La secchia rapita (1930)/Canto terzo
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CANTO TERZO
ARGOMENTO
Venere accende a l’armi il re de’ Sardi.
Ragunano lor forze i Gemignani:
s’uniscono co ’l Potta i tre stendardi,
Tedeschi, Cremonesi e Parmigiani.
Passa il re con piú popoli gagliardi
l’alpi, e discende a guerreggiar ne’ piani:
e ’l Potta il campo contra quei dal Sipa
del Panaro tragitta a l’altra ripa.
1
Era tranquillo il mar, sereno il cielo,
taceva l’onda, e riposava il vento;
e ingemmata di fior, sparsa di gielo,
l’alba sorgea dal liquido elemento,
e squarciava a la notte il fosco velo
stellato di celeste e vivo argento;
quando la dea con amorose larve
ad Enzio re nel fin del sonno apparve.
2
E ’n lui mirando: — O generoso figlio
di Federico, onor de l’armi, disse,
l’italiche cittá vanno a scompiglio,
tornansi a incrudelir l’antiche risse:
Modana sovra l’altre è in gran periglio,
che fida sempre al sacro Imperio visse:
e tu qui dormi in mezzo ’l mar nascoso?
Déstati, e prendi l’armi, uom neghittoso.
3
Va’ in aiuto de’ tuoi, ché t’apparecchia
nuova fortuna il ciel non preveduta:
tu salverai quella famosa secchia
che con tanto valor fia combattuta,
che giornata campal nuova né vecchia
non sará stata mai la piú temuta:
Modana vincerá, ma con fatica;
e tu entrerai ne la cittá nemica.
4
Quivi d’una donzella acceso il core
ti fia, la piú gentil di questa etade;
che sí t’infiammerá d’occulto ardore,
che ti fará languir di sua beltade:
al fin godrai del suo felice amore,
e ’l nobil seme tuo quella cittade
reggerá poscia, e riputato fia
la gloria e lo splendor di Lombardia. —
5
Qui sparve il sonno e s’involò repente
da le luci del re la dea d’amore:
ei mirò le finestre, e in oriente
biancheggiar vide il mattutino albore;
chiese tosto i vestiti, e impaziente
si lanciò de le piume; e tratta fuore
la spada ch’avea dietro al capezzale,
menò un colpo e ferí su l’orinale.
6
Quel fe’ tre balzi, e in cento pezzi rotto
cadde con la coperta cremesina:
con lunga riga fuor sparsa di botto
per la stanza del re corse l’orina.
Fe’ intanto un paggio de la guardia motto,
ch’era giunto un corrier da la marina
col segno de l’Imperio e la patente,
onde fu fatto entrar subitamente.
7
Scrivea da Spira Federico al figlio,
che subito mandasse armi in difesa
di Modana, che posta era in periglio
per nuova guerra in quelle parti accesa.
Letta la carta, il re prese consiglio
d’andar egli in persona a quell’impresa:
e tosto armò d’amici e di vassalli
sovra ’l lito pisan fanti e cavalli.
8
A Modana fra tanto era arrivato
l’aviso, che giá ’l conte di Nebrona
con seicento cavalli avea passato
l’alpi, e s’unía con l’armi di Cremona.
Questi da Federico era mandato,
non potendo venir egli in persona:
gran baron de l’Imperio, e lancia rotta,
e nemico mortal de l’acqua cotta.
9
Da l’altra parte era venuta nuova
ch’in armi si mettea tutta Romagna:
onde deliberâr d’uscir di cova
i Modanesi armati a la campagna,
e far di sé qualche onorata prova
col soccorso d’Italia e d’Alemagna.
Lasciâr le feste; e tutte le lor posse
furon da varie parti a un tempo mosse,
10
con ordin che dovesse il giorno sesto
al prato de’ Grassoni esser ridotta
da i capi lor tutta la gente a sesto,
e l’insegna aspettar quivi del Potta.
Musa, tu che scrivesti in un digesto
que’ nomi eccelsi e le lor prove allotta,
dammene or copia acciò che nel mio canto
i pronepoti lor n’odano il vanto.
