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14 gennaio.

Noi tendiamo al dialogo, alla conversazione. Amiamo evitare le lunghe note informative (la narrazione), anzi anche queste le trasformiamo in discorso facendole in prima persona e colorite secondo il personaggio che le pronuncia. Cerchiamo insomma, nella narrativa, il teatro, ma non la scenica. Che venga dall’uso del cinema, che ci ha insegnato a distinguere tra visività e parola, che prima il teatro fondeva?

Ora accade che il cinema racconta visivamente, e il romanzo rappresenta verbalmente; e noi non vogliamo piú saperne di teatro, e quello del passato preferiamo leggerlo.

29 gennaio.

Ci si umilia nel chiedere una grazia e si scopre l’intima dolcezza del regno di Dio. Quasi si dimentica ciò che si chiedeva: si vorrebbe soltanto goder sempre quello sgorgo di divinità. È questa senza dubbio la mia strada per giungere alla fede, il mio modo di esser fedele. Una rinuncia a tutto, una sommersione in un mare di amore, un mancamento al barlume di questa possibilità. Forse è tutto qui: in questo tremito del «se fosse vero!» Se davvero fosse vero...

1° febbraio.

Lo sgorgo di divinità lo si sente quando il dolore ci ha fatto inginocchiare. Al punto che la prima avvisaglia del dolore ci dà [p. 258 modifica]un moto di gioia, di gratitudine, di aspettazione... Si arriva ad augurarsi il dolore.

La ricca e simbolica realtà dietro cui ne sta un’altra, vera e sublime, è altro dal cristianesimo? Accettarlo vuol dire alla lettera entrare nel mondo del soprannaturale.

Essa però non va confusa col peculio di simboli che ognuno di noi si fa nella vita: in questi non c’è soprannaturale, bensí sforzo psicologico, volontario ecc., di trasformare attimi d’esperienza in attimi d’assoluto. È protestantesimo senza Dio.

2 febbraio.

Un certo tipo di vita quotidiana (ore fisse, luoghi chiusi, stesse persone, forme e luoghi di pietà) induceva pensieri soprannaturali. Esci da questo schema e i pensieri s’involano. Siamo tutta abitudine.

3 febbraio.

Il luogo della tua persona è certo il viale torinese signorile e modesto, primaverile e estivo, calmo, discreto e vasto, dove s’è fatta la tua poesia. La materia veniva da molte parti, ma qui trovava forma.

Questo viale, e il caffeuccio sul viale, fu la tua camera, la finestra sulle cose. Quando ti torna l’istinto di poetare cerchi di questi luoghi. Per narrare, no. È soltanto perché narrare è meno contemplativo? Le memorie di due stagioni le hai scritte al caffè, e in fondo anche i Paesi e la Tenda. Dunque...

Il fatto è che hai perduto il gusto di vedere, di sentire, di accogliere, e ora ti mangi il cuore.

6 febbraio.

Cipresso e casa sul taglio della collina, scuri contro il cielo rosso, luogo di passione della tua terra. L’etnologia dissemina di [p. 259 modifica] sangue versato irrazionalmente e miticamente questi luoghi familiari. Ecco perché.

7 febbraio.

Il sangue è sempre versato irrazionalmente. Ogni cosa è un miracolo, ma nel caso del sangue lo si sente piú acutamente, perché di là c’è il mistero.

Piangere è irrazionale. Soffrire è irrazionale. (Cfr. «soffrire non serve a nulla» del ’38).

Il tuo problema è dunque valorizzare l’irrazionale. Il tuo problema poetico è valorizzarlo senza smitizzarlo.

Quando si sanguina o si piange, lo stupore è che proprio noi si faccia questo che solleva all’universale, al tutti, al mito.

8 febbraio.

Perché l’irrazionale solleva al tutti, all’universale? Idea romantica. Ma è forse da dare ai cani per questo? Senza dubbio l’irrazionale è l’enorme réservoir dello spirito, come i miti lo sono delle nazioni. Le tue creazioni le trai dall’informe, dall’irrazionale, e il problema è come portarle alla consapevolezza. Tanto vero che pare banale.

Lo stupore è la molla di ogni scoperta. Infatti, esso è commozione davanti all’irrazionale.

La tua modernità sta tutta nel senso dell’irrazionale.

12 febbraio.

Μυστέριον e sacramentum significavano anche «simbolo». Ecco la via alla concezione del simbolo magicamente o carismaticamente efficace. [p. 260 modifica]

Ecco la radice comune di poesia e religione. Dato che simbolo è anche l’immagine.

