte)

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SCENA VII.

Donna Petronilla, don Policarpio, poi il Duca di Belfiore.

Policarpio. Chi è questo signor Duca? (mescolando il brodo)

Petronilla.   È il duca di Belfiore,
Un cavaiier gentile che ha un bellissimo cuore,
Che ha per me della stima.
Policarpio.   Vuole il brodo, signora?
(mezzo arrabbiato)
Petronilla. Non vedete che fuma? mescolatelo ancora.
Policarpio. Bene, come comanda. (seguita a mescolare)
Duca.   Signora, a voi m’inchino.
Petronilla. Serva.
Policarpio.   Servo divoto.
Petronilla.   Da sedere al Duchino.
Policarpio. Chi è di là? (chiamando)
Petronilla.   Maladetti! non sanno i dover suoi.
Policarpio. Servitori, una sedia. (chiamando)
Petronilla.   Portategliela voi. (a don Policarpio)
Duca. No, farò io...
Petronilla.   Fermatevi; (al Duca) favorite, signore.
(leva la tazza di mano a don Policarpio)
Mi farà la finezza il duca di Belfiore.
(presenta il tondo colla tazza ed il cucchiaro al Duca)
Policarpio. Perchè a lui quest’incomodo? (a donna Petronilla)
Duca.   Servirla è mio dovere.
(mescolando il brodo)
Policarpio. Ehi, Moschino. (chiamando)
Moschino.   Comandi.
Policarpio.   Portagli da sedere.
(Meschino dà da sedere al Duca, e parte)
Duca. Par che sia raffreddato.
Policarpio.   Anch’io lo crederei.
(vuol prender la tazza)

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Petronilla. Mi favorisce il Duca. (a don Policarpio)

Policarpio.   Quello che piace a lei. (siede)
Petronilla. Ora non si può bere, ch’è troppo raffreddato.
Policarpio. Ma! vuol tutto a suo modo.
Petronilla.   Oh, mi avete seccato.
Policarpio. Non parlo più.
Petronilla.   Chiamate. (a don Policarpio)
Policarpio.   Vuol forse riscaldarlo?
Petronilla. E se io lo volessi?
Policarpio.   Comandi pur, non parlo.
Ehi! (chiamando)
Petronilla.   Nessuno risponde; di già ne sono avvezza.
Caro signor consorte, mi faccia una finezza:
Vada con questa tazza ad ordinare al cuoco,
Che dentro a un pentolino me lo riscaldi un poco.
Policarpio. Qualcheduno verrà.
Petronilla.   Se ella non fa il piacere,
Pria di due ore almeno non lo potremo avere.
Sdegna di favorirmi?
Policarpio.   Subito me ne vo.
Ma quando anch’io la prego, non mi dica di no.
(parte)

SCENA VIII.

Donna Petronilla e il Duca.

Petronilla. È poi compiacentissimo. Non è egli ver, Duchino?

Duca. Fa il suo dover.
Petronilla.   Sì certo; mi vuol ben, poverino.
Tutto quel ch’io desidero, mi accorda e mi concede.
Duca. (Donna Barbara ancora comparir non si vede). (da sè)
Petronilla. State ben, signor Duca?
Duca.   Bene per obbedirvi.
Petronilla. Volete che giochiamo? Vorrei pur divertirvi.
Duca. Facciamo una partita, se comandate.

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Petronilla.   A che?

Duca. All’ombre.
Petronilla.   All’ombre in due?
Duca.   Si può giocar in tre.
Petronilla. Bene, aspettiamo il terzo.
Duca.   Il terzo noi l’abbiamo.
Chiamate donna Barbara, e principiar possiamo.
So che sa giocar bene.
Petronilla.   Oibò, non sa niente.
Duca. Perdonate, signora, gioca perfettamente.
Petronilla. Dunque, per quel ch’io sento, voi la stimate assai.
Non vorrei, signor Duca, ci fossero dei guai.
Quando una sciocca simile voi d’apprezzar mostrate,
Veggovi del mistero, e sospettar mi fate.
Duca. Non può la mia condotta rendervi alcun sospetto,
Tralasciam di giocare.
Petronilla.   Possiam fare un picchetto.
Duca. Tutto quel che vi piace.
Petronilla.   Chi è di là? vi è nessuno?

SCENA IX.

Il Cavalier Ferrante e detti.

Cavaliere. Servirò io, Madama, se non risponde alcuno.

