Il Re Giovanni/Atto secondo

Atto secondo

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William Shakespeare - Il Re Giovanni (1597)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto secondo
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ATTO SECONDO



SCENA I.

Francia. — Dinanzi alle mura d’Angers.

Entrano da un lato l’Arciduca d’Austria, dall’altro Filippo re di Francia coi loro eserciti; Luigi, Costanza e Arturo seguono quest’ultimo.

Luig. Prode duca d’Austria, siate il ben giunto dinanzi alle mura di Angers. Giovine Arturo, quell’eroe il di cui sangue scorre per le tue vene, Riccardo, che svelse il cuor di un leone, e che nelle guerre sante meravigliò la Palestina coi portenti del suo valore, discese troppo presto nel sepolcro, vittima di questo valente duca; ed è ora per espiarne la morte, servendo la sua posterità, che egli ha ceduto alle nostre istanze, e vien qui a spiegare i suoi vessilli in tua difesa. A respingere egli viene l’usurpazione di Giovanni d’Inghilterra, tuo zio snaturato: tu accoglilo, amalo, ed onoralo.

Art. Dio vi perdonerà la morte di Riccardo mio avolo, poichè date vita ai suoi discendenti, proteggendo i loro diritti all’ombra dei vostri stendardi. Ve ne ringrazio, porgendovi una mano impotente, ma insieme con essa un cuore pieno d’amor sincero. Siate il benvenuto dinanzi alle porte di Angers, valoroso duca.

Luig. Nobile fanciullo, chi non vorrebbe sostenere i tuoi diritti?

Arc. Possa questo tenero bacio, ch’io imprimo sulla tua gota, esser suggello del giuramento che ti fa la mia amistà! Essa ti giura, ch’io non rivedrò i miei Stati se non quando Angers, e i dominii che ti appartengono in Francia, non che quelle rive biancastre1 il di cui piede respinge l’onda spumante dell’Oceano, che ne separa gli abitanti dalle altre contrade d’Europa, quella fiera Inghilterra infine che il mar cinge con un baluardo di flutti e che irride baldamente a tutti i disegni degli stranieri, non ti abbia riconosciuto e salutato re da una punta all’altra del suo [p. 15 modifica]territorio. Fino a quell’istante, amabile fanciullo, non ricorderà la mia patria, e non abbandonerò queste armi.

Cos. Oh, ricevete i ringraziamenti di sua madre, i ringraziamenti di una vedova, fino a che il vostro braccio potente, afforzando l’infanzia sua, gli dia facoltà di riconoscere più degnamente il vostro generoso zelo.

Art. La pace del cielo è per quelli che snudano la spada in guerre sì giuste e pie.

Re Fil. Su, conviene operare. Le nostre batterie stanno per rivolgersi contro i tempestati baluardi di questa città tenace. Raduniamo i duci più esperti per accordarci. Forse accadrà, che le ossa di un re rimangano ai piedi di questa fortezza, e che mestieri ne sia l’incedere fra flutti di sangue francese fino al centro delle sue vie. Ad ogni caso l’assoggetteremo a questo fanciullo.

Cos. Aspettate prima la risposta della vostra ambasciata, e non tuffate imprudentemente le vostre spade nel sangue. Chatillon, reduce d’Inghilterra, può riportarci colla pace la sanzione di quei diritti che vorremmo riconquistar colla guerra. Allora ci sarebbe di rimprovero ogni goccia di sangue, che un ardor troppo cieco ci avesse fatto versare.     (entra Chatillon)

Re Fil. Mirate dunque, signora! secondo il vostro desiderio ecco Chatillon! — Che risponde l’Inghilterra? Ditecelo in poche parole, valente cavaliere; noi ci taciamo per ascoltarvi: parlate, Chatillon.

Chat. Richiamate le vostre squadre da quest’assedio di poco pondo, e guidatelo a bisogne più gravi. L’Inglese, avverso alle vostre giuste dimande, ha preso le armi: i venti nemici, di cui sono stato costretto ad aspettare lo spiro, gli han dato agio di approdare colle sue legioni in pari tempo di me: egli ora marcia rapidamente verso questa città; il suo esercito è numeroso, e i suoi soldati pieni di baldanza. Con lui viene la regina madre, furia che lo istiga alle battaglie e alla carnificina: con lui sua nipote, Bianca di Spagna: con lui un bastardo del re estinto, e tutta la gioventù del suo paese, il cui acre umore cerca le avventure; volontari intrepidi che, sotto aspetti di femmine, chiudono cuori di leoni. Costoro han venduta la loro eredità nel paese nativo, e portando fieramente il loro patrimonio sugli omeri, vengono a cercare fra le imprese della guerra una nuova fortuna. In breve; non mai più elette schiere solcarono i mari inglesi, per recar guerre e stragi alla cristianità. (s’odono lontani suoni di tamburi) Il rumore dei loro tamburi minacciosi m’interrompe e mi [p. 16 modifica]vieta di estendermi di più. E’ stan poco lungi chiedenti conferenza o battaglia: a ciò apparecchiatevi.