Il rito fu in origine la cosa stessa, causa efficiente dell’effetto; piú tardi, simbolo di esso (battesimo pagano e battesimo di Giovanni) (l. allevi, Ellenismo e Cristianesimo, «Vita e Pensiero», 1934, p. 117).

13 febbraio.

La ricchezza della vita è fatta di ricordi, dimenticati.

15 febbraio.

L’ammirazione, prima di essere estetica, è religiosa. Dallo shintoismo (e dal politeismo greco) derivò l’amore per la natura dei Giapponesi (e dei Greci).

24 febbraio.

C’è gente per cui la politica non è universalità ma soltanto legittima difesa.

28 febbraio.

Sono piú le cose di cui non scriviamo che quelle di cui scriviamo. Come la massa degli uomini si muove nel circolo delle sue preoccupazioni e vive sanamente i piú diversi problemi, cosí tu, sia pure malato di letteratura, non tratti altro per scritto che questioni letterarie e per tutto il resto ti muovi fra le tue preoccupazioni vivendole sanamente e coscienziosamente. Ecco come si può smetterla con la stupida polemica contro i letterati e sostenere che [p. 261 modifica]anch’essi sono uomini. Per lo meno quanto gli analfabeti o quelli che non scrivono.

3 marzo.

L’ho saputo il 1° marzo1. Esistono gli altri per noi? Vorrei che non fosse vero, per non star male. Vivo come in una nebbia, pensandoci sempre ma vagamente. Finisce che si prende l’abitudine a questo stato, in cui si rimanda sempre il dolore vero a domani, e cosí si dimentica e non si è sofferto.

8 marzo.

L’attesa reclusa davanti a colline.

Torna già la seconda volta.

17 marzo.

Nella Maid’ s Tragedy manca semplicemente l’immagine nel modo piú desolante. Pare impossibile che di qui (1609) cominciasse un nuovo stile. Il senso del wit si è perduto. Il calore fastoso e fantasioso dell’immagine shakespeariana e websteriana è disceso a uno smorto linguaggio letterario, dove la commozione è colpo di scena o bel sentimento. Scompare anche la psicologia. Resta — specie nei primi atti — un senso di sesso duro e ossessivo (comico e tragico) che sa di moderno, di contemporaneo. Evadne è viva fin che rappresenta duramente il sesso ambizioso; poi, redenta, scade. Ma la lingua è morta. Ben Jonson almeno sapeva parlare in dialetto.

22 marzo.

Philaster (1608) è tutt’altro. Nel comico e nel tragico il linguaggio è ricco, mosso, pregnante, shakespeariano. Ne viene una [p. 262 modifica]bella coloritura di personaggi, un tono di scena. Direi che il pregio è di Beaumont. Manca, di Shakespeare, la costruzione ironica e significativa. Il dramma è già sentimentale e melodrammatico (benché Cymbeline e Winter’s tale gli somiglino). E questo è Fletcher.

24 marzo.

Con Bonduca si capisce tutto. È Fletcher solo.

Manca la fantasia ricca e unitaria. Nel comico ci sono le battute non le immagini di wit. Nel tragico si declama non si fantastica. I personaggi sono a ticchio (Caratach, Petillius, Penius), non hanno una vita profonda di fantasia. Qui si capisce come l’apparente vernice uguale delle immagini continue dia ai personaggi shakespeariani una umanità ricca e indifferenziata su cui appunto si possono stagliare i tratti singoli. Come nella vita, che tutti si somigliano. La caratterizzazione in Fletcher è invece astratta.

30 marzo.

r. guardini, Lo spirito della liturgia.

p. 185. «Se si esamina, però, piú da vicino e piú a lungo la questione, si avverte facilmente che la formula “primato del Logos sull’Ethos” potrebbe anche non essere la decisiva e suprema. Forse si deve piuttosto dire: nell’ambito complessivo della vita il primato definitivo deve averlo non l’agire, bensí l’essere. In fondo esso non riguarda l’agire, bensí il divenire: non ciò che si fa, bensí ciò che è e si svolge costituisce il valore supremo. Non nel tempo, ma nell’eternità, nell’eterno presente stanno le radici e si trova il compimento di ogni cosa. Ed il valore definitivo non sta nella concezione morale, ma nella concezione metafisica, non nel giudizio di valore, ma in quello di essenza, non nello sforzo, ma nell’adorazione». p. 187 «...primato della verità, ma nell’amore...» Nella liturgia trionferà questa posizione: placida, calma, contemplativa, indifferente, non parenetica, non educatrice, gioco. [p. 263 modifica]

31 marzo.

peter wust, Incertezza e rischio.

p. 196. «In verità il primordiale incosciente istinto oggettivo di felicità della natura umana mira in prima linea a quella realizzazione dell’essere in cui raggiunge la sua perfezione personale, la sua salute eterna nel senso del compimento della sua natura. La tendenza all’endemonia che si agita nell’intima profondità dell’uomo, è dunque in primo luogo la sostanziale perfezione della sua forma, e soltanto in seconda linea il momento soggettivo della felicità, del riposo e dell’armonia definitiva dell’anima, connesso con questo momento oggettivo dell’endemonia».

