Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera con soffà alla Turchesca.

Ibraim e Marmut.

Ibraim a sedere sopra un soffà, fumando tabacco.

Marmut. Ibraim, capitato è or ora in questo porto

Un europeo naviglio con regio passaporto.
L’Alcaide di Marocco a te l’ha indirizzato,
Per riscattar de’ schiavi che i nostri han depredato.
Ibraim. Dei ricercati schiavi la condizion t’è nota?
Marmut. Curioso anch’io di questo ne chiesi al suo pilota;
Ed egli mi rispose che il capitano aspira
Schiava comprar fra gli altri, che chiamasi Zandira.

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Ibraim. So chi è costei: fra quante schiave da noi fur prese,

Forse è l’unica donna che col suo bel mi accese;
E tanto non mi piacque il bel del suo sembiante,
Quanto la sua virtude render mi puote amante.
L’amo, ma al folle amore servir non sono avvezzo;
Renderla non ricuso, venduta a caro prezzo.
Alì schiava la fece, Alì corsaro invitto
Essere dee per legge a parte del profitto.
Ed io ch’esser mi vanto giusto governatore,
Cercherò il mio vantaggio, e quel del predatore.
Marmut. Alì, per quel che intesi, fondò i disegni sui
Sopra di questa schiava, e la vorria per lui.
Anzi per favellarti colla schiettezza usata,
Pria di tornare in corso l’ha a me raccomandata.
E dissemi: Marmut, tu che il sensal primiero
Sei di schiave e di schiavi nell’Affricano impero,
Se di Zandira alcuno viene a cercar riscatto,
Senza di me t’avverto, non facciasi il contratto.
Ad Ibraim svelai questa mia brama, ed io
Saprò qualunque perdita ricompensar col mio.
Farlo promisi, è vero; ma penso poi che in mare
Alì perir potrebbe, schiavo potrebbe andare;
Che tu perder potresti un utile sicuro,
Ed io per un incerto il certo non trascuro.
Ibraim. Se Alì codesta schiava per sè comprar volea,
Della metà del prezzo meco trattar dovea.
A nuove prede accinto forse di lei si scorda;
Se il comprator la chiede, il mio poter l’accorda1.
Marmut. Quanto per lei vorresti?
Ibraim.   Zecchini almen trecento.
Marmut. Se il capitan gli sborsa, avrò il dieci per cento?

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Ibraim. Chiedi troppo.

Marmut.   Signore, colui che fa il sensale,
Anche a pro di se stesso dell’occasion si vale.
Quel che tu mi domandi (con libertà sia detto)
Non è solito prezzo, ma prezzo è sol d’affetto.
Chieder per una donna trecento ruspi? Affé,
Trovar un che gli sborsi, sì facile non è.
In Europa, signore, non men della Turchia
Abbondano le terre di simil mercanzia;
E dicon gli Europei, che mai non s’è trovato
Il sesso femminile cotanto a buon mercato.
È ver che, come donna, la donna non s’apprezza,
Ma cara altrui la rende il sangue e la bellezza:
E se a ricuperarla venuto è il capitano
Col rischio della vita fra il popolo Affricano,
Convien dir che gli prema; e se il boccone è grosso,
Rodere in qualche parte bramo ancor io quest’osso.
Spero colle parole non adoprarmi invano:
Vado, ed or or m’impegno tornar col capitano.
Ibraim. Vanne, ma pria la schiava fa che da me sen venga.
Vuo’ saper chi ella sia, pria che colui l’ottenga.
Marmut. Sia chi esser si voglia, non metterti in periglio;
I trecento zecchini lasciar non ti consiglio.
Ha Zandira, nol niego, bel volto e vaghi rai,
Ma trecento zecchini sono più belli assai. (parte

SCENA II.

Ibraim solo.

È ver, fra noi prevale l’avidità dell’oro,

Ma bella donna e saggia è un singolar tesoro.
Se in mia balìa potessi aver Zandira bella,
Vendere non vorrei la nobile donzella.
Ma se Alì meditando di possederla andava,
Meglio è ritrarne il prezzo... Viene la bella schiava.