Re Fil. Come imprevista ne riesce questa rapida marcia!

Arc. Più è inaspettata e più dobbiamo doppiare gli sforzi per ben riceverli. Il coraggio cresce col pericolo: siano dunque i ben giunti; siamo preparati.     (entrano il re Giovanni, Elinora, Bianca, il bastardo Filippo, Pembroke, e l’esercito)

Gio. Pace alla Francia, se la Francia ne permette di prender placido possesso delle terre dei nostri avi; se no, il sangue della Francia scorra, e la pace ritorni in cielo, intanto che noi, ministri del corruccio di esso, castigheremo l’orgoglio di coloro, che offendono questa figlia di Dio.

Re Fil. Pace sia all’Inghilterra se questo esercito torna in Inghilterra per vivere in pace colà. Noi amiamo gl’Inglesi, ed è per essi che abbiamo indossata questa grave armatura. Il carico che assumemmo dovrebbe essere tuo: ma tu non ami l’Inghilterra, tu che per vie tenebrose spossessato ne hai il suo legittimo re, sovvertendo l’ordine di successione stabilito dalla natura, e annullando la regal fortuna di questo fanciullo, a cui rapisti sì indegnamente una corona vergine ancora, e che non era mai stata profanata da mano usurpatrice. Mira qui; (indicando Arturo) vedi il ritratto del tuo fratello Gefredo... Questa fronte non ti mostra essa tutti i suoi lineamenti? Questo garzone rivela, come in miniatura, quel che morì in Gefredo; e la mano del tempo, ampliando le sue forme, le renderà in tutto eguale a suo padre. Quel Gefredo ti era fratello; riconoscine qui il figlio! L’Inghilterra fu retaggio di Gefredo, e a questi tocca! In nome di Dio, come avvien dunque che ti si chiami re, mentre scorre il sangue per le vene di questa fronte a cui appartiene la corona della quale t’impossessasti?

Gio. E da cui tieni tu, re di Francia, l’autorità d’interrogarmi?

Re Fil. Da quel Giudice Supremo che ispira al cuore di coloro che hanno il potere in mano, il generoso debito di punire i delitti. È quel Giudice che mi ha fatto tutore di questo fanciullo; è in suo nome che io ti accuso d’ingiustizia e di frode; è col suo soccorso che pretendo di abbattere un usurpatore.

Gio. Sei tu stesso che usurpi l’autorità.

Re Fil. Se lo fo, è per atterrare un tiranno.

Elin. Chi chiami tu tiranno, re di Francia?

Cos. Lasciatemi rispondere;... il tiranno è tuo figlio.

Elin. Via di qui, proterva! Oh senza dubbio il tuo bastardo diverrà re, onde tu qual regina possa reggere il mondo. [p. 17 modifica]

Cos. Il mio letto fu sempre così fido a tuo figlio, quanto il tuo potè esserlo a tuo sposo; e questo fanciullo somiglia più a suo padre Gefredo, che tu e Giovanni non vi rassomigliate nei vostri procedimenti, sebbene siate simili come una goccia di pioggia lo è ad una goccia di acqua, o il diavolo alla sua dama. — Mio figlio bastardo! Sull’anima mia credo che suo padre non nascesse così legittimo: no, nol potè, se tu fosti sua madre.

Elin. Fanciullo, hai una buona genitrice che disonora il padre tuo!

Cos. Arturo, hai un’eccellente avola che vorrebbe farti arrossire!

Arc. Tacete.

Fil. Odi un uomo che grida.               (gridando)

Arc. Chi diavolo sei tu?

Fil. Un uomo che vi tratterà da diavolo, messere, se sa trovarvi solo colla vostra pelle di leone2. Voi siete il timido capriolo il cui valore infierisce sugli animali morti. Ma io scuoterò la polvere della vostra criniera, se posso prendervi a mio talento. Pensate a quello che dico. Sulla mia fede lo farò; sì, colla fede mia.

