La dalmatina/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Porto di mare con veduta di vari legni, tra i quali uno sciambecco Turco armato che approda, dal quale sbarcano
Alì, Canadir, Argenide, Cosimina, altri Schiavi incatenati, e vari Turchi dell'equipaggio; poi Marmut.
Eccoci al patrio lido con vittoriosi auspici.
Della fatica il premio meco goder dovete,
Della preda novella parte voi pure avrete.
Ad Ibraim, che Alcaide in Tetuan risiede,
Vadasi fedelmente a rassegnar le prede;
Egli che usar giustizia ai predatori è avvezzo,
Ei divida le merci, e delli1 schiavi il prezzo.
Belle prede davvero facesti in pochi giorni.
Lascia ch’io veda i schiavi, perchè del lor riscatto
Possa, se viene il caso, formar qualche contratto.
Questo vecchio mal concio al termine ridotto,
(oserva Canadir
Non vai, per quel ch’io vedo, un sacco di biscotto.
Codesti han buona schiena, e sembrami alla ciera
(osserva i schiavi
Che vendere si possano per gente da galera.
Questa qui? Sì signore, è un pezzo di maschiotta
(ad Argenide
Che verranno i mercanti a comperarla in frotta.
E quest’altra? È magretta, per dir la verità,
(a Cosimina
Ma posta in un serraglio un dì s’ingrasserà.
Alì. Dimmi, che fa Zandira?
Marmut. Zandira? Vi dirò...
Ella per dir il vero... (Quel che ho da dir, non so).
Alì. Parla, che c’è di nuovo? Forse alcun l’ha cercata?
Guai a te, se la trovo venduta, o contrattata.
Marmut. (Povero me! ci sono). Per dir il ver, signore,
Venuto è a questa parte per essa il compratore.
Io, che fra noi si trovi, a lui tenni celato;
Ma il Dalmatino accorto l’Alcaide ha ricercato.
Or che giungeste a tempo, a riparare andate.
(D’essa già e di Lisauro le sensarie ho intascate).
Alì. Ibraim non ardisca disporne a mio dispetto,
O d’avermi insultato, si pentirà, il prometto.
Si conducano i schiavi al solito recinto,
Resti ciascun di loro dalle catene avvinto.
A riveder Zandira sento spronarmi il cuore,
Preferito esser voglio a ogn’altro compratore.
Ella è mia preda alfine, la vuo’ per ogni strada.
Se la ragion non vale, mi ha da valer la spada.
Farà tremar col brando anche i nemici in terra. (parte
SCENA II.
Canadir, Argenide, Cosimina, Marmut, Schiavi e Soldati, come sopra.
Or che ho fatto il negozio, non me n’importa un’acca.
(I Soldati conducono via i2 Schiavi
Aspettate un momento, forti guerrieri e bravi;
Voglio, se il permettete, parlar con questi schiavi.
(accennando Canadir, Argenide e Cosimina
Perchè se ritrovare il comprator poss’io,
Posso far l’interesse dei predatori, e il mio.
Dimmi, vecchio, chi sei?
Canadir. Son io greco mercante.
Canadir è il mio nome, e la mia patria è il Zante.
Questa che qui tu miri, Argenide s’appella,
Figlia mia sventurata.
Marmut. E chi è quest’altra bella?
Canadir. Giovin che con mia figlia avea grado servile.
Cosimina. Serva per accidente, ma di estrazion civile.
Marmut. Si conosce all’aspetto la stirpe veterana,
Chi sa che non ti riesca di diventar sultana!
Cosimina. Davver, se a tal fortuna a caso io mi conduco,
Per il tuo vaticinio ti faccio fare eunuco.
Argenide. Eh, lasciamo gli scherzi; ora ti sembra questa
D’aver le tue sciocchezze nel labbro e nella testa?
(a Cosimina
Dimmi tu che mi sembri uomo di qualche affare,
Hai di Lisauro il nome inteso a pronunciare? (a Marmut
Ch’egli sul terren nostro venuto è alla catena.
Argenide. Oh perdite felici! oh avvenimento strano!
Padre, Lisauro nostro da noi non è lontano.
Cari mi sono i ceppi, dolce il lasciar la vita,
Se di morir mi è dato al mio Lisauro unita.
Marmut. È tuo german?
Argenide. No, amico. Il ver non tengo ascoso;
Egli è la mia speranza, l’idolo mio, il mio sposo.
Marmut. Teco me ne consolo; facesti un buon negozio:
Si vede che a Lisauro spiace lo stare in ozio.
Privo d’una consorte tanto lontana e tanto,
Una su queste spiagge se ne provvede intanto.
