La bella giorgiana/Atto IV
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ATTO QUARTO.
SCENA PRIMA.
Boschetto.
Ottiana sola.
Ed ai nostri finor nemico è il fato.
Di me che sarà mai? Se in poter cado
Dell’inimico Bacherat, mi aspetto
Che della figlia sua cruda vendetta
Sopra di me quel barbaro destini.
Tamar grida vendetta. Il sangue sparso
Forse per mia cagion, nel cor del padre
Desta l’ira alle stragi, ed io infelice
Che sperare poss’io dall’infedele
Perfido Abchar? Forse peggior destino
Da colui che m’abborre, allor ch’ei sappia
Che per consiglio mio Tamar fu estinta.
Ma spenta è poi la mia nemica, o il vile
Mio germano s’arrese ai vezzi e al pianto?
Misera me! s’ella vivesse ancora,
Tre nemici vedrei, di cui peggiore
Questa sarebbe mia rivale indegna.
Che non dassi nel mondo odio maggiore
Oltre quel che la donna in donna ispira.
SCENA II.
Macur e detta.
Macur. Una novella
Che piacer non ti può.
Ottiana. Fuggono i nostri?
Vincitore è il nemico?
Macur. No, la sorte
Tuttavia pende, e la vittoria è incerta.
Ottiana. Che dunque è quel che rattristarmi or puote?
Macur. Una morte, una morte.
Ottiana. Oh Dei! Sarebbe
Spento il germano mio? Noi siam perduti,
Se manca il Re, se il condottier non vive.
Macur. Vive il Re, non temer.
Ottiana. Chi morto è dunque?
Macur. Il superbo, il grifagno, il traditore,
Il ribelle Abchar1.
De’ tradimenti e de’ miei torti il fio.
Macur. Non ten duol, principessa?
Ottiana. Amor dal seno
Svelto è da infedeltà. Viver non merta
Chi è sol uso a tradir.
Macur. Così foss’egli
Morto sul far del dì, che non mi avrebbe
Tolta la schiava mia.
Ottiana. Sai tu ch’estinta
Sia caduta colei?
Macur. No; so che vive,
So che il Re impietosito...
Ottiana. Anima vile!
S’impietosì della mendace al pianto?
Macur. Maraviglia ti fai? Non sai tu stessa
Quanto possa beltà che piange e prega?
Ottiana. Ah! si perda o si vinca, in ogni guisa
Esser deggio infelice. È troppo acceso
Il german di colei. Se vivo ei torna,
E sua sposa la rende e mia sovrana,
Pace mai non avrei fin che son viva.
Macur. Prega dunque gli Dei ch’egli perisca,
E trionfi il nemico, e a visitarci
Venga tantosto ed a troncare il capo
A quanti siamo. (Oh maledetta invidia!)
Ottiana. Son fuor di me. Che desiar io debba,
E che temer, non so.
Macur. Temi che il fato
Contro noi si dichiari. Ancor pendente
E il destino dell’armi. In due diviso
Ha l’esercito il Re. Dell’ala dritta
Diè il comando al Visir sul campo eletto.
Combattendo costui d’Abchar a fronte,
Fu dal nuovo Visir trafitto il vecchio.
V’è più assai da temer che da sperare.
Bacherat l’incalza 2. Egli ha perduto
Il terren vantaggioso; e se non giova
Il soccorso che a lui mandò il Visire,
La battaglia è perduta e noi siam iti.
Sei contenta così?
Ottiana. Va, corri, intendi
Quel che fu, quel che accade. In ogni evento
Prevenuta esser voglio.
Macur. A noi sen viene
Chechaiz frettoloso.
Ottiana. Ah! mi predice
Tremante il cor la mia sventura estrema.
SCENA III.
Chechaiz e detti.
Chechaiz. Ah! siam perduti.
Il Re ferito è prigionier. Disfatti
Fuggono i nostri, ed il nemico ha vinto.
Macur. Godi, che n’hai ragion. (ad Ottiana
Ottiana. No, non fia vero,
Che l’inimico ad insultarmi arrivi.
Questo ferro mi tragga al mio rossore.
(caca uno stile per ferirsi
Voglio passarmi il sen.
Macur. Fermati.
Chechaiz. Ferma, (la trattengono
Ottiana. Lasciatemi morir. (si scuote
Macur. Pazzie son queste.
Che di peggio temer puoi dal nemico?
Ottiana. Oltraggi, servitù, peggio è di morte.
Ottiana. Che sperar? la speranza è un van conforto,
Quando siam agli estremi.
Chechaiz. Ecco il nemico.
