Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.


SCENA PRIMA.

Camera della Comunità, con sedie antiche.

Nardo1 che siede nel mezzo, con giubbone2, berretta bianca, cappello e scarpe grosse. Cecco con fazzoletto3 al collo, scarpe da caccia, berretta nera e cappello bordato. Mengone4 con capellatura e cappello di paglia, giubba grossolana5 e pantofole: tutti sedendo.


Nardo. Sono due ore di sole, e i sindaci non si vedono.

Cecco. Pasqualotto è andato colla carretta a portare del vino al medico.

Mengone. E Marcone l’ho veduto io a raccogliere delle rape. [p. 18 modifica]

Nardo. Sono bestie6. Non sanno7 il loro dovere. Sono i sindaci della Comunità, e fanno aspettar noi che siamo i deputati.

Cecco. Io, per venir qui stamattina, ho tralasciato d’andare a caccia.

Mengone. Ed io ho mandato uno in luogo mio a vendere le legna.

Nardo. Oh! quando io sono deputato, non manco. Lascio tutto per venir qui. Sette volte sono stato in questa8 carica. Ah! che ne dite? Non è una bella cosa sedere su questi seggioloni?

Cecco. Oggi arriverà il signor Marchese; toccherà a noi a fargli il complimento.

Nardo. Toccherà a me, che sono il più antico.

Cecco. Crediamo che il signor Marchese ci farà accoglienza?

Nardo. Sì, lo vederete. Se è buono come suo padre, ci farà delle carezze. Io ho conosciuto il Marchese vecchio. Mi voleva un gran bene; sempre9 ch’ei veniva a Montefosco, l’andava a ritrovare; gli baciava la mano; mi metteva le mani sulle spalle, e mi faceva dar da bere nel bicchiere col quale beveva egli stesso10.

Cecco. A me per altro è stato detto, che questo signor Marchesino è un capo sventato, che non ha giudizio.

Mengone. E assai giovane. Convien compatirlo.

SCENA II.

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Sioria. (col cappello in capo)

Nardo. Cavati il cappello.

Arlecchino. A chi?

Nardo. A noi.

Arlecchino. Eh via! Son arrivadi...

Nardo. Cavati il cappello, dico.

Arlecchino. Mo per cossa m’hoi da cavar el cappello? l’incontro vinti volte al zorno, e no me lo cavo mai, e adess volì che mel cava? [p. 19 modifica]

Nardo. Ora siamo in carica; siamo in deputazione. Cavati il cappello.

Arlecchino. Oh! matti maledetti. Tolì; me cavarò el cappello.

Nardo. Che cosa vuoi?

Arlecchino. I è qua i cimesi della comodità.

Cecco Cosa diavolo dici?

Arlecchino. I è qua quei do villani vestidi da omeni, che se chiama i cimesi, che i vol vegnir in comodità.

Nardo. Oh! bestia che sei. Vorrai dire i sindaci della Comunità. Che venghino11.

Arlecchino. Sior sì.

Mengone. Veramente abbiamo fatto un bell’acquisto a prendere per uomo di Comune quest asino bergamasco.

Arlecchino. Certo, disi ben. In sto paese dei asini no ghe ne manca. (parte)

Nardo. Temerario!

Mengone. Eccoli.

Cecco Abbiamo da levarci in piedi?

Nardo. Oibò.

Mengone. Abbiamo da cavarci il cappello?

Nardo. Oibò.

SCENA III.

Pasqualotto e Marcone12, vestiti da contadini.

Pasqualotto. Bondì vossignoria.

Marcone. Saluto vossignoria.

Nardo. Sedete, (li due siedono con caricatura) Già sapete che il marchese Ridolfo è morto...

Marcone. Salute a noi.

Nardo. Ed ora il nostro padrone è il marchese Florindo... (a Mengone)

Cecco Vi sono uccelli in campagna? (a Pasqualotto Pasqualotto. Un mondo. [p. 20 modifica]

Nardo. Badate a me. Il marchese Florindo deve venire a prendere il possesso...

Cecco. Quanto vale il vino? (a Marcone)

Marcone. Dieci carlini.

Nardo. Ascoltatemi13. E così deve venire con lui anche la signora marchesa Beatrice sua madre...

Cecco. Lòdole ve ne sono? (a Pasqualotto)

Pasqualotto. Assai.

Nardo. Volete tacere? Volete ascoltare? E così la Marchesa madre e il Marchesino figlio s’aspettano...

Mengone. Io ne ho una botte da vendere. (a Marcone Nardo. Si aspettano... (forte)

Marcone. Lo comprerò io. (a Mengone)

Nardo. Si aspettano oggi, (più forte, e con rabbia) Oh! corpo del diavolo! Questa è un’insolenza. Quando parlano i deputati, si ascoltano. E mi maraviglio di voi altri due, che siete deputati come sono io...