4 aprile.

«Il est maintes aurores qui n’ont pas encore brillé: donne-nous de les voir, ô Varuna!» (Rig-Veda, II, -28, trad. Darmesteter su trad. M. Müller — Da Origine et développement de la Religion étudiés à la lumière des religions de l’Inde).

12 aprile.

Come può Dio pretendere le lunghe umiliazioni in preghiera, le interminabili ripetizioni del culto? Non ami tu d’istinto un rapido pensiero di riconoscenza, un’occhiata che ti lega il beneficato, e non aborri le lagnose espressioni di grazie? Tu non sei Dio, però...

La vera poesia georgica italiana — e insieme il solo naturalismo che si rispetti e s’accordi al nostro umore — sono le prose di coltivazione, Pier dei Crescenzi, Davanzati, Soderini, ecc. La descrizione è tutta schietta e, ciò che la risuscita, utilitaria. Qui un epiteto è davvero, sovente, un intero poema. Ciò che non succede dei versi dello stesso tempo. [p. 264 modifica]

16 aprile.

I poeti classici non han bisogno di descrizioni naturali, perché dèi e luoghi sacri portano nel discorso molteplici visioni di natura. (Leggendo l'Ippolito).

Nel rovello che ci dà un rumore, un odore, una sensazione sgradita — rovello improvviso e bestiale, acutissimo — è mista un’ansia gioiosa che la sensazione si ripeta, che l’autore vi torni, quasi per aver noi campo e motivo di odiarlo di piú, di scattare.

18 aprile.

Prove certe:

a) I farisei non mettono in dubbio la resurrezione di Cristo. (Baravalle).

b) La promessa di Dio ad Eva e quella ad Abramo non parlano del popolo eletto ma di tutto il genere umano.

Cosí pure quella di Giacobbe a Giuda. (Bossuet).

Cosí pure Zaccaria e Aggeo, e Malachia.

20 aprile.

Nell’Elena di Euripide il coro o riassume i fatti o ricorda cose note. Si conferma il carattere tragico-greco di giudizio davanti al coro-pubblico, non di avvenimento.

Il motivo tragico è quasi sempre una cosa nascosta che pena a venir fuori (Ippolito-Ione), onde un vero e proprio dibattito. Questa cosa nascosta è solitamente una nequizia divina, che chiarendosi produce la morte-purificazione o il lieto fine. Questa nequizia è il ciò che dev’essere, sia da te scoperto nel ’42. [p. 265 modifica]

24 aprile.

I popoli che hanno avuto una ricca mitologia sono i popoli che hanno poi accanitamente filosofato: indiani, greci, germani.

29 aprile.

Prove certe:

Samaritani e Giudei hanno lo stesso Pentateuco. Ne consegue che esso è anteriore alla separazione cioè a Geroboamo e Roboamo, e a fortiori a Esdra (Bossuet).

15 maggio.

Mai riflettuto sul fatto che gli iniziatori del romanzo italiano — i cercatori disperati di una prosa narrante — sono anzitutto dei lirici — Alfieri, Leopardi, Foscolo? La Vita, i Frammenti di Diario e il Viaggio Sentimentale sono il sedimento di una fantasia tutta data alle illuminazioni d’eloquenza lirica. E il primo romanzo riuscito — I Promessi Sposi — è la maturità di un grande lirico. Ciò deve aver lasciato tracce nel nostro ideale narrativo.

Pensa invece al ’700 inglese o francese e al ’600 spagnolo: là la prosa di romanzo nasce ignorando ogni accensione fantastica. Cosí l’800 russo.

22 maggio.

La tua convinzione che quale uno era bambino tale sarà adulto e mai muterà la «portata del ponte», ha perso ogni tetraggine e si è spostata nella ricerca delle radici fantastiche dell’istante-eternità.

27 maggio.

L’idea, da te data come bizzarria, di modificare il proprio passato (primav. ’39?) si chiarisce in linea con tutti i tuoi pensieri [p. 266 modifica]attuali: la riscoperta dell’infanzia, fatta of course modificandone — cioè scoprendo — il significato.

Chi sa quante cose mi sono accadute: quesito ottimo per impostare la tua summa. Vuoi dire: chi sa in quanti modi diversi vedrò ancora il mio passato, e cioè vi scoprirò avvenimenti insospettati.

