La Basilica di S. Giulio d'Orta
Questo testo è stato riletto e controllato. |
CARLO NIGRA
La Basilica di
San Giulio d'Orta
alla fine del secolo XI
(DISEGNI E FOTOGRAFIE DELL'AUTORE)
STAB. TIP. E. CATTANEO
NOVARA 1941 ‐ XIX
La Basilica di S. Giulio, situata nell’isola dello stesso nome che sorge di fronte ad Orta sul lago omonimo, è nota a quanti si interessano delle cose d’arte e di storia del nostro Paese, ed è celebre fra tutti coloro che muovono da ogni parte del mondo ad ammirare i gioielli profusi dalla natura nella regione dei nostri laghi subalpini.
Di essa molti hanno scritto ed anche favoleggiato, e specialmente se ne occuparono scrittori e prelati della regione novarese che sempre ebbe colla Basilica intimi legami storici ed economici. Fra questi autori ricordo il Rev. Bescapè (Novaria Sacra, 1611), Lazzaro Agostino Cotta (Corografia dell’Isola, 1688); Can. Giulini (Vita dei Santi Giulio e Giuliano, 1749). Il Bonino, il Padre Bonola, il Modroni, e più vicini a noi: G. Avogadro di Valdengo (Storia dei Santi Giulio e Giuliano, 1840), Fara (La Riviera d’Orta, 1861), il Giovanetti, A. Rusconi, col suo pregiato lavoro Il Lago d’Orta (1880) ed il Fusi (1901-1903).
Tutti questi scrittori si sono basati quasi esclusivamente sulle tradizioni e sui documenti, in verità molto scarsi, che della basilica giunsero fino a noi: nessuno di essi ha fatto del monumento uno studio approfondito dal punto di vista architettonico e stilistico.
È quanto io feci negli anni che precedettero il 1918, quando tale mio studio venne pubblicato negli Atti della Soc. Piemontese di Archeologia e Belle Arti. Dopo d’allora la Basilica di S. Giulio fu solo presa in esame da due altri studiosi, cioè il Professore americano A. Kingsley Porter, e sulle sue tracce lo studioso italiano P. Verzone che ne trattò nel suo ampio studio sulla Architettura Romanica nel Novarese apparso nel Bollettino della Deputazione di Storia Patria di Novara degli anni 1932, 1936 e 1937, dove egli si vale in gran parte dei miei disegni, concludendo come il Porter.
Dopo il 1918 ho avuto anch’io l’occasione di occuparmi nuovamente della Basilica di S. Giulio e di aggiungere quindi qualche cosa a quanto io avevo già raccolto. Ed essendosi intanto esaurito il mio primitivo studio, giudico che ora si renda opportuna una sua ristampa, ciò che faccio rivedendolo ed ampliandolo. Però le conclusioni a cui fin d’allora io pervenni non hanno alcuna ragione di essere modificate, mentre mi riservo invece di dimostrare come quelle contrarie esposte dai due ultimi autori citati non possano essere accettate.
Gioverà intanto per la più chiara conoscenza del soggetto accennare alle opinioni finora prevalenti intorno alla fondazione ed alle successive trasformazioni della Basilica.
***
Storia. - Dice la cronaca che S. Giulio, sgombrata l’isola dai draghi e dai serpenti che la infestavano, eresse intorno all’anno 360 sulla sommità di essa una chiesa dedicata ai SS. Apostoli. Altri crede che egli si limitasse a gettarne le fondamenta, e che impedito dalla natura rocciosa e diruta del terreno di continuarne la costruzione, si sia portato nella parte inferiore dell’isola e vi abbia costrutta la sua chiesa che il lago allora lambiva.
Il Cotta però, nel descrivere il torrione del castello dell’isola (torrione che durò quasi intatto fino al 1842 nel quale anno esso fu demolito per far posto all’attuale Seminario), dice che nell’interno di esso si conservavano le vestigia dell’antica chiesa di S. Giulio, e dalla descrizione che egli ne dà appare come essa fosse di forma tale da ricordare quella degli antichi battisteri.
Ad ogni modo sembra che nel 489 il vescovo novarese Vittore desse opera a restaurare una chiesa esistente nell’isola presso il lago, e che l’opera fosse proseguita e compiuta dai suoi successori Pagaziano ed Onorato, e che fu dedicata ai SS. Pietro e Paolo. Il vescovo Onorato avrebbe anche costrutto il castello sulla sommità dell’isola. Questo castello, che servì ai vescovi per difendersi dalle incursioni barbariche allora susseguentisi, era nel 590 occupato dal duca longobardo Mimulfo fatto decapitare da Agilulfo, come riporta Paolo Diacono1, per non essersi opposto efficacemente ad un’invasione dei Franchi dalla parte dell’Ossola. Nella chiesa trovasi tuttora un plinto romano scavato che credesi fungesse da sarcofago del duca longobardo.
Nel 956 l’isola di S. Giulio subì un primo assedio da parte di Litolfo, figlio di Ottone il Grande, contro Berengario II che aveva nel 950 tolto la riviera di S. Giulio ai vescovi di Novara. Nel 962 un secondo assedio vi sostenne, contro lo stesso Ottone, la moglie di Berengario Regina Villa, che ne aveva ampliato le fortificazioni cingendo con un muro l’intera isola e comprendendovi così anche la Basilica. Di questo muro conservansi ancora oggidì le traccie sotto il nome di Muro della Regina.
