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LA DALMATINA 31
Traggasi da’ suoi ceppi anche la donna ingrata,

E sia dal suo rimorso per me rimproverata;
E se l’amor non puote ricompensar mio zelo,
Bastami d’esser grato alla mia patria e al Cielo.

SCENA X.

Lisauro, Marmut e detto.

Marmut. (Eccolo, a lui t’inchina, che ti può far del bene!)

(a Lisauro
Radovich. Accostati: chi sei?
Lisauro.   (Fingere a me conviene).
Signore, ho anch’io l’onore d’esser di tua nazione,
Spalatro è la mia patria, civil mia condizione;
Nel militar mestiere fu noto il padre mio,
Stiepo Calabrovich; son militare anch’io.
(Il labbro di Zandira farò si unisca meco). (da sè
Marmut. (Bravo. Schiavon si finge; ma io lo so ch’è un Greco).
Radovich. Sai chi son io?
Lisauro.   Conosco de’ Radovicci il nome.
So che i marziali allori ti coronar le chiome.
Nota è la tua virtude alle natie contrade,
E so che gl’infelici ti destano a pietade.
Marmut. (È adulator perfetto!)
Radovich.   Sai che il suo genitore
Meco legò Zandira?
Lisauro.   Lo seppi a mio rossore.
Piacquemi, lo confesso, l’amabile sembiante,
Ma rispettai lo sposo alla mia fiamma innante.
Entrambi condannati al duo! delle catene,
Erano gli occhi suoi conforto alle mie pene.
Ed io colla pietade scemando il suo dolore,
Vidi che a poco a poco ardea per me d’amore.
Il timor di finire fra i ceppi i giorni nostri,