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atto secondo 17


Cos. Il mio letto fu sempre così fido a tuo figlio, quanto il tuo potè esserlo a tuo sposo; e questo fanciullo somiglia più a suo padre Gefredo, che tu e Giovanni non vi rassomigliate nei vostri procedimenti, sebbene siate simili come una goccia di pioggia lo è ad una goccia di acqua, o il diavolo alla sua dama. — Mio figlio bastardo! Sull’anima mia credo che suo padre non nascesse così legittimo: no, nol potè, se tu fosti sua madre.

Elin. Fanciullo, hai una buona genitrice che disonora il padre tuo!

Cos. Arturo, hai un’eccellente avola che vorrebbe farti arrossire!

Arc. Tacete.

Fil. Odi un uomo che grida.               (gridando)

Arc. Chi diavolo sei tu?

Fil. Un uomo che vi tratterà da diavolo, messere, se sa trovarvi solo colla vostra pelle di leone1. Voi siete il timido capriolo il cui valore infierisce sugli animali morti. Ma io scuoterò la polvere della vostra criniera, se posso prendervi a mio talento. Pensate a quello che dico. Sulla mia fede lo farò; sì, colla fede mia.

Bian. Quella pelle di leone si addice a meraviglia a lui che ne spogliò il leone!

Fil. Sta sul suo omero come la calzatura del grande Alcide starebbe ad un giumento. Ma giumento, io ti torrò la soma di dosso, o ti farò curvare, come dèi, le spalle.

Arc. Chi è questo vanaglorioso cianciatore che ne assorda coi garriti della sua voce?

Re Fil. Luigi, pensate a quello che conviene fare.

Luig. Donne, e voi uomini insensati, cessate dai vostri propositi. — Re Giovanni, ecco la somma delle cose. — Io richieggo da te in nome di Arturo, l’Inghilterra e l’Irlanda, l’Angiò, la Turenna e il Maino; vuoi tu cedere e deporre le armi?

Gio. Prima la vita; e ti sfido, re di Francia. — Arturo di Bretagna, confida in me, e la mia sola tenerezza ti darà più che la mano timida e vile della Francia non potesse mai darti. Sommettiti, fanciullo.

Elin. Vieni dall’avola tua, garzone.

Cos. Va, fanciullo, va dalla tua avola e dalle un regno perchè essa te ne ricambi con un balocco. La tua avola è ottima.

  1. L’Arciduca portava la pelle di Riccardo, dopo la sua morte, per orgoglio ridicolo; poichè non era che per astuzia e frode ch’ei si era impossessato di lui. Eschemberg.