L'arte di ferrare i cavalli senza far uso della forza/Sezione II

Sezione II

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Sezione I
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SEZIONE SECONDA

Modo di trattare i cavalli nel ferrarli

§ 1.

Vi furono finora varj domatori di cavalli, i quali si vantavano di saperne ferrare i più cattivi: dessi si servivano però di mezzi violenti e pericolosi; e nessuno si è studiato di procurarsi con un trattamento amorevole la confidenza del cavallo, e ridurlo così al punto di lasciarsi spontaneamente ferrare. In Inghilterra vi debbono essere domatori di cavalli, che la fama accenna come fattucchieri, siccome dessi si vantano di mansuefare i più selvaggi ed i più collerici, e di indurli a lasciarsi ferrare spontaneamente, solamente col susurrare alcune parole al loro orecchio. Se la cosa non è favolosa, è appoggiata incontrastabilmente al ciarlatanismo; imperciocchè il cavallo si lascia bensì parlare all’orecchio, ma dimena poi il capo, e rimane come per lo innanzi. È possibile tuttavia che questi domatori di cavalli posseggano un metodo segreto per renderli docili, e che col sibilar loro nelle orecchie non cerchino che d’ingannare gli spettatori. Non si perviene alla ragione che percorrendo vie ragionevoli; ed in natura non si arriva allo scopo che per mezzi naturali. Il seguente mio metodo nuovo e comprovato, non solamente induce, nello spazio suindicato, il più [p. 17 modifica]cattivo cavallo a ricevere spontaneamente la ferratura, ma gl’inspira puranche, mediante un trattamento amorevole, confidenza per gli uomini.

§ 2.

Questo metodo, che è agevolissimo per tutti coloro i quali hanno pratica di cavalli, fu da me stabilito solamente dopo varj esperimenti tornati a vuoto, e dopo due anni di prove. Io sapeva bensì addomesticare ed addestrare i cavalli; ma un modo razionale per ferrare i ritrosi mi era ancora cotanto sconosciuto, che io medesimo inventai una macchina apposita per simili ferrature, la quale appunto perchè era un mezzo violento non conduceva allo scopo prefisso. Quasi giornalmente intrapresi per un anno e mezzo a far ferrare i cavalli peggiori senza adoperare la forza; e se talvolta fui avventurato con qualcuno di questi mi trovai poi per alcuni altri in nuovi ed ignoti ostacoli: finalmente dopo due anni di studio ebbi perfezionato intieramente il mio metodo. Negli ultimi quattro anni è stato cotanto consolidato, che in molte centinaja di cavalli irritabili e restii da me fatti ferrare, non ve ne fu alcuno col quale questo modo di procedere abbia male riuscito. Io sono convinto che chiunque vorrà adottare il metodo di che si tratta, riescirà a far ferrare, al pari di me stesso, qualunque cavallo collerico nel breve tempo suindicato, senza far uso della forza; solamente egli deve conoscere esattamente la natura dell’animale, e sapersi procurare la sua confidenza. [p. 18 modifica]

§ 3.

Per lo addietro io ho addestrati cavalli in modi diversi. Varj esperimenti mi sono riusciti, altri no; ma dopo che ho conosciuto più intimamente la natura del cavallo, e mi sono servito piuttosto della voce, dell’aspetto, degli sguardi, e di accarezzamenti, che del cavezzone, della frusta e cose simili, non mi è mai riuscito male verun addestramento. Io ho fatti ferrare i cavalli peggiori, senza far uso di mezzi violenti, e li ho per sempre ridotti in buon stato. Il mio metodo consiste in ciò che segue.

§ 4.

1.° Uso della voce.

Quando io grido fortemente ad un cavallo egli balza in addietro od in avanti, cosicchè il tuono della voce umana produce pressochè sul cavallo l’effetto di un colpo di frusta. Parlando al contrario con voce placida mi colloca amorevolmente la testa sulle spalle, e mi obbedisce in tutto di buon grado; particolarmente quando è una volta abituato a siffatto modo di trattare.

§ 5.

2.° Uso dell'aspetto.

Se nel gridare fortemente mostro un aspetto truce ed austero, produco nel cavallo un’impressione doppiamente violenta: mostrandogli all’incontro un aspetto sereno, allorquando gli parlo placidamente, egli appalesa fiducia ed obbedienza, senza ch’io abbia bisogno di ricorrere alla frusta. [p. 19 modifica]

§ 6.

3.° Effetto dello sguardo sul cavallo.

Ogni conoscitore di cavalli si convince facilmente che allo sguardo fisso di un uomo il cavallo non può resistere. L’esperienza mi ha insegnato che si acquista con ciò un potere straordinario sul medesimo; e che trovandosi a piedi la frusta si rende affatto superflua. Si può animare e ricompensare il cavallo con uno sguardo amorevole; con uno torvo ed austero indurlo all’obbedienza. Col mezzo di esperimenti io ho posto fuor di dubbio che il cavallo, mediante uno sguardo fisso, è portato ad arretrarsi, a rialzar il capo, ed a porre in una tensione tutta la colonna vertebrale del collo e del dorso; e che così gli s’incute una tale minaccia che talora rimane affatto immobile, anche quando gli si scarica da vicino un’arma da fuoco.

§ 7.

Accarezzare il cavallo sulla fronte e sugli occhi.

L’accarezzare in traverso la fronte e gli occhi del cavallo, è anche un espediente singolare, con cui tanto il più pauroso quanto il più impetuoso e collerico si acquieta e si calma, in modo che allorquando non sonovi oggetti vicini che possono distrarlo, piega la testa bassa bassa, e nello stesso tempo si addormenta. [p. 20 modifica]

§ 8.