Bian. Quella pelle di leone si addice a meraviglia a lui che ne spogliò il leone!

Fil. Sta sul suo omero come la calzatura del grande Alcide starebbe ad un giumento. Ma giumento, io ti torrò la soma di dosso, o ti farò curvare, come dèi, le spalle.

Arc. Chi è questo vanaglorioso cianciatore che ne assorda coi garriti della sua voce?

Re Fil. Luigi, pensate a quello che conviene fare.

Luig. Donne, e voi uomini insensati, cessate dai vostri propositi. — Re Giovanni, ecco la somma delle cose. — Io richieggo da te in nome di Arturo, l’Inghilterra e l’Irlanda, l’Angiò, la Turenna e il Maino; vuoi tu cedere e deporre le armi?

Gio. Prima la vita; e ti sfido, re di Francia. — Arturo di Bretagna, confida in me, e la mia sola tenerezza ti darà più che la mano timida e vile della Francia non potesse mai darti. Sommettiti, fanciullo.

Elin. Vieni dall’avola tua, garzone.

Cos. Va, fanciullo, va dalla tua avola e dalle un regno perchè essa te ne ricambi con un balocco. La tua avola è ottima. [p. 18 modifica]

Art. Mia tenera madre, desistete! Vorrei esser sepolto nella mia tomba; perch’io non valgo la contesa di cui sono cagione.

Elin. Sua madre affligge quel miserello; mirate, egli piange.

Cos. Sono le ingiustizie della sua avola, e non le parole di sua madre, che fanno sgorgare da’ suoi occhi quelle lagrime innocenti, valevoli a commuovere il cielo. Sì, quelle lagrime impietosiranno Iddio che gli farà giustizia e si vendicherà di te.

Elin. Donna odiosa, tu calunnii il cielo e la terra.

Cos. Sei tu che insulti la terra e il cielo! Non mi dare i nomi che si competono a te sola. Insieme col tuo figlio tu usurpi un regno, i dominii e i dritti di quieto oppresso fanciullo. Egli è figlio del tuo primogenito, e la sua sola sventura è di averti per avola. Sono i tuoi delitti che il cielo gastiga in questo fanciullo sfortunato; è su di lui che cade la pena dei giudizi celesti, su di lui, lontano una sola generazione dal tuo colpevole seno.

Gio. Insensate, tacetevi.

Cos. Solo questo mi rimane a dire: Cielo, in vece di questo fanciullo, punisci piuttosto l’usurpatore e il figlio di colei: la punizione del figlio sarà quella della madre... maledizione su di essi.

Elin. Donna bisbetica, che ne importuni colle tue grida; posso produrre un testamento che esclude tuo figlio.

Cos. Sì, chi dubita di ciò? Un testamento! Un iniquo testamento, il testamento di una donna; il testamento di una diabolica donna.

Re Fil. Basta, signore; basta, placatevi. Non è conveniente in così fatta assemblea l’abbandonarsi a tali clamori. — Un araldo inviti i cittadini di Angers a comparire sui loro baluardi; ascoltiamoli, e dichiarino essi se riconoscono i diritti di Arturo o di Giovanni. (squillo di trombe; compariscono i cittadini sulle mura)

Citt. Chi ne invita a comparir sulle mura?

Re Fil. La Francia in nome dell’Inghilterra.

Gio. L’Inghilterra in suo nome. — Cittadini di Angers, amati miei sudditi.

Re Fil. Amati cittadini di Angers, sudditi di Arturo, furono le nostre trombe che vi chiamarono a questo pacifico parlamento.

Gio. Per vostro interesse udite noi prima. — Questi stendardi della Francia che stanno schierati alla vista della vostra città, non accennano che alla vostra ruina. Quei cannoni hanno i loro fianchi tumidi di furore e in procinto li vedete di vomitare contro le vostre torri una grandine di palle. Tutti gli apparecchi di un assedio sanguinoso, e tutta l’ira crudele di questi spietati Francesi minaccia la vostra città e le deboli vostre porte, e senza il [p. 19 modifica]nostro arrivo quell’immobile barriera di pietre che vi circonda tempestata dalle loro batterie, sarebbe già caduta fin dalla base, lasciando larghe breccie alla furia dei vincitori. Ma al nostro avvicinarsi, alla vista del vostro legittimo re, che con rapido e penoso cammino ha condotto dinanzi a voi un esercito, atto a contenere i vostri nemici e a conservare intere le vostre mura minacciate, voi li vedete diggià confusi venirne a concioni anzichè avventare, come n’aveano disegno, palle roventi sulle tremanti vostre case. Con vane parole di pace, che dileguansi per l’aere come fumo, essi vogliono sedurre le vostre orecchie, e deludere la vostra credulità: date loro la fede che meritano, degni cittadini, e aprite le vostre porte al vostro re, che, stanco dalle fatiche di questa veloce marcia, implora un asilo fra l’amore de’ suoi.