Arduo trasformare se stesso in io dantesco, simbolico, quando i propri problemi sono radicati a un’esperienza cosí individuale come la città-campagna e tutte le trasfigurazioni giungono soltanto a simboli psicologicamente individuali. (La vigna, il cielo dietro, l’orizzonte marino, gli alberi da frutto, le canne, i fienili ecc. salgono tutt’al piú a un assoluto di utilità laboriosa. Prova il tuo smarrimento il fatto che cerchi lo sfogo nella potenza magica di queste figurazioni o nella ricchezza — carciofina — di loro strati sovrapposti. Se nessun altro ha di queste figurazioni, tu sei servito).

8 giugno.

— E chi ha fatto questo è un cristiano. — Se non fosse un cristiano, avrebbe fatto di peggio.

13 giugno.

La memoria è l’assenza di fantasia (Rousseau, Emile, l. II) «dans ce que l’on voit tous les jours, ce n’est plus l’imagination qui agit, c’est la mémoire» — «l’habitude tue l’imagination» — ma la memoria delle cose lontane presenta oggetti rinnovati, disabituati, dal tempo e dalla dimenticanza frammessa, per cui è stimolo di fantasia, tanto piú che le cose ricordate sono nuove ma misteriosamente nostre.

14 giugno.

Nel 1824 le lettere di Leopardi si fanno asciutte, tutte cose, mancano le effusioni meditabonde e persino i lamenti. Scriveva [p. 267 modifica]le Operette morali. Nel ’25-’26 si lagna poco della vita, sta quasi bene di salute e se la gode. Viveva a Milano e Bologna e lavorava da senatore.

17 giugno.

Le nazioni che giungono a grande potenza egemonica sono in genere inconsapevoli di star creando un impero. Dedite a spiccioli còmpiti contingenti, si trovano, tirate di conquista in conquista, ad aver attuato un grande disegno storico. Quelle che partono in tromba a divenire la grande nation, si rompono le gambe alla prima occasione — come è terreno che accada — e siccome hanno col loro programma allarmato tutte le altre, si provvede a tagliar loro i garetti subito.

Insomma, anche qui: si ottiene quel che non si cerca. Sempre.

26 giugno.

pierre corneille, De la tragèdie, et des moyens de la traiter selon la vraisemblance ou le nécessaire. Dice di Aristotele: «...les théàtres de son temps oú ce n’était pas la mode de sauver les bons par la perte des méchants, à moins que de les souiller eux-mêmes de quelques crimes...» A proposito delle quattro azioni tragiche che «se passent entre proches»: a) si conosce la vittima e la si uccide; b) non la si conosce, e la si sa dopo perdutala; c) non la si conosce, e la si sa in tempo per astenersi; d) la si conosce, ma non si riesce a ucciderla. Secondo Aristotele l’ultimo caso è il peggiore. Corneille distingue: se si cambia idea per volubilità sí, ma, se per grande vicenda, è il caso migliore di tutta la tragedia. Poiché suppone il «combat des passions contre la nature, ou du devoir contre l’amour». Chimène fa di tutto per perdere il Cid. O questo contrasto, o la punizione dei cattivi: ecco la tragedia moderna. Psicologia cristiana.

Per gli antichi hai già scritto una volta che conta l’eroe isolato, che fa un discorso-monologo, che è davanti al coro. Questi contrasti non esistono. I malvagi, non essendo visti in contrasto, non sono malvagi ma sono, semplicemente, come i buoni. [p. 268 modifica]

P. S. Notare che Aristotele condanna a) e d) e approva b) e c). Condanna cioè i casi di possibile lotta interiore e approva quelli di colpo di scena, dove non c’è vita morale.

2 luglio.

corneille, Epitre della Suite du Menteur.

«... moi, qui tiens, avec Aristote et Horace, que notre art n’a pour but que le divertissement» «...pourvu qu’ils aient trouvé le moyen de plaire, ils sont quittes envers leurs arts; et s’ils pèchent, ce n’est pas contre lui, c’est contre les bonnes mœurs et contre leur auditoire...»

«La récompense des bonnes actions et la punition des mauvaises... cette règle imaginaire est entièrement contre la pratique des anciens; et sans aller chercher des exemples parmi les Grecs, Sénèque... Plaute et Terence...»

7 luglio.

Erodoto è per Jünger quel che Omero è per Vico.

9 luglio.

Il successo enorme di Rousseau si spiega col fatto che egli ha approfondito, interpretandolo, un mondo culturale già noto e accetto da piú secoli, l’Arcadia. Sono queste le innovazioni che fanno furore: lusingano e turbano col nuovo e permettono di continuare a vagheggiare il notissimo e caro.