Argenide. Come? Possibil fia? Lisauro in questo lido
Scorda l’amor primiero, alla sua sposa infido?
Misera me! dal duolo sentomi l’alma oppressa,
Temo cotal sventura più della morte istessa.
Cosimina. Ma io non ve l’ho detto con pace e con amore,
Che chi è lontan dagli occhi, spesso è lontan dal core?
Quando tre mesi o quattro tardò venire al Zante,
Subito ho sospettato che avesse un’altra amante.
Dal padre suo in Dalmazia a trafficar 3 mandato,
Perchè nel militare un posto ha procurato?
Uno che si marita, vuol far questo mestiere?
Ei militar pensava d’amor fra le bandiere,
E voi foste sì buona d’andarvi a cimentare
Con me, povera donna, e con quel vecchio in mare?
Canadir. Che non farei, meschino, per l’unica mia figlia,
Per cui la tenerezza mi sprona e mi consiglia?
Di Lisauro lo stile mi diè qualche sospetto,
Trassemi al fier periglio d’Argenide l’affetto.
Fra ceppi l’infelice lo sposo ha rinvenuto,
Ma con maggiore affanno di quel che l’ha perduto.
Ma son dal tempo avvezzo a rassegnarmi al fato.
E tu, figlia diletta, la mia costanza imita,
Che vi è speranza ancora, finchè si resta in vita. (parte
SCENA III.
Argenide, Cosimina, Marmut e Soldati.
Marmut. T’accheta. Non disperarti ancora.
Di vendicar tuoi torti forse venuta è l’ora.
La tua rival vezzosa, che semina gli amori,
Adesso è combattuta da vari pretensori.
Alì per sé la vuole, un Dalmatin la chiede,
Par che la brami anch’esso colui che qui presiede;
E tra i tre litiganti che aspirano ai bei frutti,
Lisauro è certamente più debole di tutti.
Lascia che si contrasti fra quei che han più potere;
Pentito a’ piedi tuoi Lisauro ha da cadere.
Argenide. Torni al mio piè pentito per grazia e per amore:
Non pel destin contrario al barbaro suo cuore.
S’egli le nuove fiamme spegner dovesse a forza,
Sdegno d’un core il dono, che simular si sforza.
Dolce è l’amor contento, dolce è l’amor che giova.
Questa dolcezza estrema ho conosciuta a prova;
Quando il fedele amante, quando lo sposo ingrato
Non si sapea stancare di sospirarmi allato.
Quello è l’amor sincero, quello è il piacere estremo;
Se or lo vedessi in volto... Ah, nel pensarlo io tremo.
Fugga dagli occhi miei, fugga quel cuore ardito.
Ma se vederlo io deggio, veggalo almen pentito, (parie
SCENA IV.
Marmut e Cosimina.
S’ella si contentasse, io la consolerei.
Cosimina. Eh, eh, per consolarla altro vi vuol, fratello;
E se cambiar volesse, voi non sareste quello.
Marmut. Certo, perchè Lisauro non se lo scorda più,
Argenide non cura la mia pietade; e tu?
Cosimina. Io la pietà non sdegno, ma intendiamoci bene,
Della pietà col nome che intendere conviene?
Marmut. Tutto quel che tu vuoi. Mi piace il tuo bel vezzo;
Son pronto per comprarti sborsar qualunque prezzo.
Tre mogli ho al mio comando e fra di noi è poco;
Possoti di buon core offrire il quarto loco.
Cosimina. Non ho fatto all’amore finora in vita mia,
E non lo voglio fare all’uso di Turchia.
Con un solo marito quattro consorti unite?
Staran, mi raffiguro, perpetuamente in lite.
E se il costume vostro l’obbliga star5 in pace,
Seguir sì bel costume al genio mio non piace.
E se ho da maritarmi da povera figliuola,
Bastami pane ed acqua; ma vuo’ il marito io sola. (parte
SCENA V.
Marmut solo.
Per aver la sua grazia, non so che non farei.
Basta, per me medesimo certo la vuo’ comprare:
A forza o per amore, allor ci dovrà stare.
Non troverà da noi lo stil di sua nazione;
Qui colle donne altere s’adopera il bastone.
E quando fra di loro si destano litigi,
Un poco di bastone suol operar prodigi.
SCENA VI.
Ibraim e detto.
Marmut. Lo vidi in questo loco;
Ei si trattenne meco a ragionare un poco.
Femmi veder gli schiavi che nuovamente ha colti,
E per quel che ho veduto, son questa volta in molti.