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SCENA III.

Zandira e detto.

Zandira. Eccomi. A qual destino mi serba il tuo rigore?

Ibraim. Zandira, a riscattarti venuto è il compratore.
Zandira. Sai chi egli sia?
Ibraim.   Finora m'è il di lui nome ignoto.
Zandira. Non è la libertade il mio unico voto.
Se il comprator pietoso meco non trae di pena
Lisauro, a me non giova spezzar la mia catena.
Fummo in naviglio armato esposti ad egual sorte;
Pria che lasciarlo, eleggo ceppi soffrire e morte.
Ibraim. Se l’Europeo col prezzo le brame tue consola,
Venderti io non ti curo accompagnata o sola.
Per riscattar due schiavi deve allargar la mano:
Ma se di te sol chiede, meco favelli invano.
Zandira. Non sarà mai.
Ibraim.   T’accheta. Pria che da’ lacci miei
Traggati il compratore, voglio saper chi sei.
Non mi occultare il grado, qual di celarlo è avvezzo
Schiavo che sè nasconde per minorare il prezzo.
Questo, chiunque tu sia, fissato è in mio pensiero;
Curiosità mi sprona a risaperne il vero.
Zandira. Il ver dalla mia voce solo sperar tu puoi.
Non san le oneste donne mentir coi labbri suoi;
Sia di me, di mia sorte quello che il Ciel dispone,
Amo più della vita l’onor di mia nazione.
Della mia patria il nome a trionfare avvezzo,
So che farà maggiore delle disgrazie il prezzo.
So che l’inimicizia fra il vostro sangue e il mio
In voi di mie catene può accrescere il desio.
Pure, se il ver mi chiedi, sveloti il vero ardita:
Pria di negar la patria, perder saprei la vita.
In Illirica terra nacqui, non lo nascondo.
Ho nelle vene un sangue noto e famoso al mondo.

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Sangue d’illustri eroi, d’eterna gloria erede,

Che alla sua vita istessa sa preferir la fede;
Che più d’ogni grandezza ama il natio splendore,
Che la fortezza ispira e il militar valore.
Della Dalmazia in seno ho il mio natal sortito
Dove l’adriaco mare bagna pietoso il lito.
Dove goder concede felicitade intera
Il Leon generoso che dolcemente impera.
Sì quel Leone invitto che i popoli governa
Con saper, con giustizia, e la clemenza alterna.
Che sa premiare il merto, che sa punir l’audace,
Che nel suo vasto impero fa rifiorir la pace.
L’almo Leon temuto, cui della fede il zelo
Caro agli uomini rende, e lo protegge il Cielo.
Ibraim. Per la tua patria ammiro, lodo il costante affetto:
Merta il Leon, cui veneri, merta l’altrui rispetto;
E venerar si vuole non men su questo lido
D’Adria felice il nome, e di sua fama il grido.
Contro chi il mar frequenta, armar legno nemico
Dai soliti corsali sai ch’è costume antico.
Schiava ti fero i nostri d’Alì sotto il comando;
Dimmi cotal sventura come incontrasti, e quando?
Zandira. Chiesta al mio genitore da un nazional per sposa,
Alle proposte nozze non mi mostrai ritrosa.
Cattaro è il suol nativo del mio consorte eletto,
Di cui per la distanza m’è ignoto ancor l’aspetto;
Ma al genitor dovendo quest’umile tributo,
Non ricusai di stringere sposo non conosciuto.
Me lo dipinse il padre uom valoroso e prode,
Uom che pel suo coraggio merta rispetto e lode,
Prole de’ Radovicci, stirpe gloriosa, antica,
Della sua patria amante, e della gloria amica.
Dissemi, che impiegato in pubblico servizio.
Altrove non potevasi contrar lo sposalizio.
Ch’esser doveva io stessa al sposo mio guidata,

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Senza mirarlo in volto dal mio dover legata.