11
Il prato de’ Grassoni a destra mano
dal ponte del Panaro era distante
quanto un arco potria tirar lontano;
e quivi ognun dovea fermar le piante.
Chi dal monte, il dí sesto, e chi dal piano
dispiegò le bandiere in un istante;
e ’l primo ch’apparisse a la campagna
fu il conte de la rocca di Culagna.
12
Quest’era un cavalier bravo e galante,
filosofo, poeta e bacchettone;
ch’era fuor de’ perigli un Sacripante,
ma ne’ perigli un pezzo di polmone.
Spesso ammazzato avea qualche gigante,
e si scopriva poi ch’era un cappone;
onde i fanciulli dietro, di lontano,
gli soleano gridar: — Viva Martano. —
13
Avea ducento scrocchi in una schiera,
mangiati da la fame e pidocchiosi;
ma egli dicea ch’eran duo mila, e ch’era
una falange d’uomini famosi:
dipinto avea un pavon ne la bandiera
con ricami di seta e d’ôr pomposi;
l’armatura d’argento, e molto adorna;
e in testa un gran cimier di piume e corna.
14
Fu Irneo di Montecuccoli il secondo,
figliolo del signor di Montalbano;
giovane disdegnoso e furibondo,
e di lingua e di cor pronto e di mano;
a carte e a dadi avría giucato il mondo,
e bestemmiava Dio com’un marrano:
buon compagno nel resto e senza pecche,
distruggitor de le castagne secche.
15
Settecento soldati ei conducea
da le terre del padre e de’ parenti;
ne lo stendardo un Mongibello avea,
che vomitava al ciel faville ardenti.
L’onor de la famiglia di Rodea,
Attolino il seguía con le sue genti,
a cui l’imperator de’ regni greci
cinta la spada avea con altri dieci.
16
Da Rodea, da Magreda e Castelvecchio
conduceva costui trecento fanti
con sí leggiadro e nobile apparecchio,
che parean tutti cavalieri erranti:
su ’l cimier per impresa avea uno specchio
cinto di piume ignote e stravaganti.
E dopo lui, fu vista una bandiera
su gli argini venir de la riviera.
17
Le ville de la Motta e del Cavezzo,
Camposanto, Solara e Malcantone
quivi raccolto avean la feccia e ’l lezzo
d’ogni omicida rio, d’ogni ladrone;
quel clima par da fiera stella avezzo
a morire o di forca o di prigione:
fûr cinquecento, usati al caldo, al gielo,
a l’incuba foresta, al nudo cielo.
18
Da Camillo del Forno eran guidati,
uom temerario e sprezzator di morte;
di semplice vermiglio avea segnati
il suo stendardo e l’armatura forte:
non portava cimier né fregi aurati,
né divisa o color d’alcuna sorte,
fuor che vermiglio; e sovra la sua gente
con nera e folta barba era eminente.
19
La gente che solcar soleva l’onda
e or solca il letto del gran fiume estinto,
e quella dove cade e si profonda
il Panáro diviso e ’n dietro spinto,
lasciâr le barche e i remi in su la sponda
e mosse da guerrier nobile instinto,
quivi s’appresentâr con lance e spiedi,
cento a cavalli e novecento a piedi.
20
Per capitani avean due schiericati,
l’arciprete Guidoni e ’l frate Bravi;
che dianzi per ribelli ambo cacciati
avean con una man d’uomini pravi
la Stellata e ’l Bonden poscia occupati,
e ’l transito al Final chiuso a le navi.
Or rimessi venían con queste schiere,
in abito di guerra, in armi nere.
21
Alderan Cimicelli e Grazio Monte
seguian dopo costoro a mano a mano:
la Staggia l’uno e la Verdeta ha pronte,
quei di Roncaglia ha l’altro e di Panzano.
Il destrier che portò Bellorofonte
giá in alto, Grazio, e un argano Alderano
ne le bandiere lor spiegano al vento:
e i soldati fra tutti eran secento.
22
San Felice, Midolla e Camurana,
secento a piedi e ottanta erano in sella;
Nerazio Bianchi e Tomasin Fontana
gli conduceano a la tenzon novella.