11 luglio.

Hath not our mother Nature, for her store
and great encrease, said it is good and just,
and willed that every living creature must
beget bis like?

(The Faithful Shepherd, atto V, sc. iv).

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Tutte le favole boscherecce hanno questo pensiero, e appello alla Natura. Rousseauismo che si prepara.

Non solo. Tutte hanno l’eremita del bosco, che generalmente erborizza (Rousseau!) e studia le virtú piú o meno magiche dei semplici. Strano che Rousseau non sapesse di magia. Ma ripararono i filosofi della natura tedeschi.

Già da tempo hai notato che tutte le favole boscherecce sono impostate sulla castità di Diana, che si deve o vuole conservare capricciosamente e poi cede a un caso d’amore. Quando non cede, fa appunto gli eremiti.

13 luglio.

C’è in Guerra e Pace ogni cosa insopportabile che l’800 ha prodotto. Ne manca una delle buone, il demonismo.

La natura ritorna selvaggia quando vi accade il proibito: sangue o sesso. Parrebbe un’illusione suggerita dall’idea che ti fai delle culture primitive — riti sessuali o sanguinari.

Donde si vede che selvaggio non è il naturale ma il violentemente superstizioso. Il naturale è impassibile. Che uno cada da un fico in una vigna e giaccia a terra nel suo sangue non ti pare selvaggio come se costui fosse stato accoltellato, o sacrificato.

Superstizioso è chiunque cede alla passione bruta.

14 luglio.

Infatti l’innamorato e l’odiatore si fanno dei simboli, come il superstizioso. È della passione conferire unicità alle cose o persone. Chi non conosce simboli è un ignavo di Dante.

Ecco perché l’arte si rispecchia nei riti dei primitivi o nelle passioni forti: cerca dei simboli. E vertendo sul primitivo gode del selvaggio. Cioè dell’irrazionale (sangue e sesso). [p. 270 modifica]

17 luglio.

La peste di descrizioni naturali, di richiami compiaciuti alle cose e al mondo, nelle opere d’arte nasce da un equivoco: l’opera, che vuol essere un oggetto naturale tra gli altri, crede di riuscirci rispecchiandone quanti piú può. Ma la natura di uno specchio non sono le parvenze che ne affiorano. Queste sono soltanto la sua utilità.

Quando si dice che la poesia è ritmo non copia, s’intende appunto definirne la natura. Ecco perché la nostra poesia vuole eliminare sempre piú gli oggetti. Tende a imporsi come oggetto essa stessa, come sostanza di parole. La sensualità verbale dannunziana e in genere decadente scambia ancora questa sostanza con la carne delle cose. È un’onomatopeica universale. Da noi l’elocuzione si fa casta e scarna, trova il suo ritmo in qualcosa di ben piú segreto che non le voci delle cose: quasi ignora se stessa e, se dobbiamo dir tutto, è parola a malincuore. Quest’è la nostra inquietudine: sospetto verso la parola che è al tempo stesso unica nostra realtà. Cerchiamo la sostanza di ciò che non ci convince: per questo esitiamo e soffriamo.

Anche il mio libro — Lavorare stanca — ha oscuramente fatto questo. Cercava l’oggetto scarnendo la parola, tendeva cioè a una sostanza che non era piú oggetto né forse parola. Voleva un ritmo — né canto né sensualità verbale. Per questo evitò il verso musicale e trattò parole neutre. Ebbe l’unico torto d’indulgere alla frase colorita di «parlato», ch’è un altro modo di specchiare la natura. Ma se ne liberò a poco a poco, costretto dal ritmo che sempre meglio radioscopava le cose. Poi nelle prose ricademmo nel parlato. Perché? Perché qui ci mancava l’appoggio del ritmo. Ora il problema è penetrare alla sostanza presupponendo quest’appoggio.

Vita dell’inconscio. L’opera che si riesce a fare, è sempre un’altra cosa. Si va avanti, di altra cosa in altra cosa, e l’io profondo è sempre intatto; se appare spossato, è soltanto la fatica che lo scuote e confonde come un’acqua che s’intorbida, ma poi si schiarisce e torna, ambiguo, a trasparirne il fondo uguale. Non c’è modo di portarlo alla superficie; la superficie è sempre soltanto un gioco vano di riflessi d’altre cose. [p. 271 modifica]

18 luglio.

L’amore è una crisi che lascia avversione. Il senso dei corpi vivi e gagliardi accompagna invece ogni giorno della vita: è naturale che il succo della nostra esperienza sia quest’ultimo.

20 luglio.

