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l’anguilla, il luccio, la tinca, l’encobia, il pigo ed il barbio a soldi 5 e 6. Era facoltativo il prezzo degli scazzoni (cazzuole), dei vanbotti (cobite ghisella), erroneamente dette lamprede da alcuni pescatori del Lario, e degli altri pesci minuti.
Dei carpioni, dei pesci-persici e degli agoni non è cenno, il che fa presumere che non erano ancora stati introdotti nelle acque del lago.
Paolo Giovio — nel 1500 — narra dello straordinario peso di alcuni carpioni, ed il di lui fratello Benedetto lasciò scritto che il pesce-persico venne importato dai laghi della Brianza1; in questi erano abbondantissimi, come lo sono tuttora, tanto i primi che i secondi.
Il pane, se non era ben cotto, bianco o fosse mancante di peso, escluso quello per elemosina e per sponsali, veniva sequestrato e venduto diviso in tre parti, nel Borgo di Corenno, Borgo e Villa di Dervio; le visite al prestino avevano luogo due volte la settimana.
Nella seconda metà del XV° secolo vigeva ancora la costumanza dell’allevamento di alcuni porci, detti «di S. Antonio», ma di questo allevamento non è dato conoscere l’origine nè il modo. Venivano quei porci consegnati a due persone indicate col nome di «procuratore o fattore di S. Antonio», ai quali spettava la macellazione quando ne occorresse fare la vendita. Le carni dovevano essere suddivise in modo che a ciascuna famiglia ne spettasse una parte proporzionata al numero dei componenti la stessa, pagandola soldi 2 per libbra grossa. Alle persone cui non fosse toccata la parte dovevano i due incaricati pagare la multa di un soldo per ciascuno; per la macellazione avevano diritto a soldi quattro per ogni porco, senza riguardo alla grossezza.2