Salgo in naviglio armato, il genitor contento
Salpa dal patrio lido, scioglie le vele al vento.
Ma una tempesta orribile, di cui pavento ancora,
Fuor del cammino usato sforza drizzar la prora.
Calmasi il vento alfine, scopre il piloto accorto
Di Barbaria non lungi esser la nave al porto.
Tenta il legno abbattuto sottrar dal suo periglio,
Quando inseguir si vede da un rapido naviglio.
Il padre mio la nuova senza atterrirsi intesa,
Volge al corsar la prora, s’accende alla difesa.
Scarica i primi colpi, s’arma di fer la mano,
Ogni guerrier l’imita, ma l’imitarlo è vano.
Scosso dal mar fremente, reso sdrucito il legno,
Reggere mal poteva nel periglioso impegno.
Ed il pirata ardito, di depredare ingordo,
Giunse a investir la nave, ed afferrato ha il bordo.
Il padre mio col brando l’oste ha premier respinto,
Ma con un colpo in seno cade trafitto e vinto.
Il capitan perito, manca il coraggio in tutti,
Più non resiste il legno all’agitar dei flutti.
Forz’è il cessar gl’insulti, e che al destin si ceda;
Tutti s’arreser schiavi, io del corsar fui preda.
Eccomi in terra ignota dove valor si onora2,
Ma colla gloria in petto, ma Dalmatina ancora.
Ibraim. Questa gentil fierezza, questo tuo nobil vanto
Cresce al mio cor, Zandira, l’incominciato incanto.
Piacquemi il tuo sembiante tosto ch’io ti mirai,
Ma la bella virtude supera il bel dei rai.
Se rimaner non sdegni alle mie donne unita,
Sarai da me distinta, godrai comoda vita.
Ma volontario il cenno vogl’io dal tuo bel core;

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Benché in Affrica nato, la tirannia ho in orrore.

Zandira. La virtù, la giustizia regna per tutto il mondo;
Gradisco i doni tuoi, ma il cuor non ti nascondo;
L’anima ho prevenuta da un dolce foco interno,
Quando ho amato una volta, l’amor serbo in eterno.
Teco restar mi vieta il rito ed il costume,
Pria soffrirei la morte che oltraggiare il Nume.
Ma se anche un Europeo chiedesse a me la mano,
Il primo amor dal petto trarmi potrebbe invano.
Ibraim. Ardi d’amor per uno che non vedesti ancora?
Zandira. Ah no, signor, quest’alma un che conosce, adora.
Da me non ti sovviene aver poc’anzi udito
Viver fra lacci un schiavo alla mia sorte unito?
Non ti sovvien ch’io dissi, chi a liberar mi viene,
Anche Lisauro meco dee trar dalle catene?
Questo gentil garzone, unito al genitore,
Prove diè nel naviglio di forza e di valore.
Piacquemi il di lui volto, tosto che il vidi appena:
Ma al mio dover pensando, dissimulai la pena;
E in faccia alle pupille amabili, leggiadre,
Non mi scordai lo sposo, cui mi guidava il padre.
Il genitor perito, cinta fra lacci il piede,
Sciolta da ogn’altro nodo l’anima mia si crede.
A consolarmi intento veglia Lisauro amante,
L’unico ben ritrovo in lui fra pene tante.
Alì, corsar feroce, farmi violenza intende;
Ei fingesi mio sposo, e l’onor mio difende.
E la finzion mi piace, e mi diletta a segno,
Che d’esser sua prometto col più costante impegno.
Sia libera, sia schiava, comun la nostra sorte
Voglio servar in vita, e tollerare in morte.
Ibraim. Meno d’Alì crudele son io, giovane vaga;
Ti amo, è ver, lo ridico, ma la ragion mi appaga.
Guardati dal corsaro che a possederti aspira;
Salva non ti assicuro, s’ei per amor si adira.

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Zandira. Deh, una misera donna il tuo soccorso implora.