Cecco. Zitto. (fa segno di silenzio a’ sindaci)

Nardo. Che non fate portar rispetto alla carica...

Cecco. Zitto. (fa l’istesso)

Nardo. Oggi verranno il Marchese e la Marchesa, e bisogna pensare a far loro onore.

Cecco. Bisogna pensare di far onore a noi e al nostro paese.

Mengone. Bisogna regalarli.

Nardo. Quello che preme, è questo. Bisogna mettersi all’ordine, incontrarli e complimentarli.

Pasqualotto. Io non me n’intendo.

Marcone. Per quattro parole ben dette, son qua io.

Nardo. A parlare al Marchese tocca a me. Voi altri mi verrete dietro, e io parlerò; ma chi farà il complimento alla signora Marchesa?

Cecco. Non vi è meglio di Ghitta mia moglie. Pare una dottoressa. Tutto il giorno sta14 a disputare col medico. [p. 21 modifica]

Nardo. Dove lasciate Giannina mia figlia, che insegna al notaro il levante, il ponente e il mezzogiorno?

Mengone. Anche Olivetta mia figlia si farebbe onore. Sa leggere e scrivere; ha una memoria che fa strasecolare.

Marcone. Ma ascoltatemi. Vi è il signor Pantalone, e vi è la signora Rosaura, che san di lettera; non potrebbero essi15 far per noi le nostre parti col signor Marchesino e colla signora Marchesa?

Nardo. Chi? Pantalone?

Cecco. Un forestiere?

Mengone. Perchè ha più denari di noi, sarà più civile, sarà più virtuoso?

Nardo. I denari come li ha fatti?

Cecco. Sono tanti anni che dà un tanto l’anno al Marchese, ed esso riscuote tutto: e avanza, e si fa ricco.

Mengone. Anche noi ci faremmo ricchi in questa maniera.

Pasqualotto. Un forestiere mangia quello che dovremmo mangiar noi.

Marcone. La signora Rosaura per altro è nostra paesana.

Nardo. Sì, è vero, ma ha delle ideacce in testa d’essere una signora, e pare che non si degni delle nostre donne.

Marcone. Veramente è nata di sangue nobile, e dovrebbe esser ella l’erede di questo Marchesato.

Cecco. Se i suoi l’hanno venduto, ora ella non c’entra più16.

Marcone. Non c’entra, perchè il ricco mangia il povero; per altro ci dovrebbe entrare.

Mengone. Basta, Rosaura sta in casa con Pantalone; sono genti che non hanno che far con noi. Hanno da compatire le nostre donne.

Nardo. Non occorr’altro. Signori deputati, signori sindaci, così faremo.

Cecco. Se non v’è altro da dire, io me ne anderò alla caccia.

Mengone. E io anderò a far misurare il mio grano17. [p. 22 modifica]

SCENA IV.

Arlecchino e detti.

Arlecchino. Sion... (col cappello in testa)

Tutti. Cavati il cappello, cavati il cappello.

Arlecchino. Ih! sia maledetto, (getta via il cappello) El sior Marchese l’è poco lontan.

Nardo. Andiamo, (tutti s’alzano e vogliono partire) Aspettate. Tocca a me a andare innanzi. (parte con gravità)

Pasqualotto. (Vuole andare.)

Cecco. Aspettate. Tocca a me. (fa lo stesso)

Mengone. Ora tocca a me. (fa lo stesso)

Pasqualotto. A chi tocca di noi due?18 (a Marcone)

Marcone. Io sono il sindaco più vecchio. Tocca a me.

Arlecchino. Sior sì, tocca a lu.

Pasqualotto. Io sono stato sindaco quattro volte, e voi due.

Arlecchino. L’è vera, tocca a vu.

Marcone. Ma questa volta ci sono entrato prima di voi.

Arlecchino. El gh’ha rason.

Pasqualotto. Orsù, mandiamo a chiamare i deputati, e faremo decider a chi tocca.

Marcone. Benissimo; va a chiamare messer Nardo, (ad Arlecchino Arlecchino.19 Subito. (Ecco un impegno d’onor tra el fior della nobiltà). (da sè, parte)

Pasqualotto. Non voglio pregiudicarmi.

Marcone. Nemmen io certamente.

Pasqualotto. Siamo amici, ma in queste cose voglio sostenere la dignità.

Marcone. Vada tutto, ma non si faccia viltà. [p. 23 modifica]

SCENA V.

Nardo e detti.

Nardo. Che cosa c’è? Che cosa volete?

Pasqualotto. Signor deputato, a chi tocca di noi andare innanzi?

Nardo. A chi tocca la preminenza?

Marcone. Non saprei. Bisognerà convocare il Comune.

Pasqualotto. Voi potete decidere.

Marcone. Io mi rimetto a voi.