Fra i seguaci della regina chiusisi con lei nell’isola, il Muratori, sulla testimonianza di Rodolfo Glabro, del Bollando e del Mabillon, ricorda un conte Roberto da Volpiano (marito di Perinza)23, che durante l’assedio ebbe dalla moglie un figlio, Guglielmo, resosi poi celebre negli annali Benedettini e di cui più avanti si avrà occasione di parlare.
Immediatamente dopo l’assedio Ottone, con diploma del 29 luglio 962 conservato nella Basilica stessa, donava ai Canonici di essa due corti (o masserie) di complessivi 40 mansi colle loro pertinenze nel contado di Pombia inferiore. In tal diploma è accennata l’esistenza di una chiesa nel castello dell’isola (in praedicto castro) e del corpo di S. Giulio in essa tumulato. Con altro diploma del 13 gennaio 969 Ottone restituisce all’allora vescovo di Novara Aupaldo la giurisdizione ed il dominio della riviera di S. Giulio e della città di Novara coi poteri prima spettanti al Conte e colle relative larghe rendite4.
Nel 1002 Arduino, eletto re d’Italia, toglie la Riviera, e con essa la Basilica di S. Giulio, al vescovo Pietro che parteggiava per Enrico II, e la tiene sotto la sua dominazione fino al 1015, nel quale anno essa ritorna, per opera di quest’ultimo imperatore, ai vescovi novaresi. Questi la tengono, fatta eccezione di un intervallo di circa un secolo fra il 1522 ed il 1615, fino ai primi anni del secolo XIX, riportandone frequenti donazioni. Si conoscono quelle di Ottone III al vescovo Pietro nel 1001, di Enrico II nel 1015, di Corrado II nel 1025 e 1028 che concede ai vescovi nuove investiture a Pombia, Vespolate, Olengo, Cureggio, nell’Ossola e sulla riviera d’Orta, di Enrico III re d’Italia e IV imperatore di Germania nel 1060; quelle dei privati Gisemprando, Adamo, Ariberto, Giovanni Diacono ed Ildeprando, tutti di Invorio Superiore, nell’anno 10395; ed altre posteriori, che meno interessano il nostro studio.
Dicono pure le cronache che la Basilica subì restauri e modificazioni nei secoli VIII e IX, ed appaiono ancor oggidì traccie di lavori fatti nel 1541 dal vescovo Giov. Angelo Arcimbaldo, e nel 1611 dal vescovo Bescapé.
Negli anni correnti fra i secoli XV e XVIII l’interno fu a varie riprese decorato con affreschi, dipinti e stucchi, che ancor oggi mascherano in gran parte la struttura dell’edificio.
Sul finire del XVII secolo fu costrutta la cripta per opera dell’arch. can. G. A. Martelli di Miasino. Verso la metà del secolo XIX venne distrutto un tratto di pavimento a mosaico rappresentante i segni dello zodiaco ed altri soggetti sacri, e sostituito con un battuto comune.
A mezzodì della Basilica vuolsi esistesse un palazzo già dei duchi longobardi, occupato in seguito da Berengario e dalla regina Villa, e che sulle sue rovine sia poi sorto l’attuale palazzo del vescovo. Questo palazzo, riedificato nel secolo XIV dal vescovo Guglielmo Amidano ed ampliato dal vescovo Arcimboldo nel secolo XVI, come riporta il Bescapé, fu dal Bescapé stesso rinnovato in parte nel XVII secolo, e dopo di lui ristorato da Mons. Visconti e da altri vescovi. Esso, se si eccettua un pilastro rotondo (Fig. 33), che serviva forse a portare il tetto della scala esterna d’accesso alla porta laterale della Basilica, non conserva ormai più traccia delle primitive costruzioni.
***
Ecco quanto era fin qui ammesso intorno alla Basilica, e ciò in molte parti non concorda, come vedremo, coi risultati di una diligente analisi del monumento.
Lo studio intimo della Basilica di S. Giulio è ora notevolmente ostacolato dalle costruzioni che le furono addossate e che quasi la soffocano, e dalle opere decorative interne che, specialmente nel secolo XVIII, ne mascherarono le forme primitive (Fig. 1). Queste costruzioni e queste decorazioni si oppongono a ricerche radicali e ad assaggi approfonditi, che dovettero essere da me limitati a quelle parti dove risultarono possibili senza danneggiare gli stucchi e le decorazioni. Perciò il mio lavoro dovette in molti casi procedere per induzioni, che spero siano per ricevere piena conferma quando le circostanze permetteranno di eseguire più profonde ricerche.
I disegni annessi a questo studio, che furono diligentemente rilevati sul luogo, e le fotografie che li accompagnano, tutti da me eseguiti, mi dispensano da una minuta descrizione dell’edificio, che del resto si può leggere in qualcune delle opere citate e specialmente in quella del Rusconi. Mi limiterò a rilevarne le caratteristiche più spiccate, ed a trarne le conseguenze che mi parranno più ovvie.
Pianta. - La pianta della Basilica (Fig. 2) presenta, sfrondandola dalle aggiunte e modificazioni, tre absidi, una nave traversa, una navata principale e due minori che terminano in una fronte rivolta a ponente e fiancheggiata da due campanili in cui si trovano le scale che dànno accesso ai matronei. Il presbiterio, rialzato di pochi gradini e coperto da una cupola ottagonale su impeducci, ha vicino l’ambone portato da quattro colonne. Presso l’abside minore sinistro (in cornu evangelii) sta la torre campanaria separata dalla chiesa. L’accesso principale è dato da una porta aperta nel fronte occidentale conservata nella sua forma primitiva, e quelli laterali da due porte modificate. Le finestre delle navate sono a doppio squarcio, e quelle delle navate minori piccolissime. Le finestre dell’abside maggiore sono invece senza squarci ed abbastanza grandi.
