La Pieve di Dervio/Comune di Dervio
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Comune di DERVIO
La comunità di Dervio era composta, in tempi assai lontani, dalle terre di Dervio, Corenno, Dorio, Vestreno, Sueglio, Introzzo, Tremenico ed Aveno, costituenti l’odierna Pieve.
Le Pievi, in generale, sono composte dalle diverse terre che all’epoca romana erano soggette alla podestà di un giudice. Nel IX° secolo vennero stabilite le giurisdizioni di ogni Pieve e le decime che le terre dovevano pagare.1
Nel XIII° secolo i paesi della Valle si staccarono da Dervio ed ultimo Corenno nel XVI°, preceduto di non molto da Dorio che nel 1452 trovavasi ancora racchiuso nel territorio di Dervio confinante con Colico alla «Fontana benedetta». Questa fonte è compresa al presente nel territorio di Dorio che confina con quello di Colico, a nord col torrente Perlino e ad ovest colla linea dei prati e la strada di Fontana sino alla linea del lago.
Il lago rimase in proprietà del Comune di Dervio dalla metà Valle di Grabbia alla Vallisella di Olciasca, che divideva la riviera di Lecco dal territorio episcopale di Como.
Nel medio-evo la Pieve di Dervio fu alla dipendenza della Curia Arcivescovile Milanese, delle Città di Como e Milano e di altre Signorie.
Chiamasi medio-evo quello spazio di tempo — circa un millennio — compreso fra l’invasione dei barbari nel 476 e la caduta dell’Impero d’Oriente nel 1453 e, secondo alcuni storici, sino alla scoperta dell’America nel 1492.
NEL XIV° SECOLO il Comune di Dervio-Corenno aveva a rappresentanti ed amministratori un Rettore, detto anche Podestà e Vicario, dodici consiglieri eletti annualmente e scelti in pari numero fra i De-Capitanei, o Cattanei, — vassalli maggiori — i Valvassori ed i Castellani collo stipendio annuo di soldi 20 imperiali. I mancanti alle radunanze senza constatato motivo dovevano pagare la multa di soldi 5. Fra questi consiglieri sceglievansi a sorte, uno per classe, tre consoli che duravano in carica per tre mesi ed a cui subentravano gli altri di trimestre in trimestre; nessuna deliberazione consolare era valida se non presa ad unanimità. I consoli supplivano nelle cause civili il Rettore che sedeva in giudizio il martedì e venerdì di ogni settimana, non festivi, premesso il suono della campana grossa, nella casa comunale a Ventilia in Via della Croce, ora Cantone di San Rocco in comune di Corenno, dove alcuni fondi ed una strada campestre conservano il nome di Crocetta. Venivano pure nominati: un canepario od esattore, tre procuratori, un notajo comunale, un perito e pesatore del pane, un banditore, tre verificatori dei pesi e misure, e nove campari che stavano in carica dai primi di agosto sin dopo il raccolto dei prodotti agricoli, escluse le olive.
Gli ambasciatori ed i soldati che potevano occorrere al comune venivano scelti in parti eguali come i consiglieri e pagati secondo la loro condizione, qualità e grado; se però pochissimi ne occorrevano, si sorteggiavano fra i consiglieri, che non potevano rifiutarsi sotto pena di soldi 100 di multa.
Le rendite del Comune, oltre il prodotto delle imposte sui terreni, consistevano negli incanti del pascolo e monte di Bientro, prati a Presungio ed a Fontana benedetta; bosco di Zello, ora in comune di Dorio, che unitamente al prato appartiene alla Prebenda Propositurale di Dervio; bosco Lenteno, Gaggio e le betulle riservate, nonchè la pescagione nel lago e nel fiume. In questo, dal ponte di S. Quirico allo sbocco nel lago estendendosi per 200 braccia (vedi Annotazione N) verso la Balma ed altrettanto verso Corenno sino a metà lago. Questa zona di pesca chiamavasi lago di mezzo, o lago di Cona; il rimanente era diviso in tre parti: dalla Valle di Grabbia al lago di Cona; da questo alla Gualeta di Corenno e da quella alla Vallisella d’Olciasca, sempre sino a metà lago. Tutti gli abitanti del Comune avevano diritto di pesca colla «molagna» così ancora chiamata in alcuni paesi del lago, la «spaderna» colla fiocina, tramaglio e gualeta. Era libero ai comunisti ed a i foresi la pescagione nella parte di fiume compresa fra il ponte di S. Quirico e la Valle di Lentredo, nonchè la pesca degli scazzoni — bòsc — (cazzuole) colla fiocina in tutte le acque del comune.
L’uso della «molagna o dirlindana» data dal principio del corrente secolo.
