Il tutore/Nota storica
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NOTA STORICA
In mezzo ai molti tutori balordi, delusi, ingannati della letteratura drammatica, che, oltre il teatro del Nostro, mettono capo al classico «Bartholo» di Pierre Beaumarchais, ecco una parentesi, della quale assai si giova la morale, meno l’arte. Giusta lode poterono dare alla virtù di Pantalone G. B. Roberti («tu insegnasti al buon Tutore | Del crescente pupillo a contenere | La man furtiva» Opere, Lucca, 1819, v. XI, p. 173) e lo Schedoni («un Tutore non solo a personali mire avverso riguardo all’affidata giovane, ma fino per illibatezza ritroso a maritarla col proprio nipote» Principii morali del Tea. Modena, 1828, p. 19); ma ingegnosamente N. Beregan (cfr. Memorie, ed. Mazzoni, II, p. 377), nel suo Museo d’Apollo, prima per bocca di Momo contradditore rammentò al Goldoni che «giammai buona commedia virtù diretta espone», per poi temperare il biasimo nella risposta di Talia e comprendere in una lode generale alla festevolezza e alla varietà del teatro goldoniano anche questa sua opera (cfr. Le Comm. del dott. C. G. Torino, vol. XIII, 1758, Mus. d’Ap., pp. 15, 16, 20). Altri, a’ giorni nostri, lo dice «bellissimo esempio, ma di nessun effetto comico, come sono di pochissimo effetto tutte le figure teatrali create con lo sforzo di troppa ragione» (O. Marchini-Capasso G. e la comm. dell’a. Bergamo, 1907, p. 158).
Era alle prime armi il Goldoni, quando, ripetendo figure e gherminelle tradizionali, diede alla scena l’intermezzo la Pupilla (1734). Diciassette anni dopo i ferri arrugginiti del mestiere non facevano più al caso suo. Non dunque tutori ridicoli, quali la consuetudine scenica consigliava: non tutori infedeli e dilapidatori, «de quella razza, | Che scortega e tradisce i so pupilli», stigmatizzati nella Premessa e nel Sonetto in fine alla commedia (ediz. Bettinelli). Neppure innamorati sul serio, come Molière mostra nella Scuola de’ Mariti. A questi penserà più tardi (La Pupilla, commedia). Un tutore presentato da chi del teatro intendeva rinnovare forme e contenuto, e alla scena avea già dato l’Uomo prudente, il Padre di famiglia, la Putta onorata, dovea essere conscio de’ suoi doveri; lontano dunque da basse, egoistiche mire. Potea restar gabbato anch’egli, ma solo perchè i buoni non sempre sono in grado di valutare a pieno l’umana malvagità. Così nel 1752 venne composto e si recitò questo tutore che, per quante insidie ponga sul palcoscenico il tedio alla virtù, nella veste di Pantalone e grazie al suo dialetto, tien pure desta l’attenzione e viva la simpatia. Non simpatia: ilarità soltanto dovea destare invece il contutore Ottavio, riscontro comico voluto all’onesta figura di Pantalone. Ma troppo carico il disegno; disgustoso addirittura ne’ particolari realistici, di che un critico tedesco di quei giorni mosse vivace biasimo al Goldoni anche perchè qui «l’indolenza si sposa alla più crassa imbecillità» (Deutsche Bibliothek, der schönen Wissenschaften von Herm Klotz. Halle, 1768, VIII fase. p. 453). Lo spunto a questa figura, nuova nel teatro goldoniano, venne con tutta probabilità al Goldoni dal Negligent del Dufresny (rappr. nel 1692), del quale s’era valso certo più ampiamente tre anni prima per l’omonimo suo libretto. Forse derivò pure di là qualche elemento per la gara tra Beatrice e Rosaura alla conquista di Florindo. Ma quanto maggior finezza nel lavoro francese! Rosaura, acquacheta anche in mezzo alla sua straordinaria semplicità, non interessa e non diverte; Beatrice la ripetizione d’altre Beatrici goldoniane che «Agrippine borghesi, non rifuggono sempre dal delitto per conseguire i loro scopi» (Rabany, op. cit, p. 213). E non s’intende bene come le nozze precipitate fra questa Beatrice e il rapitore della sua figliuola dovessero bastare ad attutire lo scandalo. Ma forse, anche senza che ci abbia pensato l’autore, ai trascorsi del dissoluto Lelio non vi potea essere castigo più efficace di questo matrimonio con la nuova Agrippina. Almeno di ciò la morale poteva esser paga. Non la censura però, se a Milano, durante il governo napoleonico, questo lavoro venne proibito (Paglicci-Brozzi, La politica di C. G., Scena illustr. Firenze, 1888, n. 23); nè altra ragione s’indovina se non il ratto con supposta verisimile seduzione.