Tomasin per insegna avea una rana
armata con la spada e la rotella:
Nerazio, che reggea quei da cavallo,
avea una mezza luna in campo giallo.
23
S’armò dopo costor quella riviera
che da Bomporto a la Bastia si stende:
povera gente, ma superba e altera,
che ’n terra e ’n acqua a provecchiarsi attende.
Fûr quattrocento: e ne la lor bandiera,
che di vermiglio e d’ôr tutta risplende,
ritratto avea un gonfietto da pallone
Bagarotto figliol di Rarabone.
24
Il sagace Claretto era con esso,
ch’acceso di dogna Anna di Granata
giunt’era tutt’afflitto il giorno stesso,
che un genovese gli l’avea rubata.
Gli ne fu dato a Parma indizio espresso,
che l’avrebbe a Bomporto ritrovata:
ma quivi giunto ne perdé i vestigi,
e bestemmiò sessanta frati bigi.
25
Entrò ne l’osteria per rinfrescarsi;
e ritrovò che Bagarotto a sorte
raccogliea quivi i suoi soldati sparsi,
e d’armi intorno cinte eran le porte.
Corsero l’uno e l’altro ad abbracciarsi;
ch’erano stati amici a la gran Corte,
e l’uno e l’altro le speranze grame
avean lasciate ai morti de la fame.
26
Narrò Claretto del suo nuovo ardore
la lunga scena e gl’intricati effetti;
con quanti scherni in varie forme Amore
giá tutti i suoi rivali avea negletti;
e com’or ei perdea per piú dolore
la donna sua nel colmo de’ diletti.
Sorrise Bagarotto, e disse: — Frate,
tu sciorini ogni dí nuove scappate.
27
Vieni meco a la guerra, e lascia andare
cotesti amori tuoi da scioperato:
la fama non s’acquista a vagheggiare
un viso di bertuccia immascherato. —
Claretto non istette a replicare,
ché gli venne desio d’esser soldato;
prese una picca, e si scordò di bere:
ma ricordiamci noi de l’altre schiere.
28
Cittanova spiegâr, Fredo e Cognento,
Piramo e Tisbe morti a piè del moro:
esser potean costor da quattrocento,
e ’l furiero Manzol fu il duca loro;
giovane d’alto e nobile talento,
a cui cedean l’agilitá e ’l decoro
nel ballar la nizzarda e la canaria
e nel tagliar le capriole in aria.
29
Quasi a un tempo arrivâr da un altro lato
Villavara, Albereto e Navicelli:
eran trecento e conduceagli al prato
il fiero zoppo d’Ugolin Novelli.
Dipinto ha ne l’insegna un ciel turbato
che piove sovra un campo di baccelli.
Indi venían, tra lor correndo a gara,
quei del Corleto e quei di Bazzovara:
30
Corleto emulator di Grevalcore,
Ch’Augusto nominò dal cor giocondo
quel dí che fu d’Antonio vincitore,
onde poscia con lui divise il mondo:
e Bazzovara or campo di sudore,
che fu d’armi e d’amor campo fecondo;
lá dove il Labadin, persona accorta,
fe’ il beverone a la sua vacca morta.
31
Eran guidati dal dottor Masello,
ch’avea lasciato i libri a la ventura,
e s’era armato che parea un Marcello,
con la giubba a l’antica e l’armatura:
portava per impresa un ravanello
con la sementa d’ôr grande e matura:
e dietro a lui venían quei di Rubiera
e di Marzaglia, armati in una schiera.
32
Bertoldo Grillenzon li conducea,
gran giucator di spada e lottatore:
ne la bandiera un materasso avea,
che sdrucito spargea la lana fuore.
Questa schiera de l’altra esser potea,
se non uguale, almen poco maggiore;
giugneano a punto al numero di mille
gli armati abitator di quattro ville.
33
Galvan Castaldi e Franceschin Murano
l’insegne di Portile e del Montale
e le di Cadiana e di Mugnano
uniro a l’osteria de le due scale.
Trecento con le ronche avea Galvano;
l’altro di picche avea numero eguale:
l’impresa di Galvano è una stadera;
Francescano ha una gazza bianca e nera.
