La bella giorgiana/Atto III

Atto III

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Atto II Atto IV
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Campagna aperta coll’accampamento di Bacherat.

Bacherat, Vachtangel, Soldati.

Bacherat. Tamar, la figlia mia, Tamar in preda

D’abbietto servo, di vil schiavo indegno?
Vachtangel. Ah! pur troppo, signor, sugli occhi miei
Si diè il fiero comando.
Bacherat.   E tu spedito
Con quella fè che i messaggier tutela,
Fosti accolto fra’ lacci?
Vachtangel.   Al primo arrivo
I ministri del Re cinsermi al piede
Aspre e dure catene.

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Bacherat.   Ah! non vi è legge

D’onor, di fè, di umanità. Si regge
Dadian da tiranno, e non vi è speme
D’amicizia con lui. Perir dovremo
Indifesi, codardi? Ah! no, la vita
Meglio s’impieghi; e se morir si deve,
Caro costi al nemico il morir nostro.
Sì, la sorte tentiam. Chi sa? talvolta
Favorisce fortuna i men possenti,
Ed esempi ha la Giorgia ancor recenti
D’oppressi re da poca gente incolta.
Vachtangel. Di’, t’è noto, signor, del Re nemico
Il Visire qual sia?
Bacherat.   D’Abchar ragioni?
Vachtangel. Sì, favello di lui. Di te nemico
Non mi sembra al parlar. Par ch’ei ti stimi,
Che gli caglia di te, che pietà senta
Dell’oppressa tua figlia. Un suo consiglio
Fe’ ch’io volgessi a te repente il piede.
Dissemi: Va dal tuo signore e digli
Che si fidi me, che la sua figlia
Onta non soffrirà dal servo infame,
Ch’io placherò co’ miei consigli il core
Dell’irato monarca; e s’ei si ostina,
Scudo sarò dell’innocenza io stesso.
Malcontento mi par del suo sovrano;
Molto, cred’io, si può sperar.
Bacherat.   No, amico,
Non mi fido di lui. Son l’armi usate
Dei ministri di stato, arti e lusinghe.
Ei brama forse addormentarci, e aspetta
Vibrar accorto e inaspettato il colpo.
Vigilar ci conviene, agir, tentare
D’avvilir gl’inimici. A devastare
Principiam le campagne. I folti armenti

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E le greggie lanute in poter nostro

Volisi ad occupar:1 troncar le viti,
Arder biade e capanne, e al piano e al monte
I bifolchi e i pastor menar cattivi.
Io con mille de’ miei più forti e fidi
Penetrar vo’ fin dove alberga e posa
Trincierato il nemico; e se mi è dato
Le guardie prime sconcertar, non temo
D’assalirlo nel sen de’ suoi guerrieri.
Vachtangel. Ah! non vedi, signor, che se felice
Sei ne’ primi tuoi rischi, alla vendetta
La prima esposta è la tua figlia?
Bacherat.   Il vedo
E pavento per lei; ma non per questo
Desistere vogl’io. Darei ben anco
Di più figli la vita e la mia stessa
Per il dolce desio di vendicarmi.
Tal oltraggio al mio sangue! Al sangue mio
Uno scorno simil! Maggiore stato
Non fa il merto maggior. Dadian comanda
A più colte provincie, io son di monti
E di selve signor; ma tanto io stimo
La mia sovranità, quanto il suo regno.
Vachtangel. Ma la figlia, signor...
Bacherat.   Se questa figlia
Tanto a core ti sta, se ancor tu l’ami,
Quel ferro impugna e vieni meco e ardisci,
E alle catene del tiran la invola.
Vachtangel. Sì, son teco, signor; morir m’eleggo,
Pria di vederla a me lontana e avvinta.

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SCENA II.

Un Soldato e detti.

Soldato. Un guerriero, signor, che vien dal campo

Di Dadian, di favellarti ha brama.
Bacherat. Venga. (parte il Soldato
Vachtangel.   Che dirà mai?
Bacherat.   Giusto sarebbe
Rendergli la mercè, d’aspre catene
Caricando il nemico.
Vachtangel.   Ah! vedi, o Prence,
Egli è Abchar che si avanza.
Bacherat.   E che pretende
Del nemico il Visir?
Vachtangel.   Chi sa ch’ei pace
Non ti venga a propor?
Bacherat.   L’onor dovuto
Renda al mio sangue, e poi di pace ei parli.

SCENA III.

Abchar e detti.