Ibraim. Venderti non ricuso.
Zandira.   Ma con Lisauro ancora.
Ibraim. Parmi che il compratore s’avanzi a questa via.
Miralo; lo conosci?
Zandira.   Signor, non so chi sia.
Veggo le spoglie nostre, onde il guerriero è involto.
Scorgo le care insegne, ma non conosco il volto.
Ibraim. Ritirati.
Zandira.   Obbedisco 3. (Ah mi palpita il core.
Cieli! Chi esser mai puote il mio liberatore?) (parte

SCENA IV.

Ibraim, poi Marmut ed il Capitano Radovich.

Marmut. Ecco il governatore. Fagli i soliti inchini, (a Radovich

(Signor, sta saldo pure sui trecento zecchini).
(piano ad Ibraim
Ibraim. Pria di avanzare il passo, prima di scior gli accenti,
Dica la patria e il nome, ed il Firman presenti.
Radovich. Son io quel Radovich, il di cui nome è noto
Del mar che Affrica bagna a ogni angolo remoto.
Son d’Illirica patria, patria famosa al mondo,
Che di memorie illustri vanta il terren fecondo;
E il san le genti vostre qual sia nostro4 valore,
Se san ferir quest’armi, e se i Schiavoni han cuore.
Pur questa volta il fato d’uom valoroso e forte
Scrisse nei suoi decreti perdite, stragi e morte.
Il capitan Beizzic la figlia sua scortava,
Egli cadeo trafitto, e la sua figlia è schiava.
Dal genitor Zandira fummi promessa in sposa,
Di scior le sue catene quest’alma è desiosa.
Al signor di Marocco esposi il mio talento,

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Ecco il Firman che ottenni, ecco a te lo presento.

Ibraim. (Prende il Firman, lo bacia, se lo pone alla fronte; poi lo spiega, e lo legge piano.
Marmut. Sai qual è quel Firmano che più ti può giovare?
1 trecento zecchini che gli dovrai sborsare.
(piano a Radovich
Radovich. Questa sì pingue somma nel riscattar sinora
Per un’unica schiava non si è pattuita5 ancora.
Marmut. Tu che sarai fors’anche a mercatare avvezzo,
Saprai ben che a ogni cosa vario si forma il prezzo.
La beltà di Zandira...
Radovich.   Dunque Zandira è bella?
Marmut. Non lo sai?
Radovich.   Non la vidi.
Marmut.   È di beltà una stella.
Ibraim. Lessi il Firman; commette l’imperador sovrano,
Che la schiava si venda, ma col danaro in mano.
Sborsa il prezzo, e l’avrai.
Marmut.   Sborsa i ruspi trecento...
Radovich. Sborsar contro il costume somma tal non consento.
Marmut. Nè sciolta la tua schiava darà il governatore.
Radovich. Farò noto al sovrano sì barbaro rigore.
Marmut. Ma se il corsar ritorna, il tuo ricorso è vano.
Guai a te, se d’Alì torna la schiava in mano.
Ei per sè6 la desidera, la sua bellezza è tale,
Che innamorar potrebbe un principe reale.
Signor, fa ch’ella venga: subito ch’ei la vede,
Dirà se giustamente tal prezzo a lui si chiede.
Vuoi che qui la conduca? (ad Ibraim
Ibraim.   Se il capitan ricusa...
Marmut. Senza vedere, il prezzo a contrattar non s’usa.
Con permission, gli voglio mostrar la mercanzia.
Scommetto ch’egli paga ancor la sensaria7. (parte

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SCENA V.

Ibraim e Radovich.

Ibraim. Sì, capitan, la donna cui liberare inclini,

Nel volto e più nel core ha merti peregrini.
Stato miglior le offersi, ella ricusa il dono,
Fida a un amor primiero.
Radovich.   (Ah fortunato io sono).

SCENA VI.

Zandira, Marmut e detti.

Zandira. Chi è che dal Ciel mandato, scioglie i miei ceppi?