5.° Uso circospetto del cavezzone e della redine che vi è attaccata.

Il cavezzone è conosciuto come uno strumento formidabile ai cavalli; ed io era dapprincipio ancora in dubbio sul modo preciso di adoperarlo opportunamente nel maneggiare i restii ed i ritrosi. Io aveva l’opinione di tanti altri che tanto più s’imporrebbe al cavallo, e si otterrebbe più presto l’intento desiderato, quanto più forti fossero gli scrollamenti che si dassero al cavezzone medesimo, mediante la redine che vi stà attaccata: ma ho trovato in seguito che il cavallo cerca anzi di liberarsi con forza da scosse così tormentose; e che non si può così ottenere lo scopo, turbandosi piuttosto la sua attenzione alla voce, all’aspetto ed allo sguardo dell’istruttore. Io riguardo da molto tempo il cavezzone come un semplice mezzo d’avvertimento; e ne fo uso, mediante uno scuotimento leggiero della redine dal destro al sinistro lato, solamente quando il cavallo è disattento, per richiamarlo alla primitiva attenzione. In quanto all’uso del cavezzone nell’ammaestramento de’ cavalli da sella, e come dev’essere adoperato, non è soggetto spettante all’arte, che ora descrivo.

§ 9.

Intorno al mio metodo di ferrare i cavalli restii, irritabili e collerici con successi cotanto rapidi ed evidenti, sono state manifestate diverse opinioni. Alcuni ritenevano ch’io dassi a trangugiare qualche [p. 21 modifica]cosa al cavallo da ferrarsi; altri ch’io gliela ponessi nell’orecchio; e la maggior parte credeva ch’io potessi comprimere forse una vena od un nervo, con che il cavallo divenendo stordito, lo contenessi tranquillo durante la ferratura. Questi ed altri giudizj sul presente metodo sono affatto incongruenti e fallaci. Se io adoperassi uno dei supposti mezzi, si potrebbe, e forse ragionevolmente, addurre che l’uso de’ medesimi lascierebbe il germe di dannose conseguenze per la salute e per l’indole del cavallo; e che il mio modo di operare non sarebbe appoggiato alla precisa cognizione della natura di esso. Secondo le opinioni medesime io non avrei che trovato accidentalmente uno specifico da influire positivamente sulla tranquillità dell’animale; ed il mio metodo non sarebbe che l’opera del caso, anzicchè il risultato di varj anni di riflessioni. In tal modo non avrei inoltre fatte quelle attente considerazioni nella psicologia del cavallo, siccome è qui dimostrato; e dalle cui indagini si possono aspettare ancora conseguenze vantaggiose in varj rapporti al maneggio di questo animale.

§ 10.

Tutta l’arte, colla quale si possono operare sui cavalli ritrosi e viziati effetti pressochè incredibili, consiste in ciò che segue:

1.° nell’accarezzare colla mano la fronte e gli occhi del cavallo;

2.° nella maniera d’imporgli senza l’uso di forze fisiche; [p. 22 modifica]

3.° in quella di farsi intendere con bontà da esso;

4.° nel modo di prevenirlo a tempo debito, affinchè non faccia uso di renitenza e di ritrosia;

5.° nel collocare l’ajutante del maniscalco, durante la ferratura, in guisa ch’egli non possa mai essere dal cavallo nè morsicato, nè percosso da’ suoi scalpiti;

6.° nell’instruire finalmente l’ajutante stesso, come dev’egli convenientemente alzarne ed abbassarne i piedi.

§ 11.

L’addestramento di un cavallo ritroso alla ferratura deve aver luogo in un locale spazioso, ma chiuso e poco illuminato; per esempio, in una rimessa, in cui non penetri che la luce appena necessaria all’istruttore ed all’ajutante per le loro operazioni. Con cavalli meno cattivi può essere intrapresa in una cavallerizza coperta, ed anche in un luogo scoperto.

§ 12.

Il cavallo da ferrarsi deve sempre essere provveduto di briglione e di cavezzone. Al primo rimangono affibbiate ambedue le redini; ed all’altro una soltanto all’anello di mezzo, come lo palesano le figure qui annesse. La coreggia del cavezzone, che stà superiormente alle nari del cavallo, deve passar sempre sotto al briglione, per guarentire a quest’ultimo una libera azione; come è parimenti dimostrato dalle figure medesime.

§ 13.

L’istruttore che rimane innanzi al cavallo da [p. 23 modifica]ferrarsi tiene dapprincipio colla mano diritta la redine del cavezzone, e colla sinistra le due del briglione, come redini di riserva (V. Fig. 5). Volendo l’istruttore accarezzare il cavallo sulla fronte e sugli occhi, passa la redine del cavezzone, la quale deve sempre essere più corta di quelle del briglione, nella mano sinistra, ed incomincia l’operazione, come è indicato nella Fig. 1.

§ 14.

L’istruttore deve trattare il cavallo a seconda del suo temperamento e del suo carattere. Prima di nulla intraprendere riconosce quindi a qual classe egli appartenga; le quali si possono ridurre in generale alle seguenti:

1.° cavalli docili,

2.° impetuosi,

3.° paurosi,

4.° collerici,

5.° caparbj,

6.° irritabili.

Per i cavalli di rimonta è d’uopo aver riguardo se provengono da una razza selvaggia o domestica: al che devesi assolutamente por mente nel trattamento per le ferrature, essendo più o meno avversi agli uomini.

§ 15.