Abchar. Prence, tu vedi in me non un nemico,

Ma un amico, se il brami. Un Re inumano
Merta ch’io l’abbandoni, e che la mano
Che lo pose sul trono, a terra il tragga.
Armi ho meco ed armati, e il sol torrente
Si frappon fra tue genti e i miei guerrieri.
Imponi tu che si conceda il passo
Alle schiere ch’io t’offro, e andiamo uniti
Da quel soglio a balzar re mal difeso.
Facile è la conquista; ed il partaggio

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Possiam far degli stati. A te Imerette,

La Mingrelia per me. L’armi e i cavalli
Si dividan fra noi. L’oro e le spoglie
Mercede sia de’ tuoi guerrieri e miei.
Se diffidi di me, gli ostaggi ho meco.
Son io medesmo in tuo poter. La fede
Pronto sono a giurar. Parla e risolvi.
Bacherat. Dimmi in prima, Visir, qual destin soffre
La mia figlia tuttor.
Abchar.   Tua figlia... Oh stelle!...
Io la tolsi allo schiavo, io per lo zelo
Di onestà, di virtù, fra le mie tende
Custodir la facea; ma il Re tiranno
La rapì, la nascose; e dir non posso
A qual uso la serbi.
Bacherat.   Ah! non si perda
Il tempo invan. Vieni, la fè mi giura,
E a pugnare si vada. (ad Abchar
Abchar.   Il Cielo invoco
Testimon della fè che a te prometto.
Giuro teco pugnar, divider teco
O il trionfo, o la morte; e se a te manco,
Mi puniscano i Dei. (dando la mano a Bacherai
Bacherat.   Coraggio, amici.
La vittoria ci aspetta; e il ricco spoglio
Sia la vostra mercede. In voi confido
L’onor mio, la mia gloria. In altre imprese
Le prove ebb’io del valor vostro. Allora
Si pugnava per altri, or per noi stessi
Combattere si dee. Del mio governo
Se scontenti non siete, orror vi faccia
Cader un dì sotto tiranno impero.
Bella è la libertà; dolce è il morire
Per la patria comun. Ma che dich’io
Di cader, di morir; sotto al mio braccio,

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Sotto quello d’Abchar vano è il timore;

Certi siete di gloria. All’armi, o fidi,
Alla facile impresa, alla vittoria. (partono tutti

SCENA IV.

Parte del campo di Dadian colla torre nel mezzo, sopra di cui si vedono dei soldati.

Dadian ed Ottiana e Soldati.

Dadian. Ah! che il perfido Abchar, Visir indegno,

Dal mio fianco si tolse, e collegato
Si è co’ nemici miei. Di stragi han piene
Le vicine campagne, e insultan spesso
Sin le guardie avanzate. Ah! già vicino
Il fulmine è a piombar su tutto il regno,
Sul mio capo e sul tuo.
Ottiana.   Perchè avvilirti.
Perchè mai disperar? Ti mancan forse
Forti e fidi guerrieri? Hai tu bisogno
Di condottier, 2 se dalla prima etade
Fosti sempre fra l’armi, e sei più avvezzo
A guerreggiar che a comandar sul trono? 3
Anima i tuoi soldati, a loro inspira
L’usitato valor, mostrati al campo.
Tremeranno gli audaci, e quel ribaldo
Che mancotti di fè, del suo sovrano
Non avrà cor di sostenere il guardo.
Dadian. Necessario è il cimento, e ’l cor non vile
M’anima alla difesa. Ah! quell’indegno
Seco trasse i miglior de’ miei guerrieri.
Empio, per una schiava hai tu potuto
Calpestare l’onor, la fè, le leggi
Di natura e del Ciel?

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Ottiana.   Per una schiava

E in periglio il tuo regno, e tardi ancora
Questa a sacrificar cagion funesta
D’imminente ruina? E non t’avvedi
Che la guerra per lei ti movon gli empi;
Che perduta costei, perduto ha il prezzo
Abchar de’ sforzi suoi? Qual altro affetto
Legalo a Bacherat, se non la speme
Di posseder quella beltà che adora?
Fa che muoia l’indegna. Il di lei capo
Manda reciso al condottier ribelle,
E cadérgli vedrai di mano il ferro.
Fin ch’ella vive, si lusinga ancora
Di possederla, e a mio dispetto il brama,
E schernita desia vedermi in faccia,
E oltraggiare il tuo sangue. Ah! se perduta
Pia la speme che l’arde, in van confida
Bacherat nel suo braccio. In quella guisa
Che partì svergognato, al suo sovrano
Può pentito tornar. Ma dato ancora
Ch’ei persister volesse, onor ti sembra
Viva serbare al tuo nemico audace
La sua preda miglior? German, se hai core,
A mostrarlo comincia. Il sen trapassa
Della femmina indegna, e i tuoi nemici
Veggan che non li temi, e apprendan essi
D’un Re a temer vendicatore il braccio.
Dadian. Olà! Tamar a me si tragga innanti,
Circondata di guardie. (ai Soldati; e alcuni partono
Ottiana.   (In van le voci
Non gettai dello sdegno. Eppure ancora
Temo de’ sguardi suoi la fatal arte).
Se la vedi, german, temer non puoi
Disarmato il tuo cor?
Dadian.   No, quel rio sangue,

