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23 agosto.

Cadere dal fico e giacere nel sangue (13 luglio, II) non è selvaggio in quanto evento, ma diviene tale se veduto come legge della vita. Che il sangue sgorghi, in un modo o nell’altro, a torrenti sulla terra, che naturalmente le bestie si divorino e che il caduto non abbia diritti da invocare, questo è selvaggio perché il nostro sentimento lo vorrebbe proibito, mero evento e non legge. Qui il sentimento naturale condanna la natura che nella sua impassibilità sembra celebrare un rito — essere lei superstiziosa.

Superstizione è ogni teodicea insufficiente. Quando una giustificazione di Dio è superata, diventa superstizione. Il giusto, finché giusto, è naturale.

26 agosto.

La natura impassibile celebra un rito; l’uomo impassibile o commosso celebra i suoi riti piú spaventosi; tutto ciò è superstizione soltanto se ci giunge come ingiusto, proibito dalla coscienza, selvaggio. Quindi selvaggio è il superato dalla coscíinza. Fin che crediamo nella superstizione non siamo superstiziosi. Essa è perciò essenzialmente retrospettiva — regno della memoria — acconcia a diventare poesia. Come il male, che è sempre del passato-rimorso. Mentre l’attività, che è il regno del presente, è il bene.

Ma donde nasce che l’esercizio della memoria è un piacere — un bene?

Ancora. Celebrare un rito è giustificarsi. Non è quindi superstiziosa la natura in quanto celebra un rito (quello del sangue) — ma in quanto il suo rito non serve piú a giustificarla e ci pare caso (sia pure regolato da una legge). Come i riti selvaggi quando non ci paiono piú sufficienti a giustificare chi li celebra.

Forse l’esercizio della memoria è un piacere, un bene, perché è presente. (Cfr. 10 settembre).

Alexandrine des Echerolles (storia dell’assedio di Lione).

Jeanne de La Force (storia delle guerre di religione del 1622).

Madame de la Rochejaquelein. (Vandea).

Madame Roland — Mémoires.