Un cavallo docile, impetuoso o pauroso vuol esser trattato, secondo le circostanze, o mediante l’impressione della voce, dello sguardo e dell’aspetto, coll'accarezzamento della mano, o col mezzo di av[p. 24 modifica]vertimenti, mediante la redine del cavezzone. L’uso di quest’ultimo deve incominciarsi con molta circospezione e lentamente; e sarà moltiplicato successivamente, secondo l’indole del cavallo.

§ 16.

Il cavallo collerico, caparbio o irritabile deve essere trattato, secondo le circostanze, più rigorosamente coll’uso vieppiù crescente de’ mezzi suindicati. Siccome simili cavalli inclinano a zampare, così l’istruttore che sta loro innanzi deve sempre collocarsi in modo d’esserne illeso, prolungare le redini, che sono nelle sue mani (V. Fig. 5), e procedere poi ulteriormente. Egli deve principalmente star in guardia, innanzi ai cavalli caparbj e irritabili, perchè questi zampano prima di potersene accorgere; e nemmeno da’ loro occhi, che assai di rado rimovono dalla persona.

§ 17.

Un cavallo di rimonta, il quale provenga da una razza selvaggia, si lascia difficilmente addestrare alla ferratura, lasciandosi avvicinare appena l’ajutante per la naturale sua paura degli uomini. L’applicazione del cavezzone sarebbe collegata a grandi difficoltà; ed il cavallo vi si opporrebbe, si avvilupperebbe assai facilmente nelle redini collo zampare; e ne risulterebbero inevitabilmente funeste conseguenze. Dopo che il cavallo si troverà in istalla, da circa quattordici giorni, si sarà alcun poco addomesticato, e si lascierà quindi porre il cavezzone, si potrà farlo ferrare secondo il presente metodo; essendo però [p. 25 modifica]sempre necessaria, nell’uso de’ mezzi suindicati, la massima cautela. In caso di non riuscita è meglio differire l’operazione, finchè col mezzo della cavezza, siasi il cavallo più e più ammansato.

§ 18.

Un cavallo docile non deve essere trattato con rigore, come è stato accennato, se non quando divenga ostinato. Non arrendendosi esso, si procederà severamente; non intendendosi però mai l’uso della forza o le scosse di cavezzone; ma solamente coll’alzar la voce, collo sguardo fisso, e con un aspetto minaccioso. Io non posso abbastanza ripetere che coi cattivi trattamenti, colla sferza, col bastone, e colla redine del cavezzone, e cose simili, non si può mai assicurarsi di un esito felice.

§ 19.

Quel cavallo docile, o pur anche impetuoso o pauroso, il quale non manifesta veruna renitenza, non può essere mai trattato abbastanza con dolcezza; ed è d’uopo quindi di servirsi principalmente del mezzo di accarezzargli la fronte e gli occhi per acquietarlo e dissiparne il timore.

§ 20.

Per ciò l’istruttore prende tutte e tre le redini nella mano sinistra, ed incomincia colla dritta ad accarezzarlo sulla fronte e sugli occhi, se il cavallo non è della specie di quelli che zampano. La voce, lo sguardo e l’aspetto dell’istruttore prendano un espressione affettuosa, affinchè il cavallo abbia a perdere ogni timore. Se il cavallo d’addestrarsi è col[p. 26 modifica]lerico, caparbio od irritabile è d’uopo imporgli, parlandogli analogamente. Io mi servo di una tale espressione, sembrandomi in questa circostanza la più opportuna a significare la cosa.

§ 21.

Vi sono de’ cavalli irritabili, particolarmente le cavalle e gli stalloni, i quali d’ordinario sono così viziati, che avvicinandosi appena, tosto orinano e stridono, ed al menomo tocco tiran calci, mordono, ed usano diversi altri atti disdegnosi. Questi cavalli sono talvolta i più difficili da ferrarsi. Si richiede perciò molta circospezione per guardarsi dal male che possono recare, e per evitare un trattamento troppo severo con essi.

§ 22.

Quando l’ajutante ha imparato precisamente la maniera con cui devono essere alzati i piedi di un cavallo mansueto e sofferente, e che l’istruttore voglia poi intraprendere la ferratura di un cavallo ritroso, egli lo dispone dapprima convenientemente alla ferratura medesima. Chiamasi disporre convenientemente il cavallo, il renderlo attento che si esige da lui qualche cosa. Talvolta è necessario perciò puranche d’imporgli, come nel caso suindicato.

§ 23.

L’istruttore impone al cavallo collo scuotere la redine del cavezzone dal dritto, al sinistro lato (mai col mezzo di scrollamenti di cavezzone), col gridar forte, collo sguardo fisso nell’occhio dell’animale, e col minacciarlo colla mano; e ciò prima che l’ajutante gli si avvicini per alzargli il piede. Se l’imporre [p. 27 modifica]ha avuto luogo convenientemente, e se l’istruttore sarà anche un conoscitore esperto, vedrà come il eavallo dopo l’azione medesima fissa gli occhi sopra di lui, tende da quella parte le orecchie, e gli rivolge tutta la sua attenzione. 11 cavallo reso così attento è indicato nella Fig. 4.

§ 24.

Dare ad intendere al cavallo, ovvero farsi intendere, è di molta importanza, ed indispensabile in ogni occasione. Se l’istruttore guarda continuamente negli occhi del cavallo, riconoscerà facilmente quando egli ha risoluzione di mordere, zampare o trar calci. In tal momento l’istruttore deve far conoscere il suo malcontento, con gridi, con minaccie colla mano destra, e collo scuotere la redine del cavezzone, siccome lo accenna la Fig. 4; e frastornare così le maligne intenzioni del cavallo. Se l’ajutante, per esempio; vuol rialzare il piede del cavallo, e questo mostra di far resistenza, rimane allora sul punto di rivolgere l’attenzione all’ajutante medesimo, come è espresso nella Fig. 4. L’istruttore dà a divedere ciò al cavallo medesimo, e lo previene coi mezzi suaccennati. Così gli fa conoscere che tale non è il suo desiderio, e che non deve ritirare il piede dalle mani dell’ajutante.