Radovich.   Io sono,
Ch’ebbi dal fato amico di rinvenirti il dono.
Vedi, Zandira, in me quel Radovich felice,
Cui spezzar le catene alla sua sposa or lice.
Se il genitor perdesti, che in mio favor dispose
Del tuo cor, di tue luci amabili e vezzose;
Ecco per mia fortuna, ecco per tuo conforto,
Che ricondurti è pronto della tua patria al porto.
Marmut. E tanto egli t’apprezza, tanto è di te contento,
Che gli par lieve il prezzo di zecchini trecento.
(a Zandira
Zandira. (Ah! che il destin mi rende ingrata al suo bel core;
Ma chi resister puote al violento amore?) (da sè
Radovich. Come? Sì fredda accogli la libertade offerta?
Zandira. Signor, la mia sventura tanta pietà non merta.
Il mio piè le catene è a sofferire avvezzo;
In opera migliore puoi convertire il prezzo.
Gemono fra catene d’Illirica regione
Uomini valorosi, onor della nazione.
Questi che giovar possono della Dalmazia ai liti,
Questi a una donna imbelle da te sian preferiti,

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Ed io dalle catene senza lagnarmi oppressa,

Godrò avere alla patria contribuito io stessa.
Ibraim. (Cauta nasconde in petto l’amor suo lusinghiero).
Radovich. Zandira, io non t’intendo.
Marmut.   Svelerò io il mistero.
Sappi ch’ella ricusa uscir da’ lacci suoi,
S’anche un certo Lisauro ricuperar non vuoi.
Radovich. E chi è costui che renderla può di tal zelo ardente?
Marmut. Non sospettar. Codesto non è che un suo parente.
Radovich. Di Zandira un congiunto di liberar non sdegno;
Per contentar sue brame tutto farò, m’impegno.
Zandira. Ah signor, i tuoi doni con mio rossore io veggio;
La pietà coll’inganno ricompensar non deggio.
Sveloti che Lisauro non m’è di sangue unito,
Ma per lui serbo in petto questo mio cor ferito.
L’amo, non lo nascondo. Amor sull’alme impera,
Ma un’Illirica donna usa a parlar sincera.
Se la pietà ti muove, siane Lisauro a parte,
Se l’amor mio t’offende, sdegno l’inganno e l’arte:
O mi disciogli il piede al mio Lisauro unita,
O ricusar son pronta e libertade e vita. (parte

SCENA VII.

Ibraim, Radovich e Marmut.

Radovich. Dunque fra rie procelle il mare avrò varcato

Per una sposa infida che ha al suo dover mancato?
Ella col padre unita viene al consorte appresso,
E di venirvi ardisce fin coll’amante istesso?
E di virtù si vanta? E d’onorar s’impegna
Della sua patria il nome? Oh di tal patria indegna!
Ibraim. Non insultar quel core, non lo chiamare infido;
Involontario il varco aperse al dio Cupido.
La compagnia frequente, l’età, la sorte istessa,

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La compassion del labbro per una donna oppressa,

La perdita del padre, il disperato aiuto
Fe’ preferire un giovane ad uom non conosciuto.
Nato da onesta fiamma quest’innocente amore,
Merta la tua pietade, non merta il tuo rigore.
Marmut. E se piacer ti reca il suo bel viso adorno,
Comprala, e puoi sperare che ti sia grata un giorno.
E se lo schiavo istesso da te vien liberato,
Cedendoti la sposa, un dì ti sarà grato.
Radovich. Dov’è costui?
Marmut.   Se il brami, tosto a chiamarlo andrò.
(ad Ibraim
Ibraim. Veggalo, e si contratti.
Marmut.   (Anch’io guadagnerò), (parie

SCENA VIII.

Ibraim e Radovich.

Radovich. È Dalmatin Lisauro?