Re Fil. Allorchè avrò parlato, rispondete ad entrambi. Vedete alla mia destra questo fanciullo ch’io conduco e di cui ho fatto voto a Dio di difendere la causa; è Arturo Plantageneto, figlio del fratello primonato di quell’Inglese, e sovrano suo, non che di quanto ei possiede. Fu per vendicare i suoi giusti diritti che schierati in battaglia noi calpestiamo le verdi zolle di queste pianure e ci mostriamo vostri nemici; quanto solo ci costringe ad esserlo però un doveroso zelo ospitale, che ci impone di sollevare questo principe oppresso. È la sua causa virtuosa che ne mette le armi in mano. Offrite dunque di buon grado un omaggio legittimo a quegli a cui è dovuto, a questo giovine principe, e tosto le nostre armi cadranno dalle nostre mani senza nuocervi, e non avranno più, come un leone incatenato, nulla di pericoloso fuorchè l’aspetto. I nostri bronzi avventeranno il loro inutile piombo contro il seno invulnerabile delle nubi, e con ritirata pacifica e benedetta da voi, noi riporteremo nella nostra patria le nostre spade e i nostri elmi interi, e il sangue bellicoso di cui venivamo ad annaffiare i vostri baluardi, lasciando così in pace le vostre donne, i vostri fanciulli, e voi. — Ma se sdegnate stoltamente questa offerta, il cinto delle vostre vecchie mura non varrà a sottrarvi al nostro sdegno, quand’anche questi. Inglesi, con tutti i loro eserciti e il loro valore vi fossero alloggiati in mezzo. Rispondete: la vostra città vuol essa riconoscere in noi il suo sovrano, pel principe a nome di cui le chiediamo omaggio? o daremo invece il segnale di guerra, per correre fra flutti di sangue al possedimento di ciò che ne appartiene?

Citt. In brevi parole: noi siamo sudditi del re d’Inghilterra, è per lui e in suo nome che teniamo questa città.

Gio. Riconoscetemi dunque per re, e lasciatemi entrare. [p. 20 modifica]

Citt. Non possiamo farlo, ma proveremo la nostra fede di sudditi a quegli che proverà esserci re. Infino a quel momento le nostre porte staranno chiuse per tutti.

Gio. La corona d’Inghilterra non vale a far palese il re? E se questa non basta, non conduco io meco a testimoni trentamila cuori di veri Inglesi...

Fil. Fra spurii e no.

Gio. Parati a giustificare i nostri titoli colle loro vite?

Re Fil. Tanti anche ne stanno con noi, generosi figli di Francia...

Fil. Fra i quali son pure alcuni illegittimi.

Re Fil. Che s’oppongono a lui per combattere le sue pretese.

Citt. Fino che non abbiate decisi i vostri diritti fra di voi, riterremo nostro omaggio, e lo serberemo per quello a cui spetta.

Gio. Voglia Iddio adunque perdonare le loro offese a tutte quelle anime che andranno, prima che la rugiada della sera discenda, verso il loro eterno soggiorno, mercè il sanguinoso assalto che darà un re a’ miei stati.

Re Fil. Amen, amen! — In sella, cavalieri, e all’armi!

Fil. San Giorgio, tu che domasti il dragone e mi ti mostri ora sul suo dosso nella insegna della mia albergatrice, ispiraci qualche bella astuzia di guerra. — Mariuolo (all’arciduca d’Austria), se fossi nel tuo paese, solo, nella tua caverna colla tua leonessa, imporrei sulla pelle che ostenti una testa di toro e farei di te un mostro.

Arc. Basta; non più.

Fil. Oh trema; perocchè odi il leone che rugge.

Gio. Inoltriamo nella pianura, per ischierarvi le nostre legioni nel miglior ordine.

Fil. Siate solleciti per avvantaggiarvi sul campo.