Altri cespiti d’entrata erano gli incanti del frumento, osteria, pesa pubblica o stadera, misurazione del vino e dell’olio; dei naoli a Como e Lecco con prescritte tariffe per merci e persone, esonerati dal pagamento gli sposi e quelli che recavansi a funerali. Inoltre, le licenze per tese di caccia agli sparvieri ed altri uccelli in diverse posizioni, come al Zuccallo, alla Forcella, a Mirabello, a Rosecco, a Molinelli ed altre, nonchè le multe per trasgressioni ai regolamenti e la tassa sul bestiame.
Circa la metà di marzo, entro tre giorni dalla data stabilita, erano tenuti gli abitanti di Dervio-Corenno a notificare il bestiame minuto, esclusi i lattanti, che possedevano od intendevano possedere sino alle calende di maggio, pagando denari due per capo. Dalle calende di maggio (primo giorno della luna nuova del mese) ai Santi si dovevano pagare soldi 2.6 imperiali per ogni vitello; soldi 10 per ogni bestia grossa; soldi 15 per ogni capra.
I foresi non potevano condurre bestie al pascolo nè in monte nè in piano entro i confini del territorio comunale sotto pena di soldi 3 per ogni bestia grossa, soldi 1 per piccola, escluse le capre che erano multate in soldi 15 ed il duplo del danno. Potevano però condurre il bestiame a mangiar fieno nel comune da dicembre a tutto aprile dopo aver data segurtà nelle mani del Rettore o Consoli a garanzia di eventuali danni e multe. Oltre il detto tempo dovevano pagare soldi 4 per ogni capo di bestiame grosso e soldi 2 pei piccoli per ciascun giorno di dimora.
Il pascolo era permesso in epoche e località fisse; dalla metà di marzo alla luna nuova di maggio nei prati e boschi posti superiormente alla strada che dal cantone della Balma mette al fondo del Rosario di Corenno, ora in confine con Dorio, passando per la Balma, ponte di S. Quirico, prato della Cunella, Sasso Molera di sopra, Chiari e Corenno. Dalle calende di maggio fino ai Santi nessuno poteva far pascolare bestiame al disotto della linea delle viti della Manzione di Piazzo di Corenno, nè sotto la strada che dalla fontana di Corenno per il Paullo, Monastero e Chiari mette a Castello. Lo stesso dalla Croce, posta a metà scalotta di «Nembri» — dei monti di S. Quirico — alla frazione del Chignolo e da questa sotto la strada per Bellano sino al confine della Valle di Grabbia, ora alla Valgrande.
Nel suddetto tempo potevasi però far pascolare da ogni proprietario, entro i confini dei sobiali, una bestia grossa, od una capra, o due montoni.
I sobiali erano due spazi di terreno racchiusi l’uno dal fiume, linea della Croce a Grabbia, confini con Bellano e Valsassina, e la linea dei monti di Dervio al fiume; l’altro dal fiume, fonte Martesina, Garzola (Gazagn), il confine del monte di Dervio, posto in vicinanza al territorio di Vestreno, confine di questi e Molinelli; a tramontana, superiormente ai coltivi del Paullo, Chiari e Castello.
Il nome di sobiale conservasi tuttora nella Valle di Dervio, a due «Monti od Alpi» di Introzzo e di Pagnona, dove vengono mandate le bovine al pascolo.
La vendemmia aveva luogo in quattro epoche: la prima nella zona compresa fra Corenno ed il fondo del Rosario, ora confine con Dorio; la seconda fra Corenno, casa comunale a Ventiglia (Cantone di S. Rocco) e strada al Castello; la terza fra il fiume Varrone e Valle di Grabbia, confine con Bellano; l’ultima fra Ventilia, strada al Castello ed il fiume Varrone.
Le strade, le scalotte di Corenno, la strada di «Nembri» ai Monti e quella di Molinelli per Introzzo dovevano appaltarsi per la manutenzione con eguali condizioni di quelle di Dervio. Queste, dipartendosi dalla riva, portavansi al bastione del Castello, dove, suddividendosi nuovamente, continuavano, l’una per il monte di Dervio, l’altra pel confine di Vestreno. La via del Chignolo, detta di Godenga dal nome della valle, alla Balma e da questa a Villa, doveva essere riparata dagli aventi terra, casa o cascina lungo il percorso; quella dal Castello a Ventilia dai Cattanei, grandi vassalli di Dervio, e dagli abitanti di Castello.
In epoca posteriore la valle che nasce sopra la cascina di Soldra e sbocca nel fiume, detta ora della Godenza, prese il nome di Godenga, e di valle del Chignolo quella che sbocca al cantone della Balma.