Nardo. L’ora è tarda; viene il20 Marchese; facciamo così: per questa volta, senza pregiudizio, purchè la cosa non passi per uso e per abuso, andate tutti due in una volta, uno di qua e uno di là.

Pasqualotto. Benissimo.

Marcone. Son contento.

Nardo. Via, andate.

Pasqualotto. Vado. (fa qualche passo)

Marcone. Vado. (fa gli stessi passi dell’altro)

Pasqualotto. Gran deputato! gran testa!

Marcone. Grand’uomo per decidere! (partono, osservandosi per non essere soverchiati)

Nardo. Voglio andare a ritrovare il notaro, e fare scrivere in libro questa mia decisione ad perpetuas reis memoriarum. (parte)

SCENA VI21.

Pantalone e Rosaura, poi il Servitore.

Pantalone. Mo via, cossa se vorla afflizer per questo? Ghe vuol pazienza. Bisogna uniformarse al voler del cielo.

Rosaura. Dite bene22; ma la mia disgrazia è troppo grande.

Pantalone. Xe vero, la so desgrazia xe granda. La poderia esser ela patrona de sto liogo. La poderia e la doveria esser ela [p. 24 modifica] marchesa de Montefosco, e no la xe gnente, e la xe una povera signora23, ma a sta cossa pensarghe e no pensarghe xe l’istesso; pianzer e desperarse no giova. La xe nata in sto stato, e ghe vol pazienza.

Rosaura. Mi era quasi accomodata a soffrire; ma ora che sento accostarsi a questo loco il marchese Florindo, mi si risvegliano alla memoria le perdite mie dolorose, ed il rossore mi opprime.

Pantalone. El sior marchese Florindo no ghe n’ha nessuna colpa. Lu l’ha eredità sto Marchesato da so sior pare.

Rosaura. Ed a suo padre lo ha venduto il mio. Ah, il mio genitore mi ha tradita.

Pantalone. Col l’ha vendù, nol gh’aveva fioi. El s’ha po tornà a maridar segretamente, e la xe nata ela.

Rosaura. Dunque io potrei ricuperar ogni cosa.

Pantalone. Bisogna veder se le donne xe chiamade.

Rosaura. Sì, lo sono. Me lo ha detto il notaio.

Pantalone. Vorla far una lite?

Rosaura. Perchè no?

Pantalone. Con quai bezzi? Con quai mezzi? Con qual fondamento?

Rosaura. Non troverò giustizia? Non troverò chi m’assista? Chi mi soccorra? Voi, signor Pantalone, che con tanta bontà mi tenete in casa vostra, mi trattate e mi amate come una figlia, mi abbandonerete?

Pantalone. No, siora Rosaura, no digo d’abbandonarla; ma bisogna pensarghe suso. So sior pare, per mal governo e per mala regola, un poco alla volta l’ha vendù tutto. Ela la xe nata sie mesi dopo la so morte, e co l’è morto, nol saveva gnanca che so muggier fosse gravia. Xe morta dopo anca so siora madre, e la xe restada orfana, pupilla e miserabile. Sior marchese Ridolfo, pare del marchesin Florindo, mosso a pietà della so desgrazia, el l’ha fatta arlevar, el l’ha fatta educar, e co son vegnù mi, appaltador de le rendite de sto liogo, el [p. 25 modifica] me l’ha raccomandada, e el m’ha fatto un onesto assegnamento per la so persona. Xe morto el marchese Ridolfo, e subito la marchesa Beatrice, madre e tutrice del Marchesin, m’ha scritto e m’ha raccomandà la so persona. Con zente che procede con sta onestà, no me par che s’abbia da impizzar24 una lite. I vegnirà, ghe parleremo, procureremo de meggiorar la so condizion. Vederemo de logarla25 con proprietà. Pol esser che i ghe daga una bona dota. La massima xe de raccomandarse, co se se trova in necessità, perchè colla bona maniera e colla bona condotta se fa tutto: se par bon, no se rischia gnente e se va a risego de vadagnar assae.

Rosaura. Caro signor Pantalone, voi dite bene: ma il comandare è una bella cosa. Qualunque stato che dar mi possano, non varrà mai tanto quanto il titolo di Marchesa, quanto il dominio di questa benchè piccola giurisdizione.

Pantalone. El mondo xe pien de desgrazie. L’abbia pazienza, la se rassegna, e la pensa a viver quieta; perchè el più bel feudo, la più bella ricchezza, xe la quiete dell’animo; e chi sa contentarse, xe ricco.26

Rosaura. Voi m’indorate la pillola; ma io che devo inghiottirla, sento l’amaro che mi dà pena.

Pantalone. Cossa mo voravela far?

Rosaura. Niente; lasciatemi piangere, lasciatemi almeno dolere.