Ibraim. Sai dove sia al presente?
Marmut. So che di te cercava;
Teco desio non poco di favellar mostrava.
Ancor non l’hai veduto?
Ibraim. Non l’ho veduto ancora:
Stetti ne’ miei giardini col Dalmatin finora.
Dimmi, è noto ad Alì, che vendesti Zandira?
Marmut. Gli è noto, ed ha per dirla mostrato un poco d’ira.
Ibraim. Sdegnisi a suo talento, ma lo sdegnarsi è vano:
La vendita è già corsa; ed il danaro ho in mano.
Marmut. Ed io per tua mercede ho in man la sensaria.
Dica quel che sa dire, convien ch’egli ci stia.
Ibraim. Eccolo a questa volta.
Marmut. Signor, con tua licenza.
Ibraim. Fermati.
Marmut. Un certo affare m’astringe alla partenza.
Se occorrerà ch’io torni, verrò da qui a un momento.
(Per or più non mi vedono; colui mi fa spavento).
(da sè, e parte
SCENA VII.
Ibraim, poi Alì.
Meco vorrà lagnarsi, ma quel che è fatto è fatto.
Alì. Ibraim, la mia schiava.
Ibraim. Non è più tua Zandira.
Ibraim. L’ho al comprator venduta.
Alì. Senza l’assenso mio?
Ibraim. Di contrattar dei schiavi sai che il padron son io.
Della metà del prezzo chieder sol puoi ragione.
Eccolo in questa borsa a tua disposizione.
Alì. Prezzo ritrar non curo. Di lei voglio il possesso.
Nel cor questa mia schiava serbata ho per me stesso.
Chiedi tu quel che brami per tua metà, son pronto
Darti qualunque prezzo di tua ragione in sconto.
Ma non sperar ch’io soffra vederla a me rapita;
Vendicherà i miei torti a costo della vita.
Ibraim. Tu dell’Alcaide innanzi, che qui governa e impera.
Parli, minacci, imponi con tracotanza altera?
Alì. Parla in tal guisa Alì, che cento prede e cento
Ad Ibraim concesse disporre a suo talento;
Quello che l’ha arricchito col suo valor predaro,
Nè mai conto gli chiese dei schiavi o del danaro.
Come! fra tante prede serbo una preda sola;
E questa ingratamente al predator s’invola?
No, di tale ingiustizia non soffrirò lo scorno;
Dissi le mie ragioni, e a replicarle io torno.
Ibraim. Tu le dicesti invano, invan favelli ardito.
Libera or or Zandira dee andar da questo lito.
Qui col Firman reale è il comprator venuto,
In trecento zecchini è il prezzo convenuto.
Egli gli ha già sborsati, seco son io in impegno;
Tu rassegnar ti devi, e moderar lo sdegno.
Alì. Io moderar lo sdegno? Io sofferir l’oltraggio?
Mal di me si conosce la forza ed il coraggio.
Quel che avvilire ha fatto mille nemici in mare,
Colle minaccie in terra non si farà tremare.
In Tetuan istesso al mio valor non manco
Co’ miei seguaci intorno, colla mia spada al fianco.
Ibraim. Se di ribelle in guisa in faccia mia ragioni,
Da un cenno mio dipende il fin della tua vita;
Punir poss’io l’orgoglio d’un’anima sì ardita.
Ma all’amor, all’etade, al tuo valor perdono;
Sai che le stragi abborro, sai che crudel non sono.
Cangia lo stil protervo, il tuo dover comprendi;
Ma se persisti ardito, fiero castigo attendi. (parte
SCENA VIII.
Alì solo.
Voglio la bella schiava rapir dov’io la trovo.
D’Ibraim fra le braccia salva non fia, lo giuro;
Son risoluto in questo, e di morir non curo.
Ma se il mio sagrifizio vorrà la cruda sorte,
Cara su questo lido costar dee la mia morte.
Ed Ibraim istesso che provoca il mio sdegno,
Primo sarà di tutti di mie vendette il segno. (parte
SCENA IX.
Lisauro solo colla spada, o sia palosso, al fianco'.
Spero trovato il mezzo per involar Zandira.
Utile m’è all’impegno il mio denar celato,
Or che il denaro istesso col brando ho ricovrato.
E libero già reso col mio riscatto in mano,
Posso senza timore partir dall’Affricano.
Se di Zandira il core è di Lisauro amante,
L’orme negar non puote seguir delle mie piante:
Certa che in altra guisa vano è il sperar contento,
Col Dalmatino al fianco al vincolarla intento.