Ottiana. Lasciatemi ferir. (si sforza per ferirsi
Macur. No, colla fuga (le leva il ferro di mano
Procuriam di salvarci.
Ottiana. Empio, avvilita
Veder mi vuoi?
Macur. Venite meco.
Chechaiz. Andiamo.
Ottiana. Non mancherammi un precipizio. Andiamo.
Macur. Sì, per nascer d vuol tanta fatica,
E la morte ci toglie in un momento. (partono
SCENA IV.
Campo colla torre armata.
Bacherat co’ suoi Soldati, alcuni de quali armati con fiaccole accese, altri armati d’archi, che combattono contro quei della torre.
Del nemico s’abbatta in fragil torre,
Sol di legno contesta. Il ferro, il fuoco
La vittoria compisca. Arsa e distrutta
Cada la torre e i difensori arditi.
(Gl’incendiari si accostano ad attaccare il fuoco alla torre; i Soldati dall’atto si difendono, e quelli di Bacherat gettano i loro dardi.
SCENA V.
Tamar sulla cima della torre, e detti.
Bacherat. Stelle! che miro!
Tamar! la figlia mia!
Tamar. Sospendi, o padre,
Deh! sospendi il furor, se me infelice
Arsa mirar non vuoi.
Bacherat. Salvarti io bramo;
Ma compire vogl’io la mia vittoria.
Fa che cedan gli armati. A me le porte
S’aprano della torre, e prigioniero
Il presidio s’arrenda.
Tamar. Oimè! ch’io sento
Le voci intorno mormorar frementi
Dei difensor, ch’han di morire eletto
Pria che ceder vilmente.
Bacherat. Eh ben, morranno.
Salvati tu, se puoi. Soldati, il fuoco
Alla torre s’inoltri.
Tamar. Oh Dei! fermate.
Ed avrai cor di rimirar la figlia
Tra le fiamme perir?
Bacherat. L’onore imita
D’un glorioso morir da quegl’istessi
Che d’intorno ti stan. Morir son pronti
Per serbare la fede al lor sovrano.
E tu morrai, se a te morir fia d’uopo,
Per la gloria del padre.
Tamar. Ah! genitore,
Pietà del sangue tuo; pietà di questa
Innocente tua figlia.
Bacherat. Ah! il mio nemico.
(osservando fra le scene
SCENA VI.
Dadian, incatenato fra Guardie, e detti.
Che avvinto ancor fra duri cepi ha in fronte
Il carattere eccelso.
Bacherat. In van rispetto
Pretende un Re che rispettar non seppe
L’altrui sovranità.
Dadian. (Cieli! che veggio!
Tamar esposta alle ruine, al foco!)
Tamar. Pietà, pietà, signor.
Dadian. Pietà tu chiedi
A chi soffre il rigor d’iniqua sorte?
Chiedila al padre tuo.
Bacherat. Contro il mio sangue
Infierire saprò, se i tuoi soldati
Non mi cedon la torre. Osserva il foco
Pronto a giusta vendetta; o aperto il varco
Siami senza dimora, o inceneriti
Cadan gli audaci, e la mia figlia anch’essa.
Dadian. Barbaro genitor!
Tamar. Dadian, pietade
S’io non merto da te, la mertan questi
Tuoi fedeli guerrieri. Un sol tuo cenno
Può dar loro la vita, e la lor morte
Nulla giovar ti puote.
Dadian. (Ah! si risparmi
Tanto sangue innocente. Il fato avverso
Non mi faccia scordar d’essere umano.
Lo mertano que’ fidi, e il merta anch’essa
Quella beltà che mi favella al core).
Cediamo, amici, al rio destin; quell’armi
(ai Soldati della torre
Della torre al nemico; e tu, crudele.
Quella pietà che non conosci, apprendi. (a Bacherat
Tamar. Grazie, o Numi del ciel. Ritorno in vita.
SCENA VII.
Vachtangel ed Ottiana fra Guardie, e detti.
Del tuo vinto nemico. (a Bacherat
Dadian. (Oh sorte!)
Ottiana. (Oh stelle
Serbala per conforto a tua vecchiezza,
Per amor del tuo sangue, e non mostrarti
A tanti pregi, a tal bellezza ingrato.
Bacherat. Ah! sì, viva mia figlia, e d’essa in grazia
A te risparmio il meritato affronto. (ad Ottiana
Revoca il cenno tuo. (a Dadian
Dadian. Giura che oltraggio
Non farassi a mia suora.
Bacherat. Al Ciel lo giuro.