Pantalone. Me dispiase che sta dama e sto cavalier i vien a allozar in casa mia, perchè el palazzo l’è mezzo diroccà. No vorave che fessimo scene. Poco i pol star a arrivar. La prego, l’abbia un poco de pazienza. La xe pur una putta prudente; la se sappia contegnir.

Rosaura. Farô tutti gli sforzi che mai potrò.

Servitore27. È arrivato il signor Marchese.

Pantalone. Sì? Anca la mare?

Servitore. Ancor ella. (parte) [p. 26 modifica]

Pantalone. Vegno subito. Siora Rosaura, prudenza, e la lassa operar a mi. (parte)

Rosaura. Userò la prudenza fino a un certo segno, ma non voglio dissimular con viltà l’ingiustizia ch’io soffro. Questa giurisdizione è mia, questi beni sono miei; e se non ritroverò chi mi assista, saprò io stessa condurmi alla Corte, esporre il mio caso e domandare giustizia. (parte)

SCENA VII.

Altra camera nobile.

La Marchesa Beatrice, il Marchese Florindo, Pantalone; poi il Servitore.

Pantalone. Eccellenze, xe grando l’onor che ricevo, degnandose l’Eccellenze Vostre de servirse della mia povera casa. Arrossisso cognossendo che l’allozo no sarà corrispondente al so merito28.

Beatrice. Gradisco29, signor Pantalone, le cortesi espressioni vostre; grato mi riesce infinitamente l’incomodo, che volete soffrire per noi nella vostra casa; ed assicuratevi, che obbligherete sempre più a distinguervi ed amarvi me medesima ed il Marchesino mio figlio.

Pantalone. Servitor umilissimo de Vostra Eccellenza. (a Florindo)

Florindo. Riverisco. (con sostenutezza, toccandosi il cappello)

Pantalone. (Caspita! la ghe fuma a sto sior Marchese), (da sè)

Beatrice. Marchesino. Questo è il signor Pantalone de’ Bisognosi, mercante onorarissimo veneziano, il quale dal Marchese vostro padre ebbe in affitto le rendite di questo vostro paese, e con puntualità ed esattezza corrispose mai sempre agl’impegni suoi, facendo onore colla savia condotta sua a chi lo ha qui collocato. [p. 27 modifica]

Pantalone. Grazie alla bontà de Vostra Eccellenza. Son stà bon servitor, fedel e ossequioso de sua Eccellenza pare, e spero che anca Vostra Eccellenza se degnerà de tollerarme. (a Florindo)

Beatrice. Poco può tardare a raggiungerci il cancelliere ed il notaro, per dare il possesso del feudo al Marchesino. Fate avvisare la Comunità, acciò tutti sieno pronti per dare il giuramento del vassallaggio.

Pantalone. Eccellenza sì; la sarà servida.

Florindo. Ditemi, signor Pantalone, quante persone ci saranno in Montefosco?

Pantalone. El paese xe piccolo, Eccellenza; el farà sette o ottocent’anime.

Florindo. Ho sentito dire che vi sieno delle belle donne; è egli vero?

Pantalone. Per tutto ghe ne xe de belle e de brutte.

Beatrice. (Ecco i suoi discorsi: donne). (da sè) Favorite, signor Pantalone: lo sanno quelli della Comunità, che oggi dovevamo noi arrivare?

Pantalone. Eccellenza sì, i ho avvisadi mi, e so che i s’ha unio e i vegnirà a umiliarse, e a recognosser el so patron.

Florindo. Veranno ancora le donne?

Beatrice. Come c’entran le donne? Se verranno, non verranno da voi.

Florindo. (Se non verranno da me, anderò io da loro). (da sè)

Pantalone. (El xe de buon gusto. Me despiase de quella putta che gh’ho in casa). (da sè)

Servitore30. Sono qui31 i deputati e i sindaci della Comunità, per inchinarsi a Sua Eccellenza. (parte)

Pantalone. Sentela, Eccellenza, xe qua la Comunità in corpo per inchinarla32.

Beatrice. Introduceteli. (a Pantalone)

Pantalone. Subito la servo. (parte) [p. 28 modifica]

SCENA VIII.

Beatrice, Florindo, poi Pantalone, poi il Servitore.

Beatrice. Possibile, Florindo mio, che non vogliate principiare a far da uomo?

Florindo. Domandar se vi sono donne, è una ricerca indifferente33?

Beatrice. Ora non è34 tempo di barzellette. Mettetevi in serietà.

Florindo. Oh! per serietà non dubitate. Con questi tangheri non mi renderò familiare35.

Beatrice. Serietà, vi dico, ma non rustichezza. Trattateli con amore.36 Ebbene, che fanno che non vengono? (a Pantalone che arriva)

Pantalone. Ghe dirò, Eccellenza; i m’ha dito che i vorria presentarse prima a Sua Eccellenza el sior Marchese, e che po i sarà da Vostra Eccellenza.

