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16 aprile.

I poeti classici non han bisogno di descrizioni naturali, perché dèi e luoghi sacri portano nel discorso molteplici visioni di natura. (Leggendo l'Ippolito).

Nel rovello che ci dà un rumore, un odore, una sensazione sgradita — rovello improvviso e bestiale, acutissimo — è mista un’ansia gioiosa che la sensazione si ripeta, che l’autore vi torni, quasi per aver noi campo e motivo di odiarlo di piú, di scattare.

18 aprile.

Prove certe:

a) I farisei non mettono in dubbio la resurrezione di Cristo. (Baravalle).

b) La promessa di Dio ad Eva e quella ad Abramo non parlano del popolo eletto ma di tutto il genere umano.

Cosí pure quella di Giacobbe a Giuda. (Bossuet).

Cosí pure Zaccaria e Aggeo, e Malachia.

20 aprile.

Nell’Elena di Euripide il coro o riassume i fatti o ricorda cose note. Si conferma il carattere tragico-greco di giudizio davanti al coro-pubblico, non di avvenimento.

Il motivo tragico è quasi sempre una cosa nascosta che pena a venir fuori (Ippolito-Ione), onde un vero e proprio dibattito. Questa cosa nascosta è solitamente una nequizia divina, che chiarendosi produce la morte-purificazione o il lieto fine. Questa nequizia è il ciò che dev’essere, sia da te scoperto nel ’42.