Ma i difetti non tolsero ammiratori alla commedia. Al «bel Tutore» accenna Pietro Verri nel suo noto poemetto (La vera commedia. Le comm. d. dott. C. G. Torino, Fantino e Olzati, 1758, tomo XII, p. IO); alla «bellezza di questa commedia» il Montucci, senza per questo smettere la mala abitudine di «correggere» a suo arbitrio (Scelta completa ecc. Lipsia, 1828, vol. I.° p. 183). Felicissimo sembra ad altri il contrasto fra i due tutori (Bibliothek der schönen Wissenschaften, Lipsia, 1758 III, 2 p. 234). E la figura del poltrone inspira a Ignazio Ciampi (La vita artistica di C. G. Roma, 1860. p. 62 segg.) un paragone fra Ottavio e quel Belacqua dantesco ch’era, secondo l’Anon. fiorent., «il più pigro uomo che fosse mai; et si dice di lui ch’egli venia la mattina a bottega, et ponevasi a sedere, et mai non si levava se non quando voleva ire a desinare et a dormire». Ma che immenso distacco tra i versi dell’Alighieri e il crudo realismo del Goldoni! Questi espone senza pietà il suo indolente al dileggio; Dante che di Belacqua «fu forte... dimestico» ne descrive la beata ignavia con una nota di simpatia. Sorride bonario il poeta; sorride chi ascolta.
Solo dei benefizi morali che dal lavoro poteano venire dice la Premessa; non in che conto l’avesse l’autore come opera d’arte. Le Memorie l’ignorano affatto. Un unico laconico accenno è in una lettera del 7 ottobre 1752 all’Arconati-Visconti: «Al nostro Sant’Angelo si diede principio con il Tutore, e la seconda sera si pose in scena la Serva amorosa» (Spinelli, Fogli, ecc. p. 20). S’era rappresentato la prima volta colà, dietro l’ed. Bettinelli, il 4 gennaio del 1752 e replicato sette sere; confermano questa data le ediz. Pasquali e Zatta dove si legge carnovale dell’Anno MDCCLI (m. v. con tutta probabilità). Il 1753 dei Papenni è errore, reso evidente dal passo della lettera ora citato. Aggiunge ancora l’ed. Bettinelli: «In ogni altra Piazza fu ricevuta, e gradita con gloria del di lei Autore». L’ebbero nel loro repertorio più compagnie. Resta ricordo di recite a Modena nel 1756 e nel 1774 (Modena a C. G., 1907, pp. 237, 240), a Firenze nel 1778 e ’79 (Corsini, Ottave ecc., cfr. Nota al Servitore di due padroni e Rasi, I comici italiani, v. I, pag. 703). Dagli spogli diligenti dell’Ortolani s’apprende che il 21 nov. 1815 la Compagnia Fabbrichesi la diede al Nuovo Anfiteatro o Arena di S. M. Zobenigo (Giornale di Venezia), e il 6 ottobre 1819 la Compagnia Vestri e Venier di nuovo al S. Benedetto (Gazzetta privilegiata di Venezia). Taciuto al solito in tutte queste notizie il nome dell’autore, ch’era con ogni verisimiglianza il Goldoni. Ancora: la Gazzella privil. del 22 marzo 1822 encomia Pellegrino Blanes [Paolo Belli] per una recita del Tutore a Siena. Nel suo repertorio l’accoglie l’anno 1838 la Reale Sarda (Costetti, op. cit., p. 117). Sempre per la sua fortuna in casa nostra, notiamo che parzialmente l’imitò il Marchisio in un suo imparaticcio (Allocco Castellino, Stanislao Marchisio. La prima commedia. Il Piemonte, Torino, 16 aprile 1905). Se non c’è scambio con qualche dramma per musica, questo Tutore si sarebbe rappresentato ad Innsbruck da comici nostri la sera (15 agosto 1763) che morì Francesco I, colto da malore uscendo dal teatro (Die Theater Wiens. K. K. Hofburgtheater, Wien, 1906, vol. 2.o parte 1.a p. 103).