Re Fil. (a Luigi) Così si farà; comandate al resto dell’esercito di recarsi sull’altra collina. — Dio e il nostro diritto3!

(escono)

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SCENA II.

La stessa. — Allarme ed escursioni; quindi batte a raccolta.

Entra un araldo francese con una tromba, e s’avanza fino alle porte della città; ivi fa la chiamata ai cittadini.

Fran. Ar. Cittadini di Angers, aprite le porte e ricevete il giovine Arturo di Bretagna, che sostenuto dal braccio della Francia, ha data molta materia di lagrime avvenire alle madri inglesi, i di cui figli giacciono sulla terra insanguinata; alle vedove, i di cui sposi gemono abbattuti, abbracciando invece di esse la pallida terra. Già la vittoria acquistata con poca perdita si è fermata sui nostri vessilli ondeggianti. I francesi trionfano, e stanno per entrare in sembianza di conquistatori fra le vostre mura, per acclamarvi Arturo di Bretagna, re vostro e d’Inghilterra.

(entra un araldo inglese colla tromba)

Ingl. Ar. Rallegratevi, abitanti d’Angers; suonate tutte le vostre campane: il vostro re e quello dell’Inghilterra, Giovanni, s’avanza vincitore in questo memorabile dì! L’Inglese, di cui avete veduto risplendere le lucide armature allontanandosi dalle vostre muraglie, le riporta ora sotto i vostri occhi rosse di sangue nemico. Non un elmo britanno ha perduta una sola delle sue penne sotto i colpi delle spade francesi. I nostri vessilli ritornano portati dalle stesse mani che li spiegarono andando al combattimento; e i nostri robusti soldati, come una schiera giuliva di cacciatori, s’avanzano colle mani sanguigne. Aprite le vostre porte e date accesso ai vincitori.

Citt. Araldi, dalla cima delle nostre torri abbiamo potuto contemplare, dal principio fino alla fine, l’assalto e la ritirata dei due eserciti; e l’occhio più sagace non ha potuto discernere alcun vantaggio ottenuto dall’uno o dall’altro. Il sangue a ricambiato il sangue; i colpi hanno risposto ai colpi; la forza alla forza e il coraggio al coraggio. L’uguaglianza è perfetta, e noi applaudiamo alle due osti: ma è d’uopo che l’una vinca l’altra. Finchè la bilancia resterà in questo equilibrio, la nostra città non è nè per Filippo nè per Giovanni, sebbene sia per entrambi, (entrano da un lato il re Giovanni, colle sue schiere. Elinora, Bianca, e il bastardo; dall’altro il re Filippo, Luigi, l’Arciduca d’Austria, e i loro eserciti)

Gio. Francia, ti rimane ancora sangue da spargere? Di’, cederai ai nostri diritti il loro libero corso, o perfidierai nel porvi [p. 22 modifica]ostacolo? Se tu non lasci la nostra autorità in pace a regnare infino all’Oceano, la nostra potenza, uscendo dal suo letto naturale, si spanderà come torrente furioso sulle tue rive.

Re Fil. Inghilterra, tu non hai in questa tremenda giornata salvata una sola goccia di sangue di più della Francia. Tu ne hai anzi sparso da vantaggio, e giuro per questa mano, imperatrice della terra dominata da questo clima, che prima che deponghiamo queste armi, che la giustizia ci ha fatto prendere, ti farem mordere la polvere, o si conterà un re fra gli estinti; e l’istoria, annoverando le perdite di questa guerra, porrà fra i nomi, quello di monarchi confusi dalla strage colla folla dei morti volgari.

Fil. Oh Maestà! a quale altezza ascendi allorchè il sangue regio s’infiamma! Ora la morte arma d’acciaio la sua bocca atroce; le spade dei soldati le sono denti e artigli; e nella gioia di questa orribile festa ella si pasce della carne palpitante degli uomini, finchè durano indecise le contese dei sovrani. — Perchè questi due eserciti si rimangono così immobili? Gridate loro: strage! e tornatevene sulla pianura sanguinosa, potentati eguali di forze, di successi e di furore. Allora la distruzione dell’uno cementi la pace dell’altro; ma fino a quel punto battaglia, carnificina e morte!

Gio. Quale dei due partiti riconoscono i cittadini?

Re Fil. Parlate, cittadini, in nome dell’Inghilterra; chi è il vostro re?

