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derebbono il canto; indi mette in mostra gli Zimbelli, e gli fà svolazzare, e così và continuando l’uccellagione sino al mezzo giorno, quale succede con varia fortuna a tenore del passaggio di più, ò meno uccelli, e della stagione più, ò meno opportuna, e da altri avvenimenti diversi da mè ommessi, per non allungarmi soverchiamente in questo racconto. Dico solo per fine, che quanto e penoso il piacere di trarre al Roccolo gl’augelli per prenderli, è altresì pena gradevole il cavargli da le maglie, mentre vi sono alle volte talmente impigliati, che resta in forse, se sia maggiore la briga in farli prigionieri, ò nell’estrarli dall’impiglio della prigione. Quest’è certo esser costuma de gl’Uccellatori, per mantenere in riputazione il loro Roccolo, e perizia, di millantare sempre maggiore la presa, ed al contrario di lagnarsi della scarsità minore del vero, per togliersi dal convenevole impegno di farne a i loro amici una grata parte. Per tanto il miglior Roccolo sembra al mio credere quello della Mensa, in cui li gode il frutto de gl’altrui stenti, vegghie impazienze, affanni, rancori conditi da una dilettazione, quale io mai hò saputo gustare, come non sò, s’io l’abbia appieno saputa discrivere.