34
Ecco Alberto Boschetti in sella armato,
conte di San Cesario e di Bazzano;
ch’avendo poco pria quindi cacciato
il presidio nemico e ’l capitano,
s’era fatto signor di quello stato
col valor de la fronte e de la mano:
ed or, di questi e d’altri suoi vassalli,
per forza armati avea cento cavalli.
35
Pomposo viene, e ne lo scudo porta
a onor di san Lorenzo una gradella;
la lancia in mano, e al fianco avea la storta
tutta la schiera sua leggiadra e bella.
Una volpe che fa la gatta morta
spiegano Collegara e Corticella,
che Bernardo Calori avea condotte,
trecento o poco piú tagliaricotte.
36
Due figli avea Rangon d’alto valore,
Gherardo il forte e Giacopin l’astuto:
Gherardo che d’etade era il maggiore
e ’n piú sublime grado era venuto,
de le genti paterne avea l’onore
e ’l governo al fratel quivi ceduto;
ond’egli se ’n venía portando altero
una conchiglia d’ôr sovra il cimiero.
37
Spilamberto, Vignola e Savignano,
Castelnuovo e Campiglio in assemblea,
Ceiano e Guia, Montorsolo e Marano,
con quei di Malatigna armati avea.
Cento a caval con le zagaglie in mano
e mille fanti arcieri ei conducea,
ch’avean con agli e porri e cipollette
avvelenati i ferri a le saette.
38
Mentre questi giugnean dal destro lato,
giá dal sinistro in capo era venuto
di Prendiparte Pichi il figlio armato
col fior de la Mirandola in aiuto.
Fu Galeotto il giovane nomato,
per tutta Italia allor noto e temuto;
e cento cavalier carchi di maglia
sotto l’impresa avea d’una tenaglia.
39
Campogaiano poscia e San Martino
mandaron cinquecento a la pedestre,
ch’aveano per insegna un Saracino,
e armati eran di ronche e di balestre.
Mauro Ruberti ne tenea il domíno,
sovrastante maggior de le minestre;
vo’ dir che de le bocche avea la taglia,
e dovea compartir la vittovaglia.
40
Zaccaria Tosabecchi allor reggea
di Carpi il freno, uom vecchio e podagroso,
a cui l’etá il vigor scemato avea,
ma non lo spirto altero e bellicoso.
Una figlia al morir gli succedea
che ’l conte di Solera avea per sposo,
zerbin de la contrada e falimbello,
di Manfredi cugin, detto Leonello.
41
Venne al vecchio desío d’esser quel giorno
in campo, e armò pedoni e cavalieri;
e una lettiga fe’ senza soggiorno,
che portavano a man quattro staffieri:
laminata di ferro era d’intorno,
e si potea assettar su due destrieri:
una tal poscia forte a maraviglia,
ne fece il contestabil di Castiglia;
42
e in Borgogna l’usò contra i moschetti
del bellicoso re de’ fieri Galli.
Zaccaria venne con ducento eletti,
parte asini col fren, parte cavalli;
ma i pedoni a tardar furon costretti,
che ’l conte, che dovea tutti guidalli,
lasciò il suocero andar per la piú corta,
e restò con la sposa a far la torta.
43
Zaccaria, che si vide abbandonato
dal genero, partí subito i fanti;
e quattrocento al cavalier Brusato,
e a Guido Coccapan dienne altrettanti.
Il cavalier un elefante alato
ha ne l’insegna: e Guido ha due giganti
che giocano a le noci: il vecchio ha un gatto
che insidia un topo e stassi quatto quatto.
44
Quelli poi di Formigine e Fiorano,
dove nascono fichi in copia grande,
sono trecento, e Uberto Petrezzano
gli guida e ne l’insegna un orco spande.
Baiamonte con lui di Livizzano
quasi a un tempo arrivò con le sue bande:
ducento fûr con partigiane in spalla;
e la bandiera avean turchina e gialla.
45
Appresso d’Uguccion di Castelvetro
l’insegna apparve, ch’era un cardo bianco.