L’appoggio di ritmo nella prosa (17 luglio) altri l’ha trovato nella ripetizione cadenzata, nel repetend (Stein, Vittorini ecc.).

25 luglio.

L’odore schiumoso di macerazione che è il salmastro della campagna.

30 luglio.

«Il semble qu’en écoutant des sons purs et délicieux on est prêt à saisir le secret du Créateur, a pénétrer le mystère de la vie» (Corinne, l. IX, c. II). Ciò che accade sentendo qualunque fatto naturale: il profumo di un fiore, lo stormire d’un’acqua, la delizia di un’uva. La musica è la piú materiale delle arti (cfr. lamartine, Histoire des Girondins, l. XLIX, c. XIII, «la musique, le moins intellectuel et le plus sensuel de tous les arts») giacché immateriale è soltanto il pensiero e nella musica non ce n’è di cosciente. Essa tende a vestire la forma delle sue sensazioni come un simbolo, ma il paragone è troppo largo e non lega mai. Difatti una musica compie perfettamente la sostituzione del 17 luglio di una cosa alla natura: al punto che nulla in natura vi equivale.

8 agosto.

È carino e consolante il pensiero che neanche l’ammogliato ha risolto la sua vita sessuale. Lui credeva di godersela ormai virtuoso [p. 272 modifica]e in pace, e succede che, dopo un po’, viene il disgusto della donna, viene un sòffoco come di prostituzione soltanto a vederla. Cfr. Tolstòj e ***. Ci si accorge allora che con la donna si sta male ad ogni modo. Se già non si è caduti prima nella questione dell’«ogni volta un figlio», che deve indurre o ad astenersi o a pigliar precauzioni. Nei due casi, a quanto pare, si è perduta quella bella franchezza.

10 agosto.

Nella tragedia greca tutto è sacro — cioè predetto, voluto dal Dio.

19 agosto.

Quel che t’incanta in Vico è raggirarsi perpetuo tra il selvaggio e il contadinesco, e i loro sconfinamenti reciproci, e la riduzione di tutta la storia a questo germe.

20 agosto.

Senso araldico si può chiamare questa facoltà di vedere dappertutto dei simboli.

Benché tutte le sue interpretazioni siano errate e assurde, Vico ha portato nella storia il senso dell’interpretazione, il gusto di studiare i documenti controluce, e si è creato a questo scopo una psicologia che allarga il suo bisogno araldico a facoltà necessaria della mente umana. Non i fatti interessano, ma che siano nascosti e si possa svelarli. Analogo agli artisti del ’900 — non il racconto ma il raccontare. Lo spirito umano in quanto si esprime. Contemplare un simbolo è contemplare un’espressione. Monomania del tecnicismo. [p. 273 modifica]

23 agosto.

Cadere dal fico e giacere nel sangue (13 luglio, II) non è selvaggio in quanto evento, ma diviene tale se veduto come legge della vita. Che il sangue sgorghi, in un modo o nell’altro, a torrenti sulla terra, che naturalmente le bestie si divorino e che il caduto non abbia diritti da invocare, questo è selvaggio perché il nostro sentimento lo vorrebbe proibito, mero evento e non legge. Qui il sentimento naturale condanna la natura che nella sua impassibilità sembra celebrare un rito — essere lei superstiziosa.

Superstizione è ogni teodicea insufficiente. Quando una giustificazione di Dio è superata, diventa superstizione. Il giusto, finché giusto, è naturale.

26 agosto.

La natura impassibile celebra un rito; l’uomo impassibile o commosso celebra i suoi riti piú spaventosi; tutto ciò è superstizione soltanto se ci giunge come ingiusto, proibito dalla coscienza, selvaggio. Quindi selvaggio è il superato dalla coscíinza. Fin che crediamo nella superstizione non siamo superstiziosi. Essa è perciò essenzialmente retrospettiva — regno della memoria — acconcia a diventare poesia. Come il male, che è sempre del passato-rimorso. Mentre l’attività, che è il regno del presente, è il bene.

Ma donde nasce che l’esercizio della memoria è un piacere — un bene?

Ancora. Celebrare un rito è giustificarsi. Non è quindi superstiziosa la natura in quanto celebra un rito (quello del sangue) — ma in quanto il suo rito non serve piú a giustificarla e ci pare caso (sia pure regolato da una legge). Come i riti selvaggi quando non ci paiono piú sufficienti a giustificare chi li celebra.

Forse l’esercizio della memoria è un piacere, un bene, perché è presente. (Cfr. 10 settembre).

Alexandrine des Echerolles (storia dell’assedio di Lione).

Jeanne de La Force (storia delle guerre di religione del 1622).

Madame de la Rochejaquelein. (Vandea).