Speciale rigore usavasi nello spurgo dei moli di Corenno, di Presungio, del Guasto, di Ventilia e di Corte; questi due ultimi in posizione non precisata e dei quali la tradizione non conservò il nome. Di quello al Guasto, fra Corenno e Dorio, si scorgono avanzi di muro, come pure in vicinanza della Capona, territorio di Dervio, nella stagione invernale quando le acque del lago sono basse, limpide e quete. Nello scavo delle fondamenta del nuovo porto del signor Carlo Cunico furono trovati avanzi di grosse mura, della cui esistenza era però voce comune, e queste mura sono probabilmente quelle del molo di Corte, così chiamato per essere in vicinanza alla Corte o casa di giustizia. In un istromento 9 febbraio del 1551 trovasi fatto cenno di un «moletto» in confine al Comune di Corenno2, ma anche di questo non sopravanzano vestigia nè nome.
Alle riparazioni di quei moli dovevano prestarsi tutti i maschi superiori d’età ai quindici anni e per un’intiera giornata, sotto pena di multa. Nei succitati moli era vietato deporre canape, lino, pelli e scorze, nonchè nel fossato del prato di Borgo Vecchio dove ora dicesi a Foppa; in quello del «Castro de Orethia», così chiamato avanti il XIV° secolo l’attuale frazione di Castello; nell’acquedotto, di cui non è memoria, e nel fossato di Corenno.
Speciali ordini erano stabiliti per la macellazione, vendita delle carni e dei pesci.
Le bestie dovevano essere macellate in luogo aperto, onde tutti potessero constatare la qualità e la sanità delle stesse, sotto pena di soldi 20. Dalle feste pasquali alle calende di settembre le carni di vitello, di castrone, di porco dovevano essere vendute a soldi 12 e 13 la libbra, e dalle calende di settembre a tutto dicembre soldi 10 e 11. Le carni di capra e pecora in ogni stagione soldi 8, e dei capretti soldi 14.
Da dicembre alle feste pasquali la trota da mezza libbra in avanti dovevasi vendere da soldi 4 a soldi 10 la libbra; l’anguilla, il luccio, la tinca, l’encobia, il pigo ed il barbio a soldi 5 e 6. Era facoltativo il prezzo degli scazzoni (cazzuole), dei vanbotti (cobite ghisella), erroneamente dette lamprede da alcuni pescatori del Lario, e degli altri pesci minuti.
Dei carpioni, dei pesci-persici e degli agoni non è cenno, il che fa presumere che non erano ancora stati introdotti nelle acque del lago.
Paolo Giovio — nel 1500 — narra dello straordinario peso di alcuni carpioni, ed il di lui fratello Benedetto lasciò scritto che il pesce-persico venne importato dai laghi della Brianza3; in questi erano abbondantissimi, come lo sono tuttora, tanto i primi che i secondi.
Il pane, se non era ben cotto, bianco o fosse mancante di peso, escluso quello per elemosina e per sponsali, veniva sequestrato e venduto diviso in tre parti, nel Borgo di Corenno, Borgo e Villa di Dervio; le visite al prestino avevano luogo due volte la settimana.
Nella seconda metà del XV° secolo vigeva ancora la costumanza dell’allevamento di alcuni porci, detti «di S. Antonio», ma di questo allevamento non è dato conoscere l’origine nè il modo. Venivano quei porci consegnati a due persone indicate col nome di «procuratore o fattore di S. Antonio», ai quali spettava la macellazione quando ne occorresse fare la vendita. Le carni dovevano essere suddivise in modo che a ciascuna famiglia ne spettasse una parte proporzionata al numero dei componenti la stessa, pagandola soldi 2 per libbra grossa. Alle persone cui non fosse toccata la parte dovevano i due incaricati pagare la multa di un soldo per ciascuno; per la macellazione avevano diritto a soldi quattro per ogni porco, senza riguardo alla grossezza.4
DAL 1740 AL GIUGNO 1797 — data della proclamazione della Repubblica Cisalpina — le comunità reggevansi mediante consiglio generale — convocato — cui intervenivano tutti i capi-famiglia, presieduto dal Giudice e dal Cancelliere. In Dervio il convocato tenevasi, generalmente, nella pubblica piazza, ora detta Piazza Cavour, dove trovavasi un tavolo di pietra per uso del Presidente e del Cancelliere, stato rimosso non molti anni sono. Dal Consiglio rivedevansi ogni triennio i conti, e nominavansi i due nuovi Sindaci, uno dei quali funzionava anche da Cancelliere. Ai Sindaci spettava l’amministrazione del pubblico patrimonio, ed in particolare al Cancelliere la vigilanza sulla giustizia dei pubblici riparti. Incarico del Sindaco-Cancelliere era anche la conservazione delle scritture pubbliche e dei registri di catasto, con un soprasoldo di Lire 12.