Absidi. - L’attento esame di questa pianta induce subito a rilevare la sproporzione (di circa 10 a 4) esistente fra la grandezza dell’abside maggiore e quelle delle absidi minori, sproporzione che è la più grande che mi sia occorso di riscontrare nelle chiese dell’epoca a cui presumibilmente risale la nostra. Ciò fa nascere subito il dubbio che le tre absidi siano state costrutte in epoche diverse, come infatti dimostrerà l’ulteriore loro esame.
Abside maggiore. - L’abside maggiore (Fig. 3) è costrutto con apparecchio regolare di pietra graniticoschistosa in cui trovasi intercalato qualche embrice romano, ed è privo di lesene intermedie. Esso è terminato da una cornice a nicchie od archi a fornice (Fig. 4 e 5), fatti di pietra e di laterizi in parte frammentarii, che ricorda quelle coronanti le absidi di S. Vincenzo in Prato, S. Ambrogio, S. Giovanni di Piobesi, della Basilica d’Agliate e di altre chiese costrutte intorno al mille. La sua curva si imposta sopra due grandi lesene sporgenti circa 45 centimetri e larghe metri 2,25, che più che lesene parrebbero costituire l’esterno di un antico presbiterio. Le finestre, (Fig. 6) delle quali una si conserva tuttora intatta, sono voltate a tutto sesto senza squarci, ciò che è particolarmente notevole, e sono costrutte quasi interamente in pietra.
La parte inferiore del muro di questa abside fu scavata nell’interno tutto all’ingiro per allogarvi nel secolo XV degli stalli in noce ad uso dei canonici. Archi portati da mensole in pietra sostengono il muro superiore, e tali archi sono ora coperti di stucchi straricchi e pesanti che impedirono di ricercare se per avventura essi non siano di data più antica di quanto a prima vista sembra.
Absidi minori. - Le due absidi minori sono strettamente addossate a quella maggiore a cui si legano nelle sue lesene d’appoggio. L’abside di sinistra (in cornu evangelii) ha forme più semplici di quello di destra (in cornu epistulae), manca della cornice ad archetti, è leggermente più rilevato, ed è forse il più vecchio dei due. Entrambi hanno apparecchio molto meno accurato e regolare di quello dell’abside maggiore. Dagli assaggi eseguiti risulta che i loro muri sono slegati da quelli della navata trasversa a cui semplicemente si appoggiano, per cui la costruzione loro deve necessariamente essere posteriore a quella della navata stessa.
Questi rilievi dànno ragione di ritenere che l’abside maggiore sorgesse soletto parecchio tempo prima che gli fossero aggiunti i due minori, e che anzi esso facesse allora parte a sè come appartenente ad una chiesa primitiva avente una sola abside, esistente molto tempo prima dell’assedio di Ottone e costrutta cioè anteriormente alla metà del secolo IX, come fanno ritenere i caratteri stilistico-costruttivi dell’abside.
Questa chiesa era probabilmente costituita di una sola navata a cui potrebbero appartenere le grandi lesene (o l’inizio del presbiterio) alle quali si appoggia l’abside maggiore, e doveva avere il pavimento molto più rialzato dell’attuale, poichè non altrimenti si potrebbe spiegare la soverchia altezza dell’abside maggiore, quale appare dal disegno della sezione trasversale della chiesa. Nè mi pare che ciò si possa giustificare coll’esistenza anteriore di una cripta rialzata, poichè sappiamo che la chiesa attuale non ebbe cripta prima di quella costrutta nel XVIII secolo. D’altra parte era naturale che dovendosi costrurre una chiesa di grandi dimensioni si sia abbassato il pavimento della primitiva più piccola, onde non essere costretti dall’andamento del suolo a costrurre muri di sostegno troppo elevati verso il lago.
La restante pianta della nostra Basilica mostra un tracciato irregolare e poco omogeneo, e presenta pilastri e muri di forma e struttura variata che accennano a due distinti sistemi costruttivi. Ciò indica come essa sia il frutto di lavori fatti a varie riprese ed in epoche diverse.
Nave trasversa. - Osservando l’apparecchio della testata meridionale della nave trasversa, che è quasi uguale a quello dell’abside maggiore e che conserva come esso intercalati degli embrici romani romani, si sarebbe indotti a credere che tale nave sia contemporanea al detto abside. Ma il suo apparecchio superiore più minuto ed irregolare e che termina con una cornice in pietra, mentre quella dell’abside è in cotto, nonchè le sue finestre uguali per forma, costruzione e dimensioni a quelle della navata maggiore, la dicono appartenere ad epoca posteriore a quella dell’abside e contemporanea a quella di questa navata, od almeno della sua prima parte (Fig. 7).
Navata maggiore. - Dico la prima parte, perchè la nave maggiore fu certamente costrutta in due epoche distinte, poggiando essa per un tratto su pilastri semplicemente cruciformi coronati da modanature fungenti da capitelli e correnti tutto all’ingiro di essi, e per l’altro tratto invece su pilastri uniti a mezze colonne aventi rozzi capitelli non raccordati alle contigue membrature: a questi ultimi fanno riscontro altri simili pilastri a fascio delle navate minori.
E’ quindi presumibile che la parte occidentale della navata maggiore sia stata alzata posteriormente a quella orientale e contemporaneamente alle navate minori, che presentano muri, contrafforti e pilastri a fascio destinati dalla costruzione a portare le crociere semplici che ancora le coprono. Ciò è confermato dall’essere la muratura delle navate minori slegata da quella della nave trasversa a cui esse semplicemente si appoggiano.