Petronilla. Oh Cavalier, venite. Ora che siamo in tre,
Possiam giocare all’ombre.
Cavaliere.   S’ha da giocar? perchè?
La sera e la mattina sentesi in ogni loco
Nelle conversazioni a intavolar il gioco;
Par che divertimento migliore non vi sia,
E il gioco non è altro che una malinconia.
Io non la so capire che compiacenza è questa,
Star colle carte in mano a rompersi la testa;
E gridar col compagno, e fare il sangue verde,
E maledir chi vince, e corbellar chi perde.

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Questo è piacer? piacere è andare in compagnia

Ora ad una locanda, ed ora a un’osteria.
Far preparar talvolta la cena ad un casino,
Far che serva da cuoco l’oste del Pellegrino.
E ridere, burlare, e bere una bottiglia
Di vin di Fontignac, di liquor di vainiglia.
Petronilla. Il Cavaliere è fatto secondo il genio mio.
Quando si mangia e beve, sempre ci sono anch’io.
E voi, Duca?
Duca.   Per dirla, io non ci son portato.
Ma fo quel che fan gli altri.
Cavaliere.   Il Duca è innamorato.
E chi lo vuol vedere, il Duca eccolo lì
Vicino ad una dama a far ci ci ci ci.
Duca. (Quanto è sciocco, s’ei crede che ami la maritata!)
(da sè)
Petronilla. Cavalier, favorite.
(invitandolo a sedere dall’altra parte, presso di lei)
Cavaliere.   Eh! se siete occupata.
(Mi preme donna Barbara. Quella è la gioia mia).
(da sè)
Petronilla. (Povero Cavaliere! Del Duca ha gelosia). (da sè)
Via, Cavalier, sedete. Vi stimo tutti due.
Saprò usar a ciascuno le convenienze sue.
Duca. (lo per me la dispenso).
Cavaliere.   (Poco di lei mi preme).
Petronilla. Non potran favorirmi due cavalieri insieme?
Duca. Non vo’ altrui dispiacere.
Cavaliere.   Torto non fo all’amico.
Petronilla. (Con questi due gelosi sono in un brutto intrico).
Cavaliere. Oggi, per quel ch’io vedo, siete impiegata bene.
Duca. Ma se vi cedo il posto...
Cavaliere.   So quel che mi conviene.
Veggo là donna Barbara. Signora, favorite.
Siete desiderata. (verso la scena)

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Petronilla.   Cavalier, cosa dite?

Cavaliere. Perdonate, signora, io non offendo alcuno;
Siamo due galantuomini: una dama per uno.
Duca. La chiamate per me? (al Cavaliere)
Cavaliere.   Per voi? per me la chiamo.
Petronilla. (Vuol di me vendicarsi). (da sè)
Duca.   (Che sappiasi ch’io l’amo?)
(da sè)

SCENA X.

Donna Barbara e detti.

Barbara. Eccomi. Chi mi vuole?

Petronilla.   Credete ai labbri suoi?
Andate, donna Barbara, si burlano di voi.
Barbara. Si burlano di me?
Cavaliere.   Non signora; al contrario.
Duca. Chi ardisse di burlarvi, sarebbe un temerario.
Petronilla. E pur per un pretesto vi han fatto venir qua.
Barbara. Mi burlano, signori? ci ho gusto in verità.
Di già me lo figuro, perchè mi avran chiamato.
(con allegria)
Colla signora madre alcun sarà sdegnato.
Dovrei per un di loro servir di comodino.
Ecco quanto poss’io sperar dal mio destino.
Son qui, non me ne offendo. Ci sto placidamente.
Dice il proverbio: è meglio qualche cosa che niente.
Petronilla. Si può sentir di peggio? Figliuola, in verità,
Voi le studiate apposta queste bestialità.
Signori, compatitela; non sa più di così.
Cavaliere. (Eh, ne sa quanto basta).
Duca.   (So che il cuor mi rapì).
Barbara. Dirò delle sciocchezze, e lascierò burlarmi.
Di già, voi lo sapete, non penso a maritarmi.
E se non mi marito, intisichir dovrò?
Che burlino, che scherzino, ed io li goderò, (siede)

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Petronilla. È un po’ troppo il coraggio.