Beatrice. Eh! dite loro che vengano senza tante formalità, che siamo qui tutti due, e che risparmieranno una visita e un complimento.

Pantalone. Ghe lo dirò. (parte, poi torna)

Florindo. Cosa dovrò dire a costoro?

Beatrice. Rispondete con cortesia a quello che vi diranno. Poco sapranno dire, e con poco risponderete. E poi vi sarò ancor io. (Mah! ora si conosce la mala educazione, che gli ha data suo padre). (da sè) Ebbene?37 (a Pantalone, che torna)

Pantalone. Eccellenza, i xe intrigadi, i xe desperai. I dise che i ha studià un complimento per el sior Marchese; che co ghe intra la madre, i se confonde, no i sa più cossa dir; onde i la prega, i la supplica a farghe sta grazia, de lassar che i fazza el so complimento senza sta suggizion. [p. 29 modifica]

Beatrice. La cosa è veramente ridicola, ma li soddisferò38. Andiamo in un’altra camera, e voi, Marchesino, riceveteli con giudizio. Avvertite che sarò dietro la porta a sentirvi39. (parte)

Pantalone. Chi no vede, no crede. I xe intrigai morti: no i sa da che parte40 prencipiar; e che boccon de superbia che i gh’ha, co i xe vestidi da festa! (parte)

Florindo. Mi dispiace trovarmi imbarazzato con costoro. Io non sono avvezzo a questi imbrogli. Ehi!

Servitore41. Comandi, Eccellenza.

Florindo. Da sedere. (servitore gli dà una sedia, e parte) Non li tratterò male, ma voglio sostenere il mio grado. (siede)

SCENA IX42.

Nardo, Cecco, Mengone, Pasqualotto, Marcone, tutti vestiti con caricatura, si avanzano ad uno ad uno, fanno tre riverenze al Marchese, il quale li guarda attentamente e ride senza muoversi.

Cecco. (Avete veduto come ride?) (a Mengone)

Mengone. (Segno che ci vuol bene).

Cecco. (Non vorrei che ci burlasse).

Mengone. (Oh! pare a voi che siamo figure da burlare?)

Nardo. Zitto. (tutti fanno silenzio, e Florindo ride) Eccellentissimo signor Marchesino43, vero ritratto della bella grazia e della dabbenaggine. La nostra antica e nobile Comunità44, benchè sia di Montefosco, viene illuminata dai raggi della vostra eloquenza. (sputa, si pavoneggia, e gli altri fanno segni d’ammirazione. Florindo ride) Ecco qui l’onorato corpo della nostra antica e nobile Comunità. Io sono di essa il membro principale, e questi due i miei laterali compagni, e gli altri due, che non hanno che [p. 30 modifica] fare con noi, ma sono attaccati a noi, vengono, Eccellentissimo signor Marchese, a prostergarsi a voi. (sputa)

Florindo. Gradisco...

Nardo. Eccellenza, non ho finito. (con riverenza)

Florindo. Via, finite. (gli altri bisbigliano)

Nardo. Zitto. (tutti fanno silenzio) Ecco le pecorelle dalla vostra giurisdizione, le quali vi pregano di farle tosare con carità45.

Florindo. (Si alza) Non posso più.

Nardo. Voi, qual Giove benefico, ci gioverete; e il sole della vostra bontà rischiarerà le tenebre di Montefosco. (Florindo passeggia, e Nardo gli va dietro parlando, e tutti per ordine lo vanno seguitando) Eccoci ad offerire ed obliare46 a vostra Eccellenza, signor marchesino Florindo, la vostra servitù, sicuri che la spaziosità dell’animo vostro magnifico... (guardando in faccia i compagni che applaudiscono, e Florindo sempre passeggia) accetterà con ampullosità47 di riconoscenza... (Florindo s’accosta alla porta con impazienza) le pecore della nostra antica e nobile Comunità...

Florindo. Avete finito?

Nardo. Eccellenza no; e prescrivendo...

Florindo. (La finirò io). (da se, approssimandosi alla porta)

Nardo. La serie de’ suoi comandamenti...

Florindo. Schiavo di lor signori. (entra, e cala la portiera)

Nardo. Troverà in noi quella48 obbedienza...

Cecco. Entrate. (a Nardo)

Nardo. Non importa. La quale confonderà i sudditi delle meno antiche e nobili Comunità. Ho detto.

Cecco. Il fine non l’ha sentito.

Nardo. Non importa.

Mengone. Perchè partire, avanti che abbiate finito?

Nardo. Politica. Per non impegnarsi a rispondere.

Cecco. Oh! io vado a spogliarmi, e vado alla caccia. [p. 31 modifica]

Nardo. Ah, mi son portato bene?

Cecco. Benissimo.

Mengone. Bravo.

SCENA X.

La Marchesa Beatrice e detti.

Beatrice. (Florindo non vuol aver prudenza. Correggerò io). (da sè) Signori miei...