Il Verzone nella citata sua opera si mostra di diverso parere e ritiene, seguendo il Porter, che la chiesa sia stata costrutta di getto. Ciò deve essere nettamente rifiutato quando attentamente si esamini quanto io espongo intorno al modo con cui sono fra di loro mal legate le diverse parti della Basilica che ho descritto.
Navate minori. - Le navate minori sono, come dicemmo, dotate di matronei a cui si sale per due scale situate nei campaniletti di facciata, ed essi sono coperti da crociere semplici che internamente si impostano sopra sostegni cruciformi senza mezze colonne dalla parte dei muri esterni. Nelle navate minori queste mezze colonne esistono invece dalla parte della navata centrale: due di esse sono perfettamente visibili nella loro parte inferiore essendo addossate ai due ultimi pilastri della navata e concorrendo colle colonne intercalate a portare il portico di comunicazione fra i due matronei eretto nel secolo XVII. Le altre sono nascoste nelle lesene rettangolari barocche, e dalla parte della navata centrale esse probabilmente si spingevano fino al tetto per sostenerne le incavallature. Ciò è reso evidente da una discontinuità nell’intonaco di una di dette lesene che lascia scorgere una testa di donna appartenente ad un affresco dipinto sopra una di tali colonne.
Eseguendo il rilievo della chiesa mi occorse di constatare un fatto che parrebbe contraddire all’affermazione che la navata centrale e quelle laterali siano sorte quasi contemporaneamente, ed indicare invece che la navata centrale sia per un certo tempo esistita sola. Voglio parlare delle traccie dell’appoggio di un antico tetto delle minori navate sul muro laterale della nave maggiore che avrebbe in tale posizione dovuto tagliare ed otturare in parte le sue finestre come mostra il disegno (Fig. 8). Ritengo però che tale fatto sia da ascriversi ad un posteriore rialzamento della monta dei tetti minori che prima dovevano avere monta inferiore all’attuale ed uguale a quella del tetto principale (come mostra il disegno della facciata), e dovevano perciò appoggiarsi alla risega del muro della nave maggiore che è segnata nel disegno della sezione trasversale, lasciando completamente libere le finestre.
Tetto e volte. - Ho accennato alla mancanza di volte coprenti la navata maggiore, che doveva invece mostrare apparente il tetto. Mi inducono a pensare in tal modo le seguenti considerazioni. Se fossero esistite volte non sarebbe stato necessario ai decoratori del secolo XVIII di costrurne delle nuove a vela, poichè essi avrebbero potuto semplicemente coprire coi loro stucchi ed affreschi quelle preesistenti, come fecero per la cupola e per la tazza dell’abside maggiore. La mancanza poi di contrafforti esterni ai muri laterali della nave maggiore, mentre tali contrafforti esistono in quelli delle navate minori, mostra come non fosse prevista la costruzione di volte per la nave maggiore. Aggiungasi la piccola distanza intercedente tra la cornice di coronamento dei muri della navata e la sommità dell’apertura delle sue finestre (Fig. 8 e 9) e di quella a croce della facciata, che avrebbe generato la parziale otturazione loro da parte delle volte. Tutt’al più potrebbesi ammettere l’esistenza di un grande arco trasversale6 sostenente il tetto apparente, dando così ragione del prolungarsi dei contrafforti delle navate minori sopra il loro tetto fino al muro della navata maggiore per elidere la spinta di tale arco.
Lo stesso dicasi per la nave trasversa, il cui tetto, prima della costruzione della cupola, doveva essere partito e sostenuto dalle quattro grandi arcate insistenti sul suo incrocio colla navata centrale e portanti la cupola.
Anche qui mi trovo in contrasto con quanto ritiene il Verzone che giudica originali le volte che coprono attualmente il Transetto e la Navata Maggiore. Egli afferma che tali volte siano dei tipo a crociera cupoliforme (?) mentre invece esse appaiono, a chi le esamini dotato anche solo di embrionali cognizioni architettoniche, come appartenenti a quello delle ordinarie volte a vela le quali, come si sa, vennero in uso solo dopo il secolo XVI. Esse non potevano quindi già sussistere nel secolo XI.
Il piccolo contrafforte citato dal Verzone, che si affianca al muro della navata centrale, anzichè avere le funzioni che il Verzone gli attribuisce, serviva solo ad elidere la spinta dell’arco trasverso della navata che in quel punto sosteneva anche il tetto.
Quanto poi al controsenso che lo stesso autore vede nella contemporanea esistenza della cupola e della copertura lignea della navata, si può osservare come, prescindendo dal fatto che la cupola fu costrutta solo nel secolo XII come più avanti dimostro, non sarebbe cosa affatto insolita l’esistenza contemporanea nella stessa chiesa dei due diversi tipi di copertura, come per esempio in S. Maria Maggiore di Lomello dove il transetto è tuttora coperto dalla sua volta originale, mentre la navata maggiore ha ancora il tetto apparente che in origine la copriva ora solo mascherato da una volta modernissima.
Facciata. - Le tre navate terminano aponente in una facciata divisa in tre parti (Fig. 11): la centrale, a cuspide ribassata terminata da una cornice ad archetti di cotto e racchiusa fra due robuste lesene, porta una finestruola a croce, sovrastante ad un archivolto dipinto a fresco di una finestra stata aperta intorno al secolo XIV. Al disotto sta una finestra a tutto sesto, ora murata, e più in basso la porta principale architravata con arco di scarico cieco, cioè nella semplice primitiva sua forma. Nel secolo XVII le fu aggiunto un pronao a colonne e fu aperta una trifora pure a colonne al luogo della finestra rotonda del secolo XIV.