Madame Roland — Mémoires. [p. 274 modifica]

27 agosto.

Il grande compito della vita è giustificarsi.

Giustificarsi è celebrare un rito. Sempre.

29 agosto.

Soltanto l’unicità giustifica, il valore assoluto che ci pone sopra tutte le contingenze (Del mito del simbolo ecc.).

1° settembre.

La natura impassibile è forse semplicemente un complesso di riti da noi superati, la piú antica delle superstizioni con cui l’universo tentò di giustificarsi. Essa fu tale per l’istinto, che si fondò sulle sue leggi e ne trasse ragione di vita. Poi, con l’avvento dello spirito la natura divenne arbitrio, volontà divina, e i riti vi s’informarono. Ora è tornata legge, meccanismo — ecco perché l’istinto riemerge e il vero rito dei tempi razionalistici è l’arte (= il rituale dell’inconscio istintivo).

Dal 23 agosto risulta che fuori della coscienza morale non c’è criterio di certezza ma superstizione. La verità dell’universo si modella sul nostro senso morale. Religione è incontro di verità e di giustizia. Ogni crisi si può ridurre allo squilibrio tra queste due esigenze.

2 settembre.

Superstiziosa è ogni spiegazione dell’universo che crede di conciliare verità e giustizia e non ci riesce piú. Fuori dalla religione non c’è che la sospensione del giudizio — per quanto è possibile. [p. 275 modifica]

Il selvaggio non è pittoresco ma tragico.

Due specie di selvaggio hai trattato finora. In Nudismo il selvaggio dell’adulto, la campagna vergine, ciò che l’opera umana non ha sinora toccato (e qui si sottintende che un’opera, un rito qualsiasi bastano a giustificare la natura). In Storia segreta il selvaggio del ragazzo, ciò che è lontano, inafferrabile comunque, anche e tanto piú se altri invece lo raggiunge o l’ha raggiunto. (Nei due casi esso è ciò che ci manca, «ciò che non sappiamo»).

Poesia è, ora, lo sforzo di afferrare la superstizione — il selvaggio — il nefando — e dargli un nome, cioè conoscerlo, farlo innocuo. Ecco perché l’arte vera è tragica — è uno sforzo.

La poesia partecipa di ogni cosa proibita dalla coscienza — ebrezza, amore-passione, peccato — ma tutto riscatta con la sua esigenza contemplativa cioè conoscitiva.

3 settembre.

Il fumare è cosa piena di rusticità e di natura. Quel trasformare un’erba secca in fumacchio odoroso, vivo, fertilizzante, non è senza significato. In altri tempi sarebbe presto diventato simbolo (come la pipata del gitce manitu in Longfellow).

4 settembre.

Scrittori importanti che vengono spazzati al passar della generazione. Non accade una critica, un vaglio — ma semplicemente si nega la loro consistenza in blocco. Si condanna qualcosa che è anteriore2 alla loro opera. [p. 276 modifica]

5 settembre.

Dei sette punti dove Erodoto nella descrizione dell’Egitto dice che si fa scrupolo di toccare i misteri, si tratta, in tre casi, degli dèi-animali, in due del rito fallico, negli altri d’autolesionismo e d’illuminazione sacra. Perché Pane è rappresentato con testa e gambe di caprone (XLVI), perché il porco — immondo il resto dell’anno — si sacrifica e si mangia nella festa di Bacco (XLVII), perché gli animali in genere sono sacri (LXV)? Qui Erodoto sente un orrore totemico e non osa parlare. Perché le immagini falliche alla festa di Bacco hanno il fallo snodato e mosso da fili (XLVIII), perché gli Ateniesi fanno le erme falliche (LI)? Qui Erodoto sa che il fallo e il dio coincidono e non osa dirlo. In onore di chi ci si batte nella festa d’Iside (LXI), perché a Sais si fa la festa delle lampade (LXII)? Qui c’è probabilmente qualche altra nefandezza che la rispettosa curiosità mondana di Erodoto non si sente di affrontare. Ecco un esempio del modo greco di trattare il selvaggio: lo si riconosce con rispetto tollerante come sacro, e punto. In questo rispetto c’è la consapevolezza razionalistica che tutto il mondo del sacro e del divino nasconde di questi abissi e occorre tirarci un velo.

[Un tempo si sacrificava agli Dei ma senza nominarli (LII). È da poco che Omero ed Esiodo hanno descritto e raccontato gli Dei (LIII) — il tono di Erodoto è quasi di rimprovero].

7 settembre.

I passi misteriosi nel II di Erodoto sono ancora questi: LXI, LXXXI, LXXXVI, CXXXII, CLXX, CLXXI. In tutti si allude a Osiride, di cui non si vuol pronunciare il nome. Perché? Altre volte ne fa il nome e dice che è Bacco (CXLIV).