Trecento balestrier le tenean dietro,
ch’avean bolzoni e mazzafrusti al fianco.
Da Gorzan, Maranello e da Ceretro
de’ famosi Grisolfi il buon Lanfranco
tratti avea cinquecento in una schiera,
e portava un frullon ne la bandiera;
46
onde la Crusca poi gli mosse lite,
che fu rimessa al tribunal remano.
Con l’impresa d’un pero e d’una vite,
Stefano e Ghin de’ conti di Fogliano
avean con l’armi foglianese unite
quelle di Montezibio e di Varano,
ch’eran ducento ottanta martorelli,
unti e bisunti, che parean porcelli.
47
Ma dove lascio di Sassol la gente
che suol de l’uve far nettare a Giove,
lá dove è il dí piú bello e piú lucente,
lá dove il ciel tutte le grazie piove?
quella terra d’amor, di gloria ardente,
madre di ciò ch’è piú pregiato altrove,
mandò cento cavalli, e intorno a mille
fanti raccolti da sue amene ville.
48
Roldano de la Rosa è il duca loro,
ch’un tempo guerreggiando in Palestina
contra ’l campo d’Egitto e contra ’l Moro,
fe’ del sangue pagan strage e ruina:
sparsa di rose e di fiammelle d’oro
avea l’insegna azzurra e purpurina;
e dietro a lui venía poco lontano
Folco Cesio signor di Pompeiano;
49
Pompeiano ove suol l’aura amorosa
struggere il giel di que’ nevosi monti:
Gommola e Palaveggio a la famosa
donna del seggio lor chinan le fronti.
Sotto l’insegna avea d’una spinosa
Folco raccolti de’ piú arditi e pronti
trecento, che su zoccoli ferrati
se ne venían di chiaverine armati.
50
E quel ch’era mirabile a vedere,
cinquanta donne lor con gli archi in mano
avezze al bosco a saettar le fiere,
e a colpir da vicino e da lontano,
succinte in gonna e faretrate arciere,
calavano con lor dal monte al piano;
e la chioma bizzarra e ad arte incolta
ondeggiando su ’l tergo iva disciolta.
51
Bruno di Cervarola avea il domino
di quella terra e del vicin paese
di Moran, del Pigneto e di Saltino;
uom vago di litigi e di contese.
Con ducento suoi sgherri entrò in cammino,
subito che de l’armi il suono intese;
e perch’era un cervel fatto a capriccio,
portava per impresa un pagliariccio.
52
Di Bianca Pagliarola innamorato,
fatte avea giá per lei prove diverse;
e a lei, che gli arse il cor duro e gelato,
sempre di sue vittorie il premio offerse:
or, additando il suo pensier celato,
un pagliariccio in campo bianco aperse,
ch’in mezzo un telo avea fatto di maglia,
e mostrava nel cor la bianca paglia.
53
Appresso gli venía Mombarranzone
col suo signor Ranier, che di Pregnano
reggea la nuova gente e ’l gonfalone
che mandato gli avea Castellarano:
cinquanta con le natiche in arcione,
e quattrocento gían battendo il piano
con le scarpe sdruscite e senza suola:
la loro insegna è un bufalo che vola.
54
Brandola, Ligurciano e Moncereto
conduceva Scardin Capodibue,
ch’un diavolo stizzato in un canneto
dipinto avea ne le bandiere sue.
Col cimiero di lauro e mirto e aneto
il signor di Pazzan dietro gli fue,
che pretendea gran vena in poesia,
né il meschin s’accorgea ch’era pazzia.
55
Alessio era il suo nome; e ’n sesta rima
composto avea l’amor di Drusiana:
nel resto fu baron di molta stima:
e seco avea Farneda e Montagnana.
Questa gente contata con la prima,
non era da giostrare a la quintana:
eran da cinquecento ferraguti,
di rampiconi armati e pali acuti.
56
Di Veriga e Bison l’insegna al vento,
ch’era in campo azzurrino un sanguinaccio,
spiega Pancin Grassetti, e quattrocento
fanti conduce a suon di campanaccio:
ma piú di questi ne mandaron cento
Montombraro, Festato e ’l Gainaccio,
con l’impresa d’un asino su un pero:
e Artimedor Masetti è il condottiero.