L’apparecchio della facciata è fatto di conci rettangolari di granito schistoso saliente fino al di sopra della porta, e di conci più piccoli ed irregolari nella parte superiore (Fig. 11 e 12). Le parti laterali, affiancate dai piccoli campanili, hanno finestruole a doppio squarcio che illuminano le navate minori ed i matronei. Esse appaiono quasi slegate dalla parte centrale, e non costituiscono con essa un partito decorativo unico, non essendo, come di solito accade, terminate da cornici aventi lo stesso andamento e la stessa inclinazione della centrale. La necessità di coprire con falde di tetto gli accessi dalle scale dei campanili ai sottotetti dei matronei, falde che si appoggiano ai muri frontali con andamento orizzontale, spiega questa slegatura.
I campanili (Fig. 13) sono illuminati da feritoie e da finestre bifore con capitelli a mensola sulle quattro loro fronti, ed il loro apparecchio è simile a quello della facciata.
***
Quanto dicemmo dei caratteri costruttivi e stilistici di queste opere, quanto mostrano i disegni e le fotografie che accompagnano questo scritto, quanto fanno presumere i confronti che si possono così stabilire, mi inducono a pensare di non essere lontano dal vero assegnando le parti fin qui descritte della chiesa all’epoca compresa tra la seconda metà del X ed il principio dell’XI secolo.
Ciò concorda infatti perfettamente con quanto conosciamo della storia dell’isola di S. Giulio, poichè è certo che durante gli assedi sostenuti da questa nel 956 e nel 962 la chiesa d’allora, che si trovava ad una estremità dell’isola ed era quindi esposta alle dirette offese portatele dal lago che quasi la lambiva, abbia per esse dovuto soffrire. Ed è naturale che i canonici beneficati dal citato diploma imperiale del 962 (che donava loro terreni della superficie di oltre 1900 pertiche attuali) abbiano rivolto le loro prime e maggiori cure a riparare i danni e, coi più larghi mezzi di cui allora disponevano, ad ampliare, riducendolo più adatto ai nuovi bisogni, il tempio loro affidato, il quale, si noti bene, era la chiesa metropolitana di tutta la Riviera, fungendo i suoi canonici da cappellani dei varii paesi rivieraschi.
Dell’antica chiesa essi conservarono la sola tribuna tanto a cagione della forma nobile che essa già vestiva, quanto pel fatto che ivi era conservato il corpo di S. Giulio, come dice il citato diploma ottoniano.
Ci restano probabilmente di essa pochi rozzi capitelli (Fig. 14, 15, 16, 17 e 18) impiegati a coronare i nuovi pilastri a fascio delle navate minori, uno dei quali è somigliantissimo, quantunque di rozza fattura, a quello ramificato già appartenente alla distrutta chiesa di aurona in Milano e riportato dal Dartein come uno dei più antichi di tale chiesa7. Uno solo di essi, il più elegante, parmi scolpito per la nuova chiesa.
Cupola. - Ed ora veniamo alla cupola che copre il presbiterio (Fig. 19).
Il disegno e la fotografia dicono di essa più di quanto possono le parole. Ha pianta ottagonale e poggia sopra quattro impeducci o pennacchi semplici alla lombarda: ha, o meglio aveva (poichè di esse una sola rimane intatta essendo le altre o distrutte o murate), 8 trifore a colonnette e capitelli di marmo bianco venato (Fig. 20), portanti archi ed archetti di laterizio frammentario romano, ed i pilastri a conci di pietra che la rassomigliano a quelle più complesse e progredite del S. Michele di Pavia e del S. Michele di Lomello. La semplicità del disegno e la poca sua elevazione sui tetti circostanti, tanto che gli speroni coprenti esternamente i vani risultanti dagli smussi sono coperti dai tetti stessi, indicano una certa timidezza nei suoi costruttori, e la assegnano perciò ai primi tempi in cui si cominciò da noi a coprire in tal modo i presbiteri, cioè agli ultimi anni dell’XI secolo, nel quale tante donazioni pervennero alla Basilica ed ai Vescovi di Novara.
Il Porter nella citata sua opera ritiene invece che la volta della cupola sia moderna e che solo i pennacchi e le trifore siano antichi.
Ora non solo i pennacchi e la volta della cupola appaiono fra di loro costruttivamente connessi, ma dall’esterno ed attraverso ai vani delle trifore si scorge l’estradosso della volta nella quale sono infisse le mensole di pietra che sostengono gli archetti delle trifore stesse. Quindi nessun dubbio che pennacchi, volta e trifore siano stati costrutti contemporaneamente.
Queste ripetute divergenze di opinioni fra di me ed il Porter intorno alle cose della Basilica di S. Giulio e di altri monumenti, non vogliono essere il portato della presunzione da parte mia di essere miglior giudice, ma bensì dal fatto che il Porter, forse per avere egli troppo limitato il tempo, non ha potuto studiarli personalmente in ogni loro particolare come io ho potuto fare, ed ha dovuto limitarsi allo studio delle loro parti più importanti, dando poi l’incarico di eseguire i rilievi dei minuti loro particolari a professionisti del luogo. Così p. es. io so aver egli fatto a S. Maria Maggiore di Lomello.
Ambone. - Lo stesso secolo diede alla nostra Basilica due altre cospicue opere d’arte, l’ambone (Fig.21) ed il campanile.