8 settembre.

La predizione oracolare non è altro che l’espressione immaginosa del destino. Le cose accadevano, e gli antichi diedero loro un suggello di unicità facendole previste dal dio. [p. 277 modifica]

Una bella contadina, una bella prostituta, una bella mamma, tutte quelle donne in cui la bellezza non è l’occupazione artefatta di tutta la vita, hanno una dura impossibilità di scherno.

10 settembre.

L’esercizio della memoria è un piacere e un bene (26 agosto) perché implica conoscenza. Rievocare una superstizione non è praticarla ma conoscerla.

30 settembre.

Gli archi colonnati delle logge creano paesaggi stilizzati incorniciandoli. Evidentemente l’impressione è aumentata dal ricordo di tanti polittici trecenteschi che sono appunto scompartiti a colonnate arcuate. L’inventore della loggia non sapeva di questo effetto, che nacque quando questa nuova architettura entrò nel dipinto.

1° ottobre.

Viene un’epoca in cui ci si rende conto che tutto ciò che facciamo diventerà a suo tempo ricordo. È la maturità. Per arrivarci bisogna appunto già avere dei ricordi.

3 ottobre.

Schietto poeta narratore è il Boiardo. I suoi aggettivi sono epiteti, cioè blocchetti lirici che traspaiono nella corrente del racconto come oggetti, non sensazioni. Le sue parlate, le sue esclamazioni sono finestre melodiche, ben delimitate, modulazioni (si direbbe) preesistenti, che anch’esse fanno blocco come cose, nella corrente. Letto un episodio si ricordano gesti e azioni, non sensazioni. [p. 278 modifica]

7 ottobre.

«se l’uomo prima è giusto e poi opra le cose giuste, o vero operandole divien giusto» (Concilio Tridentino, ed. Barbera, vol. II, p. 77), l’opinione scolastica che si possa esser giusto cosí in astratto non è senza riflessi sulla pratica dell’allegoria medievale: gli astratti s’incarnano nell’uomo indipendentemente dall’oggettiva e psicologica attività.

20 ottobre.

Aver coraggio e aver ragione: i due poli della storia. E della vita. L’uno, in genere, nega l’altro.

3 novembre.

Un sogno lascia sempre un’impressione di grandiosità e assolutezza. Ciò nasce dal fatto che in esso non esistono particolari banali, ma come in un’opera d’arte tutto è calcolato a un effetto.

7 novembre.

orazio, Epistola ad Augusto:

vestigia ruris... (v. 160).

dove il rus è contrapposto all’ars e designa i tempi dell’incoltura primitiva. È il tuo selvaggio. Nemmeno per negarla non si sa uscire dalla campagna. Vedi Vico. È un carattere prettamente umanistico, che si oppone all’odierno abito scientifico di considerare la barbarie anteriore alla rusticità. Locché è innegabile ma astratto (popoli raccoglitori, popoli cacciatori ecc.). Anche Vico conobbe quella barbarie, ma la relegò nel caos predivino.

Il tanghero, il cafone, il «goffo», contrapposto al cittadino. Ma l’umanesimo mescolava al rustico il mitico. E cosí aveva il [p. 279 modifica]selvaggio (cfr. Vico). Ora pare che il selvaggio risalga di là dal rustico, che del mito si è spogliato.

26 novembre.

Si sognano simboli della realtà. Hai sognato che uno aveva venduto malamente i tuoi libri e provavi un accorato affanno, mentre il tuo cordoglio è la lenta distruzione cui essi vanno incontro in cantina. Quello che non mente è la passione: essa si crea un fatto (un simbolo) che la renda possibile.

2 dicembre.

Pare impossibile che anche una sola favilla di bontà, di speranza, di amore, sia pure fasciata da tutta una corteccia di iniquità o d’indifferenza, deva dileguare annientata nella pena eterna.

Di nuovo l’esperienza che si desidera il dolore per avvicinarsi a Dio.

28 dicembre.

(Eratry, Comm. sul Vangelo di Matteo).

Il semplice sospetto che il subcosciente sia Dio — che Dio viva e parli nel nostro subcosciente ti ha esaltato.

Se ripassi con l’idea di Dio tutti i pensieri qui sparsi de subconscio, ecco che modifichi tutto il tuo passato e scopri molte cose. Soprattutto il tuo travaglio verso il simbolo s’illumina di un contenuto infinito.


Note

  1. Il 5 febbraio 1944 era morto Leone Ginzburg [N. d. E.].
  2. Nel manoscritto leggiamo: anteriore [N. d. E.].
    antecedente