Citt. Il re d’Inghilterra, allorchè l’avrem conosciuto.

Re Fil. Riconoscetelo in noi, che sosteniamo qui i suoi diritti.

Gio. In noi, che siamo i nostri proprii rappresentanti, possessori della nostra persona, della nostra presenza, d’Angers, e di voi.

Citt. Un potere maggiore del nostro, o re, si oppone alle vostre pretese; e finchè esse non cessino di essere dubbie ci staremo colle nostre incertezze chiusi in queste impenetrabili mura, dominati dai nostri timori, salvochè i nostri timori dissipati non siano dalla superiorità di un sovrano incontestabile.

Fil. Pel Cielo, questa plebe di Angers, vi schernisce, monarchi; sicura sui suoi baluardi come sopra un teatro, da cui contempla avidamente e segua le vostre ruine. — Re, lasciatevi guidare dai miei consigli. Imitate i ribelli di Gerusalemme. Siate amici per poco, e scagliate entrambi su di questa città i folgori riuniti del vostro furore. Da oriente e da ponente, la Francia e l’ [p. 23 modifica]Inghilterra appuntino i loro cannoni rumoreggianti, e il loro fuoco continui finchè abbattuti siano i fianchi di questa contumace città. Per me vorrei tempestare queste ruinose e decrepite mura; nè cessare altro che quando un vasto cumulo di ruderi lasciasse quei cittadini scoperti e nudi, come l’aere di questa pianura. Ciò fatto, separatevi, separate i vostri stendardi: rivolgetevi fronte contro fronte, ferro contro ferro, e allora la fortuna sceglierà in breve il benedetto favorito, a cui essa vuol concedere la gloria di questo dì e il bacio di una splendida vittoria. — Come trovate il consiglio, potenti regi? Non fu esso dettato da scorta politica?

Gio. Pel Cielo che è steso sui nostri capi! il consiglio mi piace. — Francia, uniremo le nostre forze per adeguare questa città al piano, poscia combatteremo a chi dev’esserne re?

Fil. Se tu hai il cuore di un re insultati come lo siamo da questa città ribelle..... volgi le bocche de’ tuoi cannoni, come noi faremo, contro quelle mura insolenti, e allorchè le avrem rovesciate, combattiamo insieme da furibondi, intendendo al Cielo o all’inferno.

Re Fil. Sia così. — Dite, da qual lato assalirete voi?

Gio. Dal lato d’occidente.

Arc. Io dal lato di nord.

Re Fil. Noi tuoneremo da mezzogiorno, facendo cadere una pioggia di palle su quelle mura.

Fil. Oh savio temperamento! (a parte) La Francia e l’Austria, combattendo l’una dal nord, e l’altra dal mezzogiorno, tireranno l’una sull’altra. Vuo’ animarli a ciò. — Venite, andiamo, andiamo!

Citt. Uditeci, augusti re; fermatevi un istante, e vi mostrerò la pace e i mezzi di formare una felice unione. Conquistate questa città senza stragi; rimandate a morire nei loro letti tutti quei prodi che vengono ad immolarsi in un campo di battaglia: non persistete nel vostro disegno; degnatevi ascoltarci.

Gio. Parlate liberamente; siamo pronti ad udirvi.

Citt. Quella figlia di Spagna che è nel vostro campo, Bianca, è unita di sangue all’Inghilterra: or contate gli anni di Luigi Delfino di Francia, e quelli di quest’amabile principessa. Se l’amore voluttuoso cerca la beltà, dove ne troverà esso di più lieta che nei lineamenti di Bianca? Se l’amore più nobile cerca la virtù, dove la rinverrà più pura che nel cuore di Bianca? Se l’amore ambizioso va in traccia degli illustri natali, in quali vene vedrà scorrere sangue più augusto che in quelle di Bianca? e al pari di lei il giovine Delfino è fornito di bellezza, di virtù e di [p. 24 modifica]nascita; o se manca qualche cosa alla loro perfezione, è che egli non è essa, ed essa non è lui; ognuno dei due essendo una metà preziosa, che non ha bisogno per divenire perfetta che di essere unita all’altra metà: or questi due ruscelli d’argento uniti da voi formeranno la gloria delle rive che li contengono, o sarete voi, o re, che li farete fluir sotto le vostre leggi, fondendo insieme le loro belle onde. Tale unione, più forte di tutte le vostre batterie, romperà le nostre porte: nel momento di siffatta alleanza voi le udirete stridere sui loro cardini, dandovi più presto accesso che fatto non lo avessero per gli scoppii della vostra polvere. Ma senza quest’imeneo, il mare in corruccio non è più sordo; gl’intrepidi leoni, i monti e gli scogli più irremovibili non sono; la morte, la stessa morte non è inflessibile più, nel suo furore omicida, che noi nel divisamento di difendere questa città.