§ 25.

Quando il cavallo ha ben inteso l’istruttore, e gli si arrende, questi deve cambiare lo sguardo suo fisso in affettuoso, il suo aspetto minacciante in sereno, e la forte sua voce in voce mite di lode. Se il ca[p. 28 modifica]vallo tira calci verso l’ajutante, o diviene nuovamente ritroso, l’istruttore ha un’altra volta motivo di dargli a conoscere il suo malcontento col mezzo dello sguardo, della voce e dell’aspetto, o mediante la redine del cavezzone. Se questi mezzi vengono impiegati convenientemente ed in tempo opportuno, si può ritenere con sicurezza che il cavallo ha perfettamente inteso l’istruttore, e che in avvenire o cesserà affatto dal trar calci, o la sua indocilità sarà d’assai minore. Sebbene un cavallo, il quale non fu mai sottoposto ad un simile trattamento, non intenda da principio l’istruttore, comprenderà tuttavia assai facilmente, mediante codesto modo di procedere, continuato ed opportuno, ciò che si esige da lui; e deporrà quella indocilità, che per lo più non ha fino allora dimostrata che per difendersi da’ cattivi trattamenti.

§ 26.

Finchè dura l’operazione, l’istruttore non deve mai rimuovere gli occhi suoi da quelli del cavallo, come lo indicano le figure qui annesse, affinchè non abbia a venir meno l’attenzione di quest’ultimo; e tutto al più può volgere uno sguardo rapido, se è d’uopo, per vedere se il cavallo si appoggia ugualmente su tutti e quattro i piedi. In generale l’istruttore deve mettersi in attitudine di leggere pressochè negli occhi e nell’aspetto dell’animale, e di dirigere nello stesso tempo e il maniscalco e l’ajutante.

§ 27.

"Saper prevenire a tempo dèbito il cavallo", chiamasi, [p. 29 modifica]non aspettare che il cavallo stesso manifesti la sua indocilità, ma impedirne i disegni colle minacce, colla voce, coll’aspetto e cogli occhi; o col fargli dapprima lasciar libero il piede, o secondarlo altrimenti in modo opportuno. Gli occhi del cavallo sono lo specchio della sua anima, ed un indizio infallibile de’ suoi pensieri; e l’istruttore deve quindi regolarsi totalmente a seconda de’ cenni di essi. Per esempio, quando il cavallo mostra col mezzo degli occhi e dell’aspetto che l’ajutante tiene troppo lungamente il piede, egli deve tosto comandare di lasciarglielo in libertà; e quando il maniscalco coll’incastro non lavora abbastanza delicatamente, ed il cavallo lo dà a conoscere nel suo aspetto (V. Fig. 5), deve tosto farlo desistere, e far riabbassare il piede del cavallo.

§ 28.

Egli è quindi falso il sistema di voler tener alzato in tale posizione il piede del cavallo a forza, sebbene egli mostri di esserne sdegnato. Il dolore causato alle articolazioni ed alle giunture lo incita a trar calci, ed alla resistenza.

§ 29.

Chi crede in generale di poter vincere il cavallo col mezzo della forza fisica si troverà sempre, o spesso almeno, in errore con suo danno. Quando egli non è vinto con bontà, con destrezza o sagacità, venti uomini non sono in istato di soggiogare un cavallo, il quale sappia far uso de’ suoi mezzi di difesa; molto meno quindi un uomo solo può avventurarsi a lottare colla forza di questo animale, parti[p. 30 modifica]colarmente quando si trattasse di tenergli abbrancati i piedi, i quali sono le sue armi principali.

§ 30.

Io non posso omettere qui di osservare, che il cavallo assicura nel cavalcarlo di un gran vantaggio, quando si sappia opportunamente prevenirlo. Una tale vigilanza ha salvata a varj la vita. Quando, per esempio il cavallo pensa di retrocedere, lo dà a conoscere alcuni momenti prima: egli guarda alcun poco indietro, tende le orecchie più da quella parte, e piega affatto il suo corso. Ciò basta all’attento cavaliere per avvedersi che l’animale vuol voltarsi indietro. Egli non deve allora aspettare che eseguisca il giro; ma deve gridargli in tempo, e colla coscia respingerlo in avanti. Trascurando questo momento, e riescendo il cavallo nel suo intento, lo replicherà spesso, ed il cavaliere durerà fatica di rimetterlo sulla retta strada. Il maltrattarlo collo sperone e colla sferza in circostanze simili cagiona spesso funeste conseguenze, le quali vengono evitate quando abbiasi la cura di prevenire la caparbietà del medesimo.

§ 31.

Il vero conoscitore della natura del cavallo saprà facilmente giovarsi in tutte le occasioni in cui mostra renitenza de’ mezzi suindicati, senza far uso di violenti; mentre l’inesperto nelle circostanze medesime entra in conflitto col cavallo, contrasta seco lui, è costretto il più delle volte a cedere, e spesso ne riporta danni. Una chiamata a tempo debito risparmia a taluno delle inquietudini, e lo salva non di [p. 31 modifica]rado da un pericolo; al contrario costa talvolta assai caro l’uso intempestivo dello sperone e della sferza. Io debbo però qui dichiarare che non intendo già di estendere il trattamento affettuoso del cavallo al punto di presentargli dello zuccaro, del pane ed altro, ove si voglia disavvezzarlo da un vizio. Questi mezzi non sarebbero opportuni, e servono solamente a rendere affezionato il cavallo, a farlo venir dietro, come si fa de’ cani; e per istruirlo a portare. Per lo scopo di cui qui si ragiona, io fo uso mai sempre della severità, colla voce però, collo sguardo, coll’aspetto, e col cavezzone.