Ibraim.   Nol so.
Radovich.   Se tale è nato,
Essere non consento alla mia patria ingrato.
D’un mio rivale i ceppi sciogliere non ricuso,
Chè alla passion l’onore di preferire ho in uso.
Ibraim. Lo mirerai tu stesso. Parlagli a tuo talento.
Se riscattarlo aspiri, lasciarlo io non dissento.
Grave non sarà il prezzo, che per costui pretendo,
Che di Zandira in grazia facilitare intendo. (parte

SCENA IX.

Radovich solo.

A superar me stesso la mia virtù m’insegna.

Un nazional si tragga di schiavitude indegna.

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Traggasi da’ suoi ceppi anche la donna ingrata,

E sia dal suo rimorso per me rimproverata;
E se l’amor non puote ricompensar mio zelo,
Bastami d’esser grato alla mia patria e al Cielo.

SCENA X.

Lisauro, Marmut e detto.

Marmut. (Eccolo, a lui t’inchina, che ti può far del bene!)

(a Lisauro
Radovich. Accostati: chi sei?
Lisauro.   (Fingere a me conviene).
Signore, ho anch’io l’onore d’esser di tua nazione,
Spalatro è la mia patria, civil mia condizione;
Nel militar mestiere fu noto il padre mio,
Stiepo Calabrovich; son militare anch’io.
(Il labbro di Zandira farò si unisca meco). (da sè
Marmut. (Bravo. Schiavon si finge; ma io lo so ch’è un Greco).
Radovich. Sai chi son io?
Lisauro.   Conosco de’ Radovicci il nome.
So che i marziali allori ti coronar le chiome.
Nota è la tua virtude alle natie contrade,
E so che gl’infelici ti destano a pietade.
Marmut. (È adulator perfetto!)
Radovich.   Sai che il suo genitore
Meco legò Zandira?
Lisauro.   Lo seppi a mio rossore.
Piacquemi, lo confesso, l’amabile sembiante,
Ma rispettai lo sposo alla mia fiamma innante.
Entrambi condannati al duo! delle catene,
Erano gli occhi suoi conforto alle mie pene.
Ed io colla pietade scemando il suo dolore,
Vidi che a poco a poco ardea per me d’amore.
Il timor di finire fra i ceppi i giorni nostri,

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Di rimaner per sempre lontan dai lidi vostri,

Libero lasciò il corso a un innocente affetto,
Ma usai, qual si conviene a vergine, rispetto.
Or se ti cal Zandira, signore, a te la rendo;
La tua pietade imploro, il tuo perdono attendo. (da sè
Rendimi, generoso, rendimi al patrio lido.
(Ma sarà mia Zandira, nel di lei cor confido).
Radovich. Scuso l’età, perdono a un innocente amore.
Temer non so mendace d’un Dalmatino il core.
Non son cogl’infelici a vendicarmi avvezzo,
Tratterò il tuo riscatto, e sborseronne il prezzo.
Pietà per te m’ispira la patria mia gloriosa,
Ma rispettare or devi di Radovich la sposa.
Avrai dalla mia mano la libertade in dono;
L’amor che mi svelasti mi scordo 8, e ti perdono.
Padre m’avrai, lo giuro, se ti rassegni al fato.
Ma l’ira mia paventa, se a me ti rendi ingrato. (parte

SCENA XI.

Lisauro e Marmut.

Lisauro. (Posso lasciar di vivere, non d’adorar Zandira.

Mi darà il mezzo amore di superar quell’ira). (da sè
Marmut. Tu sei, a quel ch’io sento, un giovane garbato;
Il povero Schiavone da te fu corbellato.
Lisauro. Come puoi dir tal cosa?
Marmut.   È vano il finger meco.
So chi sei, so benissimo che tu sei nato greco.
So che dal tuo paese sei, galantuom, fuggito,
Di sposare una Greca per bizzarria pentito.
Lisauro. Ohimè! chi ciò t’ha detto?
Marmut.   Sappi, Lisauro mio,

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Che a intendere ho imparato la lingua greca anch’io.