Barbara.   Per me così l’intendo.
Cavaliere. (Non vi perdete d’animo). (sedendo presso donna Barbara)
Duca.   (Signora, io vi difendo).
(sedendo presso donna Barbara)
Petronilla. Si accomodin, signori, (al Duca ed al Cavaliere con ironia)
Cavaliere.   Io faccio il mio dovere.
Lascio al Duca il suo posto.
Duca.   Lo cedo al Cavaliere.
Petronilla. Dunque per uno sdegno, per una idea sì pazza,
Por volete in ridicolo la povera ragazza?
Donna Barbara, andate.
Barbara.   Eh no, signora mia.
Non lo fan per disprezzo, lo fan per allegria.
Se una vera finezza sperar non mi conviene,
Lasciatemi godere questo poco di bene.
Petronilla. Vi farà un bel concetto questo costume ardito!
Barbara. Nè anche perciò, signora, non perderò il marito.
Duca. E pur lo meritate.
Cavaliere.   Eppure ad ogni patto
Prendere lo dovrete.
Barbara.   Eh, quel ch’è fatto, è fatto.
Petronilla. (Ora con queste smorfie mi sdegnerei sul sodo.
Sono un poco annoiata). Ehi, non è caldo il brodo?
(verso la scena)

SCENA XI.

Moschino e detti.

Moschino. Signora....

Petronilla.   Questo brodo non me lo von più dare?
Moschino. Vorrebbe riverirla il conte d’Altomare.
Barbara. (Eccolo. Affè, ci siamo).
Petronilla.   (Che vuol questo sguaiato?)
Ma!... ditegli che passi. (A tempo è capitato).
(Moschino parte)

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Duca. Cavalier, perchè state da lei così discosto?

(accennando donna Petronilla)
Cavaliere. Duca, perchè lasciate d’andare al vostro posto?
(accennando donna Petronilla)
Petronilla. No, no, non ho bisogno della lor compagnia.
(Ora li voglio fare morir di gelosia). (da sè)

SCENA XII.

Il Conte d’Altomare e detti.

Conte. Servo di lor signori.

Petronilla.   Conte, vi riverisco.
Conte. (Donna Barbara! come! fra quei due? non capisco).
(da sè)
Barbara. (Dissimular conviene, per non scoprir l’arcano). (da sè)
Conte. (Temo l’indifferenza di sostenere invano). (da sè)
Come, signori miei? si fa conversazione,
E donna Petronilla si lascia in un cantone?
Cavaliere. Questo appartiene al Duca.
Duca.   S’aspetta al Cavaliere.
Petronilla. Presso di donna Barbara han piacer di sedere.
Barbara. Certo questi signori di me si prendon gioco.
Domandatelo a lei. (al Conte)
Conte.   (Ah, mi s’accende il foco).
Petronilla. Conte, alfin lo confesso, e sostener m’impegno,
Che voi siete di tutti il cavalier più degno.
So che vi feci un torto dando la preferenza
A chi mi ha guadagnato coll’arte e l’insistenza.
Conosco or più che mai le vostre qualità,
Venero il vostro sangue, la vostra nobiltà;
E se di me vi cale, come vi calse in prima,
Vi protesto, signore, venerazione e stima.
Non offerisco amori; tanto non si concede
A femmina onorata che altrui giurò la fede.

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Ma se dell’amicizia pago di me sarete,

Ad esclusion d’ogn’altro, mio cavalier voi siete.
Cavaliere. Amico, io vi compiango. (al Duca)
Duca.   Duolmi del dolor vostro.
(al Cavaliere)
Barbara. (Se l’accettasse il Conte, sarebbe il caso nostro).
Conte. Signora, io lo confesso, son di tal grazia indegno.
Tardi voi mi offerite un sì onorato impegno.
Dal regno di Sicilia partire ho risoluto,
E sono il mio congedo a prendere venuto.
Petronilla. Favorir mi potrete fino che qui restate,
E il posto sarà vostro ancor quando tornate.
Conte. (Ah, non ho cuor di fingere).
(da sè, guardando donna Barbara)
Petronilla.   Cosa vuol dir, signore?
Guardate donna Barbara? forse vi sta nel cuore?
Barbara. Se per me il signor Conte avesse inclinazione,
Direi che ho già fissata la mia risoluzione.
Sia forza di destino, sia genio o sia virtù,
Quello ch’è fatto, è fatto, non mi marito più.
A un cavalier prudente, a un cavalier accorto,
Le grazie di Madama ponno esser di conforto;
E se dubbioso ancora a me rivolta il ciglio,
Ad accettar l’impegno l’esorto e lo consiglio.
Petronilla. (Dunque costei non l’ama). (da sè)
Conte.   (Comprendo il suo concetto).
(da sè)
Petronilla. Conte, che risolvete?
Conte.   Le vostre grazie accetto.
Duca. Mi rallegro, signora. (a donna Petronilla)
Cavaliere.   Viva, signora mia.
(a donna Petronilla)
Petronilla. (Lo so, che ci patiscono. Parlan per ironia). (da sè)
Spero che così presto da noi non partirete. (al Conte)
Conte. Parto dopo domani.

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Petronilla.   Per me non resterete?