Cecco. La Marchesa. (a Nardo)

Nardo. Non sono all’ordine. Andiamo. (con riverenza)

Beatrice. Fermatevi.

Nardo. Eccellenza, non sono all’ordine. Un’altra volta. (con riverenza parte)

Beatrice. Ma sentite. (a Cecco)

Cecco. Io non sono il principale, Eccellenza. (parte)

Beatrice. Io son la Marchesa madre...

Mengone. Ed io son la parte laterale, Eccellenza. (parte)

Beatrice. Son qua io...

Margone. A me non tocca. Tocca al deputato di mezzo. (parte)

Beatrice. Siete molto riscaldati.

Pasqualotto. Noi non ci riscaldiamo. Non siamo dei tre. (parte)

Beatrice. Io non li capisco, mi sembrano tanti pazzi. (parte)

SCENA XI.

Altra camera.

Florindo e Rosaura.

Florindo. Venite qui, non fuggite.

Rosaura. Signore, non fuggirò, se parlerete modestamente.

Florindo. Vi compatisco. Siete avvezza fra’ villani.

Rosaura. Niuno di questi villani mi ha parlato con sì poco rispetto.

Florindo. Capperi! voi siete ben vestita49; costoro vi rispetteranno come una50 signora. [p. 32 modifica]

Rosaura. Non rispettano il mio abito, ma il mio costume.

Florindo. Sì? Me ne rallegro. Da chi avete imparate queste belle massime?

Rosaura. Le ho ereditate col sangue.

Florindo. Siete dunque di sangue nobile?

Rosaura. Sì, signore, quanto il vostro.

Florindo. Quanto il mio? Sapete voi chi sono?

Rosaura. Lo so, lo so.

Florindo. Sapete voi che io sia il marchese di Montefosco?

Rosaura. Così non lo sapessi.

Florindo. E voi chi siete?

Rosaura. A suo tempo mi darò a conoscere.

Florindo. In verità, mi fate compassione. Una giovane bella e disinvolta star qui sopra una montagna, senza godere il mondo, senza un poco di conversazione, è veramente un peccato.

Rosaura. Poco di ciò mi cale. Mi basterebbe, signore...

Florindo. Sì, lo so, vi basterebbe poter fare un poco all’amore. Fra questi villani non vi sarà chi vi piaccia.

Rosaura. Voi non mi capite.

Florindo. Sì, vi capisco. Ho compassione di voi, e son qui per consolarvi,

Rosaura. Ah! lo volesse il cielo!

Florindo. Non dite niente a mia madre, e vi consolerò.

Rosaura. Come?

Florindo. Farete all’amore con me. Fino che io starò qui in Montefosco, sarò tutto vostro.51

Rosaura. Signore, vi riverisco.

Florindo. Fermatevi.

Rosaura. Lasciatemi andare.

Florindo. Non dite voi che siete di sangue nobile?

Rosaura. Sì, e me ne vanto. [p. 33 modifica]

Florindo. Se così è, dovreste compiacervi che un cavaliere vi amasse.

Rosaura. Me ne compiacerei, se il cavaliere mi parlasse diversamente.

Florindo. Come vorreste che io parlassi? Insegnatemi.

Rosaura. Se finora non lo sapete, tardi venite a scuola.

Florindo. Aspettate. Mi proverò a darvi nel genio. Siete il mio tesoro; siete l’idolo mio. Ah! che ne dite? Va bene così?

Rosaura. Schioccherie, adulazioni, menzogne.

Florindo. Orsù, parlerò all’uso mio. Ragazza, son chi sono. Quando voglio, si dee ubbidire; e da chi ubbidir non mi vuole52, me ne fo render conto.

Rosaura. Credetemi, che nemmen per questo mi farete tremare.

Florindo. Non intendo di farvi tremare, voglio farvi ridere e giubbilare. Venite qui, datemi la vostra mano.

Rosaura.53 Mi meraviglio di voi. (fuggendo)

Florindo. Fraschetta. (seguendola)

SCENA XII.

La Marchesa Beatrice e detti; poi un Servitore.

Beatrice. Che cosa c’è?54

Rosaura. Signora, difendetemi dalle insolenze di vostro figlio.

Beatrice. Ah Marchese! (a Florindo)

Florindo. Credetemi, signora, che io non le ho fatto impertinenza alcuna.

Beatrice. Vi conosco; sarebbe tempo di mutar costume.

Florindo. Io scherzo, mi diverto. Dite in vostra coscienza, che cosa vi ho fatto? (a Rosaura)

Rosaura. Niente, signore; vi supplico a non inquietarmi.

Beatrice. Sapete voi chi è questa giovine? (a Florindo)

Florindo. Io non la conosco. Vedo ch’è una bella giovine, e non so altro. [p. 34 modifica]

Beatrice. Dunque, se non la conoscete, perchè non la rispettate?