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Sangue d’un mio nemico, odio ed abborro,

E vo’ spargerlo io stesso, e saziarmi
Vo’ nel piacer di barbara vendetta.
Sia spettacol d’orror quel sen trafitto
All’amante ed al padre. Odan da lungi
I suoi gemiti estremi, e sia presagio
Del lor destin, ch’ella perisca e mora.
Ottiana. (Eccola. Ah! non ho cor d’esser io stessa
Testimon di sua morte. Al sagrifizio
La spinsi, è ver; ma non resiste il guardo). (parte

SCENA V.

Dadian, poi Tamar fra Guardie.

Dadian. Più non ascolto di pietà le voci.

Qual torrente il furor m’innonda il petto,
E sol medito stragi, onte e vendette.
Tamar. Signor, qual nuova colpa a te mi guida
In divisa di rea?
Dadian.   Tua colpa è un padre
Perfido, seduttor de’ miei guerrieri;
E tua colpa un amante a me ribelle.
Chiamami pur crudel; di’ ch’infierisco
Contro un cuore innocente, io non t’ascolto.
Tu dei morir.
Tamar.   S’ha da morir? Si mora.
Non temere, signor, che dal mio labbro
Escan vane querele, o insulti acerbi.
Conosco ben che tu non sei quel desso
Che a morir mi condanna. Un core oppresso
Da fierissimo sdegno, un’alma accesa
Da vendetta e livor, la mente offusca,
Copre d’un vel della ragione il lume,
E corre l’uom dove passione il mena.

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Non dirassi, s’io muoio: il pio sovrano,

D’Imerette il buon Re, Tamar trafisse;
Che capace non è, finch’è in se stesso
Un monarca, nutrir sì vil pensiero.
Si dirà: l’infelice a morte tratta
Fu dal maligno spirto di vendetta,
Che le bell’alme sfigurar procura.
Chi mai detto l’avria, che il più avveduto
Re della terra, il più clemente e umano,
La porta aprisse entro al suo cuore, all’empio
Spirito seduttor? Deh! il Ciel volesse,
Che il mio sangue, signor, recar la pace
Potesse al regno tuo, piacesse ai Numi
Che il morir mio dar ti potesse aita:
Che pregarti vorrei vibrar tu stesso
Nel mio seno il tuo ferro. Ah! pensa, o Sire,
Che se credi per me quest’armi mosse,
Quanto infierisci più, più a lor t’esponi.
Chi sa che mezzo non foss’io di pace?
Chi sa che al genitor trar non potessi
Di pugno il ferro? Ah! con chi parlo? Il veggio,
Dadian non m’ascolta. A un Rege io parlo
Che non è quel di pria. Dov’era in prima
La pietade, l’amore, il loco han preso
E lo sdegno e il furor. Fin dal sembiante
Sparito è il bel seren. Chi mai quegli occhi
Ad un tratto cambiò? Dov’è quel riso
Consolator che la speranza imprime?
Oh violenza d’affetti! Oh vil natura,
Suddita di passione! Ah! vieni, o morte,
Toglimi dal mirar cangiato il volto
Del mio Re, del mio Nume, in spettro, in ombra.
Dadian. (Oh infelice mio cor! qual strazio fanno
Di te l’ira e l’amor?)
Tamar.   Calmato ei sembra.

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SCENA VI.

Macur e detti.

Macur. Ah! signore, che fai che fuor non esci

Coll’armate tue squadre? Hanno i nemici
Penetrato i ripari, e se respinti
Non gli avessero i tuoi, te li vedresti
Venir fastosi alle tue tende intorno.
Dadian. Tanto ardir? tal baldanza? Empi, cadrete
Vittima del mio sdegno. Ah! non s’ascolti
L’importuna pietà; mori tu prima:
Paga col sangue tuo l’ardir del padre.
Tamar. (Oh mie vane lusinghe! oh inutil labbro!)
Macur. Perchè farla morir? Perchè, signore,
Se donata me l’hai, non far ch’io l’abbia?
Tamar. Deh! signor, questo sia l’ultimo dono,
Che di chiederti ardisco. Ah! non volere
Preda farmi d’un vil. Non sia mai detto,
Che chi piacque al sovrano, abbia a cadere
Nelle man della plebe. Ah! sì, questi occhi
Giunsero a penetrar nel più bel seno
Il più tenero cor. Son dessi ancora,
Ma tu quel più non sei. Salvami almeno,
Se la vita non vuoi, l’onor, la fama.
S’io son dell’ira tua scopo innocente,
Fammi dunque morir.
Dadian.   (Principia, o core,
A indurir nello sdegno). Olà! trafitto
Sia di Tamar il seno.
(alte Guardie, quali 4 si guardano fra loro
Tamar.   Alme guerriere,
Chi avrà di voi tanta viltade in petto
Per trafiggere il sen d’umil donzella?
(le Guardie si ritirano un poco