Conte. Un affar mi sollecita.
Barbara.   Conte, perdon vi chiedo.
Ai colpi di fortuna sì ingrato io non vi credo.
Vi offre una congiuntura da voi desiderata,
E voi ricuserete la sorte inaspettata?
Se avete vera stima per chi vi parla e prega,
Se conoscete il bene, la grazia non si nega.
Petronilla. (Non credo donna Barbara per me tanto impegnata;
Dubito ch’ella sia del Duca innamorata). (da sè)
Conte. Signora mia, conosco la grazia che mi fate.
Resterò a’ cenni vostri, per fin che comandate.
(a donna Petronilla)
Barbara. (Resterà il caro sposo per compiacere a me). (da sè)
Petronilla. (Sono in qualche sospetto. Li voglio tutti tre). (da sè)
Duca. Ora son fuor d’impegno. (a donna Petronilla)
Cavaliere.   Ora vedervi io godo
Favorita dal Conte. (a donna Petronilla)

SCENA XIII.

Don Policarpio col brodo, e detti.

Policarpio.   Ecco, signora, il brodo.

Conte. Servo a don Policarpio.
Policarpio.   Signor Conte garbato.
La riverisco tanto. Non l’aveva osservato.
Petronilla. Chi è che mi favorisce? (volendo bere il brodo)
Policarpio.   Che? non ci sono io?
Conte. Compatisca, signore, questo è l’obbligo mio.
(gli leva la tazza di mano)
Policarpio. Ha una gran confidenza!
Barbara.   Non sapete niente?
Di donna Petronilla è il cavalier servente.
(a don Policarpio)

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Petronilla. Udite? che si cangi per or non vi è pericolo;

(a don Policarpio)
Ecco, questi signori la mettono in ridicolo.
L’hanno chiamata apposta, e fin sugli occhi miei
Fingendo di lodarla si burlano di lei.
Duca. Signor, non son capace.
Cavaliere.   Signor, così non è.
Petronilla, Che impertinenza è questa? una mentita a me?
Policarpio. A lei una mentita, ch’è il fior di nobiltà?
E voi, sciocca, ignorante, andate via di qua.
Se cervel, se giudizio col tempo non farete.
Tutti vi burleranno, e in casa invecchierete.
Barbara. È vero, io lo confesso, non ho quel gran talento
Che ha la signora madre, ma pure io mi contento.
Dite ben, signor padre, non mi mariterò:
Pazienza, io mi contento di star come ch’io sto.
Se vogliono burlarmi, mi burlino così,
E chi sarà il burlato, noi vederemo un dì. (parte)
Petronilla. Non sa dir che sciocchezze.
Policarpio.   Non ha un grano di sale.
Conte. (S’ingannano di molto, e la conoscon male), (da sè)
Duca. Un cavalier d’onore, signor, nel vostro tetto
Venir non è capace a perdervi il rispetto.
(a don Policarpio)
Cavaliere. Io non uso, signore, tal costumanza ardita.
(a don Policarpio)
Petronilla. Oh via, signori miei, facciamo una partita.
Se il Cavalier non gioca, faremo un ombre in tre.
Il Conte ed il Duchino favoriran con me.
Conte. Perdonate, signora, s’ora non mi trattengo.
Vado per un affare, presto mi spiccio e vengo. (parte)
Petronilla. Via, signor Cavaliere, meco sia compiacente.
Cavaliere. Sono aspettato in piazza. Servitor riverente. (parte)
Petronilla. Dunque col signor Duca giocheremo a picchetto.
Duca. Trattenermi non posso. Le umilio il mio rispetto. (parte)

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Petronilla. Tutti mi lascian sola?

Policarpio.   Son qui, signora sposa.
Di già che siamo soli, farem noi qualche cosa.
Petronilla. Cosa vorreste fare?
Policarpio.   Io mi rimetto in lei.
Petronilla. Di già voi lo sapete quai sono i piacer miei.
Solo tre cose al mondo mi dan soddisfazione:
Il mangiare, il dormire e la conversazione.
Per la conversazione sarete persuaso,
Caro don Policarpio, che voi non siete al caso.
Per mangiare a quest’ora voi non vi dilettate,
E per dormir non serve ci siate o non ci siate. (parte)
Policarpio. Adunque non son io, per quello che a lei pare,
Nè buono da dormire, ne buono da vegliare.
Questa signora moglie, che mi ha costato tanto,
Per compiacer lo sposo per verità è un incanto.
Ho speso quel che ho speso. Vanno i quattrini a volo.
E poi che cosa faccio? Mi tocca a dormir solo. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.


Note