Fil. In verità, ecco un uragano valevole non ch’altro ad atterrire gli estinti fra i loro funebri lenzuoli! Qual bocca fulminatrice! essa vomita la morte, le montagne, gli scogli ed i mari. Codesto oratore vi parla così familiarmente dei lioni ruggenti, come una fanciulletta di tredici anni del suo cagnuolo. Chi fu l’artigliere che generò quell’eroe? Ei non favella che di cannoni, di fuoco, di fumo, di folgori, e vi abbatte col flagello della sua lingua; le nostre orecchie sono intronate dagli scrosci della sua voce: non v’ha una sola delle sue parole, che non accenni a colpo più grave, che infliggerne non può un braccio francese. Pel Cielo! non mai rimasi tanto stupito, da che la mia lingua fanciullesca chiamò per la prima volta babbo il padre di mio fratello.

Elin. Figlio, porgi orecchio a questa proposta; stringi quest’alleanza; dà a tua nipote una ricca dote. Con simile nodo tu assecuri sul tuo capo una corona vacillante: e quel piccolo Arturo, come giovine arbusto destinato a perire, non troverà sole che maturi il fiore, che gli prometteva così bel frutto. Leggo consentimento della Francia negli occhi del suo re: mirate con qual calore ei parla sommesso! Esortateli a concludere intantochè le loro anime sono aperte all’ambizione, per tema che il loro zelo, adesso attiepidito, non rinasca, svegliato dai rimorsi e dalla pietà.

Citt. Perchè le Maestà Vostre indugiano a rispondere alla pacifica offerta fatta dalla nostra città minacciata?

Re Fil. Parla, Inghilterra prima tu, che prima venisti a conferenza con questi abitanti. Che dici?

Gio. Se il Delfino, tuo figlio, può leggere negli occhi di questa [p. 25 modifica]bellezza l’io amo, la sua dote eguaglierà quella di mia regina. L’Angiò, la bella Turenna, il Maino e il Poitiers, e tuttociò che al di qua del mare, eccetto questa città che assediamo, si trova dipendente dalla nostra corona, ornerà il di lei letto nuziale e l’arricchirà di titoli, di onori, di dignità quante ne possiede ogni altra principessa del mondo, come ogni altra ella pareggia in beltade, in natali, in grazie e in virtù.

Re Fil. Che dici tu, mio figlio! Mira i lineamenti di quella donzella.

Luig. I miei occhi la contemplano, signore, e veggo ne’ suoi una meraviglia, un miracol sorprendente, l’ombra mia ripetuta in quella pupilla, che sebbene ombra solo di vostro figlio, pur là diviene un sole, e fa del figliuol vostro una larva. Protesto che non mai amai tanto me stesso infino ad ora, in cui mi veggo riflettuto dall’amabile specchio dell’occhio di lei4.

(parla sommesso con Bianca)

Fil. Sì, riflettuto nell’amabile specchio dell’occhio di lei! — Appeso al sopracciglio delle sue pupille adorate! — Intrecciato nel suo cuore! Tutto questo bel linguaggio rivela un traditore all’amore. — È a commiserarsi che un simile imbelle si trovi riflettuto, appeso, e intrecciato in così amabile oggetto.

Bian. Il volere di mio zio su di ciò è il mio. S’ei vede in voi l’uomo che può piacergli, diverrete facilmente quello della mia affezione. Non vuo’ adularvi, principe, dicendovi, che tutto ciò che scorgo in voi merita il mio amore; ma vi dirò soltanto che nulla in voi veggo che il giudice più severo potesse trovar degno di censura o di biasimo.

Gio. Che dicono questi giovani? Che dite voi, mia nipote?

Bian. Che è del mio onore l’obbedire a quello che la vostra prudenza mi comanderà.

Gio. Parla dunque, Delfino: puoi tu amare questa principessa?

Luig. Ah! chiedetemi piuttosto se posso impedirmi di amarla. L’amo dell’amore più ardente.