Per mio divertimento le carte ho esaminato.
Che ti trovaro in tasca, allor che t’han pigliato.
Lisauro. Rendimi i fogli miei.
Marmut.   Non te li rendo affé,
Quando tu non ti mostri più liberal con me.
Lisauro. Ma che mai poss’io darti?
Marmut.   Dammi, se vuoi le carte,
Quel che di tua ragione si è riserbato a parte.
Sai che fra noi si usa serbar per qualche giorno
Tutto quel che si trova de’ prigionieri intorno.
E che fuor del denaro, talor si osserva il patto
Di rendere ogni cosa al tempo del riscatto.
Se i fogli che ti premono, ricuperar ti aggrada,
Cedimi il tuo fucile, o cedimi la spada.
Lisauro. Fuor della spada mia, quel che più vuoi, ti dono:
Ma non svelar, ti prego, al Dalmatin chi sono.
Nell’innocente inganno tessuto a mio rossore,
Deh compatisci, amico, il violento amore.
Marmut. Sì sì, ti compatisco, il Ciel ti dia fortuna,
Ti renderò i tuoi fogli senza esitanza alcuna.
Soglio in favor dei schiavi usar l’affetto mio.
Ma se altrui fo del bene, voglio mangiare anch’io.
(parte

SCENA XII.

Lisauro solo.

La spada mia piucch’altro ricuperar mi è caro.

Nel manico e nel pomo nascosto ho il mio danaro.
E se il danaro ho in mano, chi sa che non mi giovi,
Ad eseguir col tempo scaltri disegni e nuovi?
Ah nel mio seno io provo fiero rimorso atroce,
Ma dell’amor mi parla tenera al cuor la voce.

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Finger ragion mi calse per impetrar pietade,

Da lui che tal credendomi, m’offrio la libertade.
E de’ suoi doni il prezzo sarà la vergognosa
Idea di sovvertire il cor della sua sposa?9
Non so che dire. Io stesso un tal pensier detesto,
Ma per aver Zandira l’unico mezzo è questo.
Ella fu che mi fece scordar la sventurata
Argenide, che in sposa a me fu destinata;
E rilasciando il freno al mio nascente amore,
Della Greca infelice divenni il traditore.
Ah che ogni via si tenta, quando l’amore è il duce,
Ah la colpa primiera colpa maggior produce.
Fui alla sposa infido, ora mi rendo ingrato
A chi pietoso aspira a migliorar mio stato.
Ma quella benda oscura che amor mi pose al ciglio,
Fa che il dover mi scordi, mi sprona al mio periglio.
Ah Zandira, Zandira, tu mi rendesti insano.
Sento d’onor gli sproni, ma già li sento invano.
(parte


Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. Così nell’ed. di Bologna, t. IX (1764), a S. Tommaso d’Aquino. Questo verso è mutilo nell’ed. Pitteri: Se il comprator il mio poter l’accorda. Nell’ed. Savioli, t. IX (1773), fu corretto: Se il comprator dà il prezzo, il mio poter l’accorda. Nell’ed. Guibert e Orgeas di Torino, t. IX (1776), e nell’ed. Zatta troviamo maggior libertà: Se viene il compratore ecc. Le edizioni dell’ottocento seguirono il testo dell’ed. Zatta.
  2. Così nell’ed. Zatta. Nel t. IX dell’ed. Pitterì, stampato mentre il Goldoni era a Parigi, il verso è mutilo: Eccomi in terra ignota dove... si onora; e tale si ritrova nelle edd. di Bologna e di Torino e nell’ed. Savioli di Venezia.
  3. Nelle edd. Guibert - Orgeas e Zatta: Ubbidisco.
  4. Edd. Guibert e Zatta: il nostro valore.
  5. Ed. Pitteri: patuita.
  6. Nell’ed. Zitta è stampato per isbaglio: E puoi se la desidera ecc.
  7. Ed. Zatta: senseria.
  8. Così nell’ed. Zatta. Nell’ed. Pitteri e nelle ristampe che poi seguirono si legge: ti scordo.
  9. Nell’ed. Pitteri c’è qui una virgola.