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350 | navera — naverare. |
cui si ricavò prima nastlo, e poi * nastro, con indurimento della liquida l in r dovuto ad adattamento di pronuncia. Il valac. nastur non pare d’immediata orig. ger.; ma probabilmente subì l’influsso dell’it. Deriv.: Nastr-ajo-ame-ato-ettino-etto-icino-iera-ino-uccio.
Sen. Pist.; Cin., Tav. Riton., Buti, Guido G.). Questo vb. con fr. navrer, prov. cat. nafrar, d’ug. sig., sard. nafrar uccidere, macchiare, è dal Diez e dal Littrè derivato dal nome aat. nabagêr nabuger napagêr, mat. nabigêr nabêger, nagber, negbor negbor nähper [tm. Nâber] strumento da forare, succhiello, ags. nafogâr nafegâr, an. nafarr, ol. neviger nephiger. Ma G. Paris combatte una tale etim. dal lato fonetico, parendogli impossibile che aat. nabagêr abbia dato le forme rom. D’altra parte il senso rom. è quello di “ferita, intaccatura della pelle” a cui si può mal ridurre quello di “strumento da forare”. Quindi pone a base delle voci neol. aat. narwa, mat. narwe [donde tm. Narbe] cicatrice, ferita. Evidentemente il signif. è identico. Quanto alla forma, da aat. narwa, è spiegabilissimo come il fr. e l’it. con la trasposizione della r [analoga a quella che scorgesi in gr. νεύσον paragonato a l. nervus] abbiano cavato un * navra; da cui poi it. navera, prov. nafra e fr. navrer. Pel senso egli darebbe questa scala: fare una screzio, scortecciare, ferire scortecciando, ferire. Per ritenere assodata questa etim., dice il Paris, occorrerebbe poter trovare in rom.
trapassare, infilzare, ferire (