La giustizia era amministrata da un Podestà o Giudice di nomina feudale, residente in Bellano, dove venivano discusse le cause criminali. Per la trattazione delle civili tutti i martedì e venerdì non festivi il Podestà portavasi in paese, dove continuamente risiedeva un suo rappresentante. Il luogo dove tenevasi la Corte di giustizia, come da tradizione, era posto al Borgo nella casa ora Paruzzi, Abbiati e Silvetti, a nord della Propositurale.
La comunità non aveva quota di scudi d’estimo, ma era tassata in staja 14 libbre 8 di sale, e su quelle erano ripartiti i carichi. Il quantitativo di sale era ragguagliato ad una certa quantità di terreno che nel vecchio censo risultava di pertiche 778, tavole 19, con un valore di L. 48,699 imperiali. Nel perticato non erano comprese le proprietà ecclesiastiche, perchè esenti da ogni imposta.
Colle staja 14.8 di sale, essendo di troppo aggravata la imposta sui terreni, veniva questa ripartita per due terzi sugli stessi ed un terzo sul personale e focatico. Il personale gravitava sui soli maschi da 14 a 60 anni, e nel triennio 1748-1750 era pagato da novantotto persone, il focatico da ottanta famiglie.
Concorrevano ai bisogni del bilancio gli affitti di un prato sortumoso e del pascolo di Bientro e Gaggio, da tempo immemorabile posseduti dal Comune; l’incanto dei dazi del prestino ed osteria, nonchè peso e misura pubblici, scavo del sabbione, raccolta della legna dirupata e la pescagione del lago. Le straordinarie piene, non permettendo una regolare pescagione nè un regolare taglio del prato a S.a Cecilia, obbligavano il Comune al rimborso dei danni agli affittuari.
La tassa di macinazione era a carico del prestinajo, che ne tratteneva l’importo sul peso del pane.
I proprietari che volevano vendere vino al minuto dovevano assoggettarsi ad una tassa proporzionale al vino che intendevano smerciare.
In paese trovavansi: un postaro per la vendita del sale; due barcajuoli che alternativamente andavano a Como e Lecco per le provviste; due rivenditori al minuto, un oste ed un prestinajo.
Dal censo principiato nel 1726 ed entrato in vigore coll’approvazione 26 giugno 1781, il territorio risultava di pert. 9675.19.2/4 con l’estimo di scudi 10694.1.5.
Case, mulini, fabbricati in genere non portavano tassa; l’imposta gravitava solamente sopra la misura del terreno occupato.
Oltre alle pubbliche imposte dovute alla R.a Camera per diaria, mensile, ecc., dovevasi sopperire alle spese locali, e cioè: al Feudatario annue lire 74 — al Sindaco e Cancelliere 62 — al Podestà, o Giudice residente in Bellano, 25, più 5.5 per l’annuale visita alle strade — al Console 10 — all’Esattore, in media, 66 — al Cappellano 312 — ai Sagrestani, regolatori dell’orologio, 60 — all’Organista 54 — al Medico-Chirurgo 46.2 (Vedi annotazione O) — per manutenzione delle strade e porto 165 — al Podestà per visite in occasione di morti, cadute, incendi e ruberie 30 — taglia per orsi, lupi e talpe 90 — per funzioni religiose e cereo pasquale 28 — in totale, fra imposta reale, taglie e tasse, circa L. 4,000 — nonchè la decima alla Prebenda Propositurale.5
Dervio ritirava annualmente da Como moggia 209 in media di grano per sopperire all’insufficienza del prodotto, e su quello gravitava una tassa di soldi 2.9 per moggia a favore della Chiesa.6
NEL MILLE OTTOCENTO QUATTORDICI E QUINDICI, coi trattati di Vienna e Parigi, venne il Lombardo-Veneto assegnato all’Austria, e questa nel 1816, con notificazione 12 aprile, promulgava i Regolamenti per l’amministrazione dei Comuni.
I Comuni aventi il numero degli estimati inferiore ai trecento, si reggevano mediante Convocato, gli altri a mezzo di Consiglio.
Componevano il Convocato tutti gli inscritti nei registri del censo, esclusi i Parroci ed i Coadjutori, i debitori verso il Comune, quelli con esso in lite ed i condannati per crimine.
A mezzo di un rappresentante, purchè non estimato, potevano concorrervi anche i pupilli, i minorenni, le donne e gli interdetti.
Erano stabilite due radunanze: l’una in gennajo-febbrajo, nella quale si verificavano i conti dell’anno antecedente ed i ruoli della tassa personale per l’annata; l’altra in novembre-dicembre, nella quale si rinnovavano i Deputati, amministratori, allorchè scadeva il triennio di elezione in corso; si compilava il bilancio preventivo delle spese e delle imposte per l’anno seguente, ed in ambedue qualsiasi interesse concernente il Comune.