§ 32.

Collocare l’ajutante nel ferrare in modo da non essere morsicato o leso altrimenti dal cavallo.

La posizione dell’ajutante nel ferrare è della massima importanza, e costituisce in questo metodo la parte tecnica; siccome le prescrizioni intorno al contegno dell’istruttore, la parte essenziale può essere nominata. L’attuale posizione ordinaria dell’ajutante nel ferrare ha cagionata ad alcuni uomini robusti la perdita di un piede. Le persone a ciò impiegate, tanto nella milizia che presso ai cittadini, sono la maggior parte inesperte, si collocano a grado loro, dove e nel modo che loro conviene; ed è veramente d’ascriversi alla sorte se non avvengono disavventure assai più di frequente. Se l’ajutante è una volta offeso dal cavallo, perde ogni fiducia, impugna il piede in maggior distanza dal pa[p. 32 modifica]sturale; ed in vece di tirarlo in addietro direttamente, lo rivolge verso di sè lateralmente; ciò che cagiona dolore all’animale, e lo incita alla difesa ed alla resistenza. In tal modo accade che il cavallo non si lascia più abbrancare il piede da chicchessia. Se importante e vantaggioso sia l’indicare all’ajutante una posizione conveniente e precisa durante la ferratura, da non averne alcuno danno, e da poter inoltre corrispondere allo scopo dell’opera sua, lo dimostrano gli eventi di tanti individui, i quali mi hanno prestato ajuto nel ferrare molte centinaja di cavalli i più collerici ed i più viziati, secondo il presente metodo; e non uno solo è stato mai nè morsicato, nè percosso; e ciò perchè erano stati da me opportunamente instrutti. Quando l’ajutante conosce il modo di regolarsi con cavalli collerici, e come deve collocarsi nel ferrarli, si può ritenere con certezza che il cavallo buono e non viziato rimane docile; e gl’indomiti ed i viziati vengono sempre ripristinati nella nativa loro bontà.

§ 33.

La posizione dell’ajutante che deve alzare il piede di un cavallo da ferrarsi è la seguente:

Dovendosi alzare, per esempio, il piede destro davanti, l’uomo si colloca vicino alla spalla dritta del cavallo, col volto in avanti, nella direziona della testa del medesimo, colla sua spalla sinistra contro alla dritta del cavallo, i piedi riuniti. Colla mano sinistra prende la chioma, o se il cavallo è troppo grande, si appoggia alla spalla, gli guarda [p. 33 modifica]nell’occhio destro, e rimane in tale posizione, finchè il cavallo stesso sia reso tranquillo. Il braccio sinistro, alcun poco allungato, determina la distanza dell’uomo dal cavallo. In questa posizione l’ajutante non può essere nè percosso col piede davanti, nè morsicato dal cavallo, vedendo egli ogni movimento della testa, che può sempre prevenire, non avendo bisogno che di fare un cenno colla mano destra verso la testa di quello.

La posizione per alzare il piede sinistro davanti richiede norme opposte.

Per alzare il piede destro di dietro, l’ajutante si colloca col volto verso l’anca del cavallo nella stessa direzione della medesima. Egli appoggia la mano dritta, allungando vigorosamente il braccio, alla coscia del cavallo medesimo, in modo che se questi volesse volgere la groppa per percuoterlo possa egli respingerlo; o nel caso che dovesse solamente esserne rimosso. Questo appoggio abbisogna tanto per portare dal lato opposto il peso della parte anteriore o posteriore del cavallo, secondo che trovasi alla spalla od alla coscia, quanto per procurare all’ajutante un sostegno ed una posizione permanente. Il braccio disteso determina parimenti l’intervallo tra il cavallo e l’ajutante. Ambedue i piedi di quest’ultimo rimangono l’uno all’altro vicini; e siccome egli deve in tale posizione piegare alcun poco in avanti la parte superiore del corpo, così questa circostanza determina la precisa distanza de’ piedi dal cavallo. [p. 34 modifica]

Nell’alzare il piede sinistro di dietro, si impiegano norme opposte.

§ 34.

Dovendo l’ajutante addestrare un cavallo legato in istalla a lasciarsi alzare i piedi, prende la posizione suindicata: egli deve osservare attentamente l’occhio del cavallo, onde poter facilmente riconoscere quando sia in procinto di usargli qualche renitenza. Volendo, per esempio, rialzare un piede davanti, e mostrando il cavallo di volerlo mordere, deve sollecitamente, colla mano dritta, colla quale voleva alzare il piede medesimo, fare un cenno verso la testa del cavallo; e con ciò impedirà affatto di esserne morsicato. Una tale istruzione in istalla di un cavallo collerico è però possibilmente da evitarsi, come è stato indicato.

§ 35.