Ma Radovich restando in doloroso affanno,
Ecco i disegni miei: al greco suol tornato,
Farò che a lui si renda quel che ha per noi sborsato.
Vedrà che vil non sono nell’usurpargli il prezzo,
Che non ho il cor ribaldo alle rapine avvezzo;
E se una donna involo, che del suo cor dispone,
Sul cor di chi m’adora, amor mi diè ragione.
Salvo mi par l’onore, parmi la fama illesa,
Resta che il Ciel secondi la meditata impresa;
E che Marmut s’ adopri, e che Zandira anch’essa
Al mio desir consenta: ecco Zandira istessa.
SCENA X.
Zandira, Marmut e detto.
Alì fa del rumore; Alì vuol la sua preda.
Ad Ibraim lo dice, e lo sostiene in faccia,
E quando si riscalda, diviene una bestiaccia.
Zandira. Ma dov’è Radovich?
Lisauro. Idolo mio, vien meco.
A che d’altrui cercare, se il tuo Lisauro è teco?
Zandira. Ah sì, Lisauro, io t’amo; teco sarei beata;
Ma al mio benefattore non deggio essere ingrata.
A te questo mio core serbo costante e fido,
Ma senza lui ricuso partir da questo lido.
Lisauro. Dunque tu l’ami, ingrata!
Zandira. No, non mi parla amore.
Gratitudin m’ arresta, e mi consiglia onore.
Marmut. Vola il tempo.
Lisauro. T’accheta. Lascia che la crudele
Serbisi, qua] le aggrada, al mio rival fedele.
Cuor non ho di vederla ad altro sposo in braccio;
Troncherà la mia morte dell’amor nostro il laccio.
A terminar fra i mostri delle mie pene il duolo.
Zandira. Fermati, a secondarti forse mi avrai rivolta;
Ma pria ch’io ti secondi, queste mie voci ascolta.
Tanto l’amor t’accieca, tanto a passion concedi,
Che l’orribile colpa del tuo desir non vedi?
Giovine sconsigliato cerchi la pace al core,
E per la via la cerchi di un forsennato errore?
Come goder protresti meco gli amplessi un giorno
Co’ tuoi rimorsi in seno, con cento larve intorno?
Speri che il Ciel protegga il tuo disegno ingrato?
Odia le colpe il Cielo, non le seconda il fato;
E nel momento istesso che il tuo partir si affretta,
Ti può punir dei Numi l’orribile vendetta.
Ma dai Numi ancora 6 tardo il castigo arriva:
Misero l’uom sen vive, se dell’onor si priva.
Gira pavidi i lumi di chi lo mira in faccia,
Dubita in ogni labbro sentir la sua minaccia.
Muove tremante il piede, e in ogni parte scritto
Sembragli di vedere l’orror del suo delitto.
Di non temere insulti vantasi pur l’audace;
Se non favella il mondo, il proprio cuor non tace.
Ed il peggior nemico che fa di noi governo,
È della colpa il verme che macera l’interno.
Dimmi, Lisauro, hai cuore sì barbaro, sì cieco,
Col mezzo d’un delitto condurmi a penar teco?
Se ora non sei convinto, al tuo desire io cedo,
Ma di virtù nemico il tuo bel cor non credo.
Marmut. (Dalle donne Europee si sentono gran cose;
Grazie al Ciel, che fra noi non son sì virtuose).
Lisauro. Il tuo ragionamento non pronunciato a caso
M’avrebbe in altro tempo convinto e persuaso.
Son dell’onor geloso, son di virtude amante,
Dimmi, Zandira, il vero, ami il rival?
Zandira. Non l’amo.
Lisauro. Brami ch’ei sia tuo sposo?
Zandira. Le nozze sue non bramo.
Marmut. Passa il tempo. (a Lisauro
Lisauro. T’accheta. (a Marmut) Se ad onta del tuo core
Sposa sua ti volesse? (a Zandira
Zandira. Ah, morrei di dolore.
Lisauro. Essere ti figura con un marito al fianco
Da’ tuoi sforzati amplessi intiepidito e stanco.
Fingiti nel suo tetto abbandonata e oppressa,
Odiosa al fier consorte e alla famiglia istessa,
Senza de’ tuoi congiunti, senza trovare amici,
Che a tollerar ti aiutino le tue sventure ultrici;
E di godere invece dolce d’amor catena,
Essere altrui costretta ad obbedir con pena.
Quale rimorso avresti, dimmi, d’aver tradito,
Col simular, te stessa e il misero marito?
Questo è il fatal destino, a cui la vita esponi,
Questo il fin di quel zelo che alle mie brame opponi.