57
Taddeo Sertorio, di Castel d’Aiano
conte e fratel di Monaca la bella,
conducea Montetortore e Misano,
dove fu la gran fuga, e la Rosella,
con archi e spiedi porcherecci in mano,
spiegando in campo bianco una padella:
trecento fûr che quelle vie ronchiose
con le piante premean dure e callose.
58
Seguiva di Monforte e di Montese,
Montespecchio e Trentin poscia l’insegna:
Gualtier figliuol di Paganel Cortese
l’avea dipinta d’una porca pregna:
fûr quattrocento; e parte al tergo appese
accétte avean da far nel bosco legna;
parte forconi in spalla; e parte mazze
e pelli d’orso in cambio di corazze.
59
Il conte di Miceno era un signore,
fratel del Potta, a Modana venuto,
dove invaghí sí ognun del suo valore
che a viva forza poi fu ritenuto:
non avea la milizia uom di piú core,
né piú bravo di lui né piú temuto:
corseggiò un tempo il mar, poscia fu duce
in Francia; e nominato era Voluce.
60
Gli donò la cittá, per ritenerlo,
Miceno, Monfestin, Salto e Trignano,
e Ranocchio e Lavacchio e Montemerlo,
Sassomolato, Riva e Disenzano:
un san Giorgio parea proprio a vederlo,
armato a piè con una picca in mano;
con ottocento fanti al campo venne,
con armi bianche e un gran cimier di penne.
61
Panfilo Sassi e Niccolò Adelardi
co’ Frignanesi lor seguiro appresso,
di concerto spiegando i due stendardi
di Sestola e Fanano a un tempo stesso.
L’uno ha tre monti in aria, e ’l motto, tardi;
l’altro, nel mar dipinto un arcipresso:
con l’uno è Sassorosso, Olina e Acquaro;
Roccascaglia con l’altro e Castellaro.
62
Eran mille fra tutti. E dopo loro
venía una gente indomita e silvestra:
San Pellegrino, e giú fino a Pianoro
tutto il girar di quella parte alpestra,
dove sparge il Dragone arena d’oro
a sinistra, e ’i Panaro ha il fonte a destra,
Redonelato e Pelago e la Pieve
e Sant’Andrea che padre è de la neve;
63
Fiumalbo e Bucasol terre del vento,
Magrignan, Montecreto e Cestellino;
esser potean da mille e quattrocento
gl’inculti abitator de l’Apennino;
Apennin ch’alza sí la fronte e ’l mento
a vagheggiar il ciel quindi vicino,
che le selve del crin nevose e folte
servon di scopa a le stellate volte.
64
Tutti a piedi venían con gli stivali,
armati di balestre a martinelle,
che facevano colpi aspri e mortali
e passavano i giacchi e le rotelle:
pelliccioni di lupi e di cinghiali
eran le vesti lor pompose e belle;
spadacce al fianco aveano e stocchi antichi,
e cappelline in testa e pappafichi.
65
Ma chi fu il duce de l’alpina schiera?
Fu Ramberto Balugola il feroce,
che portava un fanciul ne la bandiera
che faceva a un giudeo baciar la croce.
Con armatura rugginosa e nera
e piume in testa di color di noce,
venía superbo a passi lunghi e tardi,
con una scure in collo e in man tre dardi.
66
Da Ronchi lo seguía poco lontano
Morovico signor di quella terra:
Palagano e Moccogno e Castrignano
guidava e quei di Santa Giulia in guerra.
Da quattrocento con spuntoni in mano
co’ piedi lor calcavano la terra:
dietro a l’insegna d’una barca a vela,
e cantando venían la fa-li-le-la.
67
Un giovinetto di superbo core,
che di sua fresca etade in su ’l mattino
non avea ancor segnato il primo fiore
del primo pel, nomato Valentino,
avea dipinto addormentato Amore;
e Medola reggea, Montefiorino,
Mursian, Rubbian, Massa e Povello,
Vedriola, e de l’Oche il gran castello.
