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474 ATTO TERZO
Macur.   (Io sto a vedere

Ch’ora torni a voler la giovin morta).
Tamar. (Stelle! che fia di me?)
Dadian.   Tamar, io deggio
Alla pugna appressarmi, e per te forse
In periglio vegg’io la vita e il regno.
Teco infierir volea, mi disarmasti;
Ti ho donato la vita, ed il mio dono
Revocare non so. Vivi, ma esposta
Non ti voglio al nemico. In quella torre,
Ultima al campo mio difesa e scudo,
Rinserrata ti vo'.
Tamar.   Perchè, signore?...
Dadian. Di più non replicar. Dicesti assai;
Ti ho donato abbastanza; or vanne, e taci.
Tamar. (Rassegnarmi degg’io. Tutt’i momenti
Che mi restan di vita, io li conosco
Non so ben se dall’arte o dal destino).
Macur. Signor, se compagnia dar le volessi,
Mi esibisco di cor.
Dadian.   Di gente armata
Provveduta è la torre. Avanza il passo, (a Tamar
Tamar. T’ubbidisco, signor, ma, deh! non dirlo
Con quel ciglio sdegnato.
Dadian.   Or non è tempo
Di soavi parole. Al campo io deggio
Cimentar la mia gloria; e se il destino
Vivo fa ch’io ritorni, allor rammenta
Quanto feci per te.
Tamar.   (Salvami, o Cielo,
L’amante e il genitor. L’un per natura
Deggio salvo bramar; l’altro mi cale
Per il desio di possedere un trono.
(Parte verso la torre, Dadian la segue, chiudono la porta, e Dadian si fa dar le chiavi.