Perdi me, te medesma7, il tuo consorte istesso;
Sei di tre cor tiranna. Che mi rispondi adesso?
Marmut. (Sentiam che cosa dice). (da sè
Zandira. Lisauro, io ti rispondo.
Facciasi la giustizia, indi perisca il mondo.
Se oppressa e sventurata il Ciel vorrà ch’io sia,
Basta ch’io non sia tale almen per colpa mia.
Tutte saprei le ingiurie, tutte soffrir del fato,
Pria che sentirmi il cuore rimproverar d’ingrato.
Lisauro. Misero quell’infermo, di cui medica mano
A superar non vale l’avvilimento insano.
Curansi i mali estremi colla violenza ancora,
Ah se l’ardir t’offende, il perdonar s’implora.
(afferrandola per un braccio
Tu l’altra man le afferra. (a Marmut, che eseguisce
Zandira. Fermati, traditore.
(tenta liberarsi
Lisauro. Invan cerchi lo scampo.
Marmut. Invan fuggir t’impegni.
SCENA XI.
Alì con Soldati, e detti.
Marmut. (lascia Zandira, e fugge
Zandira. Numi, aita!
Lisauro. Zandira libera non fu resa?
Per qual ragione or veggola all’amor mio contesa?
Alì. Tu non pagasti il prezzo. A quel che l’ha sborsato,
Ibraimo la renda. Andiam, siegui il tuo fato.
(a Zandira, conducendola fra i Soldati
Zandira. Dove, ah dove mi guidi?
Alì. Dove consiglia amore.
Vieni, e la legge impara seguir del tuo signore.
Al sciambecco, soldati.
Lisauro. Zandira alla catena?
Zandira. Per le tue colpe, ingrato, deggio soffrir tal pena.
(Salgono nelle navi i Soldati e Alì medesimo conducendo seco Zandira; indi salpano, e vedesi allontanare lo sciambecco.
SCENA XII.
Lisauro solo.
Speme di liberarla mi rimanesse almeno.
Ma il mio destin perverso privami d’ogni aiuto:
Persa ho la mia Zandira, e mi rimane in petto
Del meditato inganno contro di me il dispetto.
Con orror di me stesso volgo alle colpe il guardo;
Pentomi dei deliri, ma il pentimento è tardo.
Ah la disperazione m’assale e mi trasporta;
Seguo il furore interno che al mio destin mi porta.
Ecco la mia Zandira, che agli occhi miei s’invola:
No, se il dolor t’uccide, non morirai tu sola.
Sagrificarti io voglio tutti i miei giorni almeno.
Ad ammorzar le fiamme andrò dell’onde in seno.
SCENA XIII.
Radovich, Ibraim, Marmut e detto.
Marmut. Mira, se corre il legno.
Radovich. Andrò io, se il permetti, ad inseguir l’indegno.
Ibraim. Vattene, io tel concedo. Vivo l’audace, o morto,
Guidalo, se trionfi, di Tetuan nel porto.
Proteggo i Monsulmani 8, ma vuo’ nella mia sede,
Che di Maometto i servi non manchino di fede.
Schiava da me venduta ei non dovea rapire.
Alì la legge insulta, Alì deve morire.
Coi tuoi seguaci armati va del nemico in traccia:
Non rispettar quel sangue, se te lo vedi in faccia.
Provi quell’alma infida delle sue colpe il frutto;
I contumaci indegni s’hanno a punir per tutto. (parte
Marmut. Se a ricondurlo al porto il tuo valor s’appresta;
Fammi questo piacere, guidalo senza testa, (parte
SCENA XIV.
Radovich e Lisauro.
Recherò a quell’infido la morte e lo spavento.
Lisauro. Deh Radovich, permetti che nel tuo legno armato
A trionfar io venga, od a morirti allato.
Radovich. Fidarmi ad un rivale sì facile, non sono,
Bastiti ch’io ti diedi di libertade il dono.
Fido de’ miei seguaci nel cognito valore,
E per combatter solo, s’anche bisogna, ho core.
(s’avvia al porto, monta nel suo naviglio, e si vede partire
Lisauro. Ah perchè il Ciel mi vieta questo cimento estremo!
Del destin di Zandira, della sua morte io temo.
Numi, pietosi Numi, deh la serbate in vita!
Ma mirerolla in pace al mio rivale unita?
Ecco a che mi condanna barbara cruda sorte,
E il mio tormento in vita, e la mia pena in morte.
Il destin di Zandira scegliere a me non lice;
Ma sia funesto o lieto, io sono un infelice, (parte
Fine dell’Atto Secondo.