L’ambone, costrutto del locale marmo serpentinoso d’Oira, fu sin qui ritenuto di età molto remota. Però i bassorilievi raffiguranti gli emblemi degli evangelisti con draghi ed intrecci, i due capitelli originali delle colonne che lo portano (gli altri due furono fatti o sostituiti da non molto) e che sono quasi identici al prototipo di cui ci fornisce un esempio il Duomo di Torcello riportato dal Cattaneo8; il confronto fra i suoi elementi decorativi e quelli dei pilastri delle navate del S. Ambrogio, e specialmente di uno dei residui pilastri di S. Celso che rappresenta la volpe e la lepre con fogliami (secolo X-XI), ecc. (Fig. 22), lo dicono opera di un artista provetto e frutto di un’arte già molto sviluppata, ed in ogni caso non anteriore alla fine 1° secolo dopo il mille.
Quest’ambone non è sempre stato là dove ora si trova, e parecchi indizi fanno arguire che esso abbia cambiato di posto quando nel secolo XVII fu costrutta la cripta. Mentre infatti gli amboni dei primi anni dopo il mille avevano ordinariamente la loro fronte rivolta ai fedeli, il nostro porge invece loro il fianco; e mentre essi allora si trovavano fra il presbiterio e la navata principale, quello di S. Giulio trovasi ora sotto una delle arcate laterali che quasi lo soffoca. Esso è inoltre decorato sopra tre soli lati, essendo il quarto aperto.
L’ambone doveva perciò in origine trovarsi quasi di fronte al luogo dove ora sta, ed addossato al pilastro destro della crocera maggiore donde volgeva la fronte verso la navata come ho segnato nella pianta.
Ciò è confermato dalla minore altezza che la sua colonna rinvenuta or son pochi anni ha in confronto di quelle già in posto, minore altezza dovuta certamente al trovarsi allora l’ambone appoggiato posteriormente al pavimento del presbiterio più rialzato di quello della navata. Si spiega così anche la ragione dei fori quadrati che trovansi praticati nelle colonne posteriori di esso, fori che avrebbero servito di incastro alle chiusure del presbiterio. E’ così pur spiegata la causa della sua rimozione, poichè nella primitiva sua posizione esso avrebbe impedito l’accesso alla nuova cripta costrutta nel secolo XVII, e se spostato più innanzi avrebbe ostacolato il libero passaggio dalla porta laterale d’ingresso alla navata maggiore. Onde questo suo spostamento va segnalato a tale epoca.
Le scolture e specialmente i capitelli dell’Ambone e della Chiesa sono giudicati dal Porter con criterii che a mio parere non corrispondono alla realtà Delle sculture dell’Ambone egli dice che ricordano i capitelli del Chiostro di S. Orso ad Aosta (a. 1133) e della Cattedrale di Lodi (a. 1115). Se sussistono analogie di disegno e di fattura fra i capitelli di S. Orso e quelli del Pronao della Cattedrale di Lodi provenienti da Lodi Vecchio, non ne vedo alcuna fra la scoltura del nostro Ambone e quelle di S. Orso che io ebbi campo di studiare minutamente e che accennano già alle eleganze dell’arte archiacuta. Non posso quindi convenire col Porter.
Così non sono d’accordo con lui per quanto egli dice dei capitelli maggiori dell’ambone che vuole siano opera della stessa mano che scolpì il capitello della navata minore sinistra che sta di fronte all’ambone (Fig. 31 e 32). Ciò non può assolutamente essere ammesso da chi si prenda la briga di confrontare le fotografie dei due capitelli che io qui riproduco. Il capitello della navata minore tanto stentato di disegno e di fattura, non può certamente essere appaiato col fare largo e magistrale ed all’eleganza di quello dell’ambone.
Il Porter basandosi sopra tale comunanza d’origine dei due capitelli ne deduce che la chiesa e l’ambone sono della stessa epoca e che appartengano così entrambi al secolo XII, mentre abbiamo visto come la chiesa sia di oltre un secolo più antica dell’ambone.
Campanile. - Il maestoso campanile di S. Giulio suscita in chi lo studia particolare interesse per diverse ragioni.
Nelle ricerche da me fatte intorno all’arte lombarda della circostante regione e di quelle adiacenti, mi colpì il fatto di non trovare alcun campanile che assomigliasse a quello di S. Giulio, gli elementi costruttivi e decorativi del quale venivano quasi a costituire un sistema a sè notevolmente più progredito (Fig. 23).
Le fotografie dei campanili di S. Filiberto e di S. Maria di Armeno (le prime parrocchie sorte nella Riviera d’Orta quando si staccarono dalla chiesa madre di S. Giulio), e quelle dei campanili di S. Bartolomeo di Villa d’Ossola e di S. Abbondio di Masera, paesi della vicina regione ossolana, lo mostrano in modo evidente (Fig. 24, 25, 26 e 27).
D’altra parte, estendendo le indagini alla regione piemontese subalpina, mi venne fatto di trovarne parecchi che avevano col campanile di S. Giulio stretti legami di parentela. Voglio parlare dei campanili di S. Benigno di Fruttuaria, del Duomo di Ivrea, di S. Stefano di Ivrea, trascurando quello di S. Giusto di Susa che pur ha con questi molte affinità (Fig. 28, 29 e 30).