Alle radunanze dovevano essere presenti i tre Deputati amministratori o loro supplenti estratti a sorte; il Deputato alla tassa personale, l’Agente comunale, il R.o Commissario Distrettuale od il suo sostituto. A Presidente di ogni radunanza veniva scelto il più anziano d’età, purchè non Deputato.
Il Deputato alla tassa personale stava pure in carica per un triennio, e veniva eletto in concorso dei capi-famiglia soggetti alla tassa ma non possidenti.
Il R.o Commissario doveva vegliare al buon ordine, far conoscere le leggi ed i regolamenti, dirigere le sedute e stendere il verbale.
L’Agente comunale veniva eletto dai Deputati amministrativi e pagato dal Comune; questa carica corrispondeva, con lievi differenze, all’odierno segretariato.
Nuovi regolamenti vennero promulgati dopo la scacciata degli Austriaci dalla Lombardia, sconfitti nelle gloriose battaglie di Montebello, Palestro, Magenta, Melegnano, San Martino e Solferino (24 giugno 1859), e coll’annessione al Piemonte, modificati in seguito coi Decreti 8 giugno 1865 e 10 febbraio 1889 tuttora vigenti.
DERVIO, anticamente Delfo, Derfo e Dervo nel XVI° secolo, posto allo sbocco della Valle del Varrone, è suddiviso in diverse frazioni: Castello, accampato su di un ceppo, al cui piede scorre impetuoso il Varrone — Villa, attraversata da nord a sud dalla stradale militare allo Stelvio, è fiancheggiata a ponente dalla nuova linea ferroviaria con vasta ed elegante stazione, aperta al pubblico il 1° agosto 1894 — Borgo, posto alla riva del lago, chiamato Borgo Vecchio nel XIV° secolo, con stazione pei piroscafi, dove trovansi antiche case e la cospicua Chiesa Propositurale, già matrice di dieci chiese con tredici altari. Era collegiata battesimale fra le più antiche della Diocesi, con cinque Canonici che portavansi tutti i giorni festivi nei paesi della Pieve per le diverse funzioni; di essa è cenno nel Codice di Gotofredo da Bussero del 1288.7
Piccole frazioni sono quelle della Balma e Chignolo (Godenga), già esistenti nel XIII° secolo; Piazzo e Ronchi si formarono molto più tardi.
Dal paese si stacca la strada mulattiera per Premana attraversando quelli di Vestreno, Introzzo, Tremenico, Aveno e Pagnona.
Il fiume Varrone, quasi parallelo alla Pioverna di Bellano, nasce in territorio di Introbio (Valsassina), sul monte omonimo; mette foce nel Lario, ed a lui si deve il vasto e fecondo «Delta o Piano di Dervio». Di frequente ingrossa e deborda per le abbondanti acque che raccoglie nel suo lungo corso, e principali quelle della Valmarcia e Legnasca, allagando e coprendo di ciottoli e sabbie i terreni posti in vicinanza allo sbocco. L’allargarsi ed il deviare della corrente minacciò più volte la frazione del Borgo, ed a ricordo d’uomini la più importante piena avvenne il 14 e 18 settembre del 1829. Ricchissimo, pochi anni sono, di squisite trote (Vedi annotazione P); ora si sono fatte rare assai per l’inqualificabile sconsiderata distruzione che ne venne e vien fatta coi bertavelli all’epoca del fregolo, e col «coccolo», sostanza velenosa, nelle altre epoche dell’anno. Questa selvaggia distruzione, con enorme danno, è estesa anche alle acque del lago.
Le acque del Varrone dànno alimento e vita a quattro cartiere: Ghezzi, Signorelli, Stoppa e Vitali; ad una fabbrica molto importante di tubi di ottone e filo della Società Metallurgica Italiana, con una forza d’acqua di oltre 150 cavalli; a fucine e torni per ferro. I signori Redaelli di Lecco innalzarono al cantone sud di Dervio un vastissimo fabbricato, ove preparansi fusti per ombrelle, tele metalliche ed altri lavori. Tutti questi opifici occupano numeroso personale, ed attirarono in paese molte famiglie cui procurano lavoro e benessere.
In buon numero le botteghe ed i negozi, ricchi di generi diversi e ben forniti di scelte merci.
Nell’annata 1896, in marzo, venne aperta una farmacia, dopo lunghi anni di desiderio; gratuita e generale la cura medica.
Due fiere, già rinomatissime, hanno luogo in paese: l’una il giorno seguente la festa di S. Pietro in giugno, e l’altra il secondo lunedì di novembre lungo il nuovo stradale al Borgo, terminato nel 1881, e prima nei prati a S.a Cecilia.
L’istruzione viene impartita da due Maestre ed un Maestro in tre scuole, complessivamente frequentate da oltre 130 alunni.