Dadian. Resti la donna in libertà. (ai Soldati della torre
Tamar. Respiro. (parte
Vachtangel. Vedi, signor, che già la porta è schiusa
Della torre nemica.
Bacherat. Entravi, e teco
Vengan le guardie mie. Fa che il presidio
Ceda l’armi e s’arrenda, e i prigionieri
Fra l’esercito mio sparsi e divisi
Prendan nuovo servigio e giurin fede.
Vachtangel. (Ah vedrò pur l’idolo mio! Saziare
Nel bel volto potrò gli avidi sguardi!
Spero fida trovarla al primo affetto,
Ed averla in mercè de’ miei sudori).
Guardie, meco venite.
(parte con alcune Guardie ed entra nella torre
Bacherat. Olà! guidati
Sieno i due prigionieri alle mie tende,
Custoditi e divisi. (ai Soldati
Dadian. Usa, spietato,
Del favor della sorte. Avvinto io sono,
Avvilito non già. Perder io posso
E regno e stati, e libertade e vita;
Ma mi resta assai più, se in sen mi resta
L’invariabil costanza. Oltraggia, insulta.
Non mi vedrai da vil timore oppresso. (parte fra Guardie
Bacherat. Chi non teme assalir falangi armate,
Men di donna ha timor.
Ottiana. Perchè dai lacci
Dunque cinta mi vuoi? perchè tenermi
Circondata da guardie?
Bacherat. A te non rendo
Ragion del voler mio; vanne e t’accheta
Al tuo destino, e il vincitor rispetta.
Ottiana. Possibile, signor, che non ti mova
Una donna a pietà? Due meste luci
Non ti scuotono il cor? Se vincer brami,
Perchè trascuri la miglior vittoria
Sovra gli animi altrui? Vinta ed oppressa
Ammiro il tuo valor; non odio o sdegno
Nutro contro di te. Credimi, e volgi
Uno sguardo pietoso a chi ti prega.
Bacherat. Molli lusinghe io non ascolto. Vanne.
Ottiana. (Ah! non han tutti di Dadian nel petto
Il flessibile cor. Tamar ha vinto
Il mio vile german: non perchè ella abbia
Maggior merto di me, nè miglior arte;
Ma perchè debolezza in lui scorgendo,
Si provò, vi riescì. Chi mai potrebbe
Vincer costui? Sì, gli si vede in volto
L’indomabile cor, l’alma feroce). (parte fra Guardie
Bacherat. Conosco l’arte, e ne prevengo il danno.
Maestre accorte di lusinghe e vezzi
Son le donne fra noi. La Giorgia abbonda
Di bellezze, egli è ver: ma il maggior pregio
Che le fa desiar da Turchi e Persi,
È la fin’arte che le addestra ai vezzi.
Meco vano è l’usar costume accorto,
Che non curo beltà, nè affetti io merco.
SCENA VIII.
Tamar dalla torre, ed il suddetto.
Prospero e vincitor. Me pur tu vedi
Libera da’ perigli, e dopo mille
Avventure funeste a te vicina.
Volgi un guardo sereno alla tua figlia;
Mirami con bontà.
Bacherat. Godo in vederti,
Sai ch’io t’amo, e ti basti.
Tamar. Ah! no, signore,
Non mi basta sentir da un labbro austero
Dirmi: io t’amo, lo sai. Vorrei vederti
Tranquillo in volto, favellar giocondo
Alla tenera figlia.
Bacherat. Ancor dell’ira
Non è sgombro il mio cor.
Tamar. Son io cagione
Forse de’ sdegni tuoi?
Bacherat. No.
Tamar. Perchè dunque
Non ti puoi meco serenar per poco?
Bacherat. Lasciami omai.
Tamar. No non ti lascio, o padre,
Se il dolce riso vezzeggiar non veggo
Sull’amabil tuo labbro.
Bacherat. Invan lo speri.
Tamar. Non lo spero; lo voglio.
Bacherat. Ah! se più insisti,
Adirar mi vedrai.
Tamar. Perchè adirarti
Colla cara tua figlia? Ah! perchè mai
Con colei che il tuo ben, che il tuo tesoro
Che tu solevi accarezzar, godendo
Passar veglie con lei gioconde, amene?
Bacherat. Quella ancora tu sei. (dolce
Tamar. Sien grazie ai Numi,
Veduto ho un’ombra di quel riso antico
Che consola il mio cor.
Bacherat. Lascia ch’io possa
Della vittoria mia cogliere il frutto;
Poi giulivo m’avrai.
Tamar. Signor, perdona,
Se molesta ti sono; i’ vorrei dirti
Due parole e non più.
Bacherat. Parla, e t’affretta.