Opera di Guglielmo da Volpiano. - E’ noto che l’Abbazia di Santa Maria e di S. Benigno di Fruttuaria fu costrutta nei primissimi anni del secolo XI dal monaco Benedettino Guglielmo figlio di Roberto di Volpiano, il quale fu abate di Dijon ed allievo di S. Majolo abate di Cluny9. Ora il campanile di S. Benigno presenta delle bifore partite da colonne portanti capitelli a mensola al tutto simili a quelle tutt’ora intatte del campanile di S. Giulio. Un fusto di colonna che trovasi interrato sulla sponda del lago per legarvi le barche, già appartenente ad una delle manomesse finestre di questo campanile, è quasi identico a quello riportato dal Rivoira pel campanile di S. Benigno. Le dimensioni, la disposizione degli scomparti, delle masse e delle aperture accentuano la rassomiglianza fra il campanile di S. Benigno e quello di S. Giulio.
Una simile relazione corre, come mostrano le fotografie, fra il campanile di S. Benigno ed i già citati del Duomo di Ivrea (an. 1002) e di S. Stefano di Ivrea (circa an. 1030) che appartengono alla stessa regione Canavesana10. Evidentissimi poi sono i rapporti di somiglianza, che raggiungono quasi l’identità, fra questo di S. Stefano11 e quello di S. Giulio.
D’altra parte si sa che Arduino di Ivrea, eletto Re d’Italia, tolse nel 1002 al Vescovo di Novara Pietro, che parteggiava per l’Imperatore Enrico II, la Riviera d’Orta e l’Isola di S. Giulio tenendola fino al 1015 e stabilendo necessariamente una corrente di relazioni tra questa regione e la regione canavesana. Così nel 1013 Riccardo, Valdrada sua moglie, Viberto figlio di Dadone e fratello di Arduino, e così tutti parenti suoi, si trovavano al possesso di parte della Riviera12, di Lagna posta di fronte all’Isola di S. Giulio, e di Cortecerro; ed è probabile che Arduino, seguendo le buone regole politiche di tutti i tempi, si sia valso dell’opera e dell’influenza dell’allor già celebre Abate Guglielmo di Volpiano per estendere e consolidare il possesso suo della Riviera. Ed appunto in questo periodo di tempo, mentre Guglielmo per opera de’ suoi fratelli e l’appoggio di Arduino13 (an. 1005) fondava e compieva (an. 1009) l’Abbazia di S. Benigno di Fruttuaria nel Canavese, ricordando i vincoli che lo univano all’Isola di S. Giulio dove egli era nato nel 96214, doveva volentieri assecondare i disegni del suo signore, soddisfacendo in pari tempo ai moti del suo cuore.
Che l’influenza clunicense in quella regione esistesse e si mantenesse a lungo lo prova la donazione di beni in Valsesia ed a Castelletto Ticino fatta dal conte Guido (di Biandrate) nel 1083 a detta Abbazia15, e l’esistenza a Castelletto di una casa di quell’ordine, come da supplica di Oberto conte e Ardizzone castellano di Castelletto all’Abate di Cluny nel 109516; una carta posteriore rivela pure la continuata residenza nella regione di casati Canavesani17.
Questi rapporti storici e stilistici, queste concomitanze mi inducono a pensare che l’opera di Guglielmo da Volpiano non sia certamente stata estranea alla costruzione del campanile di S. Giulio, e che il celebre Abate che molti vogliono abbia introdotta e volgarizzata l’arte lombarda in Francia, vi abbia direttamente od indirettamente avuto mano.
E questo costituirebbe un buon argomento a favore della tesi di coloro18 che vogliono assegnare all’Abate Guglielmo una parte importantissima nella storia dell’architettura lombarda, e contro l’opinione di quegli altri19 che vogliono limitare al solo campo religioso l’opera di questo fondatore di chiese ed abazie. Egli a S. Giulio non potè fondare abazie, non essendovene colà mai esistite, e l’opera sua non dovette quindi essere qui religiosa ma esclusivamente costruttiva20. Ed in verità ciò pare a me ovvio quando penso che la regola primitiva di S. Benedetto faceva dei monaci altrettanti artefici, e che la fondazione e manutenzione presso le loro abazie di scuole di arti e mestieri, richiedeva nei Superiori la necessaria conoscenza delle arti che dovevano insegnare.
L’esame del campanile ed i confronti che i disegni e le fotografie permettono di fare confermano quanto ho esposto; ma gioverà dare di esso più ampia descrizione.
Il campanile aveva in origine l’accesso situato dietro l’abside maggiore per una porta architravata che, sormontata da un arco di scarico cieco, dava e dà passo ad una camera terrena voltata a crociera ed illuminata da feritoie. Davanti a questa porta una rozza scala in pietra ancor esistente sale ad una porticina, pure architravata con arco cieco di scarico, che dà acesso alla scala del campanile ancora in esercizio e che ha un interessantissimo sviluppo, come appare dalle piante.
L’apparecchio murario è molto regolare, specialmente nella parte inferiore: in quella superiore i conci di pietra granitica sono spesso frammisti a corsi di mattoni di speciali dimensioni, più grandi di quelle usate posteriormente raggiungendo essi i cent. 32 × 15 × 7. Con tali mattoni sono in gran parte costrutti i muri della scaletta e dei pilastri interni attigui alle finestre. La cella campanaria sostenuta da una crociera, è stata da poco rimaneggiata completamente: della vecchia essa conserva soltanto parte degli elementi costituenti la trifora di tramontana ora murata. Il coronamento del tetto è una brutta appendice del secolo passato, che sostituì l’alta freccia che era stata imposta al campanile nel XVI secolo, come mostrano diverse stampe dell’epoca.
Scala esterna. - Delle fabbriche che attorniano la Basilica poche hanno per noi interesse. Fra di esse richiama specialmente l’attenzione il pilastro rotondo adiacente alla scala d’accesso alla porta laterale della chiesa, che pei suoi caratteri deve risalire al secolo X e che probabilmente allora serviva d’appoggio al tetto della rozza scala di pietra esistente prima che le fosse, or non è molto, sostituita l’attuale (Fig. 33).
