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IL FEUDATARIO | 33 |
Florindo. Se così è, dovreste compiacervi che un cavaliere vi amasse.
Rosaura. Me ne compiacerei, se il cavaliere mi parlasse diversamente.
Florindo. Come vorreste che io parlassi? Insegnatemi.
Rosaura. Se finora non lo sapete, tardi venite a scuola.
Florindo. Aspettate. Mi proverò a darvi nel genio. Siete il mio tesoro; siete l’idolo mio. Ah! che ne dite? Va bene così?
Rosaura. Schioccherie, adulazioni, menzogne.
Florindo. Orsù, parlerò all’uso mio. Ragazza, son chi sono. Quando voglio, si dee ubbidire; e da chi ubbidir non mi vuole1, me ne fo render conto.
Rosaura. Credetemi, che nemmen per questo mi farete tremare.
Florindo. Non intendo di farvi tremare, voglio farvi ridere e giubbilare. Venite qui, datemi la vostra mano.
Rosaura.2 Mi meraviglio di voi. (fuggendo)
Florindo. Fraschetta. (seguendola)
SCENA XII.
La Marchesa Beatrice e detti; poi un Servitore.
Beatrice. Che cosa c’è?3
Rosaura. Signora, difendetemi dalle insolenze di vostro figlio.
Beatrice. Ah Marchese! (a Florindo)
Florindo. Credetemi, signora, che io non le ho fatto impertinenza alcuna.
Beatrice. Vi conosco; sarebbe tempo di mutar costume.
Florindo. Io scherzo, mi diverto. Dite in vostra coscienza, che cosa vi ho fatto? (a Rosaura)
Rosaura. Niente, signore; vi supplico a non inquietarmi.
Beatrice. Sapete voi chi è questa giovine? (a Florindo)
Florindo. Io non la conosco. Vedo ch’è una bella giovine, e non so altro.