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Ah! signor, l’innocenza ha tal potere,

Che parla al cor dei men pietosi ancora.
Tu sol sai le mie colpe, e tu soltanto
Impunemente puoi ferirmi il petto.
Eccomi innanzi a te; ferisci, impiaga
Il mio collo, il mio sen. Non dire indegna
Dell’onor de’ tuoi colpi una che festi
Degna dell’amor tuo. Chi ha maggior dritto
Di ferir questo cor, di quel che seppe
Farlo superbo con dolcezza e doni?
Svenami, per pietà. Finisca omai
I mio lungo dolor, finisca il pianto.
Macur. (Una tigre ei saria, se l’uccidesse). (con sdegno
Dadian.   Alzati. (impietosito
Macur. (Sta a veder ch’è impietosito). (con piacere
Tamar. Qual destino, signor?...
Dadian.   Vivi.
Tamar.   La vita
Che pietoso mi doni, è un chiaro segno
Che lo stesso tu sei, clemente, umano,
Generoso monarca. Ecco sul volto
Ritornato il seren; veggio in quei lumi
Lo splendore di pria. Felice instante
Che a te rese il tuo cor!
Macur.   (Non può negarsi
Che non sappia parlar).

SCENA VII.

Chechaiz e detti.

Chechaiz.   Signor, le schiere

De’ nemici s’avanzano a tal segno,
Che riparo non v’è, se ancor ritardi.
Dadian. (Ecco il punto fatale).

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Macur.   (Io sto a vedere

Ch’ora torni a voler la giovin morta).
Tamar. (Stelle! che fia di me?)
Dadian.   Tamar, io deggio
Alla pugna appressarmi, e per te forse
In periglio vegg’io la vita e il regno.
Teco infierir volea, mi disarmasti;
Ti ho donato la vita, ed il mio dono
Revocare non so. Vivi, ma esposta
Non ti voglio al nemico. In quella torre,
Ultima al campo mio difesa e scudo,
Rinserrata ti vo'.
Tamar.   Perchè, signore?...
Dadian. Di più non replicar. Dicesti assai;
Ti ho donato abbastanza; or vanne, e taci.
Tamar. (Rassegnarmi degg’io. Tutt’i momenti
Che mi restan di vita, io li conosco
Non so ben se dall’arte o dal destino).
Macur. Signor, se compagnia dar le volessi,
Mi esibisco di cor.
Dadian.   Di gente armata
Provveduta è la torre. Avanza il passo, (a Tamar
Tamar. T’ubbidisco, signor, ma, deh! non dirlo
Con quel ciglio sdegnato.
Dadian.   Or non è tempo
Di soavi parole. Al campo io deggio
Cimentar la mia gloria; e se il destino
Vivo fa ch’io ritorni, allor rammenta
Quanto feci per te.
Tamar.   (Salvami, o Cielo,
L’amante e il genitor. L’un per natura
Deggio salvo bramar; l’altro mi cale
Per il desio di possedere un trono.
(Parte verso la torre, Dadian la segue, chiudono la porta, e Dadian si fa dar le chiavi.

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Macur. E per me non c’è nulla; o viva o morta,

È lo stesso per me. L’ho posseduta
Brievi momenti e l’ho tenuta in vano.
Mentecatto che fui! Basta, non sono
Ancor morto: chi sa? (parte
Dadian.   Seguite, o fidi,
Seguite i passi miei. L’onor \ invita,
Il periglio vi sprona, e il signor vostro
Testimonio sarà del vostro ardire.
Bello è il pugnar del suo sovran sugli occhi,
Animati da lui, da lui diretti,
Certi del premio e della lode. Andiamo
A vincere o morir, che egual corona
E al crine degli eroi l’illustre morte
E l’illustre vittoria, e più di vita
L’onorato guerrier la gloria ha in pregio.
(Parte seguito dai Soldati, e restano quei sulla torre.


Fine dell’Atto Terzo.


Note

  1. Nell’ed. Zatta c’è il punto fermo.
  2. Nell’ed. Zatta c’è punto interrogativo.
  3. Nell’ed. Zatta c’è punto fermo.
  4. Così il testo.