Florindo. Vi dico55, che non le ho perso il rispetto.56

Beatrice. Orsù: acciò in avvenire vi portiate con essa diversamente, vi dirò chi ella è, e quale trattamento da voi esiga.

Florindo. L’ascolterò volentieri.

Beatrice. Sappiate dunque...

Servitore.57 Eccellenza, alcune donne di Montefosco vorrebbero riverirla. (a Beatrice)

Florindo. (Donne!) (da sè)

Beatrice. Bene. Si trattengano un poco, or ora sarò da loro. (servitore parte) Sappiate ch’ella è figlia del marchese Ercole, il quale un tempo...

Florindo. Signora, me lo direte poi. Con vostra permissione. (Donne? Donne?) (parte allegro)

SCENA XIII.

La Marchesa Beatrice e Rosaura.

Beatrice. (Che spirito intollerante!) (da sè)

Rosaura. Signora, voi dunque mi conoscete? Vi sono note58 le mie disgrazie?

Beatrice. Sì, e vi compatisco moltissimo.

Rosaura. La vostra compassione mi può far59 felice.

Beatrice. Sì, Rosaura, procurerò giovarvi, vi sarò protettrice, se moderate saranno le vostre mire.

Rosaura. Mi getterò nelle vostre braccia.

Beatrice. Inclinereste voi ad un ritiro?

Rosaura. Tradirei me stessa, se dicessi di sì 60. [p. 35 modifica]

Beatrice. Considerar dovete lo stato vostro.

Rosaura. Penso alla condizione de’ miei natali61.

Beatrice. Siete avvezza dalla cuna a soffrire i torti della fortuna.

Rosaura. Ma ho sempre sperato di vendicarli.

Beatrice. Come?

Rosaura. Il cielo mi darà i mezzi.

Beatrice. Non vi gettate nelle mie braccia?

Rosaura. Sì, e mi lusingo che voi sarete il mezzo, per cui potrò ottenere62 giustizia.

Beatrice. Farete dunque a mio modo?

Rosaura. Sino ad un certo segno.

Beatrice. E s’io vi abbandonassi, a chi ricorrereste?

Rosaura. Al cielo.

Beatrice. Il cielo v’offre la mia assistenza.

Rosaura. Se sarà vero, si scorgerà.

Beatrice. Dubitate di me?

Rosaura. Non m’avete ancora assicurata di nulla.

Beatrice. Di collocarvi.

Rosaura. Non basta, signora mia.

Beatrice. E che vorreste di più?

Rosaura. Vorrei che rifletteste, che figlia sono di un marchese di Montefosco; che le femmine non sono escluse dalla successione; che il feudo è mal venduto; che io non sono contenta della mia sorte; che tutto farò, fuorchè oscurare il mio sangue; e dopo ciò trovate il modo, se sia possibile, di assistermi e di consolarmi.63 (parte)

SCENA XIV64.

Beatrice sola.

Costei mi mette in apprensione. Vero è tutto ciò che ella dice. Ella può far guerra a mio figlio pel possesso di Montefosco, [p. 36 modifica] ed egli incauto la provoca colle insolenze. Basta, ci penserò seriamente. Amo mio figlio, amo la verità e la giustizia; e per salvare i diritti d’ambi cotesti affetti, prenderò norma dalla prudenza.65

Fine dell’Atto Primo.