68
Di giavellotti armati e gianettoni,
di panciere e di targhe eran costoro,
con martingale e certi lor saioni
che chiamavano i sassi a concistoro.
Sotto le scarpe avean tanti tacconi,
che parea il campo d’Agramante moro
che in zoccoli marciasse a lume spento:
e non erano piú che cinquecento.
69
Poiché la fanteria de la montagna
fu veduta passar di schiera in schiera,
il Potta fece anch’egli a la campagna
uscir la gente sua ch’armata s’era.
E giá quella di Parma e d’Alemagna
e di Cremona giunta era la sera
da la parte del Po, per la fatica
che da Reggio temea, cittá nemica.
70
In Garfagnana intanto avea intimato
a’ cinque capitan de le bandiere,
che non uscisser pria di quello stato
che vi giungesse il re con le sue schiere:
però ch’anch’ei da Lucca avea mandato
a fare in fretta a la cittá sapere
ch’ei venía quindi, e domandava gente
da potersi condur sicuramente.
71
E ’l giorno che seguí, posto in cammino
per la diritta via di Gallicano,
tra le coste passò de l’Apennino,
e discese al Padul giú dal Frignano.
Era con lui Vetidio Carandino
con la bandiera di Camporeggiano,
dove egli avea dipinta una civetta
che portava nel becco una scopetta.
72
Quella di Castelnovo, ov’era un santo
con le man giunte lavorato a scacchi,
seguía per retroguardia indietro alquanto,
sotto la guida di Simon Bertacchi.
Quivi l’arredo regio è tutto quanto;
quivi veníeno i servitori stracchi,
e quei che ’l vin di Lucca avea arrestati,
per some in su le some addormentati.
73
Ma le due di Soraggio e di Sillano,
da Otton Campora l’una era guidata,
l’altra da Jaconia di Ponzio Urbano,
che porta una fascina incoronata.
La stella mattutina il Camporano
con una cuffia rossa ha figurata:
e queste quattro avean sei volte mille
fanti raccolti da sessanta ville.
74
Ma trecento cavalli avea la quinta
guidata da Pandolfo Bellincino;
ove in campo dorato era dipinta
la figura gentil d’un babbuino.
I cavalieri avean la spada cinta,
attaccato a l’arcione un balestrino,
lo scudo in braccio e in mano una zagaglia:
e gíano a destra man de la battaglia.
75
Però che quindi anch’essi i fiorentini,
armatisi in favor de’ bolognesi,
costeggiando venían cosí vicini
che poteano i men cauti esser offesi.
Il re seimila fanti ghibellini,
sardi, pisani, liguri e lucchesi,
e duemila cavalli avea con lui,
svevi e tedeschi e parteggiani sui.
76
In tanto il Potta le sue genti avea
divise in terzo: e ’l buon Manfredi avanti
con duemila cavalli in assemblea
se ’n giva: e dopo lui veníano i fanti.
Eran dodicimila e gli reggea
Gherardo, che negli atti e ne’ sembianti
parea un volpon che conducesse i figli
a dar l’assalto a un branco di conigli.
77
La terza schiera fu di poche genti,
ma piena d’ogni machina murale
e di que’ piú terribili instrumenti
che gli antichi trovâr per far del male.
L’architetto maggior de’ ferramenti,
Pasquin Ferrari, gran zucca da sale,
la conducea con mille balestrieri
e cento carri e ventidue ingegneri.
78
Non si fermò ne l’arrivare al ponte
il Potta, ma passò di lá da l’onda;
e dietro a lui tutte le schiere conte
si condussero in fretta a l’altra sponda:
quivi secento a piè con l’armi pronte
trovâr, da la fruttifera e feconda
Nonantola venuti e dal vicino
contado di Stuffione e Ravarino.
79
Gli conducean due cavalier novelli
con armi e piume di color di gigli,
Beltrando e Gherardino, i due gemelli
che de la bella Molza erano figli.
Era l’impresa lor due fegatelli
con la veste a quartier bianchi e vermigli,
le tramezze di lauro e le frontiere:
e queste ultime fûr di tante schiere.