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470 ATTO TERZO
Sangue d’un mio nemico, odio ed abborro,

E vo’ spargerlo io stesso, e saziarmi
Vo’ nel piacer di barbara vendetta.
Sia spettacol d’orror quel sen trafitto
All’amante ed al padre. Odan da lungi
I suoi gemiti estremi, e sia presagio
Del lor destin, ch’ella perisca e mora.
Ottiana. (Eccola. Ah! non ho cor d’esser io stessa
Testimon di sua morte. Al sagrifizio
La spinsi, è ver; ma non resiste il guardo). (parte

SCENA V.

Dadian, poi Tamar fra Guardie.

Dadian. Più non ascolto di pietà le voci.

Qual torrente il furor m’innonda il petto,
E sol medito stragi, onte e vendette.
Tamar. Signor, qual nuova colpa a te mi guida
In divisa di rea?
Dadian.   Tua colpa è un padre
Perfido, seduttor de’ miei guerrieri;
E tua colpa un amante a me ribelle.
Chiamami pur crudel; di’ ch’infierisco
Contro un cuore innocente, io non t’ascolto.
Tu dei morir.
Tamar.   S’ha da morir? Si mora.
Non temere, signor, che dal mio labbro
Escan vane querele, o insulti acerbi.
Conosco ben che tu non sei quel desso
Che a morir mi condanna. Un core oppresso
Da fierissimo sdegno, un’alma accesa
Da vendetta e livor, la mente offusca,
Copre d’un vel della ragione il lume,
E corre l’uom dove passione il mena.