Note

  1. Nell’ed. Bettinelli è Ottavio.
  2. Bett.: gabbanone.
  3. Bett.: Lelio in codegugno, fazzoletto ecc.
  4. Bett.: Leandro.
  5. Bett.: giubbone grosso di lana.
  6. Bett. e Pap.: Son asini.
  7. Bett. e Pap.: Non sanno fare.
  8. Bett. e Pap.: questa bella.
  9. Bett.: basta dire che ogni volta ecc.
  10. Bett. e Pap.: dove beveva lui.
  11. Bett. e Pap.: Chi passino.
  12. Bett.: Astolfo e Mario.
  13. Bett. e Pap. aggiungono: sono il deputato maggiore.
  14. Bett. e Pap.: sta in camera serrata ecc.
  15. Bett. e Pap.: loro due.
  16. Bett. e Pap.: cosa c’entra lei?
  17. Bett. e Pap.: misurar certo grano.
  18. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Arlecchino. (Oh bella! Stè a veder che nass un impegno tra el fior della nobiltà)».
  19. Bett. e Pap.: «Voli che decida mi sta contesa? Se se tratta d’andar a magnar, tocca a mi; se se tratta d’andar a far... tocca a tutti do. via. Marc. Impertinente!»
  20. Bett. e Pap.: presto viene il signor ecc.
  21. Nell’ed. Bett. segue: Camera in casa di Pantalone.
  22. Bett. aggiunge: signor Pantalone.
  23. Bett. e Pap.: aggiungono: che vive, se pol dir, de carità.
  24. Accendere: v. vol. II, 228, n. a ecc.
  25. Collocarla, darle marito.
  26. Bett. e Pap. aggiungono: e chi no desidera de più del so stato, xe felice, e no gh’ha invidia, e no se lassa opprimer dalle passion.
  27. Comincia la sc. VII nell’ed. Bett.
  28. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: ma me consola la sicurezza che l’animo grando dell’EE. VV. gradisce tutto, tutto perdona, e sa distinguer dalla qualità dell’offerta el cuor ossequioso dell’offerente, umilissimo servitor de VV. EE.
  29. Bett. e Pap.: Gradisco sommamente.
  30. Comincia nell’ed. Bett. la sc. IX.
  31. Bett.: Signore, sono qui ecc.
  32. Bett. e Pap.: per inchinar... E segue: «Fior. La Comunità in corpo? Anco le donne? Pant. Ma le donne no le entra in ste cosse. Beatr. (Ragazzaccio!) Introduceteli, a Pant. Pant. Subito la servo. (Oh, ste donne le vol star fresche), via».
  33. Bett. e Pap.: Oh bella! Domando se vi sono donne. Questa è una ricerca da uomo.
  34. Bett. e Pap.: Via, non è ecc.
  35. Bett. e Pap.: non mi getterò via.
  36. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Flor. Amore e serietà sono due cose che in una volta non potrò osservare. Le dividerò: serietà cogli uomini e amore colle donne. Beatr. Impertinente! Così parlate a Vostra madre? Flior. Ho scherzato. Vi domando scusa. Beatr. Se continuerete così, me n’anderò. Vi abbandonerò alla vostra mala condotta. Flor. No, signora madre, non vi sdegnate. Compatite la gioventù. Beatr. Via, giudizio se potete. E bene, che fanno ecc.». Qui comincia la scena X nell’ed. Bett.
  37. Comincia nell’ed. Bett. la sc. XI.
  38. Bett. e Pap.: Oh bestie matte! Via, via, li sodisfarò.
  39. Bett. e Pap.: dietro la portiera.
  40. Bett. e Pap.: da che cao.
  41. Sc. XII nell’ed. Bett.
  42. Sc. XIII nell’ed. Bett.
  43. Bett.: Marchesino piccolo.
  44. Bett. avverte: qualunque volta nomina la Comunità, s’inchina, e tutti gli altri fanno lo stesso.
  45. Bett. e Pap. hanno invece: Eccoci qual farfalle, che spiegando le deboli ale de’ nostri concelli, portiamo a sì bel lume il volo...
  46. Zatta: obbligare.
  47. Zatta: ampliosità.
  48. Bett.: quella cieca.
  49. Bett. e Pap.: voi che siete un poco ben vestita.
  50. Bett. e Pap.: una gran.
  51. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Ros. Signor Marchese, i villani con cui ho trattato sinora, parlano molto meglio di voi. Flor. Sì, me l’immagino. Essi faranno le cose loro senza tante parole. Non dubitate, mi uniformerò al costume, farò come volete. Ros. Signore, vi riverisco ecc.».
  52. Bett.: non mi si niega; e da chi mi si niega ecc.
  53. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Ros. Mi maraviglio, fuggendo. Fior. Fraschetta, seguendola. Ros. Griderò. Fior. Giuro al cielo. Ros. Aiuto».
  54. Bett.: Cos’è questo?
  55. Bett. e Pap.: Questa è bella. Vi dico ecc.
  56. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Beatr. Perchè vi lagnate di lui? a Ros. Ros. Ve lo dirò, signora mia, voleva violentarmi a scherzare. Beatr. E questo non si dice perderle il rispetto? Flor. Oh, non signora. L’ho fatto con tante altre; niuna si è mai lamentata. Beatr. Orsù, ascoltatemi: acciò in avvenire ecc.».
  57. Comincia sc. XVII nell’ed. Bett.
  58. Bett. e Pap.: dunque note vi sono ecc.
  59. Bett.: render.
  60. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Beatr. Ad uno sposo? Ros. Piuttosto. Beatr. Avete voi qualche amante? Ros. Fra questi monti non vi può essere oggetto amabile agli occhi miei. Beatr. Considerar dovete ecc.».
  61. Bett. e Pap.: alla mia condizione.
  62. Bett. e Pap.: otterrò.
  63. Bett. e Pap.: soccorrermi.
  64. È unita nell’ed. Bett. alla scena precedente.
  65. Bett. aggiunge: Sono stata anch’io per lo passato di feroce e caldo temperamento. Ma no, non vo’ questa volta che mi si sgridi. Non vo’ riuscire nè severa, nè odiosa. Anch’io, quand’occorre, so investirmi dell’eroismo, della prudenza e della vera bontà.