Tre anni dopo, lo stesso giorno, a Lipsia il Tutore venne recitato per la prima volta in Germania tradotto da S. F. Schletter (1739-1801), comico e suggeritore. Così lo Schaz (Des Herrn C. G. Beobachtungen in It. u. Frankr. Leipzig, 1789, 3° vol., p. 394), il quale però, mancando nelle Memorie, da lui tradotte, ogni menzione di questo lavoro, l’identifica erroneamente con la Pupilla, commedia in versi. Questa traduzione è a stampa (Francoforte, 1781 e più tardi altrove). Lo stesso anno diede la sua il Saal (2° vol.). Una terza versione, opera di B. C. D’Arien, menziona il Theaterkalender del Reichard (1782, p. 158: Die Vormünder nach Goldoni). Commette un grosso errore l’a. del noto libro sul famoso Bernardon (F. Raab. I. I. F. v. Kurz. Frankfurt a/M, 1899, p. 15) accennando a un’altra versione del Tutore, anzi riduzione, che sarebbe stata eseguita alla corte di Vienna nel 1737! Quindici anni prima del lavoro originale! Ma il Wiener Diarium (del 6 marzo di quell’anno), citato a conforto della curiosa notizia, ha solo il titolo «Der (sic) Vormünder», senza nome d’autore, e qualifica espressamente il lavoro eseguito «italienische musikalische Opera». Di altre recite in Germania (fra le traduzioni preferita quella dello Schletter), v’ha ricordo frequente nelle cronistorie di quei teatri (Legband, Münchener Bühne ecc. München, 1004, pp. 460, 461; F. Walter, Archiv. u. Bibl. des... Nat. Theaters in Mannheim. Leipzig, 1899, voi. 2,o p. 263; Schlösser, Vom Hamburger Nat. Theater zur Golhaer Hofbühne. Hamburg u. Leipzig. 1895, p. 68. ecc. ecc.). Il celebre Schröder (cfr. le Note al Servitore e alla Finta amm.) recitò da giovine (1760) con successo la parte di Trivelino (F. L. W. Meyer, F. L. Schröder, Hamburg, 1819, vol. 1.° p. 195).
In Francia il Tutore non ebbe che un solo, poco felice riduttore. «M. de La Grange a fait jouer — annota la Correspondance del Grimm. nell’ottobre del 1764 — sur le théâtre de la Comédie - Italienne une pièce francaise en trois actes et en vers, intitulée le Bon Tuteur, imitée d’une pièce imprimée dans le Théâtre du célèbre Goldoni. Ce Bon tuteur français est tombé». Integra questa notizia il Bachaumont (cit. dal Rabany p. 355):«Les comédiens italiens donnent depuis quelques jours une comédie française intitulée le Bon tuteur. Elle est de M. Desgranges en trois actes et en vers. C’est une pièce italienne de Goldoni, que le premier a voulu accomoder à notre théàtre; il parait qu’il a manqué son objet. La pièce de Goldoni, sans ètre la meilleure qu’il alt faite, a de l’interét, du naturel et quelques incidents heureux. Le second giace tout de son froid mortel, et l’auteur est lui-mème très mécontent de son traducteur». Ecco senza dubbio la ragione per cui tanto le Memorie che le lettere dimenticano la riduzione del De La Grange. Nella stampa (1764; Cat. del Museo Britannico), a noi irreperibile, deve mancare il nome del Goldoni, perchè il Giornale Enciclopedico (Vicenza, 1777, t. III, marzo) mosse aperta accusa di plagio al riduttore: «M. della Grange diede come suo le Bon tuteur, ch’è precisamente il Tutore, senz’altro cangiamento che quello dei nomi».
Fu nel viaggio in Toscana, compiuto l’anno 1753 per avviare la nuova edizione del suo teatro, che il Goldoni rivide Pisa, dove dal 1744 al 1748 aveva esercitato con qualche fortuna l’avvocatura. Di questo soggiorno tratta la dedica. Fra i mille dedicatari dei suoi scritti, nei cui nomi si riflettono le tante vicissitudini della vita e dell’opera, Raniero Fabbri (Il Servitore di due padroni) e Pier Girolamo Inghirami stanno a rappresentare i suoi rapporti con Pisa. A quest’ultimo il Veneziano avea reso già un’altra volta, durante il lungo suo soggiorno colà, iperbolico omaggio in questi versi: «Giove | Di te l’esempio vero | Fa ch’io veda nel Mondo, e riedo in pace. | Ecco esudito il voto: | Ecco l’Eroe mi è noto: | Un’immago di Giove al Mondo io chiedo, | E un’immago di Giove in Piero io vedo» (Canzone recitata nell’ Accademia degli Arcadi di Pisa, detta la Colonia Alfea, sull’argomento dell’utilità delle Leggi scritte. Componim. diversi. Venezia, Pasquali, 1764, vol. II. p. 88) e a Piero, in calce, questa nota: «Il Nobil. Sig. Cavaliere Pietro Inghirami di Volterra, ch’era in quel tempo Commissario in Pisa».
E. M.
Questa commedia uscì la prima volta l’anno 1753, quasi contemporaneamente nel t. V dell’ed. Bettinelli di Venezia e nel t. II dell’ed. Paperini di Firenze; fu poi ristampata a Bologna (Corciolani ’53 e Pisani '54), a Pesaro (Gavelli II, ’53), a Torino (Fantino e Olzati III, ’56). e più tardi a Venezia (Pasquali II. ’62; Savioli VI. '71; Zatta. cl. 2.a. II, ’90; Garbo XII, ’96), a Torino ancora (Guibert e Orgeas II. ’72), a Livorno (Masi VI, '88), a Lucca (Bonsignori II, ’88) e altrove nel Settecento. — La presente edizione seguì principalmente il testo più curato del Pasquali, ma reca a piè di pagina le varianti delle altre edizioni. Le note segnate con lettera alfabetica appartengono al commediografo. Valgono intorno alla grafia le avvertenze più volte ripetute.