Non molti i monumenti od avanzi di antiche costruzioni; primeggiano i ruderi del «Castelvedro» corruzione di vetero (antico) già così chiamato negli Statuti di Dervio-Corenno del 1384, posto ove dicesi «a Maglio» (m. 420), e qualche avanzo di grosse mura di fortilizi sottostanti sparsi pel ripido colle; la Chiesuola al Ponte, cui un Rotprando da Dorio nell’814 lasciava alcuni fondi a Banialla e Pioda, situati in quel Comune.8 La Chiesa, dedicata ai Santi Quirico e Giulitta martiri, che vissero in principio del IV° secolo, è la più antica della Pieve. Una piccolissima lapide ricorda la riconsacrazione della Chiesa fatta il 3 luglio 1628 dal Vescovo di Bobbio, Francesco Abbiato, per delegazione del Cardinale Federico Borromeo, Arcivescovo di Milano, in seguito ad un generale riadattamento, escluso il campanile che venne conservato allo stato originario. Da una nota preventiva dei lavori risulta una somma di L. 1,138.17 imperiali non computato il prezzo del materiale9 (Vedi annotazione Q). In giro alla Chiesa trovasi uno spazio libero, forse per le funzioni, e sotto questo vennero scoperti antichi sepolcri in lastroni di pietra, come pure nelle vicinanze. Nulla di rimarchevole presentano gli Oratori di S. Gregorio, di S.a Cecilia e di S. Leonardo in Castello, dell’XI° o XII° secolo, più volte ristaurati.
Delle diverse torri un tempo esistenti poche ne sopravanzano; nella frazione di Castello (m. 298) una in buon stato, di epoca ignota, ma approssimativamente del XIV° secolo, è fiancheggiata a ponente da case e da avanzi di torri e fortilizi in sfacelo, di epoca assai anteriore, con aperture a sesto tondo ed alcune con fasce orizzontali di pietruzze eguali poste a coltellata; altra, ridotta ad abitazione, con vasta arcata e portico di grosse pietre, cui sottopassa la strada per Vestreno. Gli antichi fortilizi, le torri, vennero probabilmente innalzate, più che a difesa del paese, a sbarramento dell’imbocco della Valle di Varrone; una terza al Borgo, ora ridotta a magazzeno ed in decadimento, con apertura di porta binata e stemma.
Con istrumento 31 marzo 1683 Andrea Orio cedeva ai sindaci dei poveri di Cristo «lo spazio di terra ad orto posto nel recinto della torre che era nel piazzale al borgo10» della quale vedonsi ancora traccie di fondamenta. Benedetto Giovio nella Storia di Como e il Libero Comano nel Canto della guerra decennale di Como accennano a questa torre in vicinanza al porto. Le due torri al Borgo facevano parte del castello, spesso confuso con quello della frazione omonima, che in diversi tempi sostenne arditi assalti e lunghi assedi.
Da osservare: al Borgo, oltre la propositurale, la vecchia casa di giustizia del comune, con cortiletto e portico superiore; l’arco d’entrata con stemma e mensole, che mette alla casa del signor Carlo Cunico, e due antichi capitelli fungenti da sedile; sul piazzale un tronco di colonna di marmo bindellino del paese, forse avanzo di antichissimo monumento. Stemmi gentili, di epoca lontana, erano dipinti sulla casa Silvetti in vicinanza a quella di giustizia, già facente parte della stessa prima del riadattamento eseguito nel 1861.
Alla frazione della Balma in fine dell’altro secolo vennero scoperti alcuni sepolcri romani con vasi unguentari, lucerne, armi, monete di bronzo e rame11; nel 1876 una moneta d’oro, non lungi dal fiume, dell’epoca della divisione dell’impero romano (anno 320) e moltissime altre di epoche diverse.
Nei lavori di sterro per la costruzione della linea ferroviaria e della stazione merci, vennero scoperte alcune tombe con scheletri umani; dalla disposizione di quelle è dato supporre che un tempo ivi esistesse un cimitero.
Nella Chiesa propositurale sono rimarchevoli: l’altare maggiore di forma rarissima, in marmi diversi; il battistero ed il pergamo, buon lavoro d’intaglio, guasto anni sono coll’indorarlo, togliendone così il pregio; antichi paramenti del soppresso Convento degli Umiliati a Monasterio di Corenno, ed altri d’origine chinese, dono del padre Francescano De Magni Francesco; quadro all’altare di S. Giovanni, dono del pittore Gio. Battista Cattaneo fu Domenico di Dervio, residente in Verona (1759); arredi e vasi d’argento donati da Gio. Battista Buzzi pure di Dervio «con i denari raccolti fra i patrioti dimoranti in Venezia.»12
Qualche discreto monumento vedesi nel cimitero costrutto nel 1822, ingrandito nel 1837 e nel 1877, che racchiude anche la piramide innalzata alle vittime del disastro 24 giugno 1883 e la gotica cappella mortuaria della distinta Famiglia De Magni, oriunda della Valsassina.