Tamar. Di’, padre mio: mi manderai raminga
Schiava de’ Persi o d’Ottomani austeri?
Bacherat. No, non temer, cangiò per noi la sorte.
Posso farti felice, e avrai gran parte
Nelle conquiste mie.
Tamar. Tenero padre!
Amoroso signor! (Quest’era il fine
Onde premeami raddolcir quel labbro).
SCENA IX.
Vachtangel dalla torre coi Soldati di presidio, disarmati fra le Guardie, e detti.
Tamar, la figlia mia. Dei prigionieri
La cura io prenderò.
Vachtangel. Signor, rammenta
Che l’amai da gran tempo; e se mia fede
E il mio lungo servir sperar mai puote
Da te qualche mercè...
Ch’io premi il tuo valor, ch’io ricompensa
Doni alla tua virtude; amala e spera.
Seguite, o guardie, i passi miei; guidate
Meco i nemici prigionieri. Figlia,
Mi rivedrai pria che tramonti il sole.
Spero lieta sarai; vedrai, s’io t’amo.
( colle Guardie e coi Prigionieri
SCENA X.
Tamar e Vachtangel
Ma se non regna Dadian, non veggo
Con chi io possa regnar. Chi sa! Gran cose
Superate ho finor; mi sembra un sogno
Questa vita ch’io godo, e i Numi forse
M’han riserbata a grandiose imprese).
Vachtangel. Non mi degni d’un sguardo?
Tamar. Oh Ciel! perdona
Il confuso pensier fra mille eventi
Trascurar mi faceva il mio dovere.
Vachtangel. Da te nulla si deve ad un tuo servo.
Tua bontà mi fa ardito, e in grazia i’ chiedo
Un sol favor che mi mantenga in vita.
Tamar. Chiedi e otterrai quel che accordarti io posso.
Vachtangel. Bella, sai ch’io t’adoro; altro non chiedo,
Che mi lasci sperare.
Tamar. E chi ti vieta
Che sperar tu non possa?
Vachtangel. Il tuo bel core,
Dimmi, è quello di pria?
Tamar. Sì, t’assicuro,
Non ho cambiato il cor.
Come un giorno m’amasti?
Tamar. Appunto come
Pel passato t’amai, t’amo al presente.
Vachtangel. Mia tu dunque sarai?
Tamar. Su ciò non tocca
Il risponderti a me.
Vachtangel. Dal genitore
Posso molto sperar.
Tamar. Speralo.
Vachtangel. Intanto
Deh! non farmi morir.
Tamar. Da me che brami?
Vachtangel. Un tuo sguardo vezzoso.
Tamar. Oh quanti sguardi
Darti vorrei, se in mia balìa ciò fosse!
Vachtangel. Ma non mi ami, idol mio?
Tamar. Tu a chieder torni
Quel ch’hai chiesto e richiesto.
Vachtangel. Ah! parmi ancora
Che non chiaro abbastanza il tuo bel labbro
Vogliami assicurar.
Tamar. Di quel ch’io dissi,
Dirti più non saprei.
Vachtangel. D’amore un segno
Tu non mi desti ancor.
Tamar. Quai sono i segni
Che tu brami d’amor?
Vachtangel. Deh! più non farmi
Disperar, per pietà. So che m’intendi;
So che onesta tu sei: ma non t’è ignoto
Come l’amante dell’amor si accerti.
Due parole amorose, un dolce sguardo,
Un soave sospiro...
Tamar. Assai finora
Vachtangel. Reggiti a voglia tua. Soffrirò in pace
Il contegno, il rigor, l’orgoglio ancora;
Pur che giunga quel dì che dirti io possa:
Io son tuo, sei tu mia.
Tamar. (Lontano troppo
Questo giorno è per te).
Vachtangel. Tamar, tu taci?
Tamar. Faccio, tacendo, il mio dover.
Vachtangel. Intendo.
Saggia figlia non dee del proprio core
Senza il padre dispor. Nel tuo silenzio
Un rimprovero i’ veggo a mia baldanza;
Comprendo il tuo rossor; scusami, o cara,
Se importuno ti fui. Se tu mi odiassi,
Non sapresti tacer; se taci, è segno
Che gradisci l’amor, che sperar posso
Da te grazia e pietà. Sì, mio tesoro,
Tacesti a tempo, e il tuo silenzio intendo. (parte
Tamar. Capir donna che parla è cosa incerta;
Ma più incerto è il capir donna che tace.
Si lusinga ciascun di quel che spera,
Ed il cieco amator sè stesso inganna.
Fine dell’Atto Quarto.