Gio. Allora io ve la do col Vesin, la Turenna, il Maino, il Poitiers, e l’Angiò; e aggiungo a queste cinque Provincie trentamila marchi inglesi. — Filippo di Francia, se sei contento, comanda a tuo figlio e a tua figlia d’unire le loro mani.

Re Fil. Codesto ne piace. — Giovani principi, datevi la destra. [p. 26 modifica]

Arc. E un bacio ancora; perocchè son ben sicuro d’averne dato uno anch’io nel dì in cui mi fidanzai.

Re Fil. Ora, cittadini d’Angers, apritene le porte. Ricevete gli amici che avete fatti: perocchè fra poco la celebrazione di questo maritaggio avrà luogo nella cappella di Santa Maria. — Costanza non è fra noi?... Son ben sicuro che non vi è, perocchè la sua presenza avrebbe portato gravi intoppi al contratto che abbiamo stretto. — Dove è essa? Dove suo figlio? Lo dica chi lo sa.

Luig. Essa geme addolorata nella tenda di Vostra Altezza.

Re Fil. E, sulla mia fede, questo trattato non sanerà le sue piaghe. — Fratello d’Inghilterra, come potremo noi contentar quella vedova? Venimmo per appoggiare i suoi diritti, ed ecco che li abbiamo rivolti, Dio lo sa, in nostro proprio vantaggio.

Gio. Porrem rimedio a tutto, creando il giovane Arturo duca di Bretagna, conte di Richemond, e signore di questa ricca e bella città. — Fate avvertir Costanza; mandate un messaggiere solerte ad invitarla alla cerimonia, oso credere che, se non perverremo a colmare la misura de’ suoi desiderii, la soddisferemo almeno tanto da farla tacere. Su, andiamo prontamente a questa festa impreveduta, per la quale siamo assai male apparecchiati.

(escono tutti, tranne il bastardo; i cittadini si ritirano dalle mura)

Fil. Mondo insensato! Re insensati! Stolto compromesso! Giovanni, per togliere ad Arturo i suoi diritti sopra tutti i di lui Stati, ne cede di buon grado una parte! E il re di Francia, a cui la giustizia stessa avea colle sue mani imposta l’armatura, cui la coscienza e uno zelo caritatevole aveano condotto in campo, quasi luogotenente dello stesso Iddio, è venuto a patti con quel demone astuto, che muta le risoluzioni degli uomini, toglie l’onore e la buona fede, fa commettere mille spergiuri e corrompe tutto, re, mendichi, vecchi, giovani e vergini, alle quali pure rapisce il loro unico bene, che è un fragile onore: tiranno spietato, che simula un volto dolce e carezzevole, e che altro impulso non ha mai fuori dell’interesse, quella gran calamita che attira e fa piegare il globo che la natura aveva sì saggiamente bilanciato sopra se stesso, e ch’ella avea fatto per rivolgersi con corso eguale e costante in linea sempre retta e uniforme, se questi non lo stogliesse a tal felice equilibrio, facendogli smarrire la via. Ora quest’idolo di prostituzione, quest’agente di spergiuro, questa parola che cambia e contamina tutto, offerto alla vista del volubile re, gli ha fatto ritirare i soccorsi che avea giurati di dare, e interrompere una [p. 27 modifica]guerra onorevole da lui stesso mossa per accettare una pace vile e vergognosa! — Ma io, perchè declamo contro l’interesse? Solo perchè esso non mi ha ancora sorriso. Non è già perchè io avessi la forza di chiudere la mia mano alle ricchezze, se le ricchezze venissero a me; ma è perchè la mia mano non è ancora stata indotta in tentazione, ed io son come il povero che inveisce contro il ricco. — Sì, finchè sarò povero tuonerò contro gli opulenti, e sosterrò che non v’è maggior delitto della ricchezza; ma se ricco divengo, allora tutta la mia virtù starà in dire che non v’è altro vizio che la povertà. — Poichè i re violano i loro sacramenti a libito dell’interesse, tu, interesse, siimi Dio: è al tuo culto che mi consacro!     (esce)







Note

  1. Si crede che il nome di Albione dato all’Inghilterra proceda dalle bianche scogliere con cui essa si mostra al continente.
  2. L’Arciduca portava la pelle di Riccardo, dopo la sua morte, per orgoglio ridicolo; poichè non era che per astuzia e frode ch’ei si era impossessato di lui. Eschemberg.
  3. God and our right! Grido di guerra degli Inglesi e motto delle loro gentilizie
  4. Abbiamo tradotto alla lettera.