Fu accennato che prima di far alzare dall’ajutante i piedi di un cavallo da ferrarsi, l’istruttore, secondo che il cavallo stesso è docile o pauroso, deve accarezzarlo colla mano sulla fronte e sugli occhi; e se è collerico e ritroso imporgli con parole, collo sguardo fisso, coll’aspetto minacciante, e collo scuotimento della redine del cavezzone, onde disporlo ad acconsentire che gli si avvicini l’ajutante, e che gli si prendano i piedi. Ma siccome l’incombenza la più importante dell’ajutante è quella di alzare i piedi, così è d’uopo insegnargli dapprima e chiaramente le posizioni suindicate per un cavallo docile e quieto. Ove ciò fosse trascurato potrebbe facilmente accadere [p. 35 modifica] che l’ajutante, in una posizione irregolare, venisse maltrattato dal cavallo indocile, e che l’istruttore operasse forse per molto tempo infruttuosamente.

§ 36.

I piedi del cavallo sono inoltre alzati di rado dall’ajutante del maniscalco in conformità della natura del cavallo, con dolcezza e discernimento. Ciascheduno procede in ciò secondo la propria volontà, e come più gli sembra opportuno. Chi abbranca tosto il piede allo stinco, chi alle giunture, chi comprime il piede, dove potrebbe appunto impugnarlo, chi lo erge sempre alla stessa altezza, senza aver riguardo alla statura, chi lo tira lateralmente, e così in altri modi. Molti tengono il piede alzato, finchè il maniscalco abbia disposto ed inchiodato il ferro. Tutti questi sono errori sommi rapporto al ragionevole e naturale trattamento del cavallo nel ferrarlo; ed hanno infallibilmente per conseguenza i danni superiormente accennati.

§ 37.

I piedi vengono alzati in tre tempi.

Per alzare il piede dritto davanti, il primo tempo consiste in ciò che l'ajutante colloca la spalla vicino al cavallo, secondo l'insegnamento suindicato, gira sul calcagno sinistro, e mira di fronte il medesimo. L’istruttore che rimane innanzi al cavallo, come è stato accennato, deve aver disposto convenientemente il cavallo, affinchè questo rivolga l’attenzione più all’istruttore che all’ajutante. Se il cavallo fosse pauroso dell’ajutante, questi deve tosto [p. 36 modifica]desistere, e andare a collocarsi accanto all’istruttore, facendosi fiutare dal cavallo, ed accarezzandogli la fronte con ambedue le mani, sicchè egli possa riprendere a poco a poco la precedente posizione. Se il cavallo si mostra inquieto per timore o per altra causa, nè l’istruttore nè l’ajutante devono perdere la pazienza; ma continuare i loro preparativi, finchè rimanga tranquillo. Appartenendo il cavallo medesimo a quella classe che impenna o zampa, egli deve essere collocato colla groppa in un angolo, affinchè non possa rimuoversi nè a dritta nè a sinistra. Con cavalli simili, l’istruttore deve occupare più tempo; giacchè sono più difficili da ferrarsi di quelli i quali non vogliono alzare i piedi di dietro. Ritornato l’ajutante al posto stabilito, vicino alla spalla del cavallo, ed essendo questo confermato in uno stato di docilità, appoggia egli la mano sinistra alla spalla, e prende la chioma del cavallo; cercando così un appoggio pel suo corpo; e stando di fronte verso il medesimo.

Colla palma della mano dritta, il pollice all’insù, incomincia ad accarezzare il cavallo, dalla spalla all’ingiù, verso il ginocchio. Sdegnandosene, ritira la mano; ed incomincia nuovamente ad accarezzargli quella parte della spalla o del collo, ove il cavallo meno si oppone; e continua così, finchè spontaneo si lascia portale la mano al pasturale, e ve la soffra. Nè in questa nè in verun altra occasione in generale, in cui fa d’uopo di rialzare il piede ad un cavallo, non devesi mai comprimerlo in verun [p. 37 modifica]luogo. Delle osservazioni fatte sul cavallo risultando essere possibile di alzargli il piede, l’ajutante abbassa, girando all’indietro il pollice che rimaneva all’insù, ed alza il piede mediante il pollice più in avanti, senza comprimere il pasturale, come lo indica la Fig. 1: nello stesso tempo comprime colla mano sinistra il peso del cavallo dalla parte opposta, onde alleggerire il peso del corpo, che cade sul piede dritto. Alzato a poco a poco il piede in avanti, circa un palmo del suolo, è anche compito il primo tempo, come lo dimostra la Fig. 1.

§ 38.

Il secondo tempo segue il primo.

Quando il piede, secondo le norme indicate, è alzato in avanti, l’ajutante lo piega all’indentro, in modo che il tallone venga a stare verso il gomito del cavallo, come lo indica la Fig. 2. Quando il cavallo stesso sia in questo momento totalmente tranquillo, è anche compito il secondo tempo.

§ 39.

Il terzo tempo è annesso al primo; giacchè l’ajutante intanto che alza il piede nel secondo tempo, eseguisce un quarto di giro a sinistra, porta la sua coscia destra sotto il ginocchio del cavallo, e colloca in addietro il piede sinistro, come appoggio del corpo, secondo è indicato dalla Fig. 3. La mano sinistra abbandona nello stesso momento le chiome o la spalla del cavallo, e si riunisce alla dritta al pasturale; cosicchè viene impugnato da tutte e due naturalmente; tenendo i pollici superiormente l’uno [p. 38 modifica]vicino all’altro, come lo dimostra parimente la Fig. 3

§ 40.

Per rimettere il piede da questa posizione sul suolo, la mano sinistra abbandona il pasturale, e riprende il primitivo punto d’appoggio alla spalla destra del cavallo. L’ajutante dopo di aver ritirato il piede sinistro, fa lentamente un quarto di giro a dritta, intanto ch’egli tiene ancora colla mano dritta il piede del cavallo; e lo lascia così pian piano calare a terra.

Il piede sinistro davanti viene rialzato ed abbassato dietro norme opposte.