Il vecchio ponte detto di S. Quirico, a due gradinate, venne tolto e surrogato dell’esistente nel 1829-30. Nella spalla a lago sulla destra del ponte, a due metri sopra l’alveo, è racchiusa una pietra cui venne tolto lo stemma all’epoca della repubblica cisalpina, coll’iscrizione:
HIERONIMO MONTIO
Ex LX Dec.
Ædili
Anno MCDVII
che nel 1829 era infissa sulla vecchia e bassa casupola di proprietà Schenardi, stata ampliata e ridotta a cartiera, ed ora di proprietà del signor Carlo Signorelli.
Da lontani tempi al presente il suolo di Dervio si rialzò di oltre metri 1.50, causa le diverse alluvioni del fiume e l’innalzamento del lago, come lo provano alcuni avanzi di pavimento esistenti sotto l’odierno piano, nonchè dalle arcate di vecchia torre e mura al borgo.
A Como nel 1895 vennero fatti scandagli attorno alle colonne del Broletto di fianco al Duomo, che comprovarono un rialzamento del suolo di metri 1.70 avvenuto nello spazio di 680 anni, ossia dal 1215 data della fondazione13; altezza che non differisce molto da quella riconosciuta in Dervio.
Anni sono nelle magre invernali del lago si scorgevano sul fondo, più addentro del molo, delle massiccie mura, ed altre se ne trovarono nello scavo di pozzi.
Ben pochi documenti, registri ed antiche carte si conservano nell’Archivio comunale, causa un incendio che ne distrusse la massima parte, e delle sopravanzate molte andarono disperse per trascuratezza e peggio.
Nella Famiglia Venini conservavasi la Cronaca di Dervio ed alto Lario, tenuta dall’antichissima e distinta Famiglia Anganuzzi spentasi in Dervio circa il 1780. Quella importante Cronaca andò smarrita dopo il 1823.
Coll’ultimo censo entrato in vigore nel 1876 Dervio ha un territorio di Pert.m. 5819.30 coll’estimo di L. 23,667.90 delle quali sui terreni L. 7,219.54. Sugli abitanti sono imposte alcune tasse facoltative — focatico, bestiame, barche ed altre.
Cogli affitti di pascoli e boschi, tasse, e la sovrimposta sui terreni e sui fabbricati ha un reddito di L. 7,590 annuali, media del decennio. Il patrimonio comunale ascende a L. 30,997.
I prodotti sono: vino, fieno, legna, granoturco e bozzoli da seta; le coltivazioni di frumento, segale, canape e dell’olivo di un tempo sono ora quasi totalmente abbandonate, ed il reddito vinicolo alquanto diminuito per le infezioni sviluppatesi sulle viti, malgrado le aumentate coltivazioni delle stesse; ridotto è pure l’allevamento dei bachi da seta causa la moria dei gelsi ed il diminuito prezzo dei bozzoli.
Nel 1814 la direzione del Regio Demanio con istrumento 22 luglio faceva cessione del diritto di pesca nel lago di Dervio alle famiglie De Magni, Dettamanti e Vasti che lo conservano ed affittano tuttora. Il governo austriaco, avanti il 1796, aveva rilevato quel diritto dal comune, lasciando a questi l’obbligo in perpetuo del pagamento di Lire 28.10 imperiali annue alla famiglia Schenardi per le ragioni dette di Recchio — livello del lago.
Lungo le rive, ma specialmente in vicinanza allo sbocco del fiume, sono abbondanti le prese degli agoni colla lenza, pesca introdotta fra il 1840-50, dalla metà di maggio alla metà di agosto; numerose le barche che solcano le acque del lago alla pesca della trota ricavandone discreto lucro.
Nel 1650 gli abitanti non superavano il numero di 200, nel 1750 erano saliti a 331; un secolo dopo a 647, e nel 1897 a 1205. L’aumento annuo medio dal 1750 al 1850 fu del 3.16 e negli ultimi 47 anni dell’11.87.
OPERE PIE
Legato Poveri di Cristo. — Nel 1630 il sacerdote don Gio. Battista Rondone con suo testamento 14 settembre nominava eredi i nipoti ed una sorella coi pesi inerenti ai fondi della Balma, per la distribuzione di pane già disposta da un ignoto nel 1347. La distribuzione in origine veniva fatta dai sindaci dei poveri; dal 13 giugno 1709 dall’amministrazione comunale, col provento di un prato a S.a Cecilia, ceduto da un discendente Rondone, per le Staja 8 di mistura e per le Lire 4 da pagare al molto reverendo Proposto di Dervio. Ora la distribuzione viene fatta in contanti ai bisognosi per autorizzazione consigliare.
