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464 ATTO TERZO
Bacherat.   Ah! non vi è legge

D’onor, di fè, di umanità. Si regge
Dadian da tiranno, e non vi è speme
D’amicizia con lui. Perir dovremo
Indifesi, codardi? Ah! no, la vita
Meglio s’impieghi; e se morir si deve,
Caro costi al nemico il morir nostro.
Sì, la sorte tentiam. Chi sa? talvolta
Favorisce fortuna i men possenti,
Ed esempi ha la Giorgia ancor recenti
D’oppressi re da poca gente incolta.
Vachtangel. Di’, t’è noto, signor, del Re nemico
Il Visire qual sia?
Bacherat.   D’Abchar ragioni?
Vachtangel. Sì, favello di lui. Di te nemico
Non mi sembra al parlar. Par ch’ei ti stimi,
Che gli caglia di te, che pietà senta
Dell’oppressa tua figlia. Un suo consiglio
Fe’ ch’io volgessi a te repente il piede.
Dissemi: Va dal tuo signore e digli
Che si fidi me, che la sua figlia
Onta non soffrirà dal servo infame,
Ch’io placherò co’ miei consigli il core
Dell’irato monarca; e s’ei si ostina,
Scudo sarò dell’innocenza io stesso.
Malcontento mi par del suo sovrano;
Molto, cred’io, si può sperar.
Bacherat.   No, amico,
Non mi fido di lui. Son l’armi usate
Dei ministri di stato, arti e lusinghe.
Ei brama forse addormentarci, e aspetta
Vibrar accorto e inaspettato il colpo.
Vigilar ci conviene, agir, tentare
D’avvilir gl’inimici. A devastare
Principiam le campagne. I folti armenti