§ 41.

Non si può raccomandare abbastanza di far rialzare alternativamente, secondo queste norme, ambedue i piedi davanti, e riabbassarli per più volte, sempre nel modo medesimo, finchè il cavallo non li lascia spontaneamente alzati.

§ 42.

Per sollevare il piede destro di dietro nel primo tempo, se il cavallo è alcun poco inquieto, l’ajutante si colloca di fronte verso la spalla del medesimo, appoggia ambedue le mani sul dorso, e lo scorre così lentamente verso la groppa. Se il cavallo vi ripugna, s’arretra, o tira calci, egli deve tosto desistere, e ricominciare di nuovo. Quanto più lentamente farà scorrere le mani verso la groppa, e cambiare spesso dall’uno all’altro lato, tanto più presto riuscirà nell’intento. Arrivato sino alla groppa, ed il cavallo rimanendo in uno stato di docilità, [p. 39 modifica]riprende nuovamente la posizione, precedentemente prescritta per il piede di dietro, ed appoggia la mano destra alla coscia del cavallo stesso. Fa scorrere a poco a poco la mano sinistra sulla groppa, ed esteriormente all’ingiù della coscia, finchè arriva al pasturale.

§ 43.

Quest’operazione dev’essere alternata puranche spesso con ambedue i piedi; per il che l’ajutante deve sempre girare attorno all’istruttore, che rimane innanzi al cavallo. Questa regola non è da omettersi, e perchè l’ajutante non venga percosso, ciò che potrebbe accadere passando di dietro, e perchè il cavallo non venga così reso diffidente e distolto dalla necessaria attenzione verso l’istruttore. L’ajutante nell’accarezzare il cavallo deve sempre secondare il pelo, e non fare scorrer mai la mano in senso contrario, onde non cagionargli una molesta sensazione.

§ 44.

Se il cavallo è sofferente, l’ajutante dopo di aver collocata la mano al pasturale, spinge coll’altra, che trovasi appoggiata alla coscia, l’intiero peso del corpo verso la parte opposta, onde venga alleggerito il piede dritto. Colla mano al pasturale, avendo il pollice all’infuori, e senza comprimere in modo veruno, cerca di far conoscere al cavallo, mediante una leggiera pressione in avanti, che si vuol alzargli il piede sotto il ventre. Senza un tale movimento, riescirebbe difficile, ed anche impossibile al[p. 40 modifica]l’istruttore di far ferrare il cavallo in breve tempo; imperciocchè la posizione nel primo tempo, come lo dimostra la Fig. 4. è la più naturale al cavallo, come quella che prende egli stesso per portare in avanti il suo corpo. Egli si lascierà alzare in questo modo il piede, tanto più volentieri, in quanto che gli venne già in occasioni simili, tirato sempre tosto fuori all’indietro; atto che non poteva essergli che molesto. Il cavallo in questo modo, e particolarmente quando si procederà a questo movimento alternativamente, porgerà il piede con tutta la spontaneità; e si avrà così quasi tutto ottenuto per l’ulteriore riuscita.

§ 45.

Avviene talvolta che il cavallo nel rialzare il piede di dietro, si appoggia talmente all’ajutante, che questi non trovasi in istato di respingere bastantemente questo peso colla mano appoggiata alla coscia. In questo caso dev’essere pronto un altro ajutante, il quale appoggiando ambedue le mani alla coscia spinga dalla parte opposta il peso del cavallo; e procuri così all’ajutante che alza il piede un opportuno alleviamento dal peso medesimo.

§ 46.

Al secondo tempo la posizione dell’ajutante è ancora la medesima. Ad eseguirlo fa scorrere la mano sinistra fino al pasturale, nel modo indicato col primo tempo. Rivolge allora la mano medesima all’indentro, in modo che il pollice venga a stare all’ingiù, ed il dito mignolo all’insù, come lo dimostra [p. 41 modifica]la Fig. 5. Rialza poi il piede all’indietro, senza comprimerlo. Se il cavallo è tollerante, si alza successivamente un po’ più il piede; e così a poco a poco, finchè venga all’altezza di due o tre palmi da terra, come lo indica la Fig. 5. Non bisogna poi mai dimenticarsi che prima di alzare il piede dal suolo, bisogna sempre spingere dalla parte opposta il peso del cavallo.

§ 47.

Il terzo tempo risulta affatto dal secondo. Quando, cioè, il piede è alzato da due a tre palmi dal suolo, l’ajutante si rivolge a poco poco a sinistra, e tocca leggermente colla sua coscia dritta per più volte quella del cavallo. Se questo lo soffre, appoggia egli totalmente la coscia sotto quella del cavallo medesimo, nella maniera solita a praticarsi nel modo consueto per ferrare. L’ajutante ritira allora la mano destra dalla coscia del cavallo, e la porta contro la sinistra al pasturale; cosicchè ambedue le mani tengono impugnato il piede coi pollici l’uno vicino all’altro, e le punte dei diti rivolte all’insù. È d’uopo di osservare attentamente a ciò che il piede del cavallo stesso non venga mai tirato lateralmente, ma sempre all’indietro; e che l’ajutante non appoggi il suo braccio destro sulla parte interna del garetto, come accade ordinariamente; ma sempre sul lato esteriore, essendo interiormente il cavallo molto sensibile.

§ 48.