Legato per infermi. — Il reverendo don Giovanni Antonio Bertarini di Esino, già Proposto di Dervio, con testamento 19 ottobre 1818 instituiva ogni suo avere all’Ospitale di Como, che accettava, coll’obbligo di ricevere tutti gli infermi dei comuni di Esino Superiore, Esino Inferiore e Dervio.
Legato per distribuzione di riso. — Il distinto benefattore Avv. Magno De Magni di Dervio, con atto 21 gennajo 1828 disponeva il capitale di Lire 2,000 milanesi per distribuzione di riso a ciascun abitante in Dervio coll’interesse ricavato. Nel 1891 il Consiglio comunale in seduta 20 ottobre accettava la dimanda fatta dalla Congregazione di Carità di trasmutare in contanti la distribuzione del sale, stato sostituito al riso con anteriore deliberazione, onde sopperire all’urgente bisogno di soccorso ai poveri.
Legato elemosine e borse di studio. — L’illustrissimo signor Conte Gian Mario Andreani di Corenno, con testamento 16 agosto 1830 assicurava un’annua distribuzione di Lire 266.40 ai poveri del comune, specialmente infermi. Inoltre Lire 1,500 per tre borse di studio a favore di tre giovani residenti nella Pieve, di famiglia decaduta, per l’istruzione nelle scienze e belle arti.
Legato medicinali. — L’egregio Dott. Carlo Magno De Magni il 29 giugno 1864 stabiliva un’annua somma di Lire 200, in perpetuo, per distribuzione di medicinali ai poveri della comunità.
Lascito Bergamini Margherita. — Con testamento 7 febbrajo 1844 legava la propria casa al Borgo ed annesso giardino a favore dell’istituenda Coadjutoria in Dervio, stabilendo quali amministratori il reverendo Proposto e Fabbriceria.
Nelle scienze e lettere si distinsero: il Conte Pier Jacopo Rubini, presidente del Consiglio del Regno di Napoli, ultimo dei sette feudatari di Colico, che scrisse di leggi, annona, monete ed economia politica, morto nel 1726.
Nicolò Rubini, letterato, prefetto della Biblioteca Ambrosiana, nella prima metà del secolo diciottesimo.
Tomaso De Magni, professore di rettorica, direttore del Collegio Borromeo di Pavia e poscia Proposto di Dervio circa il 1750.14
Padri Bonaventura e Gaetano De Magni dei Francescani riformati di Dongo, decesso il primo nel convento di Traona nel 1769 e Gaetano nel 1774, teologi e predicatori distinti.15
De Magni don Francesco dell’ordine francescano, erudito teologo, oratore facondo, Vescovo di Melitopoli, vicario apostolico in China, morì nel 1783 l’11 febbrajo nelle carceri di Pekino.16
Padre Lino Venini dell’ordine francescano, erudito teologo, distintissimo predicatore, morto nella seconda metà dell’altro secolo.17
Padre Guardiano Eufrasio, al secolo Giuseppe Buzzi fu Simone, da Dervio, francescano riformato di Dongo, che lasciò alcune Memorie storico-critiche, ecc., opuscoli e manoscritti diversi, e fra questi uno Sulla vera origine dei debordamenti del Lago, decesso in Dongo il 31 maggio 1817.18
Buzzi Francesco, medico-oculista celebre ed un di lui nipote, pure Francesco, fratello al padre Eufrasio, capo-ingegnere nelle pubbliche costruzioni, studioso di fisica, chimica e mineralogia; visse il primo dal 1751 al 1805, l’altro dal 1789 al 1830.18
Note
- ↑ Giulini — Memorie.
- ↑ Istromento di mia proprietà.
- ↑ D. Monti — Notizie dei Pesci della Provincia di Como, Valtellina e del Canton Ticino.
- ↑ — Dagli Statuti di Dervio-Corenno del 1384 e da Documenti di mia proprietà.
- ↑ Da una Relazione del 1751 e da Documenti di mia proprietà.
- ↑ Archivio Propositurale — Registro C dal 1727 al 1794.
- ↑ Giulini — Memorie.
- ↑ Arrigoni — La Valsassina.
- ↑ Documento di mia proprietà.
- ↑ Archivio Comunale e da una Memoria esistente presso la sig.a Rubini-Regalini.
- ↑ Arrigoni — La Valsassina.
- ↑ Archivio Propositurale — Registro C dal 1727 al 1794.
- ↑ Don Santo Monti — La Cattedrale di Como.
- ↑ Arrigoni — La Valsassina.
- ↑ Memorie del padre Eufrasio Buzzi da Dervio.
- ↑ Archivio Propositurale — Registro C dal 1727 al 1794.
- ↑ Informazioni dei parenti.
- ↑ 18,0 18,1 Notizie fornite dal nipote signor Buzzi Dott. Erasmo e dalla Storia della Valsassina di Arrigoni.