***
Riassunto. - La storia architettonica della Basilica di S. Giulio dalla sua fondazione alla fine del secolo XI può adunque essere così brevemente riassunta. Fondazione della primitiva chiesa, di cui nulla più rimane, per opera di S. Giulio intorno all’anno 390 e sue modificazioni per parte dei successori, fino alla costruzione eseguita fra l’VIII e il IX secolo sullo stesso luogo di un’altra chiesa, danneggiata poi dagli assedi del secolo X, di cui non ci resta che l’abside maggiore. Costruzione della nave trasversa, delle tre navate, della facciata e delle due absidi minori fatta dai Canonici fra la fine del X ed il principio dell’undecimo secolo. Costruzione della torre campanaria eseguita nella prima metà del secolo decimoprimo per opera diretta od indiretta di Guglielmo da Volpiano. Costruzione della cupola e dell’ambone in sul finire dello stesso secolo.
E questo io ho rappresentato coi disegni che mostrano la Basilica nell’aspetto che essa doveva avere alla fine dell’XI secolo, mettendo in rilievo gli elementi che si trovano tuttora in posto e che sono ora in parte nascosti dalle costruzioni posteriori e dai rimaneggiamenti subiti dal monumento.
L’importante complesso delle costruzioni della Basilica di S. Giulio non può ora essere apprezzato nel suo vero valore in causa di alcune fabbriche di poca o niuna importanza che vi sono addossate.
Ciò si potrebbe facilmente ottenere abbattendole e mettendo completamente in vista l’abside maggiore e quello minore sinistro, dando modo di accedere direttamente dal di fuori al sagrato a cui ora non si può accedere altrimenti che attraversando la chiesa, e ponendo in evidenza tutto il fianco sinistro della chiesa col sistema dei suoi contrafforti. Il lavoro potrebbe essere completato sistemando la porta laterale sinistra, restaurando la facciata e ridando al maestoso campanile la sua originale copertura col demolire il goffo coronamento che lo deturpa.
Tutto ciò io ho rappresentato colle figure 34 e 35 che corredono questo mio studio.
In questi ultimi anni ero già riuscito ad imbastire una combinazione la quale coll’appoggio diretto ed appassionato dell’allora Prefetto di Novara Comm. Dott. Letta, avrebbe permesso di tradurre in atto il progetto.
Sfortunatamente è mancata la collaborazione del Parroco di S. Giulio, il quale quantunque potesse contare in modo sicuro grazie a tale combinazione, sulla somma necessaria all’esecuzione di tali opere, e quantunque avesse già in mano il relativo contratto di esecuzione, se ne ritrasse per meschini e gretti motivi ben lontani da quelli che avrebbe dovuto tener presenti il pastore innamorato della sua chiesa.
Miasino, Gennaio 1941-XIX.
Finito di stampare il 20-4-1941 - XIX nello Stab. Tip. E. Cattaneo - Novara |
Note
- ↑ Ann., lib. 4°, cap. III.
- ↑ Alcuni vogliono che Perinza fosse sorella di Ardoino; ma studi meglio approfonditi e rapporti di età la farebbero invece figlia di Berengario II.
- ↑ Gabotto e Rossi, Storia di Torino.
- ↑ Morbio, Storia di Novara.
- ↑ G. B. Morandi, Le carte del Museo civico di Novara, 1913.
- ↑ L’esistenza di questo arcone trasversale confermerebbe l’assegnazione della navata alla prima metà del secolo XI e forse anche al secolo X trovandosi l’esempio corrispondente nella chiesa di S. Maria Maggiore di Lomello da me studiata, dove però tali arconi oltre a sostenere il tetto, costituiscono il punto di transizione fra il partito del letto apparente e la costruzione della volta a crociera lombarda.
- ↑ Vedi Enciclopedia d’Architettura, vol. V, p. 420, Planat.
- ↑ L’Architettura in Italia dal secolo VI al mille.
- ↑ Rivoira, Le origini dell’architettura lombarda; Mabillon, Acta sancti. Ord. S. Benedicti; Vita S. Guillelmi Abbatis divionensi, Auctore Glabro Rodulfo monaco; D’Achery, Spicilegium, Cronica S. Benigni Divionensis; Provana, Studi critici della storia d’Italia ai tempi di Re Arduno. Sententia Henrici I Imperatrois, p. 387.
- ↑ Rivoira, Op. cit.
- ↑ Fondato da monaci di Fruttuaria, come afferma il Boggio (Le prime Chiese Cristiane nel Canavese) riportandone il documento.
- ↑ Provana, Op. cit.
- ↑ Terraneo, Tabulario, Tom. II, p. LXX; Provana, Op. cit.
- ↑ Mabillon, Op. cit.
- ↑ Muratori, Annali, tom. VIII.
- ↑ Gabotto ed altri, Carte dell’Archivio Capitolare di S. Maria di Novara.
- ↑ Morandi, Op. cit.
- ↑ Cordero di S. Quintino; C. Boggio (Op. cit.); Rivoira (Op. cit.); Enlart; A. Kingsley Porter (Lombard Architecture, vol. I, p. 156).
- ↑ R. De Lasteyrie, L’Architecture Religieuse en France à l’époque Romaine; F. Novati, Origine della Letteratura Italiana.
- ↑ Si ha notizia di tre viaggi fatti in Italia da Guglielmo, dopo la sua nomina ad Abate di Dijon e di Normandia negli anni 1005, 1014 e 1030.