Volendo l’ajutante abbassare il piede, rivolge la parte superiore del corpo sulla sua coscia a dritta verso la groppa del cavallo; abbandona il piede [p. 42 modifica]solamente colla mano destra; l’appoggia, come prima alla coscia; ritira il suo piede dritto che trovasi sotto quello del cavallo; lo colloca vicino al sinistro, il quale in questa occasione non devesi mai rimuovere dal suo posto; ritiene il piede del cavallo stesso colla mano sinistra, come al secondo tempo, per alcun poco ancora, e lo lascia poi abbassare lentamente al suolo.

§ 49.

L’istruttore che trovasi innanzi al cavallo, onde evitare ogni inconveniente, non deve mai gridare nè far uso della redine del cavezzone, finchè l’ajutante tiene alzato il piede. Egli deve però tenerlo sempre occupato, parlargli continuamente, e secondo le circostanze lodarlo o biasimarlo. In generale l’istruttore per ottenere sollecitamente il proprio scopo, particolarmente se si tratta di riordinare un cavallo viziato, deve rivolgere tutta la sua attenzione al medesimo, agli ajutanti ed al maniscalco, onde poter con accordo dirigere il tutto. L’ajutante ed il maniscalco sono quindi da considerarsi come altrettante macchine, dovendo tutti gli ordini e tutti i suggerimenti provenire dall’istruttore, e non richiedendosi da loro che una precisa esecuzione.

§ 50.

Ogni cavallo da ferrarsi, il più docile puranche, non deve mai, a parer mio, come spesso accade, essere condotto al luogo ove viene ferrato solamente legato ad una corda, ma sempre con cavezza od un briglione, e per quanto è possibile anche con un ca[p. 43 modifica]vezzone. Oltre all’ajutante per rialzare i piedi, deve esservi presente un altro uomo, il quale rimane innanzi al cavallo, ritiene le redini, veglia a ciò che rimanga sempre perpendicolare su tutti e quattro i piedi e su di un terreno orizzontale, e lo sgrida finalmente quando si mostra indocile e ritroso.

§ 51.

Sebbene per un cavallo mansueto non sia necessario di alzargli i piedi procedendo secondo i tempi suindicati, tuttavia è duopo uniformarsi in complesso alle norme prescritte, onde non si voglia correr rischio di vedere col tempo il cavallo a ricadere nella indocilità.

§ 52.

Il maniscalco deve lavorare con tutta la delicatezza, e non tagliare dall’ugna molto in un tratto, come succede, per finir presto. Quanto più profondamente introduce l’incastro nell’ugna per ritagliarne grossi pezzi, tanto più l’ajutante deve tener stretto il pasturale, e tanto più deve generalmente impiegare maggior forza, onde poter resistere a quella del maniscalco; con che non di rado i cavalli vengono provocati alla più manifesta resistenza. I chiodi non devono essere battuti con colpi forti, e dopo che il ferro è assodato con due chiodi si concederà al cavallo di riabbassare il piede, e sempre successivamente per ogni chiodo conficcato.

§ 53.

Gli ajutanti senza nulla riflettere si regolano ordinariamente secondo la loro propria grandezza, in [p. 44 modifica]riguardo all’altezza in cui devono tenere il piede pel cavallo, cosicchè succede che il piede di un piccolo cavallo è tenuto alle volte troppo in alto da uomo grande di statura. Ne risulta da ciò per il cavallo uno sforzo doloroso ai tendini ed ai nervi, e quindi spesso anche una resistenza. È duopo quindi regolare l’altezza del piede secondo la grandezza del cavallo.

§ 54.

Un cavallo restio dopo ferrato per la prima volta, secondo il presente metodo, deve dapprincipio essere condotto giornalmente alcune volte fuori della stalla, ed esercitato nel modo indicato a rialzare spontaneamente i piedi. Questa precauzione viene continuata per alcuni giorni secondo che il cavallo era più o meno restio. Indi si avrà la soddisfazione di vedere il cavallo il più cattivo dimentico affatto della primitiva sua indocilità, e che si lascierà toccare e rialzare il piede in ogni occasione senza difficoltà veruna.

Se un cavallo così addestrato venisse rimesso ad un altro stalliere, ovvero venduto, bisogna sempre instruire dapprima la persona che lo riceve nel modo con che vuol essere trattato nel ferrarlo.

§ 55.

Non sono consigliabili gli esperimenti di alzare i piedi ad un cavallo in stalla, essendo ordinariamente la sua posizione troppo angusta, ed il suolo su cui rimane non orizzontale. Potendosi ritenere che un cavallo sia di già addomesticato, si può anche colà farne la prova; ma un istruttore deve rimaner [p. 45 modifica]sempre alla testa del medesimo, finchè non mostri più verun indizio d’indocilità, e rimanga in uno stato di perfetta tranquillità. In mancanza di un istruttore, l’ajutante deve contenersi secondo il § 34 di questa Sezione.

§ 56.

Per conclusione mi sarà permesso di osservare, che il modo di procedere da me accennato, non conterrà forse nelle sue parti rispettive nulla di nuovo, ma che il complesso di tutte le indicate norme, per trattare un cavallo collerico o viziato nella ferratura, forma indubitatamente un sistema nuovo e non ancora conosciuto, il quale, in seguito di una esperienza da me fatta per tanti anni, assicura, nella esatta sua applicazione, un esito certo, favorevole, pronto e permanente.

I più fondati esperimenti hanno offerita la prova che ogni cavallo di qualunque specie egli sia, eccettuati i selvaggi le rimonte paurose degli uomini, ancora indomite, e quelli affetti da furiosa vertigine, può essere ferrato in un’ora tutto al più, libero e senza la menoma forza; e che anche in progresso di tempo si potrà sempre rinnovare la ferratura senza pericolo alcuno.

Io mi affido al giudizio di ognuno per il bene che ne può risultare in generale.

fine.

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